C’è chi corre con il cane, un disabile sul triciclo elettrico, chi con le racchette da neve, con i pattini o con lo skate. Due anziani con il bastone quotidiano. Genitori col passeggino o con il bimbo in groppa. Si vedono parrucconi da clown e cappelli da giullare, padri che tirano i figli e figli che spingono le madri. Bimbi col palloncino legato al polso. La mamma eroica con ragazzo disabile in carrozzella, due altri che spingono e bimbino in spalla. C’è chi corre in bicicletta, altamente irregolare! A lei manca il fiato ma arrivata in capo alla salita si volta, mette giù la figlia che portava a cavacecio e fa la foto. E’ una grande idea e ora tutti scattano correndo. Da quassù il fiume di cappellini rossi e magliette bianche fa un effetto da campo con papaveri. Dopo l’invenzione della foto viene quella del cinema: uno si ferma a girare il film e ora tutti filmano. Più la marea si fa lenta più film si girano. Quasi tutti in tuta ma ogni tanto due belle gambe nude. Una famigliola accaldata si disabbiglia: i tre maschietti si ingegnano a strecciare i jeans dalle scarpe, lui incoraggia con una busta in mano, lei filma la scena. Chi si diverte a essere primo e chi ultimo. Io mi delizio dell’umanità caciarona della Stracittadina di Roma che scorre sotto la mia finestra.
Viva l’umanità caciarona della Stracittadina di Roma
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Belli questi spaccati di vita… Una bellssima fotografia di quel che accade a Roma! Grazie caro Luigi – l’ho detto già più volte e non mi stancherò di farlo – per la profonda umanità che trasuda dai suoi scritti!
Proprio in questa vissuta umanità, auguri di una viva, intensa, autentica settimana santa!
Andrea Macco
Questa mattina, come ogni domenica, ho animato la S.Messa delle ore 8.
Il sacerdote aveva preparato una bella cesta delle palme per i fedeli. In genere siamo sempre gli stessi una trentina in tutto, i fedelissimi. Ma stranamente stamani i banchi della chiesa, sempre vuoti per quell’orario insolito, era piena fino ad oltre la metà. Ho potuto scorgervi persone del vicinato davvero refrattarie all’acqua santa -sono i “pasqualini” mi son detta, quelli che si avvicinano a Dio una volta l’anno. Mi ha fatto strano sentirli inneggiare “Osanna al Figlio di Davide” sollevare alberi interi di palma spingendoli più in alto possibile in direzione degli spruzzi quasi a far arrivare meglio l’acqua benedetta.
“Così so’ più efficaci” -sentivo dire -” nse po’ sta senza la parma benedetta, porta male!! Ricordamose de portanne un ramoscello a tu’ sorella che quella nun ce pensa!!”
Gulp ! Ecco perché il giorno delle palme le chiese si popolano…quasi che quel rametto d’ulivo funga da talismano contro la jattura.
O Signore che tristezza!!
Buona SETTIMANA SANTA a tutti….
Un saluto speciale a Clodine e a Luigi.
Benedizione delle Palme sul “solettone” di piazza Colombo a Sanremo. Gente ovunque che agita i ramoscelli, il prete che parla al microfono. E tanto, tanto sole quasi da accecare. Verrà dopo la notte, quando si chiederà al Padre di non bere questo calice, e la notte del Sepolcro chiuso e il dolore di amici e fratelli. Per poi ritornare, splendente, la Pasqua di Resurrezione, il “Passaggio” che aspetta tutti noi.
E’ la prima Pasqua che passo lontano da Vibo Valentia, dove sono nato. E da Sant’Onofrio, il paese di mia madre. Il sabato prima d’a Parma (della Palma, come se ce ne fosse una sola) quando si va con ‘a liva (il ramoscello d’ulivo), mio padre va sempre in campagna a tagliare, con l’accetta, i ramoscelli dalle piante secolari dello Speziale. E mentre c’è sole del pomeriggio e lontana arriva la campana della Chiesa del Rosario di S. Onofrio, mentre tutto attorno è silenzio, pensi all’indomani ed alla piazza piena, questi ulivi che escono sotto il sole e poi, in chiesa, frusciano agitati mentre il prete li benedice. E la tenerezza ti assale.
Vorrei raccontarvi la domenica di Pasqua, a Sant’Onofrio, quando le statue dell’Addolorata e quella di Gesù Risorto, con San Giovanni a far la spola tra loro, ripropongono l’Affruntàta, la rappresentazione dell’incontro tra la Madre e il Figlio dopo il grande dolore. E mentre il Priore, mio zio Michele, tira via il drappo nero dalle spalle dell’Addolorata, l’esplosione del manto celeste della Madonna dona speranza ad un paese intero. Vi auguro di poter gioire prima o poi davanti alla fede ingenua e fortissima della mia gente.
Bella questa immagine descritta di Tonizzo, che mi ricorda tanto i miei nonni lucani e il loro piccolo borgo, dove, da piccolo ero solito trascorrere la Pasqua e assistere a una Processione simile a quella raccontata da Tonizzo.
Ti ringrazio Fabricianus. Pensa che mi sono laureato con una tesi sulla Confraternita del SS.mo Rosario che a S. Onofrio coordina l’Affruntàta. Mio bisnonno Michele ne è stato prima Commissario vescovile e poi Priore, adesso dopo tanti anni c’è mio zio Michele. E se tu sapessi il lavoro che c’è per preparare l’Affruntàta!
Si comincia con l’asta per chi vorrà portare a spalla i santi, poi la preparazione del manto nero: bisogna posizionare gli spilli al posto giusto sul manto azzurro della Madonna, altrimenti non cade. Lo ha fatto per 60 anni un santonofrese, che ora è morto, il quale ha passato il segreto a mio zio.
Bene, quest’uomo praticamente non dorme per una settimana, specialmente Sabato Santo non riesce a riposare: perché svelare il drappo è sempre un momento molto delicato.
Aggiungi anche che per due anni l’Affruntàta si è replicata la settimana dopo Pasqua a Toronto, nella Little Italy locale, e forse si farà anche a Sidney, vedi tu che stress è… anche perché la statua della Madonna pesa abbastanza e ci vogliono almeno quattro persone per stanga.
Mi dispiace ma Piazza San Pietro, questa mattina, era un’altra cosa.
invece mi spiece per te Gonzalo ma io prefesco cento volte assistere a queste bellissime rappresentazioni, piene di devozione popolare dove si sente la partecipazione reale della gente, a quella caotica di Piazza San Pietro vedi? Dove la figura di riferimento anziché essere il Cristo -osannato prima e schiaffeggiato poi- è il papa, con tutto rispetto.
San Pietro: dove ci si accapiglia per prendere la posizione migliore, la più possibile verso la parte interna per poterlo toccare, guardare. A tutto si pensa, immersi in quella confusione totale,tranne a ciò che si sta vivendo. Ci sono stata a San Pietro per le palme, un paio di volte: mai più! E ti dico la verità, sento molto più viva la celebrazione del mio carissimo sacerdote nel silenzio della cappella – con tutti i pasqualini di passaggio i quali, si spera, vengano toccati così profondamenye dalla grazia di Dio da fare ritorno-
che in Vaticano
Queste processioni solenne descritte da Tonizzo, sono le famose Teoforie, che significa :”trasporto dell’immagine di Dio”. Solevano ripetersi nei secoli del primo medio-evo quasi a imitazione delle pompe o processioni dei romani.
A Roma era in uso il trasporto dell’immagine del Salvatore in Laterano fino alla chiesa di S.Maria Maggiore, e il papa in persona a piedi scalzi prendeva parte alla sacra cerimonia.
Sono bellissime e toccanti. Grazie Tonizzo per avercene parlato.
Un bacio a F.
Lasciamo che chi ama le Palme a San Pietro se le faccia a San Pietro, chi altrove altrove (io l’amo al mio paese, la piazza piena, la processione che si snoda verso l’alto, verso la chiesa sul colle). E lasciamo anche – direi – che nella fede immatura e residuale di chi prende il ramoscello d’ulivo “perché porta bene” lo Spirito crei un solco perché scorra acqua nuova: il Signore ha detto di non spegnere il lucignolo fumigante. Casomai facciamocene carico.
Infatti, mi hai letto nel pensiero Luca Grasselli.
Ieri mattina mi è stato chiesto di leggere la “Passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo” ho esitato,non me l’aspettavo, in genere i lettori sono sempre gli stessi e ieri erano ne erano presenti almeno un paio, ma hanno preferito le letture lasciandomi la “Passione”, forse perché reduce dalla Terra Santa portassi nel cuore le vibrazioni di quella esperienza e le trasmettessi..
…prima di cimentarmi in questa lettura straordinaria, così fortemente vincolante per il credente, ho chiesto alla Spirito di aiutarmi affinché tutte quelle persone, così lontane, presenti in quel momento potessero entrare nel dinamismo della fede, e , come dire, innamorarsi del Signore !
Forse c’ho messo così tanto pathos che all’uscita dalla chiesa mi si è avvicinata una signora presente con due figli -una che viene in chiesa una volta l’anno- e mi ha detto :” ma lo sai che me so’ commossa ! Ao..me veniva da piagne! Ammazza che nfami…ma che javeva fatto sto’ cristiano (sarebbe stato Gesù) pe faje tutto sto macello!”… beh…ho ringraziato Dio per quel commento, si vede che lo Spirito ha agito…anche per una sola anima si fa festa in Paradiso
un abbraccio
Clodine hai letto da sola il Passio in quella messa? Sfido che non ti era capitato in precedenza! Non ho mai visto una donna leggere il Passio, che è il compito del diacono. L’avrai fatto certamente bene e trovo bella l’idea di dare il libro a chi torna dalla Terra Santa. Ma è un gesto innovativo.
Eh già caro dott Luigi: Clodine ha fatto il diacono, altroché, succede spesso! Ma nessuno ci fa caso, almeno nel mio contesto.
Però, devo dire, che la contingenza mi ha resa “trasformista” nel senso che: mi trasformo ora diacono, talvolta in Marta -spessissimo per via di alcuni sacerdoti anziani e in quanto la cappella è autogestita- e poi animatrice dei canti, catechista e all’occorrenza fioraia…insomma, diciamo che si lavoricchia!!!
… per chi ha la bontà di leggermi ogni tanto, ho scritto qualcosa su un’altra “abitudine” pasquale che può diventare insipida se non la si “sfrutta”…
un domanda: ma quelle vecchiette che invece di un ramoscello o due (un segno) si portano via quintali di fronde d’ulivo… ‘ndo le mettono?
ma che ne so che ce faranno con tutti quei rami, na’ cosa esagerata, che poi litigano per il cespuglio più verde, quello che con piì rametti attaccati!
Io invece ne conservo uno, piccolo piccolo ma speciale: l’ho chiesto al francescano custode del Getsemani se poteva, per favore, regalarmene una fogliolina di “quello” tra gli otto, custoditi gelosamente, dal tronco gigantesco, millenario, pieno di nodi e di buchi che si erge con grande fatica al lato estremo del campo. Quell’ulivo dove 2000 anni fa, sotto le sue fronde giovani il Signore sudò sangue! Custodisco quel rametto strappato con insistenza dal cuore del frate che diceva “No..no..no”….come una reliquia..
Tu Clodine volevi a ogni costo un rametto di quell’ulivo le vecchiette vogliono tutte il cespuglio più verde, qualcuno a ogni costo vuole sola la messa in latino e qualcuno a nessun prezzo gliela vuole concedere neanche una volta alla settimana, e uno toglie i candelabri e un altro li rimette e la croce e l’altare e le reliquie e tutto il resto… Finchè si litiga c’è speranza!
..difatti, nelle sue parole Luigi, ci rivedo l’andazzo presente in ogni parrocchia: quelle ripicche stupide, beghe tra parrocchiani per la spartizione dei compiti o delle mansioni, perfino per le letture ci si porta il broncio, quasi ci fosse il monopolio per questo ministero che non è affatto superficiale ed esige una preparazione. Per non parlare dei canti: chi deve fare il solita per quel salmo o canto piuttosto che l’altro, una cosa ridicola, ed è tristissimo quando sono gli stessi ministri a dare una contro-testimonianza…è molto frequente.
Ne ho fatto esperienza personale, una lunga esperienza, anche se, devo dire, che sono sempre stata voluta bene dai sacerdoti in quanto ho sempre detto la mia, quando mi veniva chiesto, con grande rispetto ma lealtà, su certe prese di posizione affatto edificanti agli occhi dei fedeli!
IDi troppo zelo talvolta ci si incarta. Specie quando è unito a quell’azione continua che non lascia il tempo alla meditazione. Non dico che non sia buona il darsi da fare, o non produca frutto, però se non si lascia spazio al silenzio c’è il rischio di uno svuotamento e alla fine non si riece a dare nulla. E’ come se, per la smania di annunciare con il proprio operato la venuta del Regno, si perda di vista il Signore del regno! Succede! Successe alla nostra parrocchia con annesso oratorio prima della chiusura avvenuata 8 anni fa dopo 40 anni di presenza sul territorio “per mancanza di sacerdoti” ci fu detto..
E’ per questo che ad un certo punto del mio cammino me ne sono resa conto e dissociata . Avrei potuto continuare a svolgere la mansiuone di sempre nell’altra parrocchia. Ma ho rinunciato per fare altro..magari senza clamore o alcuna soddisfazione personale..aiutando a mandare avanti -per dare la possibilità a persone anziane e non solo di partecipare alla santa messa- una cappella messaci a disposizione dai salesiani, fianco a fianco a dei sacerdoti anziani ma stupendi per saggezza e bontà..lungi..ben …lungi da certe ripicche sterili…E’ un compito per nulla facile, coinvolgente e faticoso. Ma che gioia aiutare il sacerdote a celebrare, vedere la gente che aumenta giorno dopo giorno.
Purtroppo non ho potuto trovare l’Affruntàta di Sant’Onofrio, ve ne propongo una di Arena, altro paese in privincia di Vibo a una 30ina di km da Sant’Onofrio.
http://it.youtube.com/watch?v=PQ9tSg1F9eU
Eccolo
Ho visto tonizzo, è veramente molto suggestiva: hai ragione…mi ha impressionata la corsa, sembrano volare, come se portassero un fruscello sulle spalle anzichè dei baldacchini pesantissimi…Bella, veramente bellissima…
Non c’è niente da fare, la devozione del popolo è troppo grande…troppo importante. Bisognerebbe riscoprire queste feste, come pure la famosa “inchinata” a Tivoli, presso Roma. In quel caso la processione si svolge il 15 Agosto, giorno dell Assunzione. Non sono statue a rincorrersi bensì due icone: una di Gesù risorto e l’altra raffigurante il transito della Madonna. Entrambe le icone fanno parte di un famoso trittico risalente al 1050, poco prima dello scisma con la chiesa d’oriente . La simbologia è profonda e troccante: la madre che raggiunge, con il corpo, il figlio e accompagna da secoli il cammino di fede del popolo Tiburtino. In quell’inchinarsi della Madre al Figlio e viceversa si legge il loro assenso alla richiesta di tutto il popolo.
Ecco, ritengo che queste processioni debbano essere riscoperte, assieme a quella fede genuina e sentita. San Pietro, come dice Luca Grasselli, lasciamolo a chi ama le celebrazioni a San Pietro!
http://channelman.wordpress.com/2008/02/29/lincoln-commentato-da-ravasi/
Vi rimando a un commento (che partiva da un brano … sorprendente) di Ravasi che mi piacque molto, sulla gente comune.
E a un classico di Chesterton…
http://channelman.wordpress.com/2008/02/29/chesterton-sulla-democrazia/
Occhio, Clodine: “genuino e sentito”, popolare e devoto può essere benissimo anche il sentimento di chi (specie se romano) va alle celebrazioni a San Pietro. Io preferisco di gran lunga vivere tutte le celebrazioni nella mia parrocchia, ma posso ben capire chi ama andare in cattedrale, o magari anche in una chiesa che gli piace di più. E San Pietro è sempre San Pietro. Va bene ammonire contro il supermarket della fede, contro una fede senz’appartenenza e radicamento in una comunità, ma lasciamo che il popolo di Dio agisca anche nella libertà dei figli di Dio. C’è tanta bellezza intorno…
Sicuramente! Parlo più per la mia esperienza, sono andata per moltissime occasione a San Pietro, innumerevoli volte. E’ stupenda la basilica, ed emozionante anche veder passare il ponetefice, benedicente, anch’io come molti andavo prestissimo per accaparrarmi il posto migliore, per vedere il papa, stringergli la mano. Quante, ma quante volte..
Poi però, mi sono resa conto che alla fin fine mi distraevo, catturata più dal superfluo che dall’essenziale. Lo scorso anno ho seguito la processione solenne del Corpus Domini, ed anche in quel caso la stessa delusione. Poi ci sono sempre i soliti favoritismi, per cui, se hai il “santo in paradiso” c’è la possibilità di intravedere qualcosa della celebrazione, altrimenti…non ci si può avvicinare più di tanto, come se il popolo di Dio non sia veramente considerato, se non marginalmente…
Preferisco vedere Benedetto in TV…riesco ad apprezzare ed interiorizzare le sue parole, sempre così toccanti e illuminanti, altrimenti..
Ma è solo un’impressione personale, e lascia il tempo che trova!
Ah..se parliamo di romanità…da parte di mamma lo sono di almeno una decina di generazione…e Traspontina..precisamente !
Le vostre belle descrizioni di usanze liturgiche pasquali mi fanno pensare che questo paese, una volta, aveva una forma (anzi, ne aveva tante), perché gliel’aveva data la chiesa. Abbandonata la chiesa (o abbandonata dalla chiesa?), la vita si è fatta informe.
Pronti per lo shock?
Banderas alla processione della Settimana Santa di Malaga.
http://www.corriere.it/spettacoli/08_marzo_17/banderas_settimana_santa_ee927482-f419-11dc-827d-0003ba99c667.shtml
Un grazie particolare a Tonizzo, per avermi fatto immaginare suo padre che taglia con l’accetta i rami di ulivo, nel silenzio della campagna. Di lì si vede anche il mare? Nella mia visione ce l’ho messo, in lontananza.
Prego, Leonardo. Sì, si vede tutto il Golfo di S. Eufemia e nel silenzio del pomeriggio senti un treno fischiare… in basso, poco lontano in linea d’aria c’è la stazione di Vibo-Pizzo
Non amo rispondere ai messaggi personali ma visto che sono stato chiamato in causa eccomi. Studio e lavoro a Roma, la mia parrocchia è lontana – oltre il mare – e purtroppo non posso tornare a casa per la Pasqua così ora il mio parroco è Benedetto. Ieri in Piazza San Pietro Clodine non c’era, avrebbe visto migliaia di giovani, la speranza della Chiesa. Che le persone al termine della Messa corrano a salutare il Papa lo trovo bello. Quanto ai “pasqualini” – come lei li chiama e di cui scrive:
“Mi ha fatto strano sentirli inneggiare “Osanna al Figlio di Davide” sollevare alberi interi di palma spingendoli più in alto possibile in direzione degli spruzzi quasi a far arrivare meglio l’acqua benedetta.
“Così so’ più efficaci” -sentivo dire -” nse po’ sta senza la parma benedetta, porta male!! Ricordamose de portanne un ramoscello a tu’ sorella che quella nun ce pensa!!”
Gulp ! Ecco perché il giorno delle palme le chiese si popolano…quasi che quel rametto d’ulivo funga da talismano contro la jattura.
O Signore che tristezza!!”
beh a me fa piacere che la Domenica delle Palme affollino le chiese e le piazze (siano quelle di paese o quella del Vaticano) e non sta a noi giudicare le loro intenzioni. A me piace pensare che anche quel solo giorno incontro al Signore o nell’ascolto della sua Passione porti molto frutto.
Bene ha fatto allora Benedetto XVI a porci questa domanda ieri:
“È la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i “pagani”, le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro?”
E ancora, per concludere:
“Dobbiamo imparare a vedere con un cuore giovane che non è ostacolato da pregiudizi e non è abbagliato da interessi. Così, nei piccoli che con un simile cuore libero ed aperto riconoscono Lui, la Chiesa ha visto l’immagine dei credenti di tutti i tempi, la propria immagine”.
Gonzalo, sono con te e ti ringrazio.
Anche io sono nato in un paese e ora vivo nella grande metropoli, non c’è Pietro ma Ambrogio.
Sulla vita di provincia vorrei condividere con voi le parole di un grande provinciale, un prete pavese, autentico letterato e sapiente manzoniano, don Cesare Angelini: “la provincia è un valore da difendere e dal quale difendersi”.
Clodine, non ti sembra di avere giudicato la fede?
(Anch’io vorrei trasmettere un ricordo: si riferisce alla fine degli anni quaranta del secolo scorso. Con una dedica particolare a Leonardo, per le parole da lui scritte alle 14:28).
Gesù mio,
con dure funi
come reo
chi ti legò?
Una serataccia gelida, ventosa; tanti anni fa, in un altro secolo, un altro pianeta.
Sono stato
io, l’ingrato:
Gesù mio,
perdon, pietà!
La processione solenne, detta “del Cristo morto”, si snoda interminabile per le vie del paese. La statua di Gesù, insanguinato e “sdenodato”, povero inerte involucro di un uomo-dio tradito e sconfitto. La statua dell’Addolorata, lacrime, disperazione e veste scura, il cuore trafitto da sette spade, circondata da donne nerovestite e misteriosamente velate. I sacerdoti in paramenti viola, i chierichetti in cotta e tonaca, la croce, l’incenso, i fedeli, tutti i paesani, molti con le labbra viola per il freddo. Una tramontana micidiale, che ha cominciato a investire le strade e le case fin dal primo pomeriggio, e che si accanisce ora contro le candele accese che ognuno tiene con la mano destra, usando la sinistra per tentar di proteggere dalle ventate la fiammella precaria, che poco si giova della protezione in carta velina rossa che volenterosamente è stata predisposta. Suggestione. Soprattutto quando la processione percorre vie poco illuminate, sembra di vedere un popolo che ostinatamente, al di là di ogni realistico buon senso, continua a tener accesa la fiamma di qualcosa che è troppo importante per tutti, una ragione di vita, una ragione che supera la vita: che so, una fede, per esempio.
Io ero lì: a cinque anni? sei? sette? Chierichetto. La processione del venerdì santo rappresentava il culmine di una settimana di grande impegno, che andava ben oltre le consuete incombenze di qualche messa al mattino e della benedizione eucaristica la domenica pomeriggio. Le cerimonie erano lunghissime, ore e ore ascoltando salmi interminabili, canti in latino di una bellezza indicibile, riti misteriosi e suggestivi. A partire dalla benedizione delle case, tutte le case del paese, strada per strada, quartiere per quartiere: un sacerdote e due chierichetti, uno dei quali addetto a portare l’acqua santa, l’altro con un canestro in cui al termine della cerimonia i padroni di casa sistemavano uno o due uova, a mo’ di offerta a Dio, di gratitudine per una benedizione il cui valore era sentito da tutti come grande, incommensurabile, e non solo dal punto di vista strettamente religioso. Quel saluto iniziale, entrando nelle case, quel breve sostare, quegli spruzzi d’acqua santa in ogni stanza, in ogni bugigattolo; quell’odore rassicurante di pane raffermo nelle madie di cucina; gli afrori un po’ acri, maschili e femminili, nelle camere da letto, con un persistente sottofondo agrodolce di orina che la pratica quotidiana di svuotare al mattino i vasi da notte non riusciva mai a dissipare del tutto. E le formule in latino, le risposte imparate a memoria, i segni di croce, le foto incorniciate dei morti di famiglia, i poveri mobili usurati, il rametto d’olivo portato gelosamente a casa al termine della lunga splendida cerimonia della Domenica delle Palme.
E poi, la “rotanìa”. Uno strumento meccanico tutto di legno, che produceva un rumore forte e secco, una sorta di raffica di pacifica mitragliatrice, provocata da un martelletto messo in azione da una manovella rudimentale. Serviva a richiamare l’attenzione: a gruppi, i chierichetti, accompagnati spesso da bande di ragazzini volenterosi e un po’ anche invidiosi del privilegio di “suonare” quello strano arcaico “intonatore di rumore”, battevano il paese strada per strada, fermandosi ogni dieci passi: si azionava la rotanìa e poi tutti insieme si gridava a squarciagola: “A Messa, a Messa, che questa edè ‘a prima vorta!”, e qui un’altra raffica forte, intonata. Alla “prima volta” faceva seguito una “seconda”, e a volte anche una “terza volta”; e la sera del venerdì, invece che “A Messa, a Messa” si gridava “A precissió, a precissió!”. La rotanìa sostituiva, a partire dal tardo pomeriggio del giovedì santo e fino alla veglia pasquale (il sabato successivo) il suono delle campane, “legate” – come si diceva – in segno di lutto per l’imminente passione e morte di Nostro Signore.
Che strazio, anche fisico, quel momento! Al termine della cerimonia della messa vespertina detta “in coena Domini”, dopo la lavanda dei piedi, dopo la traslazione del Santissimo Sacramento in un altare laterale, si procedeva alla spogliazione dell’altar maggiore e di tutti gli altri altari: si toglievano la croce, le reliquie, i candelieri, le tovaglie, ogni altra suppellettile; si velavano tutte le sacre immagini non asportabili. E intanto si recitava, o si cantava, quel terribile Salmo 21: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Deus meus, Deus meus, quare me dereliquisti?”. Le campane e l’organo tacevano già dall’inizio della messa “in coena Domini”: subito dopo aver suonato a distesa, quasi come per un ultimo sfogo, al momento del “Gloria in excelsis Deo”.
La sera del giovedì era dedicata alla visita dei “sepolcri”: che non erano affatto le tombe dei morti, si trattava invece della veglia di popolo al Santissimo Sacramento, esposto in un altare laterale in tutte le chiese principali del paese; niente luci elettriche, solo candele piccole e grandi, e intorno vasi, bacinelle, pentole con i fiori pallidi del grano o del granturco lasciati germogliare al buio, negli armadi, nei ripostigli di ogni casa, già da qualche mese, e ora portati a far compagnia, come uno spettrale, malinconico corteo, a Gesù arrestato e sputacchiato, schiaffeggiato e processato, schernito e flagellato e condannato: “Ad crucem ibis”.
Santa Madre,
deh, voi fate
che le piaghe del Signore
siano impresse nel mio cuore!
La processione procede lenta e infreddolita, le stazioni della Via Crucis si succedono una dietro l’altra, rievocando le tappe della passione: dall’abbandono di Gesù da parte dei suoi amici, all’arresto, ai processi e ai rinnegamenti, la flagellazione, la condanna, il penoso corteo verso il Golgota: lancinanti fotogrammi dai quattro Vangeli, cui senza problemi si aggiungono episodi apocrifi ma sempre fonte d’emozione e partecipazione: l’incontro con la Madre, le tre cadute sotto la croce, il velo della Veronica. Si medita, si prega, si canta; sfilano ordinatamente, a una a una, le confraternite (“del Santissimo Salvatore”, del “Rosario”, della “Provvidenza”, della “Pace”), ognuna con una divisa di diverso colore, con le insegne, con una tradizione di secoli tramandata di padre in figlio con orgoglio e convinzione. E la banda musicale del paese riprende, fra una stazione e l’altra, le musiche a tutti note: “Gesù mio, con dure funi…”, “Santa Madre, deh, voi fate…”. Con quale commozione il trombone, la grancassa, il clarino ci dànno dentro! (Più o meno la stessa di quando, fra qualche settimana, in una “processione” diversa – solare e festaiola come questa è invece incupita e lunare – la stessa banda intonerà “Bandiera rossa” al corteo del primo maggio).
Bellissimo. Perdona, ma non ho riconosciuto le inflessioni dialettali. Dove si svolge? Io immagino uno scenario appenninico.
Tuscia. Sui colli che corteggiano il Cimino.
x Gonzalo ed Ignigo: non ho giudicato la fede semplicemente perché non è possibile un simile discernimento: quella prerogativa -del giudizio- e della fiducia in Dio appartiene solo a Dio il quale NON guarda le apparenze ma il cuore .
Come si può sapere tout.court se quella persona, anche se praticante, è animata da vera fede o meno, potrebbe essere motivata dall’abitudine ad esempio, o da altro…che ne sappiamo noi…anzi, potrebbe darsi che i lontani si salvino con maggiore facilità, mentre a noi, che conosciamo il Signore e quello che Egli ci chiede ci verrà chiesto molto, ma molto di più, e forse non saremo in grado di portare il doppio dei talenti che ci ha dati in prestito.
Per cui…Se mi sono permessa di esprimermi in quel maniera un po’ “pittoresca” è stato solo per dare colore ad una realtà che esiste; quella cioè di coloro che non praticano, che vivono in modo superficile il rapporto con Cristo e con i Sacramenti, e talvolta in modo superstizioso, e sono molti, forse troppi.. Ma non sto giudicando, sto semplicemente constatando…
Credo che tra il ” constatare” e il “giudicare” la differenza sia sostanziale.
bellissima Sump…poi a me queste feste piacciono un sacco..
Vorrei dire a Gonzalo un’ultima cosa, e poi chiudo la parentesi:
caro Gonzalo, non capisco perché tu abbia riportato per intero il mio intervento, non so cosa volevi dimostrare. Intanto era un commento ironico -il dialetto romanesco lo dimostrava- siccome ne hai fatto un commento, allora ti dico, senza ombra di dubbio, che tu, con quelle due parole:
“Mi dispiace ma Piazza San Pietro, questa mattina, era un’altra cosa”
a fronte della bellissima descrizione di Tonizzo circa la festa del suo paese sei stato molto indelicato, discrimanatorio e pure offensivo. Se ti ho chiamato in causa è stato proprio per questo motivo..
Continuiamo? Ok, qui però chiudo. Solitamente in un blog i commenti si riferiscono ai post di chi il blog lo gestisce. Il mio non voleva essere offensivo, indelicato, discriminatorio nei confronti di nessuno: nè verso il padrone di casa nè verso gli altri ospiti. Quello che ho scritto era semplicemente ciò che ho vissuto in questa Domenica delle Palme, con tutto il rispetto per la maratona, per le celebrazioni nei nostri paesi, per le persone che sono capitate a leggere – o a scrivere – in questo spazio.
Se ho offeso qualcuno mi dispiace, ma essere “chiamato in causa” per una pacifica opinione non è un po’ troppo?
Ad ogni modo buona settimana Santa a tutti, a chi ha la fortuna di essere a casa e a chi no, ai vicini e ai lontani, tutti coinvolti nel medesimo cammino.
Scusate ancora per il disturbo.
Un saluto e grazie a Luigi Accattoli per l’ospitalità.
Io invece ieri mi sono alzato tardi e, intorno alle 12, mi sono precipitato nella Chiesa della località di mare, in provincia di Roma, in cui mi trovavo.
Nulla da fare, i battenti avevano appena chiuso.
Un pò prestino, direi.
A parte il mio sonno “comodo” (una volta tanto), non ho mai capito che senso abbiano certi orari.
A Roma, ad esempio, vicino al mio luogo di lavoro ci sono alcune chiese, pure abbastanza belle. A pranzo ho un’ora libera, e come me la maggior parte delle persone che popolano quella zona.
Perchè non è possibile entrare e pregare, raccogliersi un momentio, se e quando si vuole farlo?
Nulla da fare, dalle 12 alle 16, mediamente, le porte sono sbarrate, direi per un tempo abbastanza lungo da comprendere aperitivo, pranzo e una comoda siesta per chi detiene le chiavi…
..X Gonzalo.
se la tua era una semplice opinione non vedo perché la mia non dovrebbe essere altrattanta…eppure l’ hai citata per intero quasi avessi detto chissà quale blasfemìa ! Tra l’altro in riferimento alla citazione insisti con quel : “non sta a noi emettere alcun giudizio” come se lo avessi fatto…
quando sei proprio tu ad emetterlo con quel : “mi dispiace ma..a San Pietro è un’altra cosa”! E parla per te Gonzalo, per la tua esperienza senza sminuire quella degli altri..
Buona settimana santa
State buoni, ragazzi, state buoni. Ci accapigliamo se siano meglio le Palme a San Pietro o San Nonsocosa? In confronto il sesso degli angeli era questione di stringente attualità.
ci mancherebbe Grasseli, no, non ho intenzione di accapigliarmi, giammai…è solo che non mi piace quando si fa la filippica su espressioni dette da altri (che poi la mia era umoristica giusto per dare l’idea con quel “porta male” dell’atteggiamento di alcuni ) e, dicevo, non si considerano le proprie….
nella fattispecie quella Gonzalo è stata davvero infelice, in quel contesto, a margine dell’ “Affruntata” descritta da Tonizzo con quella passione di chi vive profondamente la fede del popolo.
Non mi è piaciuta, tutto qui…
poi mi fa orrore l’accapigliamento..sarà perché ho sempre portato i capelli lunghi e l’idea che qualcuno me li strappi mi fa rabbrividire..
carino il raffronto col sesso degli angeli…((?)..mica hanno sesso gli Angeli ( ?)..o no..o si..(!)…chi lo sa..!!!!??
Francesco, anche a me dispiace vedere lspesso e chiese chiuse quando avrei un po’ di tempo per pregare (o anche per contemplare le opere d’arte, per quanto minori, custodite in quel luogo). Accanto alla deprecabile pigrizia dei guardiani, vedo però un altro motivo: il rischio (purtroppo reale) dei furti e degli atti sacrileghi.
No, è anche un problema di volontà, e di pastorale.
La Chiesa prelatizia dell’Opus Dei, in viale Buozzi, è sempre aperta.
Sanno benissimo che chi lavora ha la possibilità di farci un salto all’ora di pranzo, non certo a metà mattina o metà pomeriggio.
Volendo rivolgersi anche a lavoratori e professionisti, tengono conto dei loro orari.
E’ una cosa semplice, eppure sembra così rara…
Calma, calma, gente. I figli di Dio, che vadano all’Affruntàta o in Piazza San Pietro sono tutti uguali. Basta che abbiano fede. Perché, cari amici, a San Pietro ci sono pure quelli che di liturgia e Santa Messa non ne capiscono una mazza e filmano per il piacere di far vedere gli italiani “molto pittoreschi”. Così come all’Affruntàta ci sono quelli che vanno a sparlare questo o quello. Questione di punti di vista, quel che conta è la fede. Mi pare di ricordare che un certo Concilio tenutosi una quarantina di anni fa, in un noto documento abbia parlato di “varietà nell’unità”. O no?
… non sono un tifoso di Adista (di cui conosco due amici redattori) che spesso ho anche duramente criticato, ma è indubbio che oltre a tutte le cose che si sono già dette, dietro alle processioni può anche esserci di questo:
http://www.adistaonline.it/index.php?op=articolo&id=39832
Infine, caro Sump, sulle benedizioni delle case mi tocchi un nervo scopertissimo (ne parlo nel mio ultimo post)… sarebbero un gran momento di incontro (per certi versi rischioso, ma proprio per questo bello), di prima e seconda e terza evangelizzazione, di comunione concreta, di semplice conoscenza… ma uso il condizionale non a caso.
Peccato che l’estensore del pezzo, caro Moralista, si sia dimenticato del Vescovo di Trapani. Che, tanto per dare un segno, ha vietato i cappucci nelle processioni della Settimana Santa, dicendo che i cristiani non si devono nascondere come massoni…
w il vescovo di Trapani, allora!
MMMhhh. “i cristiani non si devono nascondere come massoni…”
Mi sembra il nostro diacono quando si cimenta in Mariologia, con delicatezza pachidermica…..
Mi ricordo invece di un bell’articolo sul Riformista che invece attaccava proprio posizioni del genere e con motivazioni portate da un collaboratore del giornale e mooolto serie.
eccolo di seguito – giusto giusto dalla Pasqua dell’anno scorso
«Mi metto il cappuccio. Vi sembro un fanatico?»
di Fabrizio d’Esposito
Caro direttore, sono trent’anni esatti che partecipo alle processioni del Venerdì Santo del mio paese, Piano di Sorrento, in provincia di Napoli, e l’altra mattina, di Giovedì Santo, a introdurmi nella lenta liturgia penitenziale degli incappucciati (peraltro motivo per cui ti ho chiesto tre giorni di ferie) è stato un duro articolo di Francesco Merlo sulla prima pagina di Repubblica contro i cappucci in processione. C’era da aspettarselo. Nel senso che in questo clima di crescente contrapposizione tra Chiesa e politica, tra credenti e non credenti, i riti della Settimana Santa sono usciti dal ghetto della cronaca locale dei quotidiani regionali per diventare evento da segnalare, commentare e spesso criticare a livello nazionale.
Per esempio, martedì scorso, la Stampa ha raccontato con tono pieno di sdegno la tradizionale asta della Domenica delle Palme a Taranto, in cui si pagano somme da capogiro per assicurarsi i posti migliori nelle processioni. Poi è arrivata la prestigiosa penna di Merlo. Cimentandosi sul ritorno dei cappucci a Corleone, vietati dal prefetto per 40 anni a causa delle guerre di mafia («I killer si travestono da confrati e colpiscono i rivali»), e pur riconoscendo il valore simbolico del diritto restaurato, Merlo consiglia alla Chiesa di lasciar perdere il «burqa maschile del Venerdì Santo» perché trattasi di «un armamentario devozionale che è apparentato con le processioni sciite, con il peggio del fondamentalismo e del fanatismo dell’Iran». E ancora: «Le processioni degli incappucciati sono le palestre del rancore popolare, un concentrato di antichissima ferocia pagana. Nel cappuccio sono infatti depositate tutte le pratiche più lugubri, precristiane e anticristiane». Concludendo: «Nel momento in cui in tutto il mondo occidentale si discute dell’opportunità di proibire i veli, lo chador, il burqa, insomma i simboli dell’oppressione islamista contro le donne, come fa la Chiesa a incappucciarsi e a farsi latitante?».
Dilaniato da questo punto interrogativo sono stato tentato di rispondere subito, come accade quando offendono la persona che più ami. Alla fine ho ceduto a un compromesso interiore: «Andiamo alla prima processione, nella notte tra giovedì e venerdì, poi rileggiamo l’articolo di Merlo e infine abbozziamo una risposta».
Così eccomi qui. Sono le otto di mattina di Venerdì Santo e sono reduce dalla prima processione degli incappucciati neri della mia arciconfraternita, denominata della Morte e Orazione. Stanotte eravamo circa mille, compresi i due cori del “Calvario” e del “Miserere”. Siamo usciti col buio, alle due e mezzo, e siamo rientrati che era giorno pieno, intorno alle sei e mezzo: quattro ore di cammino per le strade e le chiese del paese accompagnando l’Addolorata in cerca del Figlio. La prima osservazione è banale: a differenza della quotidianità del burqa, il cappuccio si indossa una sola volta all’anno. Ed è per questo che considero il Venerdì Santo come il mio vero Capodanno, punto di svolta tra un periodo e l’altro, un tempo senza tempo scandito dagli stessi gesti e dagli stessi passi fatti da mio nonno e da mio padre. Detto questo, quando sono andato in chiesa per la preparazione della processione, ricordandomi del mio lavoro di giornalista, ho cercato un riscontro alle parole di Merlo sulla «palestra del rancore popolare».
Così ho scrutato il volto di Cristoforo, ingegnere della Telecom che vive a Roma come me e come me è tornato a Piano di Sorrento per la processione, insieme con la moglie e i due figli. Poi il volto di Giosuè, marito, padre e nonno, che a settant’anni suonati fa il primo cerimoniere e conduce il corteo per tutti i dieci chilometri del percorso; quello di Gianfranco, il priore dell’Arciconfraternita, uomo pio e devoto che a tutti i confratelli fa una sola raccomandazione: «Siate umili»; quelli di Antonino e Mariano, due ragazzi che quest’anno sono venuti per la prima volta senza il loro papà, morto a cinquant’anni per un infarto; e quelli ancora di Michele, Francesco e Franco, i miei amici più cari, rispettivamente un imprenditore del caffè, un benzinaio e un direttore di macchina della più grossa compagnia di navigazione dell’Italia, che all’organizzazione della processione sacrificano mesi e mesi del loro tempo libero.
Lungo la strada, infine, da sotto il cappuccio, mi sono commosso scorgendo una vecchina sopravvissuta al figlio morto in mare che si inginocchiava e piangeva al passaggio della statua della Madonna.
Potrei continuare all’infinito e raccontare tutte le facce e le storie di chi stanotte era con me, ma il senso è chiaro: la mia processione è stato un concentrato di antichissima ferocia pagana apparentato con l’integralismo sciita? Oppure era la ripetizione di un rito vecchio di cinque secoli che appartiene solo alla mia coscienza di cattolico e alle mie radici familiari, in cui il camminare non è altro che un pellegrinaggio verso qualcuno e qualcosa e il cappuccio è un segno di uguaglianza che nasconde le differenze di ceto sociale? No, i cappucci non c’entrano nulla con la Cei o con certe posizioni della Chiesa di oggi, che tormentano anche me, cattolico favorevole ai Dico.
E a proposito di vescovi. Anni fa con il mio padre spirituale Arturo Aiello, oggi vescovo di Teano e Calvi, nel Casertano, scrissi un libretto sulle processioni. Proprio sul cappuccio, Arturo fece una riflessione che anche stanotte mi ha tenuto compagnia: «Tu hai paura di non essere riconosciuto! È proprio qui il problema: “Con il cappuccio abbassato nessuno mi riconoscerà. Passerò accanto a casa mia e i condomini non mi vedranno, non mi riconoscerà mio padre che mi segue ormai solo dalla finestra, non mi vedrà la mia ragazza, mia moglie non potrà indicarmi sottovoce ai bambini”. Hai ragione ma mi chiedo se tutto questo non sia un bene. Nei giorni della Passione e Morte di Gesù tu sei chiamato a fare, sia pure solo per poche ore, un assaggio di morte. Le feritoie sul cappuccio saranno come i cancelli del cimitero da cui guarderai allontanarsi il mondo come dall’ultimo carrozza di un treno entrato in galleria».
Lo so, caro direttore, sono parole tremende. Ma è per spiegarti i motivi per cui, quando sarà, sulla mia bara non vorrò né fiori né la sciarpa del Napoli: solo il mio cappuccio di cerimoniere dell’Arciconfraternita della Morte e Orazione di Piano di Sorrento. Buona Pasqua a tutti, compreso Merlo.
L’illustre Pisanelli, al tempo in cui si espropriava l’asse ecclesiastico con le leggi eversive del 1866 e si pensava di sopprimere le confraternite, disse che era necessario mantenerle non foss’altro che il povero, non avendo balli e vita sociale, almeno così si poteva sfogare.
I pezzi in cui si parla sdegnosamente di processioni e aste con cifre da capogiro sono sullo stesso tono. Nessuno ha la bontà di dire che le cifre da capogiro servono per opere pie, restauro e manutenzione delle chiese in cui le confraternite operano, mutua assistenza.
Esempio banale: a Sant’Onofrio la Congrega del Rosario si preoccupava di dare sepoltura ai confrati più poveri ed alle loro famiglie nel dopoguerra.
Quanto ai cappucci sono contrario anche io, si va a testa scoperta a testimoniare la propria fede anche così.
… l’articolo di d’Esposito non è affatto banale.
Ma la giustificazione dell’uso dei cappucci mi sembra la cosa più debole della sua bella testimonianza diretta… francamente è un “segno” che non capisco, dato il contesto e l’occasione… massoneria o meno.
sulla confraternite stendo il mio… “cappuccio” di ignoranza. Avevo uno zio, da poco morto, a capo di una delle più antiche confraternite di Roma (legata ad una delle Chiese che sono a Trastevere)… ma è un pezzo di mondo ecclesiale che non conosco.
Le confraternite mi hanno sempre affascinata e in un certo senso intimorita…ero lungo la strada che da San Giovanni porta a Santa Maria Maggiore per seguire la processione il giorno del C. Domini e dietro le transenne vedevo scorrere questi personaggi, surreali, fantastici: spetto fiero, in fila con i passi tutti uguali, cadenzati, e poi cantano con voci virili, i confaloni svettanti, alcuni incappucciati con i costumi crociati e addirittura armati di balestra…per non parlare dei cavalieri di Malta -confraternita degli ospitalieri- e quella del S.Spirito che risale all’alto medio-evo.
Ma sono magnifiche le confraternite. Fanno parte della tradizione e sono plendida testimonianza dell’attaccamento alla chiesa in qualunque parte d’Italia si trovino ….non ne conosco le leggi, né men che meno gli statuti…però mi affascinano!
Ricordo la mia prima processione, ero poco più che una ragazzina, con la croce sulle spalle passare sotto casa mia: ci fermiamo per la x stazione proprio sotto le finestre, vedo le mie sorelle affacciate al balcone -si vergognavano, come tutte le adolescenti- le guardo e faccio loro il gesto di scendere, un minuto dopo erano sotto la croce insieme a me…
Che belle le processioni, è un tempo bellissimo la Pasqua, va vissuto con intensità
Mi piacciono i vostri racconti, sia di quello di Canelli che di Tonizzo..bellissimi…
Moralista, non è che tuo zio faceva parte della confraternita di S.Maria in Traspontina?
Moralista..vuoi vedere che siamo parenti?
… la confraternità cui ha dedicato tanto tempo mio zio è quella che tiene la Chiesa della Madonna dell’Orto, vicino a S. Francesco a Ripa…
mia madre è nata nei pressi di piazza S.Cosimato in Trastevere e i miei zii, per un certo periodo della giovinezza, erano legati alla confraternita di S.Maria in Traspontina, alla Conciliazione…
Volevo dire al prof. Savigni che ci sono alcune chiese che non chiudono quasi mai, ad esempio, sant’ Andrea delle fratte, con quegli angeli bellissimi del Bernini il campanile del Borromini..stupenda .Anche S.Luigi dei Francesi: chiude giusto il tempo di un riposino pomeridiano, c’è la vocazione di Matteo-cappella contarelli-e s.Matteo e l’Angelo del Caravaggio…
Ogni volta che sono andata le ho trovate aperte, per non parlare di S.Maria in Trastevere e le basiliche della zona -S.Crisogomo- San Francesco a Ripa- uhuuu troppe ce ne sono, è il tempo che manca, a volte!
Gentile Accattoli se crede può cancellare i miei commenti, complici di un pasticcio che non volevo certo causare e di cui sono dispiaciuto.
A Clodine dico che cliccando sul mio nome aprirà la pagina del mio blog, lì potrà scrivermi tutto ciò che vuole, come vuole e quanto vuole.
Un saluto a tutti.
Ah..ma..Gongalo, sei un vaticanista? Non lo sapevo….Ho letto i tuoi articoli: belli, sei molto bravo! Complimenti…
con simpatia
clodine
Caro Gonzalo sul pianerottolo non vi sono cancelline, ma il superamento dei pasticci avviene attraverso altri pasticci, di diverso sapore o di aroma inedito. Hai visto Clodine come ha cambiato lingua appena ti ha conosciuto un poco? Ricambio i tuoi auguri e chiedo scusa ai visitatori per essere in questi giorni poco presente per superlavoro. Magari poi uno sfoglia il quotidiano in cui lavori e trova solo cavolate, ma il giornalista ha corso come un cane per trovare i cavoli con cui ammannire quelle cavolate…
Dott Luigi..quando ho visto apparire il suo nome mi sono intimorita: temevo, dopo questa ennesima lamentela nei miei confronti,che mi avrebbe tirato le orecchie, sono sempre la solita…forse non riesco a farmi capire, non lo so..! Le creo un sacco di problemi,tutti si lamentano di me.. mi dispiace tanto, e le chiedo scusa.
Guardando il blog di Gonzalo ho capito il motivo del suo messaggio: essendo un vaticanista era normale…
Pregherò per lei Luigi, per il suo lavoro.
con affetto
Mah.. vedi che diversa la realtà… a me Gonzalo da subito ha rievocato il pirobutirro gaddiano, essendo lo scrivente uno dei nipotini illeciti ma consapevolmente e gaddianamente sempre inquietissimi. Che poi io stia a Milano e il neogonzalo a Roma poco importa: qua nacque l’Ingegnere, là morì. E poi la cognizione, basta questo. Da dove la beata Clodine cavi il vaticanismo – anche questo biograficamente gaddiano – davvero non so, ma è certo mia cecità. Al neogonzalo vorrei chiedere: davvero pensa che il Giualianone Ferrarone sarebbe stato digerito con entusiasmo dal gran lombardo, con la facilità con la quale ingollava lacerti di cernia lessata?
ignigo, io non sono addentrata nel settore…dal blog mi è parso che lo fosse…poi..Rispetto al tema degli articoli di Gonzalo non mi sento di esprimere un giudizio -quelle sono opinioni personali- invece posso elogiare lo stile, che ritengo scorrevole ed elegante.
Vaticanista? Magari! Sono solo un povero praticante, temporaneamente accreditato presso la Sala Stampa della Santa Sede (e con la possibilità di seguire da vicino Papa Benedetto durante le celebrazioni pasquali e fino ai primi di Aprile, quando l’accrdito scadrà…).
Grazie a Luigi Accattoli per la paterna lezione. A Clodine e Ignigo dico che un po’ mi sento in difficoltà – sono timido e arrossisco anche davanti a questo schermo – e in imbarazzo per la minima attenzione che da loro ho ricevuto sulle mie povere cose.
E’ un piacere conoscere uno dei nipotini di quell’Ingegnere che così tanto amo, è un’onore, anzi. Ho avuto il piacere di ascoltare Giuliano Ferrara dal vivo varie volte, oltre che di leggerlo, e anche se non posso dire con certezza che Gadda l’avrebbe digerito so che l’avrebbe ascoltato con attenzione e sarebbe rimasto colpito dal buonumore e dall’autoironia delle sue parole.
Non so che altro dire, sappiate che quest’incontro, pure virtuale, mi ha reso felice. Passate pure a trovarmi – e a stroncarmi se lo riterrete opportuno, sarete sempre benvenuti. Grazie, alla prossima!
Praticante presso la Sala Stampa? Quanta invidia, Gonzalo, quanta invidia…
Praticante presso un’Agenzia di stampa e temporaneamente accreditato in Vaticano, per l’esattezza. Comunque un sogno! e chissà che in futuro non si ripresenti l’occasione… Intanto studiamo e andiamo avanti fiduciosi.
Studiamo sì, ho l’orale il 3 aprile
Con quali inimmaginabili svolazzi di genio, caro ignigo74, il più grande scrittore italiano del secolo scorso si sarebbe accostato a Giulianone Ferrarone e alla sua lista cosiddetta pazza? La mente vacilla. Anch’io, come Gonzalo, credo che lo avrebbe ascoltato con attenzione, sotto quel sorriso indefinibile (“la Gioconda”? siamo lì) che era la “sua” cifra, sua e basta.
Ti va di seguirmi lungo due divagazioni dal “Pasticciaccio”?
– Il volenteroso e straripante carabiniere impegnato a decifrare uno dei cartigli del dipinto dei “Due Santi”: esegeta un po’ improvvisato (in precedenza si era occupato di ben altro), “il tombolotto di Farafiliopetri pervenne a leggere, col dischiudere e richiudere i labbri mutamente, spiccicandoli a pena senza dar parola di fuori: ‘Crescìte ve-ro in gratia et in co… co… cococcione Dò-mi-ni Preti Sec Ep.’ (…) Con che fu certo essersi meritato al tutto il diploma: di licenza elementare. Lo aveva ricevuto l’anno prima, come un battista il battesimo dopo i vent’anni, e subito accodato ai preesibiti e precertificati suoi titoli: capelli, castani: occhi, grigi: naso, diritto: statura, metri uno e sessantaquattro: torace: novantuno: circonferenza del bombolone… non occorre”. (Nota: “crèscite vero in gratia et in cognitione Domini – Petri Secunda Epistula”).
– La barbarica bignarda antiferràrica, trasfigurata nella gallina di casa Pacori: “tuttavia gargarizzandosi di mille cocococò, e scaracchiandoli infine tutti in una volta al soffitto in un chechecheché riassuntivo, per quanto doppiamente ancorata e dallo spago e dal filo, la si levò a volo fino sul ripiano della credenza: dove, incazzatissima, e rivestita sua dignità, la depositò, nel vassoio di peltro, un altro bel caccheronzolo, ma più piccinino del primo: pif! Con che sembrò aver evacuato il disponibile”.
Quello di pensare a cosa farebbero oggi certi ‘grandi’ del passato è un giochino che qualche volta faccio anch’io. Non so però immaginare Gadda alle prese con la crociata (NB: sulle mie labbra è parola nobilissima e piena di ammirazione) di Giuliano Ferrara. Mi pare che non fosse coraggioso.
Hai ragione, Leonardo. Del resto, anch’io – che, pure, non solo voterò con convinzione la lista “pazza” ma cerco nel mio piccolo di convincere amici e conoscenti a fare altrettanto – non mi sento particolarmente coraggioso. Non credo assolutamente che Gadda si sarebbe candidato: ma ascoltare con un sorriso partecipe… forse sì.
Del resto è un gioco; anzi, un giochino.
Vi ricordo che Gadda è seppellito nel cimitero acattolico di Roma.
Dai su, Gadda e Ferrara davvero no, non ce li vedo. Avrebbe certo ascoltato con dignitoso rispetto, l’Ingegnere, ma poi… certamente a tavola, qualche sassolino se lo sarebbe tolto.
Ignigo, guarda che – per quanto possa sembrare strano – anche Ferrara è acattolico, e nella sua lista son presenti credenti e non credenti.
Il “Diario di guerra e di prigionia” ci assicura che Gadda coraggioso lo era, sulle cose serie. Ma in Ferrara c’è un che di teatrale che avrebbe inorridito l’ingegner Gadda. Sul posto l’avrebbe riverito, ma a distanza l’avrebbe preso in giro in maniera irrefrenabile sui toni di “Eros e Priapo”. Provate solo a immaginare che cosa avrebbe potuto scrivere sulla “dieta semiliquida”.
No, credo che il Diario di guerra e di prigionia mostri che il giovane Gadda voleva essere un buon soldato, aspirando a un ordine e a una “certa solida sanità morale” (per dirla con Pirandello) che nell’esercito italiano non trovò. Fare il proprio dovere, ubbidire ai superiori (se solo non fossero stati così cialtroni !), anche rischiare la pelle, ma dentro i ranghi … Tutte virtù rispettabili (come tutte le virtù sono rispettabili), ma credo che il coraggio di cui si parla qui sia quello di “venir fuori”, di andare controcorrente, di arrischiarsi a infrangere le convenzioni, ecc. e non in privato, o nella camera di compensazione della scrittura … Eros e Priapo è una pirotecnica danse macabre sul corpo di Mussolini, ma purtroppo danzata (in pubblico) dopo piazzale Loreto. Prima, per quanto ne so, Gadda era stato riservato e ossequiente, come tutti (intendiamoci: come tutti).
Poi, se devo proprio dirla tutta: anch’io resto a bocca aperta ammirato davanti a tante pagine di Gadda, e ce ne sono alcune che mi fanno proprio male (che è quel che si chiede ad un grande scrittore) …. però il più grande di tutti è Tozzi, dove non c’è maniera (mentre in Gadda un po’ sì) è tutto stile, e lo stile – come diceva Céline – nasce dall’emozione.
Per chiarire meglio il mio pensiero: il coraggio che Ferrara sta dimostrando, “sputtanandosi” con questa nobile follia della battaglia per la vita.
credo che il coraggio appartenga a tanti che onestamente rischiano non solo dei valori “alla carta” o certificati di “praticantato cattolico”, ma delle scelte cristiane di vita.
Ne immagino sparsi in ogni schieramento, più o meno lacerati da contesti e modi di operare che li mettono alla prova duramente e intimamente. E che spesso li portano ad andare anche contro le logiche di schieramento. Alcuni sono esplicitamente benedetti dai Vescovi, altri un po’ meno (magari solo dal loro amico parroco).
Ma per citare le vostre riflessioni su Gadda (che, ahimé, non conosco), le virtù dovrebbero essere davvero tutte rispettabili.
Io non mi sento vicino alle modo di lanciare questo specifico messaggio da parte di Ferrara. Ma non voglio far ripartire il polemicone sulla politica.
E mi butto sul nuovo post. Gioco in casa. 🙂
“Valori alla carta o certificati di praticantato cattolico”? Dio ti benedica, ma come fai a non accorgerti che Giuliano Ferrara si sta giocando tutto il prestigio professionale, la possibilità di andare a dirigere un quotidiano o un settimanale “autorevoli”, la possibilità di tornare a moderare trasmissioni televisive importanti e redditizie? Per non parlare di una rete, più o meno fitta, di amicizie, affetti, consuetudini…
Bon: può darsi che l’iniziativa fallisca, è discutibilissima la sua utilità, si può decidere in piena coscienza di non votare la lista pazza, ci si può augurare che vada a finir male, si può ironizzare sulla stazza (l’ho fatto anch’io, anche in questo post), sulla dieta semiliquida, sulla teatralità (lo ha fatto, da par suo, il buon Luigi)… Tutto quel che vuoi. Ma negare che si tratti di un’iniziativa coraggiosa, be’ si può fare anche questo, ma con una discreta dose di faziosità.
Con tutto l’affetto e il rispetto che meriti.
guarda carissimo Sump, non nego sia un’iniziativa culturalmente coraggiosa. O almeno diciamo senz’altro originale.
Ho dei grossi dubbi che nel perorare “il Valore” della vita, si calpesticchi la fatica di un po’ troppe vite, “brutte”, “sprecate” o magari solo convinte di idee e criteri di scelta, che anche per me sono sbagliati e fonte di infelicità. Moltissimo poi fa la paura. A chi ha paura non si può solo proporre il rigore di un principio filosofico (fino a prova contraria questo è per l’uomo Ferrara oggi), che può pesare come un fardello, una macina da mulino, sulle spalle del “peccatore”, ma offrire una speranza nuova.
Io comunque volevo soprattutto perorare la causa di tutti gli altri “coraggiosi”, meno appariscenti e meno strombazzati.
Francamente non credo proprio che questa sortita gli precluda alcunché. Almeno non qualcosa di ciò che veramente immagino gli interessi. Siamo noi, “l’opinione pubblica” (e chi stabilsce cosa è “di successo”) che diciamo che è più importante nella vita dirigere il Corriere piuttosto che scrivere un bel blog come questo.
Quanto alla faziosità, credo in effetti di non esserne immune, almeno istintivamente. La mia fazione però credo sia solo quella delle singole storie, delle singole vite che incontro. Ad alcune di queste dire che “voto Ferrara” significherebbe dire, alla luce delle informazioni disponibili pubblicamente, che “mi fanno schifo”… mentre stare accanto, con grande serenità in quello che credo e decisione nel comuncarlo, e mostrare che si può fare altrimenti è un’altra cosa.
Magari Ferrara in privato sa fare anche questo. Il messaggio pubblico risuona però ambiguo. è molto moralista. Di quel moralismo che in genere non è il mio.
La battaglia di Ferrara servirà a infrangere tabù ideologici o a irrobustirli ulteriormente? Faciliterà una riflessione collettiva sull’aborto o scatenerà un’inutile rissa? La vera domanda – per cui non ho una risposta prefabbricata – mi sembra questa.
Delle motivazioni di Ferrara non mi voglio occupare, né per beatificarlo né per dileggiarlo: sarebbe un “moralismo” estraneo non solo al nostro Moralista ma anche a me. Se guardo al mio cuore, so che le motivazioni buone e quelle meno buone vi si mescolano in un modo che solo Uno sa districare, mi conviene evitare di guardare ai cuori degli altri.
Del resto si possono fare cose ottime con pessime intenzioni, e cose ottime con intenzioni pessime. Vedremo.
Caro moralista,
la questione da me posta riguardava il “coraggio” di Giuliano Ferrara: anche tu glielo riconosci, e la cosa potrebbe anche chiudersi qui: non era mia intenzione tentare di convincerti a votare la “sua” lista contro l’aborto.
Il fatto è che tu, nel rispondere, allarghi molto la prospettiva, e lo fai con argomentazioni efficaci, frutto di riflessione, sensibilità ed esperienza, cui non si può rispondere con qualche slogan. Mi prendo, perciò, un tempo di meditazione adeguato (non mancherà occasione, credo, per riprendere l’argomento), limitandomi nel frattempo a un paio di osservazioni volanti.
– La campagna contro l’aborto non è certo una scoperta di Giuliano Ferrara: da trent’anni qualche migliaio di “coraggiosi” la portano avanti con abnegazione e costanza, con l’eroismo silenzioso della testimonianza concreta e quotidiana. Eppure il “salto di qualità”, nella percezione della gente, è avvenuto quando un giornalista non cattolico, direttore di un miniquotidiano di nicchia (quindicimila copie in tutta Italia) e animatore di una trasmissione televisiva minoritaria e irrilevante, è partito in tromba, con pochi pochissimi soldi e qualche slogan indovinato. Pensa se questo giornalista fosse stato il direttore del “Corriere” o del TG5. Credo anch’io che lo Spirito Santo sia riuscito a compiere mirabilia, ispirando persone che – nell’ottica del mondo – apparivano ben più irrilevanti dell’elefantino con tutti i suoi foglianti; ma questo non ci esime dall’obbligo di arrangiarci, intanto, con quel che abbiamo, dai benemeriti blog alle prestigiose direzioni.
– Quando nel 1968 papa Montini pubblicò l’enciclica “Humanae vitae”, a me sembrò una follia: la grande maggioranza dei cattolici credenti e praticanti, fiduciosa in una presa di posizione comprensiva e “aggiornata”, si sentì respinta, schiacciata, ingiustamente condannata a umiliarsi in un’inaccettabile dimensione di peccato. Certe “spiegazioni” di socioteologi cattolici (la Chiesa ha il dovere di confermare i valori della morale, ma è pronta a perdonare generosamente i fedeli che non sanno rispettare le regole e cadono nel peccato) mi sembrarono di un’ipocrisia senza pari. Son passati quarant’anni e sono qui a battermi il petto: aveva ragione Paolo VI, la verità non si può mettere ai voti, non sono le maggioranze a decidere, né quelle rozze né quelle “intelligenti”. La Chiesa è al tuo fianco, ti indica il cammino, ti sorregge se inciampi, piange insieme a te per le tue debolezze, si umilia insieme a te e chiede perdono, ma non può che parlare il linguaggio della verità. Proviamo, se vuoi, a trasferire il discorso alle donne che decidono di abortire: sei la prima vittima di una decisione sbagliata, se mi parli di “diritto all’aborto” ti dico di no, e non solo dal punto di vista cattolico: grida quanto vuoi, ma pensaci sopra e capirai che hai torto: diritto all’aborto no, abortire è spegnere con la violenza una vita umana. Poi, se vuoi e quando vuoi, parleremo di cosa, insieme, possiamo fare per garantire a tutte le donne il diritto di non abortire, fermo restando che nessuna donna può essere costretta a partorire e nessuna donna può essere incriminata per aver rispettato una legge dello Stato.
Difficile? Certo, come sempre, nell’ambito di una fede il cui fondatore, stasera, nell’orto del Getsemani, suderà sangue, pronto alla passione (e che passione!) per “dare testimonianza alla Verità”.
(Grazie, comunque, per la riflessione che le tue verità mi stanno imponendo).
Caro Sump, grazie del modo in cui proponi i tuoi argomenti.
Anche io allora aggiungo solo due cose.
– concordo che l’uscita di Ferrara ha in qualche modo dato la scossa, cioè ha fatto intendere che l’aborto non è questione di triti comizi tra post sessantottini e conservatori, ma ha a che fare con quale mondo e quale uomo immaginiamo per i nostri figli. Mi resta il forte dubbio che si pone Luca… Negli Usa il movimento per la vita ha troppo spesso dato adito a crociate virulente contro le scelte “libere” delle persone (che non significa sancire giuridicamente il “diritto all’aborto”, che mi terrorizza quanto l’obbligo legale di non abortire…)… è la stessa libertà che ci ha lasciato sul suo povero corpo il Cristo del Venerdì santo sul Golgota.
– ho già accennato qualche volta alla mia idea sulla “Humanae vitae”. Io so che è stato un parto molto molto sofferto… la verità non sta necessariamente nel contenuto formale di un’encliclica (che – fulminatemi – non è Vangelo) ma secondo me nell’ispirazione cristocentrica di chi senz’altro ha provato a lasciare un’indicazione generale, e quindi non personalizzabile…
Provocazione: credo però che l’approccio alla sessualità, necessariamente generale, che è di fatto emerso da quel testo di Magistero, sia una delle cause di una riduzione ai minimi termini del senso e della potenza e del matrimonio cristiano fuori e dentro la Chiesa… proprio perchè lanciato in una società in cui la morale è spesso fine a se stessa e non legata ad una ricerca profonda della santità, alla scoperta profonda della propria vocazione.
E vi parlo da uno che ha dovuto scoprire anche amaramente il valore spirituale – e psicologico – della “castità”.
Confido una situazione personale e un profondo discernimento in atto.
Come coppia siamo arrivati a tre figli… e ora? Che fare? Come vivere felicemente il nostro rapporto di coppia, che è il luogo che ci è stato donato per essere sacramentalmente Cristo (per noi e per gli altri) e incontrarLo?
Lo scopo del matrimomio è la “fabbricazione” dei figli? Abbiamo terminato il nostro compito e d’ora in poi ci guardiamo languidi e terrorizzati dalla conseguenze di un’intimità? O è il continuo riamarsi degli sposi, che poi è offerto anche fuori dalla famiglia, che “fa” il matrimonio? Come amarsi pienamente senza la dimensione sessuale, pur auspicabilmente liberata dal dominio dei nostri “bisogni”?
Io so per aver ascoltato qualche persona che anche i famosi “metodi naturali” di contraccezione, timidamente consentiti dal Magistero, possono nascondere nell’intimo una mentalità abortiva… e allora? Cosa vuol dire in concreto l’espressione “paternità responsabile” che anche un amico carissimo sacredote si è trovato a suggerirci dopo la nascita di Miriam?
Domande, solo domande. (scusate la lunghezza)
http://passineldeserto.blogosfere.it/2008/03/aborto-la-legge-194-ha-aumentato-la-cultura-abortiva.html
Carissimo moralista, le domande che ti poni sono importanti, neppure io sinceramente ho mai capito cosa s’intenda con quella “paternità responsabile”. Personalmente non riesco ad entrare nello spirito dell’enciclica semplicemente perché non riesco a capire cosa vuole dire in sostanza…eccone uno stralcio e dimmi tu cosa intende quando dice-testuali parole-
” Se, date le condizioni della vita odierna e dato il significato che le relazioni coniugali hanno per l’armonia tra gli sposi e per la loro mutua fedeltà, non sia forse indicata una revisione delle norme etiche finora vigenti (??? Boh..questo punto proprio lo ignoro! Non mi sembra ci sia stata alcuna revisione in merito) soprattutto se si considera che esse non possono essere osservate senza sacrifici talvolta eroici. Ancora: se estendendo a questo campo l’applicazione del cosiddetto ” principio di totalità “, non si possa ammettere che l’intenzione di una fecondità meno esuberante, ma più razionalizzata, trasforma l’intervento materialmente sterilizzante in una lecita e saggia regolazione della natalità ”
Io non riesco ad intendere: è come se ci fosse un’aporia all’interno della stessa, nel senso che, da un lato ammette la difficoltà insita, dall’altra suggerisce l’astenzione e poi ribadisce che l’atto matrimoniale deve restare aperto solo alla trasmissione della vita sottolinenado come i due aspetti -unione e procreazione- siano inscindibili : cosa ci viene chiesto (!) o ci si astiene o si procrea…la via di mezzo è insicura e lacunosa basta uno sbalzo ormonale esi da il via ad una gravidanza in men che non si dica.
Il problema non è l’astenzione il problema è come conciliare l’ unione senza il rischio (ovvio) del concepimento!! Qui sta l’arcano: se la chiesa (o Ferrara) possiede un antidoto miracoloso ce lo dica.
Benedetto Deus Caritas Est salta a piè pari il problema della paternità, e preferisce parlare d’amore in modo mirabile :
“L’uomo diventa veramente se stesso, quando corpo e anima si ritrovano in intima unità; la sfida dell’eros può dirsi veramente superata, quando questa unificazione è riuscita. Se l’uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la loro dignità. Sì, amore è « estasi », ma estasi non nel senso di un momento di ebbrezza, ma estasi come cammino, come esodo permanente dall’io chiuso in se stesso verso la sua liberazione nel dono di sé, e proprio così verso il ritrovamento di sé, anzi verso la scoperta di Dio”
Personalmente aborro l’aborto, ma da che mondo è mondo e sempre stato praticato..è un tema che richiede molta carità e sensibilità nei riguardi della donna. Ogni condanna e giudizio sono fuori luogo, per me..
Al Moralista. Lo dico da padre di cinque figli: paternità responsabile significa condurre la vita di coppia nell’apertura all’accoglienza dei figli – sui limiti di questa apertura e sui metodi con cui perseguirli si esercita la responsabilità della coppia che istruisce la propria decisione alla luce dell’insegnamento del magistero e nella maturazione di un orientamento a due che avrà il suo ultimo “vicario” nella libertà della coscienza. Vale qui lo stesso criterio con cui interpretare le indicazioni del magistero in materia sociale (anche la coppia è società): esso è vincolante nell’indicazione delle finalità, ovvero delle scelte di fondo (apertura alla vita nel caso della coppia, bene comune nella vita pubblica) ma è semplice – seppure autorevole – suggerimento pratico quanto ai modi e ai metodi. I modi e i metodi siamo noi genitori a doverli scegliere, o noi cittadini. L’Humanae vitae è stata provvidenziale nell’indicazione della doverosa apertura alla vita, utile – ma inevitabilmente controvertibile – nella discussione sui modi e i metodi. – Anche qui va invocata la responsabilità non delegabile dei cristiani comuni che volentieri riassumo nel motto: i preti non sono così importanti.
Luigi ha una parola di saggezza e di equilibrio per ciascuno, e di ciò noi frequentatori del pianerottolo non gli saremo mai abbastanza grati. Personalmente non riesco, però, a compiere un passo che in più occasioni egli (mi) ha proposto: quello sintetizzabile nella frase “i preti non sono così importanti”. E la consacrazione del pane e del vino? E il sacramento del perdono?
Per il resto, il suo intervento di ieri sera mi sembra illuminante, anche là dove definisce “provvidenziale” l’enciclica “Humanae vitae”. Provvidenziale e necessaria perché (ma qui la responsabilità dell’argomentazione diventa mia) certe presunzioni postconciliari stavano trascinando la Chiesa in una direzione che l’ottimismo giovanneo non aveva assolutamente previsto: l’apertura al mondo di una Chiesa forte e solida, pronta a fecondarlo e a trasformarlo, rischiava di risolversi nel trionfo del mondo, mentre il fumo di Satana trovava spazi di penetrazione impreveduti nella cittadella di Cristo. La “Humanae vitae” (1968) come consapevole e sofferta dichiarazione di guerra al Sessantotto, alla religione del relativismo, alla “ragionevolezza” e alla disperazione di valori falsi e senza futuro.
(Temo che qualcuno fra noi non sia d’accordo. Tranquilli: magari ho semplicemente scritto una bischerata, che col vostro aiuto supererò. Oggi è venerdì santo e al mondo c’è di peggio.)
Visto che avete parlato di Ferrara, vi invito a leggere questo articolo, che riassume bene la problematica, aldilà delle specifiche posizioni dell’autore:
http://www.segnideitempi.com/modules.php?name=News&file=article&sid=7534&mode=&order=0&thold=0
Certo Sump: i preti sono importanti per la consacrazione del pane e del vino e per il perdono, cioè per i sacramenti – e la predicazione – e il magistero. Ma non per altro: modi e metodi della paternità responsabile, modi e metodi della cittadinanza responsabile, modi e metodi dell’aiuto a chi è in vita vegetativa e tutto il resto che attiene a competenze e responsabilità altre: qui sono altri che devono dire. Il motto “non sono così importanti” vuol dire: riconosciamo la loro vera e sola importanza, non diamogliene altra.
Grazie a tutti. Non so ancora come gestiremo la cosa io e mia moglie. Certo, Clodine sottolinea quel che davvero si sperimenta (e che Luigi risolve nel modo che anche io immagino opportuno): tra il rigore della norma necessariamente vincolante e generale e la realtà (se vissuta senza giochetti furbi con la coscienza propria e altrui) c’è un oceano. La scialuppa è la Verità e l’amore di Cristo. Io credo che la succitata “revisione”, almeno nella catechesi degli adulti e nella preparazione al matrimonio sia vitale: ci sono tante coppie che soffrono e a volte si separano anche per via di una sessualità mal vissuta e mal interpretata (mi sia concessa licenza)… lo stesso Sacramento del matrimonio ne risulta amputato, anche nelle sue possibilità di santificazione.
Aggiungo alla perfetta risposta di Luigi a Sump una cosa che ho già scritto: se i sacerdoti riscoprissero pienamente che il loro (esclusivo) ministero è quello eucaristico, staremmo tutti un po’ meglio… Per esempio, la domenica, e la Messa di tutti e per tutti, tornerebbe davvero il centro e il motore della vita della Chiesa.
ps. sto immaginando una data per l’ Acca-day di Roma 🙂 … potrebbe essere già una sera della prossima settimana, perchè forse la mia famiglia si trasferisce dai nonni e io sono più libero (e così Francesco73 non dovrà fare il baby sitter…). Che ne dite?
si…ottima idea…bisogna concordare e sentire gli altri..se si riesce ad organizzare sarei davvero felice di incontrarci per l’Acca-day
ciao!