A proposito dell’origine campagnola (vedi post del 22 luglio): uno può pensare di non avere più nulla, dentro, di quel mondo, dal momento che vive a Roma da quarant’anni, fa il giornalista e tiene un blog, ma ecco due smentite legate al grano che mi vengono agli occhi e all’anima in questi giorni del luglio vacanziero. La veduta dei campi mietuti, innanzitutto: quell’oro delle stoppie che più lo guardo e più lo godo. E la scoperta quasi commossa dell’importanza che il grano ha sempre avuto per l’umanità mediterranea: termino oggi di leggere La guerra del Peloponneso di Tucidide (vedi post del 3 luglio) e come dirò la sofferenza che ho provato, per ogni primavera di quella interminabile guerra, all’incipit ritornante: “quando il grano era in fiore, i peloponnesi invasero l’Attica e devastarono i campi”. Oppure: “essendo ormai maturo il grano, sbarcarono e diedero fuoco ai campi”. Quelle parole mi colpivano come se le devastazioni non risalissero a duemila e quattrocento anni addietro, ma le sentissi annunciare dal telegiornale della sera. Il soprassalto che mi provocavano mi diceva che dentro sono restato sempre un contadino.