Il giro della Sicilia al sole d’agosto sta per terminare quando entro nella cattedrale di Siracusa, luogo di meraviglie e mi chiedo che cosa più mi abbia preso, in queste giornate. Un posto speciale certo lo conquista il tempio di Segesta, se non altro per il fatto di poterci entrare, cosa che non è permessa a Paestum e ad Agrigento.La sensazione di poter fare un qualcosa che sarà proibitissimo domani. Come mi capitò l’hanno scorso, vedendo che potevo calpestare il pavimento della cattedrale di Otranto, una specie di Divina Commedia in mosaico. E la memoria quasi imbarazzante di quando arrivai a Roma la prima volta, nel 1966 e vidi che si poteva entrare in automobile in piazza San Pietro e in piazza del Campidoglio. Ogni tanto dico ai miei figli che caso inverosimile sia ancora l’attuale, che ci permette di transitare in auto tra la facciata e l’obelisco di Trinità dei Monti! Se uno ha questi timori, rischia le palpitazioni a entrare in un tempio dorico. E che dire della cattedrale di Siracusa, che fu ed è tempio di Athena e chiesa e moschea e di nuovo chiesa? Già mi ero riempito di stupore a Valencia, visitando la cattedrale, che sorge sul luogo di un tempio pagano che lasciò il posto a una chiesa che poi divenne moschea e tornò chiesa e fu rifatta moschea e infine ridivenne chiesa, ogni volta in gran parte abbattuta e ricostruita (vedi post dell’8 luglio: Tre volte chiesa e due volte moschea). Ma a Siracusa la meraviglia raddoppia, perché non solo ci troviamo a visitare un luogo che ospitò templi e chiese e moschee, ma entriamo in un ambiente che si è mantenuto attraverso queste mutazioni: le colonne del tempio greco sono inglobate nelle mura della cattedrale, visibili all’esterno e all’interno, mentre le muraglie della cella del tempio, opportunamente tagliate e – si direbbe – ritagliate, forniscono i pilastri della navata centrale. Colonne e muraglie spettatrici inalterate del culto pagano, di quello bizantino, di quello musulmano e di quello latino. Forse l’emozione delle emozioni l’ho avvertita in quella cattedrale. Riassunta così dalla battuta di una visitatrice – che immagino insegnante di storia – al marito e ai figli: “Aspettatemi in piazza. Voglio restare ancora un poco con queste colonne”.