Alessia Edallo è pneumologa nel reparto di terapia subintensiva dell’Ospedale di Crema. Lungo i giorni e i mesi pieni di spavento della prima ondata fissa nella memoria e poi appunta e infine scrive le vicende e il destino dei colpiti dal Covid che ha avuto in cura. Ne viene un libretto nel quale Alessia si rivela una combattente come medico e come narratrice. Ne riporto due pagine che attestano come per ogni malato, morto o guarito, i medici abbiano dovuto condurre epiche battaglie. Il brano segnala anche come questa dottoressa disponga di una scrittura capace di rinnovare l’immediatezza a ogni pagina.
Alessia Edallo: la mia lotta per portare Romano in terapia intensiva
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Turno straziante. Alessia 1. Romano [nome di fantasia] è un omone. Non so nulla della sua vita. Ha una situazione polmonare disastrosa, ma ha combattuto tanto, tenendo il ventilatore appiccicato al volto in continuo per giorni, con manovre di pronazione continue, perché solo a pancia in giù riusciva a mantenere scambi respiratori accettabili. Ha superato uno scompenso cardiaco e una trombosi a un arto, vari episodi di aritmia, alcune infezioni sopravvenute come è normale nei ricoveri prolungati con manovre invasive continue. Voglio a tutti i costi che gli sia data una chance in rianimazione, perché è forte e ce la può fare, non si arrende, lotta ancora, come un leone.
Sono di turno al pomeriggio, in un giorno che non dimenticherò mai. E’ un turno straziante. Romano non può resistere molte altre ore. Un nostro infermiere con il suo cellulare gli fa fare una video- chiamata ai figli bloccati all’estero per il lock-down. Lui e un’altra cara infermiera presenti, al termine della telefonata scoppiano in lacrime in sala medicazione. Chiara, la fisioterapista che lo ha seguito in tutto questo periodo, mi chiede perché me ne sto con le mani in mano e non faccio nulla. Io sto impazzendo. Mi siedo distrutta nello studio. Gli infermieri mi raggiungono. “Devi fare qualcosa”. Sto scoppiando. Lo so. Devo! Non riesco a entrare nella sua stanza. Gli ho impostato una blanda sedazione, ma non riesco a incrementare la velocità di infusione dei farmaci. Entro. Lo guardo negli occhi. Mi chiede perché è tracollato. Mi dice di fidarsi di me, molto, mi chiede di dirgli la verità. Al monitor ha 200 di frequenza cardiaca, l’ossigenazione, pur con il supporto massimale sta tracollando. Ci sta lasciando. Ho le mani legate, voglio urlare di rabbia, una rabbia feroce.
A un tratto sento gridare nel corridoio. C’è un gran fermento nell’ala di fianco. Si stanno preparando perché in mattinata è stata valutata una signora arrivata da poco ed era stato disposto il trasferimento in terapia intensiva che ora si apprestano a fare.
Vuoi vivere? Alessia 2. Come una furia impongo di bloccare il trasferimento. Entro nella stanza della donna. Le parlo, osservo lei, il suo monitor, i parametri del suo ventilatore. Studio la sua cartella clinica. Valuto il suo schema di terapia. La paziente è tranquilla. Non ventila con supporti massimali. A mio avviso potrebbe lasciare il posto a Romano ed essere intubata nei giorni successivi.
Sono davanti al telefono. Alzo la cornetta. Mi risponde un giovane rianimatore che è arrivato in forze alla terapia intensiva per l’emergenza Covid 19. Gli spiego le mie perplessità, mi dice che ha valutato lui la donna e che verrà a valutare l’uomo.
In cinque minuti arriva. La collega che l’accompagna è perplessa. Chiedo loro di non guardare solo la sua cartella clinica perché sarebbe sminuente. Li prego di guardare l’uomo. Entrano nella stanza. Sì, è clinicamente molto compromesso, alcuni dubbi, poi gli chiedono se vuole essere intubato. Spaventato risponde di no. “Romano”, gli prendo la mano: “vuoi vivere?… gliela stringo, lo guardo negli occhi, con sguardo fisso, fermo, aumento la stretta di mano. Mi chiede se non può continuare così, magari da addormentato perché non ce la fa più. “No, così morirai”, lo sto ancora guardando fisso. “Ti fidi di me?”… Il suo sguardo trafigge i miei occhi e raggiunge il profondo della mia anima, risponde alla stretta di mano, forte: “si mi fido di te”. “Allora questa è l’ultima possibilità che hai… ti accompagno”. La discesa in ascensore verso la rianimazione è angosciante. “Promettimi che andrai avanti a lottare”. “Sì, te lo prometto”.
E’ morto dopo una settimana, il giorno di Pasqua.
Per non dimenticare. Il brano è tratto dal libretto di Alessia Edallo, Crema, Covid 19. Per non dimenticare. 100 giorni nella corsia di pneumologia, Leva Artigrafiche Crema 2020, pp. 38. La storia di Romano è alle pp. 20-22
Novantotto storie. Questa di Alessia Edallo è la novantottesima vicenda da Covid – 19 che racconto nel blog. Per vedere le altre vai al capitolo 22 “Storie di pandemia” della pagina “Cerco fatti di Vangelo” elencata sotto la mia foto:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/cerco-fatti-di-vangelo/22-storie-di-pandemia/
grazie Luigi della segnalazione. Bella nella sua tristezza la storia di Romano.
cristina Vicquery
Esco fuori dal seminato, anche se poi niente è veramente fuori dal seminato.
Ieri nella chiesa di San Domenico a Città di Castello c’è stata la Messa di ringraziamento per la canonizzazione di beata (santa) Margherita di Città di Castello, tanto cara a Luigi Accattoli.
Andando in Internet all’indirizzo teveretv Facebook è possibile seguire l’intera cerimonia.
Tutto questo è fuori del seminato? Ma in fondo si parla sempre delle sofferenze umane e di come il Signore ci venga incontro.
Francesco esorta proprio ad un ascolto reciproco generale. E che dono!
https://gpcentofanti.altervista.org/francesco-alla-diocesi-di-roma/