Volo in rete. Installazione di Maria Rosa Marcantonio, Maria Sambataro, Pippo Sambataro. Dal 20 al 27 agosto 2006. Monte Etna, cono vulcano quota metri 2000 (c/o Funivia). La salita all’Etna è stata allietata dalla sorpresa di trovare questo annuncio di un episodio creativo di Land Art su un cartellone legato a un palo, nella zona dei Crateri Silvestri. Prima di leggere il cartellone avevo provato a dare io un titolo a quei fili che correvano da un sasso all’altro, con sospesi – ogni dieci metri circa – degli spezzoni di plastica bianca: La ragnatela del Monte Fato. E tutt’ora lo preferisco, il mio primo titolo, ispirato a Tolkien, a quello degli autori dell’opera: Volo in rete. Trovato il cartellone, ho avuto questa spiegazione: “Nelle maglie che si allargano, si estendono, si moltiplicano, crescono, sono presenti forme irregolari che ricordano i gabbiani in volo. Il volo, metafora dell’andare oltre, per un discorso di armonia, leggerezza, equilibrio tra gli uomini e la natura tutta. Dal fondo e dalla parete interna del cono vulcanico si dipartono fili elastici che intessono una rete leggera che si diffonde in tutte le direzioni e vibra al soffio del vento”. Il soffio del vento come fosse quello del vulcano. Scampoli di plastica bianca come gabbiani. E da questi accostamenti il mio titolo definitivo: Gabbiani sull’Etna.
Gabbiani sull’Etna
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Don Pietro De Luca – che ha letto il testo “Mi sono laureato a 61 anni”, nella “pagina” intitolata “Benvenuti nel sito”, elencata sotto la mia foto – ha mandato questo messaggio:
“Caro Dottore, anche a me manca solo la tesi per la licenza in Teologia Morale sociale. Avevo superato tutti gli esami – e bellamente – quando mi imbattei, parlo degli anni 90, in un professore più giovane di me, il quale pretendeva che gli ripetessi a memoria una sua dispensa di una cinquantina di pagine. Non poteva immaginare che io quelle stesse cose avrei potuto ripetergliele a parole mie. Un po’ di anni, allorquando lasciai la seconda parrocchia, che avevo mantenuto provvisoriamente per sei anni (da quel giorno la mia paura non è più per le defintive), mi riaffacciai in Facoltà. Quel Professore si era installato su una seggiola più importante. Ho pensato: se l’esame, che era mio, dovevo farlo con parole sue, la tesi, scritto mio, con quali parole l’avrei dovuto fare? La tentazione era quella di fotocopiare un suo libro. Essendo, però, la fotocopia disciplinata da leggi assai precise e meticolose, mi sono perso. Adesso mi recupero. Copierò. Per intanto, auguri a te, caro Dottore Magistrale. Ciao don Pietro”.
Don Pietro, dopo che hai mandato questo “commento” ci siamo incontrati – come riferisco nel post del 28 agosto – ma non abbiamo fatto parola della tua tesi per la licenza: che orgomento tratta? Luigi