“Tindari mite ti so / tra larghi colli pensile sull’acque / dell’isole dolci del dio”: così dice la poesia Vento a Tindari di Quasimodo, riprodotta sulla parete dell’Azienda di soggiorno e turismo. Il “vento” del titolo è metafora della sventura “che m’ha cercato l’anima”. Oggi non c’era vento sulla rupe di Tindari ma appena un alito che saliva dal mare e ti salvava dal fiato caldo che scendeva dal sole. Ho visto due donne vestite alla musulmana portare fiori alla Madonna e le ho interrogate, da dove venissero e se fossero cristiane e non ho avuto una sola parola di risposta, sia che non avessero inteso le domande, sia che non osassero parlare a un uomo. Mi sono confermato nell’idea che fossero “muslim” e ho provato a immaginare che preghiere potevano portare alla “Madonna nera” insieme a quel mazzo di margheritone. Lei del resto dev’essere ben esperta di preghiere randagie, come questa che ho letto su un guard-rail a duecento metri dal santuario, all’altezza del teatro greco: “Prego il Signore e la Madonna del Tindari di cancellarti da me al più presto e di non farmi più soffrire”.