Capita che lo psichiatra ti interroghi su che cosa tu ti sia portato dietro dall’esperienza della polmonite da Covid 19 e delle crisi del respiro che in essa hai vissuto e può capitare che tu risponda – a me è capitato – che te ne è restata come l’impressione di vivere a ogni crisi l’imminenza dell’ultimo respiro. Nel primo commento provo a dire meglio questa impressione.
Diario del Long Covid: la fatica del respiro come immagine della fatica di vivere
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Duello mirando. Quanti tra noi sono stati negli ospedali per il Covid hanno vissuto per settimane – e a volte per mesi – il duello della Sequenza di Pasqua:
Mors et Vita duello
conflixere mirando:
dux vitæ mortuus, regnat vivus.
Morte e Vita si sono affrontate
in un prodigioso duello:
il Signore della vita era morto, ma ora, vivo trionfa.
Io l’ho vissuto come uno stretto camminamento tra la vita e la morte percepite come due possibilità aperte. Al bivio tra l’una e l’altra. Quando ti manca il respiro, quando non ti basta il fiato, avverti tangibilmente, di momento in momento, che puoi risalire tra i vivi o scendere tra i morti. Respirare o spirare: due varianti della stessa parola. Due possibili uscite dallo stesso affanno. – Ecco: credo di aver percepito, come mai prima mi era capitato, l’arrivo della morte come cessazione del respiro. Ovviamente lo sapevo da tanto, ma le crisi respiratorie me l’hanno fatto toccare. Provo a dire la differenza con una similitudine: uno sa che esiste Venezia, ma poi un giorno la vede. Da sempre sai che il respiro è la vita ma poi un giorno tocchi questa equivalenza.
Che malattia terribile e che esperienze estreme.