Il Signore mandò Pietro a Gerusalemme e gli chiese di guardare che ci fosse per strada. Pietro riferì: “C’è tanta gente che piange”. “Un’è munnu” [non è mondo] rispose il Signore e lo rispedì in città. Tornato Pietro disse di nuovo: “Ora c’è tanta gente che ride”. Il Signore di nuovo: “Un’è munnu”. La terza volta Pietro riferì: “In città ci sono tanti che piangono e tanti che ridono”. “Ora è munnu”, disse il Signore. – Nel primo commento la fonte di questa “parità”, ovvero parabola, che mi arriva dalla Sicilia in morte di chi la narrava.
“Un’è munnu” rispose il Signore
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La parità di Minica. Un amico di Sicilia m’informa della morte di una zia di nome Minica, annosa e forte, sboccata, che diceva “senza tanti cazzi” a chi rigirava i discorsi. Credente ma polemica con la Chiesa. Amava raccontare la “parità” che ho riportato nel post, a riassunto della sua veduta. Abbraccio l’amico e ai visitatori curiosi segnalo “Le parità e le storie morali dei nostri villani”, di Serafino Amabile Guastalla: http://www.prolocoavola.it/files/LE%20PARITA%20E%20LE%20STORIE%20MORALI.pdf
Trovo la narrativa di Serafino Amabile veramente “amabile” e commovente, storie di un realismo spietato che rammenta tanto le novelle del Verga …
Non conoscevo questo scrittore geniale…
Clodine, leggi Feste religiose in Sicilia di Leonardo Sciascia. E’ nella raccolta La corda pazza del 1970, dovrebbe essere in ristampa da qualche parte. Al tempo l’Osservatore lo stroncò clamorosamente (lo scritto è del ’65, forse Luigi lo ha letto). Buonanotte a tutti voi!
Una ospite del blog, Carla
http://www.luigiaccattoli.it/blog/cerco-fatti-di-vangelo/documentazione/il-battesimo-per-me-e-stata-la-felicita/
ha parlato nella trasmissione “A sua immagine”:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-bb104d41-926e-4920-a0b7-e3571acc77b1.html
Grazie per la segnalazione Tonizzo. Non ho letto la raccolta, chissà se troverò la ristampa. Tra i narratori del 900 Sciascia è tra i miei preferiti, unitamente a Gadda, Calvino, Ungaretti/Deledda,Montale, Moravia , Pasolini. Narratori i quali, anche se con linguaggi espressivi diversi hanno consegnato alla storia pagine indimenticabili. Racconti di un’Italia che non fa in tempo ad uscire da una guerra e, giro di boa, viene capatultata in una realtà mortifera anche peggiore. Tutta la narrativa post bellica-penso anche a Fenoglio, Levi, Pavesi, Vittorini, Morante- racconta in filigrana un’ Italia che stenta… la fatica del vivere e a tratti il delirio, la lotta interiore, lo sforzo, lancinante per ricompattare cocci frantumati..
Credo che gli scrittori in questi ultimi trent’anni abbiano abdicato, lasciando ai mezzi di comunicazione di massa il compito di raccontare, assegnando all’obiettivo il primato, sostituendo la forza della narrazione all’immagine.
Siamo investiti da un costante bombardamento in cui la realtà non è più percepita nel suo orrore, nella sua drammaticità, ma tutto appare come in un gioco al videogame: assuefatti alla barbarie, tanto che tocca appena le corde, non ci si fa più caso…E questo è semplicemente mostruoso.
Oggi guardavo in TV i corpi scheletrici dei siriani sopravvissuti all’assedio: donne, bambini, ragazzi, vecchi, stanno morendo di fame, muoiono di fame,mordono tuberi e terra, ma nessuno se ne scandalizza…zombi affatto diversi da quelli trasmessi dall’ archivio Rai all’indomani della liberazione dei campi di sterminio di Auschwitz, Dachau, Bergen Belzen. Ci passano davanti agli occhi, un fremito, e via…
‘è, oggi, qualcuno, tra i narratori del terzo millennio in grado di narrare l’inenarrabile, di farci sentire come nostro il dolore, la fame, i soprusi gli orrori perpetrati su gente inerme. C’è qualcuno, tra i narratori che ha il coraggio di un Verga (quando descrive i “carusi” abusati, violentati nelle solfatare in Sicilia) di un Zola (quando in “Germinal” fotografa con la minuzia di un cronista i patimenti dei minatori di Currières).
La narrativa oltrepassa, attraversa i principali “snodi” ,perché possiede la capacità di attivare quando di più nobile esiste l’essere umano: pathos e misericordia.
Questo il secondo tempo dell’intervento di Carla:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-af6457cc-90bd-4c83-b50d-21e499cbbaad.html
Molto belli i tuoi interventi, Clo. Oggi finalmente sono arrivati gli aiuti umanitari nelle zone della Siria dove si muore di fame. Ci stupiamo e ci scandalizziamo del fatto che durante la guerra non si pensava a difendere in qualche modo i prigionieri dei campi di concentramento. E noi ora, che abbiamo senz’altro meno problemi, cosa facciamo? I giornali dedicano a queste vicende solo poche, stringate notizie.
Certo che la testimonianza di Carla Margutti in televisione è stata bellissima! Mi piaceva vedere l’espressione di padre Cantalamessa che non credeva a se stesso!
Grazie a Luigi Accattoli che l’ha valorizzata!
A costo di farci la figura dell’imbecille, scusa, Luigi, ma: “mondo” aggettivo o sostantivo?
Sostantivo. Nella “parità” (parabola) narrata dalla nostra Minica “Un’è munnu” [non è mondo] in bocca al Signore sta a dire: “Non è il mondo che ho fatto io”. Chiedo a Tonizzo – Antonino D’Anna, informato delle cose di Sicilia, se può confermare questa mia parafrasi.
Clodine-Claudia.F.Leo. La tua impressione alla prima lettura del Guastalla è condivisa da Sciascia che a pagina 190 della raccolta di saggi citata sopra da Tonizzo lo qualifica come “delizioso narratore e acuto studioso dei costumi popolari”.
A pagina 195 di quella stessa raccolta Sciascia scrive che “parità nel dialetto del circondario di Modica significa parabola”.
testimonianze come quelle di Carla si contano a malapena, purtroppo. Ma proprio per questo, cara Antonella, hanno il potere di veicolare un messaggio forte, di trasmettere un fatto fuori dall’ordinario. Optare per Gesù Cristo in tempi in cui si ha paura perfino d’intervenire su un blog con le proprie generalità per non essere “riconoscibili” ,e fintanto si era occultati si parlava e si sparlava, nascosti…
In tempi come il nostro, dicevo, con un ritorno di boomerang in pieno paganesimo dove si nega l’Onnipotenza creatrice, la provvidenza divina, dove si assiste ad un ricorso inquietante alla magia, alle fattucchie, all’occulto, la testimonianza di Carla è un esempio fulgido di come lo Spirito Santo continui ad agire lo spirito profetico, nella Chiesa, non è né potra mai essere estinto.
Vedi, Luigi, te l’avevo detto che tra me e Sciascia c’è sempre stato un certo feeling, una “corrispondenza d’amorosi sensi”
Posso intervenire ancora, Luigi? E’ che “siamo rimasti in tre, tre somari e tre briganti, sulla strada longa longa di Girgenti” , per restare in tema, ma non vorrei approfitto della tua e altrui pazienza.
Credo che “nn’è munnu” abbia più di una variante. In termini dialettali potrebbe anche voler dire: “non si può vivere in queste condizioni, in questo modo…”.
Avevo una vicina di casa, siciliana di Mineo, deceduta nel 2001, con una storia alle spalle da romanzo d’appendice. Frequentava assiduamente la mia casa, era sola ed aveva tanto bisogno di compagnia per non cadere in depressione e da lei , unitamente a molto altro, ho imparato a decifrare il suo dialetto: un miscuglio di arabo e inflessioni latine, una miscellanea di folclore dal sapore esotico…
Stessa cosa con il marito di mia sorella, calabrese di Polistena. Domenico si chiama, ma i fratelli lo chiamano “micuzzu”. La storia di Micuzzo è simili a quella dei tanti meridionali vissuti mezzadria alle dipendenze del padrone, in uno stato di totale vassallaggio. Uno spaccato che rammenta “Cristo si è fermato ad Eboli” e si prova sgomento pensare che si tratta di storia relativamente recente. Paesi interi che ad un certo punto, valige di cartone, e via, su un treno verso Roma in baracche costruite alla meno peggio sotto il Ponte Milvio, oppure con biglietto di sola andata verso l’Australia. Un’infanzia segnata da dolore e stenti che a raccontare, ci si perde…
Questo è “munnu”, Clo. La testimonianza di Carla è stata bellissima, ma non meno importante è stata la testimonianza del marito Gianni, confus tra il pubblico. Mi sembrava San Giuseppe, silenzioso e partecipe.
Luigi, se fosse l’idea di Lui, questo la parità non lo dice. Ma quando il Signore dice: “Ora è munnu”, è per dire: “Ora le cose vanno come devono andare”. Era più in questo senso.
Ho segnalato a Clodine lo scritto di Sciascia perché rappresenta bene la sua visione, la descrizione lucida e contundente, di una certa spiritualità siciliana. Di un certo modo di intendere la fede forse anche nel nostro Sud. Pagine che mi interrogano non poco.
Chiudo infine con Antonella Lignani e il marito San Giuseppe. Ci sono certi mariti che sono San Giuseppe naturaliter. Basta la consorte a parlare per loro. Poi, quando muoiono mogli vulcaniche come la Minica di quest’aneddoto, restano senza voce.
Luca Grasselli, in effetti la parola munnu, corruzione del latino mundum, è accostabile come in latino a mundus, a, um che però vuol dire “mondo, pulito”.
E in effetti sembra quasi fatto a posta. Non è mondo, ma non è neanche “mondo” in senso di pulito, di corretto, di cosa che va come deve andare a prescindere. Arrimunnàri, Rimondare, è il verbo con cui si parla di potare le piante in campagna. Ripulirle dei “figliolini”, i succhioni cioè che tolgono linfa vitale, linfa che dovrebbe andare solo alla pianta. Gli olivi hanno questo problema e spesso ho arrimunnàtu, roncola in mano, gli olivi siciliani, gli olivi di famiglia. Se tu guardi un olivo colpito dai figliolini, ti accorgi di come la pianta soffra. Perché gli spuntano questi rami verticali dal tronco quasi a terra, e s’infilano nella chioma creando garbugli immani. Devi andare di roncola, ma stare attento mentre arrimùnni perché il rischio è di colpire malamente la pianta madre e farla seccare. E quando tiri via questi rametti divenuti arbusti, quando la pianta è finalmente arrimunnàta, la vedi tornare alla sua vera forma, con la sua chioma, la sua impressione secolare di pace, di serenità. E anche se la pianta soffre, perché lo sai che ha sofferto mentre le tagliavi i succhioni, sai anche che le ferite cicatrizzeranno e lei crescerà più forte, più sana.
“C’è un olivo saraceno col quale ho risolto tutto”, scrisse Pirandello. A me gli ulivi siciliani hanno insegnato questo e molto altro nella poesia della campagna. Di questo sono grato a loro e a mio padre che li ha piantati.