C’è un filo rosso che lega l’enciclica “Humanae Vitae” all’esortazione apostolica “Amoris Laetitia”: è quello che, a partire da “Gaudium et Spes”, vede la Chiesa mettere al primo posto la cura del matrimonio e della famiglia, riconoscendo in queste realtà il luogo, direi, ‘principe’, ove la comunità cristiana è chiamata ad incontrare gli uomini del suo tempo, prendersi cura di tutto il loro umano ed offrire loro la novità dell’annuncio cristiano. In questo senso esiste una singolare continuità che va da Paolo VI a Francesco, passando per San Giovanni Paolo II e Benedetto XVI: così parla il mio amico don Gilfredo Marengo in un’intervista di ieri alla Radio Vaticana. Nel primo commento i complimenti e le spiegazioni.
Un filo rosso lega l’Humanae Vitae all’Amoris Laetitia
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Don Gilfredo Marengo è docente di antropologia teologica all’Istituto Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia ed è da qualche mese alla guida di un gruppo di ricerca sull’Enciclica “Humanae vitae” nel 50mo di quel documento. “In vista del cinquantesimo – dice nell’intervista – ho avuto il permesso di iniziare queste ricerche di archivio, affiancato da alcuni autorevoli studiosi, i professori Sequeri, Maffeis e Chenaux. L’impressione iniziale è che sarà possibile mettere da parte molte letture parziali del testo. E soprattutto sarà più agevole cogliere le intenzioni e le preoccupazioni che hanno mosso Paolo VI, e che lo hanno portato con tante difficoltà ad arrivare a risolvere positivamente la questione. Va rimarcato che non fu sempre sostenuto come era doveroso in quegli anni: tutta la vicenda complicata della Pontificia Commissione, che lavorò dal 1963 al 1966, e che alla fine non riuscì a dargli quello che gli era utile per poter procedere ad elaborare l’Enciclica. Cosicché Paolo VI quasi ha dovuto re-iniziare da solo, con l’aggravante che in quegli anni c’era un’opinione pubblica ecclesiale non solo polarizzata tra favorevoli e contrari alla pillola, ma analoga contrapposizione era anche molto presente nella comunità dei teologi di allora”.
…la famiglia come ” luogo, direi, ‘principe’, ove la comunità cristiana è chiamata ad incontrare gli uomini del suo tempo, prendersi cura di tutto il loro umano ed offrire loro la novità dell’annuncio cristiano.”
Bel pasticcio per quei risikanti che la vorrebbero trasformare in un fortino chiuso e autoreferenziale, un luogo di contrasto e di esclusioni, una trincea armata fino ai denti da cui saltar fuori con la baionetta in mano a scomunicare tizio, caio e sempronietto….
Sono proprio curioso di scoprire le acrobazie lessicali e formali, se ci saranno, per far diventare “si”un “no” espresso a tutto tondo. Già il “mettere da parte letture parziali” indica chiaramente la direzione : in nessun “luogo” ci sarà più un “si” o un “no” , quello che si imporrà è “dipende”. Dipende da cosa? Da come “in coscienza” pensi tu.
Naturalmente questo non è “relativismo” è “primato della coscienza individuale” ( non importa se formata alla scuola della Parola di Dio o alla scuola della lettura di Repubblica )
Gia’il grande intellettuale George Steiner disse che quando una civilta’e’giunta alla decadenza non produce piu’testi propri ed originali, ma solo approfondimenti,interpretazioni,chiose di testi precedenti, ermeneutiche. .E i chiosatori ,gli interpreti si moltiplicano ,kafkianamente,per cui dopo il commento al testo X,c’e’il commento del commento,e poi l’interpretazi ione del commento del commento e l’ermeneutica del commento e cosi’via..finche il testo originale viene da tutti dimenticato.
E’da prevedersi che l’approfondimento e l’interpretazione di HV,dara’luogo a un processo del genere:ci saranno coloro che interpreteranno in modi diversi l’interpretazione ,ci saramno discussioni non sul testo (che non legge piu’nessuno)ma sull’ermeneutica del testo ecc ecc. come e’successo per i documenti del CVII che tanti citano senza averli mai letti
Ogni epoca di decadenza,incapace di creativita’, e’solo interpretazionei,e’manierismo in pittura,sofistica in filosofia,casuistica in filosofia morale,,critica letteraria in letteratura.E’il trionfo dei critici sui poeti.
Il si’si’no no appartiene a epoche di forte slancio vitale.
Il si si no no,appartiene al mondo delle Idee,il piu’viene dal Maligno,cioe’dalla corruzione.
🙂
Caro Beppe Zezza, fammi capire: secondo te “le acrobazie lessicali e formali”, oltre a una serie di arzigogolamenti a struttura piùchecomplessa sarebbero leciti, praticati e espresssi pubblicamente con dignità di rilievo a Beppe Zezza , a Maria Cristina Venturi e a Lorenzo Cuffini, e NON a (cito Luigi che cita un virgolettato dell’intervista) ” un docente di antropologia teologica all’Istituto Giovanni Paolo II per il Matrimonio e la Famiglia ed è da qualche mese alla guida di un gruppo di ricerca sull’Enciclica “Humanae vitae” nel 50mo di quel documento. “In vista del cinquantesimo – dice nell’intervista – ho avuto il permesso di iniziare queste ricerche di archivio, affiancato da alcuni autorevoli studiosi, i professori Sequeri, Maffeis e Chenaux.” ?
La differenza , sostanziale, c’è, ed è una: i primi, sono cruschella individuale dei nostri sacchettini: importanza assoluta e esagerata per noi che li formuliamo, NULLA erga omnes. Il secondo caso avviene all’interno di una istituzione della Chiesa Cattolica deputata e preposta, con un placet e un suo ambito “professionale” e dottrinale specifico.
Magari non ne verrà fuori nulla.
Magari sì.
Lasciamo la Chiesa, in tutti i suoi organismi e in tutte le sue funzioni, lavorare in pace.
Un rifiuto aprioristico e cocciuto, pregiudiziale, è lecitissimo, ci mancherebbe: mi è lecito oppormi e ribellarmi a qualunque cosa.
Ma è la certificazuione che la fiducia nella Chiesa non c’è più.
E, a questo punto, si resta in balia di se stessi, intrappolati nelle proprie quattro idee , e, quel che è peggio, convinti che quelle idee siano verità vera….non mi pare una buona strada.
Il riferimento, che vorrebbe essere sapido, ed è semplicemente campato per aria, alla Parola di Dio messa sullo stesso piano di Repubblica parla da solo.
Una cosa è indubitabile, credo. In questi ultimi anni, e anche questo blog ne è testimonianza, si è infiltrato all’interno della Chiesa, nel cuore dei suoi ‘fedeli’ non di estranei, non un rifiuto ‘aprioristico’ ma una ‘diffidenza’ (che è il contrario di ‘fede’) causata dalle interpretazioni contrastanti fornite da personalità autorevoli su argomenti delicati.
Con il silenzio formale della suprema autorità.
E questo come correttamente fa rilevare è un vero ‘disastro’!
Il riferimento che ho fatto circa la formazione della coscienza – certamente espresso in modo un po’ ‘provocatorio’ – mette l’accento , a mio parere, su una questione delicatissima e che richiederebbe maggiore approfondimento.
Sempre la dottrina Cattolica ha detto che il supremo giudice di ogni azione individuale è la propria coscienza. Aggiungendo però: correttamente formata! Dunque una ‘formazione’ è indispensabile!
Ora, cosa vuol dire ‘ correttamente formata’? Come si ‘forma’ la coscienza?
Come è ‘concretamente’ formata, oggi, la ‘coscienza’ del popolo di Dio, che poca dimestichezza ha con la Parola di Dio e ancora meno con il Magistero secolare della Chiesa?
Non c’è un rischio – gravissimo – di prendere per ‘voce di Dio’ nell’intimo della persona ( coscienza) ciò che non è altro che ‘il pensiero del mondo contemporaneo interiorizzato attraverso l’ascolto e la lettura dei media’?
Condivido la riflessione e gli interrogativi di Beppe.
Il fatto è che la diffidenza che si è venuta formando in qualche individuo particolarmente rumoroso a livello mediatico, è ,appunto, il contrario esatto della fiducia, e dunque, mina alle basi- da parte di chi la esprime- la possibilità di ricevere qualsiasi direzione e insegnamento.
C’è una autoesclusione che porta alla necrosi e alla cancrena cattolica.
Chi si autoesclude, secca e muore.
La Chiesa Cattolica non è un collettivo degli anni 70 richiamato qui pittorescamente qualche giorno fa. N
Non è un’assemblea democratica.
Non è un convegno permanente di addetti ai lavori.
Non è una congrega anarchica dove l’ultimo degli ultimi ha la stessa incidenza dei pastori o del papa.
Riappropriamoci dell’abc da zia Marietta, eccheccavolo.
Tutto questo, da parte di quei pochi rumorosi, non solo è stato dimenticato (per finta), ma anzi, ci si da un gran da fare per sdoganare questa idea come un dato di fatto. Ultimo esempietto in ordine di tempo Valli, per dire: ruolo zero, autorità zero, eppure con nonchalance parla di Neochiesa come se fosse una realtà oggettiva come una molecola di H2O.
Pregasi notare che sta parlando di una cosa che , semplicemente, NON E’.
Tutto questo genera un equivoco: numericamente irrilevante, ma acusticamente fastidioso e cattolicamente contraddittorio in termini: se io DIFFIDO, quindi NON RICONOSCO più l’autorità della Chiesa e del papa ( QUESTA CHIESA E QUESTO PAPA, qualunque essi siano), bene, posso tranquillamente iscrivermi, di fatto, tra i fratelli separati protestanti, perché mi sto comportando ESATTAMENTE come loro.
Basta capirsi.
🙂
Finita la premessa, osservo rapidamente che:
a) ” il silenzio formale della suprema autorità” non esiste per nulla.
La suprema autorità, per usare un tuo termine, parla.Il problema è che se io dico: sta suprema autorità dice una roba che a me non garba punto, non dice quello che voglio io, dunque NON E’ in sostanza la supremna autorità, faccio , cattolicamente parlando, la frittata senza gusto e sbruciacchiata che viene continuamente propinata di questi tempi dai soliti quattro noti o poco più.
b) La coscienza correttamente formata è un problema?
Chiaro che sì. Chi ha mai detto il contrario?
Compito del credente è FORMARSI E DISCERNERE e, in base a questo, dare la sua vita tutta intero per Cristo e i fratelli ( che poi è la stessa cosa).
Non mi si venga a piagnucolare che non ci sono le possibilità di formazione: abbiamo TUTTI TUTTO. Possibilità di formazione che nessuna delle generazioni che si sono succedute da 2000 anni in avanti si sono mai sognate. Muoviamo le devote terga e procediamo. Nostro il compito, nostra la responsabilità, nostra la missione.
Nessuno ci passerà la pappa pronta.
c) ci sono dei rischi? Ci sono sempre stati. Ci sono a prescindere. E che si fa? Per non prendersi i rischi, se ne assumono altri 100 volte più grandi?
Se il rischio è ” prendere per ‘voce di Dio’ nell’intimo della persona ( coscienza) ciò che non è altro che ‘il pensiero del mondo contemporaneo interiorizzato attraverso l’ascolto e la lettura dei media’,” la soluzione è quella che è sempre stata : uno si FIDA della Chiesa Cattolica, SI ABBARBICA alla Chiesa Cattolica, SI NUTRE della Parola che lei sola custodice interpreta e tramanda, INCONTRA E SI LASCIA INCONTRARE DA CRISTO nei Sacramenti che Lei sola ci puo’ dare: lasciando bellamente nella dimensione altra in cui stanno tutto il testo della vignarola: il “pensiero del mondo”, “i media”, i”blog ” i cattoblog, i maestrini/e improvvisati, quelli che ” lasoiolaveritavera”, quelli che si catapultano in avanti in fughe spericolate che non hanno basi né futuro, insomma tutto il pittoresco e cialtronesco ( copio l’espressione da Luigi, me lo perdonerà) caravanserraglio che bivacca e tira a campare fuori da quella casa nostra che è LA CHIESA CHE C’e QUI E ORA.
Al di fuori di questo, restiamo noi stessi: Dio ci scampi.
Gentile Cuffini
vedo come lei è appassionato al tema .
Tuttavia penso che la passione non le consenta una visione equilibrata delle questioni in gioco.
Lei confina la manifestazione di disagio a “qualche individuo particolarmente rumoroso a livello mediatico” che , esprimendo le proprie perplessità, si “autoesclude” dal Corpo vivo della Chiesa, condannandosi così alla “necrosi” e alla morte.
Questa posizione a me pare ingenerosa e che non tenga conto del fatto che il disagio e le perplessità sono espresse da non pochi pastori, anche ad alto livello, quali Cardinali e Vescovi e non solo da opinionisti laici.
E la Suprema Autorità preferisce tacere, lasciando che siano altri pastori ed opinionisti a esprimersi in vece sua (ma non con la medesima autorità) quasi che la ‘chiarezza’ sia pericolosa per il bene della Chiesa mentre sia preferibile una ambiguità aperta a sviluppi che si auspicano ma non si decretano.
A proposito poi della coscienza , molto correttamente, lei rileva che tutti abbiamo “Possibilità di formazione che nessuna delle generazioni che si sono succedute da 2000 anni in avanti si sono mai sognate.” Ho qualche riserva invece su una affermazione drastica che è compito del credente FORMARSI per discernere in quanto metterebbe in secondo piano ( o addirittura negherebbe) il fatto che sono i pastori i primi responsabili a che i credenti si formino la coscienza in modo corretto.
In ogni caso di questa necessità ASSOLUTA di formazione ( che non può essere dunque limitata all’ascolto dei media e alla lettura dei giornali ) non si fa alcun cenno ed è, a mio parere, una mancanza grave.
Quanto alla risposta che lei dà al rischio che pavento – il confondere la voce di Dio con la interiorizzazione del pensiero contemporaneo – che è di “abbarbicarsi alla Chiesa Cattolica , di nutrirsi della Parola che lei sola custodisce interpreta e tramanda” – concordo con lei che questa è (ed è sempre stata) la via ma – e da qui siamo partiti – OGGI – c’è una diffusa ‘diffidenza’ circa quella che sia lo autentico pensiero della Chiesa.
Allo stato attuale, invece, si è infiltrato il dubbio che quello ATTUALMENTE codificato nel Magistero (ad esempio i cosiddetti PRINCIPI NON NEGOZIABILI) stia per essere AGGIORNATO per venire incontro alle richieste del mondo contemporaneo.
Volevo anche proporre un altro pensiero ( che mi è venuto durante il sonnellino pomeridiano , “luogo” teologico per eccellenza ).
La mia perplessità circa “la possibilità di prendere per ‘voce di Dio’ nell’intimo della persona ( coscienza) ciò che non è altro che ‘il pensiero del mondo contemporaneo interiorizzato attraverso l’ascolto e la lettura dei media’”, alla luce di una certa interpretazione di pensieri teologici espressi anche in questo forum, è un “dilemma inconsistente” perché sarebbe PROPRIO nel pensiero del mondo contemporaneo che si possono discernere i SEGNI DEI TEMPI che Dio, Verità in divenire, fornisce alla Umanità nel suo cammino verso il Regno
Se oggi chiedi ai giovani che cosa è HUMANAE VITAE ti rispondono che l’applicazione non risulta nel Playstore.
Non vi è neanche come serie TV su Netflix.
Poi, una volta spiegatagli la prima parte ne rimarranno forse affascinati; sulla seconda parte se va bene si fanno una risata o, se particolarmente suscettibili ti mandano a quel paese senza passare dal via.
Con rispetto parlando per il beato Paolo VI.
Ben venga la commissione di studio comunque.
Caro Lorenzo, condivido molto di quello che hai detto. Ma dico qualcosa di più.
A me personalmente non interessa più di tanto la voce dei media, la ascolto perché mi ci trovo in mezzo come tutti, per cui sono obbligata a sentirla anche se non condivido parecchie cose e cosette.
Quando si parla di religione e di fede, si entra in un campo assai delicato. Dappertutto qualsiasi fede esprime una religiosità, che è come la veste esteriore della fede. Questa invece è qualcosa di intimo su cui nessuno può arrogarsi il diritto di giudicare.
In questo blog, invece, parecchie persone guardano alla religiosità di una persona, cioè alla veste esteriore. E se questa non piace o appare diversa da quella omologata, la via alle pernacchie e agli anatemi è apertissima. Il meno che ti possano dire gli ignoranti è che le tue sono “cavolate”. E magari chi te lo dice è un cavolo lui stesso, tutto intero, nella sua vuota prosopopea.
Fede e religione non sono la medesima cosa. Tanto meno lo sono fede e religiosità.
Ci può essere più fede in una persona che non mostra la sua veste esteriore e la coltiva senza ritualismi e senza piena conformità ai dettami di una Istituzione definita sacra, di quanto non ce ne sia in una persona devotissima che si ammanta di una religiosità esibita come una mostrina, cioè con una etichetta messa in bella evidenza. C’è una bella parabola nel Vangelo che dice proprio questo.
Come a dire: la mia fede, quella vera, è questa ( la mia); ciò che tu mostri come fede non è la vera fede. Perché? Perché se lo fosse, tu ripeteresti parola per parola, con annessi punti e virgole, quel che L’Istituzione ha detto sempre e dice, e faresti esattamente ciò che quella Istituzione ti dice di fare.
Bene, anzi male.
Chi vuole credere non per sentito dire ma per convinzione, spinto dalla coscienza sempre vigilante, dunque non dormiente nei secoli dei secoli, non si accontenta del già detto. Vuole andare a fondo delle cose e cerca, continua a cercare per dare un fondamento convincente al suo credere. La fede non sarà mai certezza; può essere solo speranza. E soprattutto la fede non esclude la ragione. Sbagliato dire che se c’è la fede, non può esserci il ragionamento. Le due cose non si escludono. Chi crede in questo modo, più che essere credente è “CREDULO”, che è ben altra cosa.
Chi si accontenta di ciò che ha saputo, ha risolto ogni problema, e va bene anche così.
Ma si dà il caso che molti non si accontentino e vadano avanti nelle ricerche. E allora magari si rendono conto di quanti sbagli ci siano stati nel tramandare quella fede e quella religione, e quanti assunti dovrebbero essere rivisti alla luce del raziocinio e delle conoscenze dei tempi odierni. Non significa affatto sare dietro alle mode, come dice qualcuno; né tantomeno significa essere relativisti o eretici. Anche queste categorie vanno riviste.
Hai idea tu, Lorenzo, di quante stupidaggini siano state tramandate fino a noi? A cominciare da certi teologi del passato sui quali è stata impostata tutta l’impalcatura della Chiesa cattolica? E puoi immaginare quanti ecclesiastici ancora oggi siano legati a filo doppio a quella impalcatura fatiscente, e quanti fedeli devotissimi restino ancorati ad essa? Gli esempi più evidenti li abbiamo in questo blog.
utto, insomma, va letto nello spirito del tempo in cui è stato detto e scritto. Se molte cose potevano anche essere ritenute vere e giuste nei tempi lontani, oggi mostrano la loro usura e l’inveridicità. Ecco perché è necessario un aggiornamento nella Chiesa e nella dottrina.
Io non vado certo contro la Chiesa. Sono critica solo verso la sua fissità, che è paragonabile alla proverbiale testardaggine di un mulo.
La si comprende solo in quanto ci sono esponenti del clero che mettono i bastoni fra le ruote a chi vuole rinnovarla.
E sono critica verso certi fedeli, tipo Socci e Valli ed anche Messori, che non vogliono aprirsi alle letture nuove dei cosiddetti “sacri testi”.
Letture nuove non fatte a casaccio, beninteso, ma sulla base di esegesi accurate partendo dal significato preciso dei termini usati nelle varie versioni. E prendendo in considerazione, com’è giusto, gli ambienti socio-geografici e culturali nei quali ebbero origine quei testi.
Meno male che, a dire il vero, una parte della Chiesa si muove attraverso l’opera e la predicazione di uomini di chiesa aperti e intelligenti, che immettono aria nuova nella Chiesa del Cristo. Altrimenti l’aria della chiesa sarebbe soffocante.
“Questa posizione a me pare ingenerosa e che non tenga conto del fatto che il disagio e le perplessità sono espresse da non pochi pastori, anche ad alto livello, quali Cardinali e Vescovi e non solo da opinionisti laici.
E la Suprema Autorità preferisce tacere, lasciando che siano altri pastori ed opinionisti a esprimersi in vece sua (ma non con la medesima autorità) quasi che la ‘chiarezza’ sia pericolosa per il bene della Chiesa mentre sia preferibile una ambiguità aperta a sviluppi che si auspicano ma non si decretano.”
Veda, sig. Beppe, il fatto è che a chi non ama mistificare le cose appare chiaro che quelle perplessità sono più che altro dei pretesti.
Per il fatto che, se si legge con attenzione l'”Amoris laetitia”, si capisce bene quel che il Papa ha voluto dire. L’ho capito perfino io, che non sono una addetta ai lavori e non faccio testo.
Il card. Maradiaga, che invece fa testo, ha detto:
“Quella sui dubia è una polemica inutile. Il Papa prima di scriverla ha consultato i teologi e nessuno ha mai posto questioni sulla dottrina. L’Amoris laetitia non cambia la dottrina. Il Papa ha solo reso tutto più esplicito. Per avere una risposta basta leggere bene l’Esortazione.”
Allora, vorrei dire che quei cardinali che hanno suscitato il gran polverone con i “dubia”, o non hanno letto bene o volevano ostacolare il Papa.
La nefasta conseguenza è stata che molti fedeli hanno trovato appiglio nella faccenda dei “dubia” per attaccare un Papa che non amano.
La malafede è pari all’ignoranza in queso caso.
Apprezzo quanto scritto da Fabrizio: un nuovo studio potrebbe essere occasione di ripresentare al mondo e specialmente ai giovani l’HV.
Esiste però anche il rischio, presentato da Beppe e Maria Cristina, che a forza di studiare una cosa, di ripresentarla con altri termini, si faccia diventare un ni (un sì mi sembra impossibile) quello che era un chiaro no.
Non conosco gli autori di questa ricerca, Luigi ne conosce bene uno e sembra fiducioso della positività della cosa per cui lo sono anch’io.
Gentile Sra Boe
Lei dice che a chi non ama mistificare appare “chiaro” quello che il papa vuole dire (ma non dice “apertis verbis”).
Ora il dire che coloro ai quali non appare “chiaro” che non c’è modificazione di dottrina siano “gente che ama mistificare” mi pare un “giudizio” assai pesante che contraddice esplicitamente da un lato lo slogan ” chi sono io per giudicare” e dall’altro la attitudine tipicamente cristiana di attribuire a tutti la “buona fede”.
Io penso che la attuale situazione di confusione e di sconcerto in tante persone sia proprio dovuta a questa mancanza di chiarezza.
D’altro canto nel mondo laico quando un professore dice una cosa e un allievo dice “non ho capito bene, mi spieghi meglio, perché quello che ha detto non mi quadra con quanto avevo appreso in precedenza”, di norma il professore amplia la sua spiegazione e non manda a dire all’alunno da un suo assistente “guarda che sei tu che non VUOI capire , perché il professore si è spiegato benissimo”
Ricerca ed approfondimento sono di per se’ attività lodevolissima.
ma di solito quando si vuole “approfondire ” un testo lo si fa o per immergersi sempre di più nei significati del testo stesso, nei suoi contenuti, per sviscerarne insomma la ricchezza, oppure lo si fa per trovare all’interno del testo delle fallacie, degli errori, dentro i quali sgusciare per negare alla fine la validità del testo stesso, per demitizzarlo, per criticarlo..
Non basta approfondire bisogna vedere quale volontà c’è dietro l’approfondimento.
per esempio a nessuno oggi viene in mente di “approfondire” testi che parlano di cose che non interessano più a nessuno, ad esempio testi dei primi concilli, che dibattevano di Trinità , o di natura umana e divina di Cristo. eppure ce ne sarebbe bisogno , anche per il papa e i vescovi stessi, che magari sulla Trinità non hanno più le idee tanto chiare.
Se si vuole approfondire la Humane vitae lo si vuol fare per due motivi.
O perchè si è convinti che tale enciclica vada riscoperta e ne vada riscoperto il messaggio perchè se ne condivide gli insegnamenti
Oppure al contrario perchè NON si condividono gli insegnamenti del testo stesso, perchè lo si considera datato,superato, e con l’approfonfdimento si vuole dimostrarne i difetti.
In ogni caso approfondimento non vuol dire cambiamento: credo che neppure papa Francesco e i suoi spavaldi gesuiti si arrischino nello spericolato tentativo di CAMBIARE una enciclica scritta da un papa che l’ha preceduto.
al massimo la commissione alla fine dell’approfondimento ci dirà che l’INTERPRETAZIONE della HUMANAE VITAE è cambiata, ma non possono cambiare il testo dell’Enciclica stessa ( perchè per loro sfortuna ai nostri tempi ci sono oltre che i registratori, anche la stampa)
Mah.
La china su cui i propalatori della diffidenza si sono messi, è irreversibile e a grado di pendenza crescente.
Per un motivo molto semplice: la DIFFIDENZA, come la fede, di cui è il ribaltamento esatto (o la perversione, in certi casi) viene DA DENTRO.
Così come io posso affannarmi per mari e per monti, ma non riuscirò automaticamente a portare la fede a nessuno, di mio, così non riuscirò a vincere alcuna diffidenza, perché è radicata in una riserva mentale.
Il fatto è che fiducia e diffidenza non possono coesistere.
Se io diffido di mia moglie, non ho più un matrimonio.
Un cattolico puo’ amare o no il singolo papa, questo o quel pastore.
Puo’ anche trovarlo insopportabile.
Ma NON PUO’ DIFFIDARE del papa e della Chiesa.
Nel momento in cui lo fa, cattolicamente, è già da tutta un’altra parte.
E , difatti, su di lui, se ne vedono rapidamente le conseguenze.
Gentile Beppe Zezza,
lei l’ha letta la “Amoris laetitia”? Davvero c’è qualcosa che non le appare chiaro?
Se sì, vuol dire che ha bisogno di spiegazioni e un prete qualsiasi che l’abbia capita le può spiegare. Credo che molti semplici preti saprebbero dargliele facilmente, le spiegazioni, e saprebbero darle anche a quei cardinali dei “dubia”.
Altrimenti, lei può anche dare ragione a quei cardinali dei “dubia” e mettersi dalla loro parte. Anzi, mi pare che già lo sia, a prescindere da ogni altra considerazione.
Se il Papa ha deciso che tutto è stato molto chiaro, significa che lui sa bene di essere stato assai chiaro e che non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni.
Vadano a rileggerla con attenzione quell’Esortazione.
D’altro canto sappiamo tutti che i famosi “dubia” li hanno sollevati i cardinali che vedono il Papa come fumo negli occhi per l’impostazione diversa che hanno. Da qui non si scappa, e questo porta anche alle conclusioni cui sono arrivata io e a cui, molto più importante, è arrivato il cardinale Maradiaga. Il quale fra l’altro ha detto:
” Piuttosto mi domando perché altrettanti dubbi non sono stati espressi sul commercio delle armi, sulla riduzione costante delle risorse destinate allo sviluppo, sulla retromarcia in materia di diritti umani. Le parole del Papa sul lavoro sono destinate a tutto il mondo e andrebbero rilanciate da tutta la Chiesa in modo più deciso, invece di dedicarsi a POLEMICHE SUL NULLA.”
Mi trovo in linea perfetta con il pensiero del cardinale.
Veda, c’è una parola-chiave in quell’ Esortazione e, direi, in tutta la predicazione del Papa, ed è “DISCERNIMENTO”.
Caro Beppe Zezza, non si tratta di un neologismo da guardare con sospetto,
È invece una bella parola che dovrebbe far parte del nostro vocabolario in ogni vicenda della vita umana. Soprattutto se si devono esprimere giudizi in questioni di moralità, riguardo alla quale non ci sono solo i colori bianco e nero, ma ce ne sono altri, soprattutto se a giudicare sono gli uomini, e primariamente quelli di chiesa. A questi è stato demandato il potere, o meglio la responsabilità, di assolvere o non assolvere, ovvero di rimettere o non rimettere i peccati.
Per fare questo bisogna DISCERNERE bene, molto bene.
Non appellarsi alle leggi apodittiche di una dottrina, mettendosi la coscienza a posto col dire a sé stessi: ho fatto la cosa giusta perché lo dice la dottrina.
Mi dispiace tanto, ma, a mio giudizio, tutto va guardato con discernimento, e questo guidato dall’Amore che è misericordia. La qual cosa non ha niente a che vedere con il lassismo o permissivismo temuto da tanti.
I giudizi definitivi vanno lasciati a Dio, che è il solo a poter giudicare.
Forse a lei questo non piace. A me sì. Lo trovo bello e giusto.
“Io penso che la attuale situazione di confusione e di sconcerto in tante persone sia proprio dovuta a questa mancanza di chiarezza.”
Io invece penso di no, e provo a spiegare il perché.
I cristiani cattolici da sempre conoscono determinate regole a cui attenersi secondo la dottrina della Chiesa. Solo pochi le hanno sempre seguite fedelmente a seconda del maggiore o minore “peso” che comportavano. Quelli che le seguivano, lo facevano per acritica obbedienza ai dettami dell’Istituzione temendo in primo luogo che la non-adesione fosse un peccato grave, come veniva predicato in tutte le salse. Passibile di scomuniche e di castighi divini.
Tra l’altro venivano prescritte delle regole del tutto astruse, ricavate da certa teologia. Ad un certo momento la Chiesa, resasi conto che alcune cose proprio non funzionavano, dovette cambiare il passo e alcune regole furono cambiate in deroga a quelle formulazioni teologiche di un lontano passato. E meno male!
C’erano poi quelli che in facciata seguivano la dottrina, ma poi in segreto seguivano un’altra dottrina tutta loro. Da ridere!
C’erano poi quelli, molto più intelligenti a mio parere, che dicevano: la dottrina sì, ma su questo punto non mi convince e non la seguo. Seguivano la loro coscienza ben formata, posso assicurarglielo, sig. Beppe.
E la dottrina ad un certo punto parlò, giustissimamente, di “primato della coscienza”. Nessuno infatti può conculcare la libertà di coscienza, sia nel bene che nel male.
Certo è che la libertà dell’uomo si può volgere al bene ma anche al male. Quando si parla di “voce della coscienza” generalmente la si intende come “voce di Dio”, ed è quella che induce a fare il bene, perché Dio è BENE. Ma ovviamente possono esserci altre sirene che vanno a contrastarla e prendono il sopravvento, e allora si fa il MALE.
Cosa voglio dire, in definitiva? Che la confusione c’è sempre stata, anche quando sembrava che non ci fosse.
Oggi la confusione e lo sconcerto non sono certo determinati da quel che dice la Chiesa di papa Francesco, il quale nient’altro fa se non guardare in faccia la realtà così com’è e prendere i giusti provvedimenti per affrontarla anche nei suoi aspetti negativi o apparentemente negativi.
Se, per esempio, due persone convivono e non si sposano, fanno bene o fanno male? Molti tradizionalisti direbbero sicuramente che fanno male e che sono nel peccato. La Chiesa, se non sbaglio, considera peccato anche il solo matrimonio civile, visto come “convivenza”.
Ma io dico che se quelle persone non hanno fede cristiana e non sono sicuri di voler contrarre un legame duraturo, fanno bene ad evitare un matrimonio religioso che sarebbe solo IPOCRISIA.
Oggi si è capito almeno questo.
Tutte le coppie non regolarmente sposate e conviventi sono più consapevoli e sincere di fronte a Dio e a sé stesse. Sanno che non si può ingannare Dio.
Nella convivenza io infatti non vedo peccato.
Gentile sra Boe
Io condivido ma solo fino a un certo punto la sua analisi.
Sono con lei nel pensare che una coppia che non abbia una vita cristiana reale è meglio che non si sposi cristianamente.
Penso che un matrimonio civile sia meglio di una semplice convivenza, ma questo solo per motivi “psicologici”: la presenza di un legame manifesta comunque la volontà di stabilire un rapporto duraturo e “aiuta”in certi casi a non sciogliere affrettatamente dei rapporti.
Lei dice: io non considero che dei conviventi siano in peccato.
Ma qui torniamo al discorso che abbiamo già affrontato tante volte su cosa è “peccato” e cosa “non è” peccato.
Certamente chi convive non sta nella “volontà di Dio” , posto che Dio si è espresso dicendo che il bene per l’uomo è che formi con la sua donna una unione totale, per la vita. Dunque vive “in peccato”, cioè “fuori dalla Sua volontà”. ( anche se personalmente può non esserne consapevole e quindi questo può non essergli “imputato come colpa”)
E compito della Chiesa è condurli a vivere nella “volonta’” di Dio – perché questo è il bene per loro e per la società nel suo insieme.
Nel passato si tendeva a far questo attraverso minacce di punizioni. Oggi questo tipo di approccio è impensabile. E giustamente la Chiesa fa presente che nessun peccato è talmente grave da non poter essere “perdonato” dalla misericordia divina ma , a scanso di equivoci, deve insistere che è bene, doveroso, indirizzarsi a ‘non peccare più ‘ ( e quindi nella fattispecie a condurre una vita cristiana reale e a sposarsi cristianamente impegnandosi , con l’aiuto della grazia, a una unione stabile per la vita, nella buona e nella cattiva sorte ).
Ipotesi: io mi innamoro di una ragazza di buona volontà, con degli alti valori umani, rispettosa della tradizione religiosa, battezzato ma non credente.
Scommettete che nessun sacerdote consiglierebbe la “dispensa paolina” del 1970 che disciplina (a firma di Paolo VI) il matrimonio tra un cattolico e un non credente battezzato?
E invece andrebbe fatto, proprio perchè il Sacramento è serio.
battezzatA*** ella
Tornando a Humanae Vitae:
Paragrafo ormai inapplicabile:
Creare un ambiente favorevole alla castità
22. Noi vogliamo in questa occasione richiamare l’attenzione degli educatori e di quanti assolvono compiti di responsabilità in ordine al bene comune dell’umana convivenza, sulla necessità di creare un clima favorevole all’educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto dell’ordine morale. Tutto ciò che nei moderni mezzi di comunicazione sociale i alle eccitazioni dei sensi, alla sfrenatezza dei costumi, come pure ogni forma di pornografia o di spettacoli licenziosi, deve suscitare la franca e unanime reazione di tutte le persone sollecite del progresso della civiltà e della difesa dei beni supremi dello spirito umano. Invano si cercherebbe di giustificare queste depravazioni con pretese esigenze artistiche scientifiche o di trarre argomento dalla libertà lasciata in questo settore da parte delle pubbliche autorità.
Faccio presente che sulla pornografia ha però pienamente ragione il Beato Paolo VI: va fatto capire ai giovani che la pornografia è quasi se non totalmente violenza…
Sul “clima favorevole alla castità”, basta farsi un giro in qualsiasi ritrovo di giovani soprattutto in estate e possiamo verificare come questo desiderio e indicazione del Beato seppur all’interno di un ragionamento più ampio sia ormai impensabile.
Non voglio essere “troppo polemico”, ma non sono d’accordo con Fabrizio. Sono passati 40 anni, molte cose sono cambiate e soprattutto è cambiato il senso del peccato e dell’impenitenza (quello che mi piace è buono e non è peccato: versione moderna dell’epicureismo), tuttavia compito della Chiesa (sacerdoti, gerarchia e comunità cristiana) è indicare sempre il bene, a qualunque condizione, anche (direi soprattutto) quando la maggioranza delle persone va controcorrente.
Aggiungo che i giovani oggi sono spaesati e senza riferimenti certi. La responsabilità è del mondo e di un pensiero sempre più soggettivista e pertanto effimero, relativo, inconsistente. La Chiesa Cattolica dovrebbe essere un faro nella tempesta e non temere di andare “in minoranza”. Dovrebbe cercare e dare testimonianza alla Verità. Lo farà?
A differenza di Fabrizio, conosco giovani che capirebbero quelle parole dell’ HV, a mio parere sempre attuali: un clima favorevole alla castità, dove coppie di fidanzati si aiutano a vicenda per non peccare e vivere il loro amore castamente.
Federico,
se non ho capito male Fabrizio parlava di un ambiente favorevole alla castità nel senso di avere luoghi di ritrovo, programmi televisivi, (al giorno d’oggi i social) ecc. che aiutassero a rispettare l’ordine morale. In questo fallimento noi cattolici penso che magari non siamo colpevoli ma un po’ responsabili sì.
Questo per me non significa che ci si debba arrendere e non credo che nemmeno Fabrizio lo pensi.
Il primo punto di riferimento deve essere in casa, in famiglia. Si deve insegnare ai figli (maschi e femmine) il pudore, il rispetto per il proprio corpo e per quello degli altri. Si deve far vedere che i genitori avevano ed hanno un progetto di vita, che con il vivere alla giornata e il ‘non perdersi tutte le occasioni’ (come dice una pubblicità) non si costruisce nulla e non si arriva alla felicità.
Grazie Enrico.
Hai colto il mio intervento.
Sull’arrendersi o meno penso si debba fare un passo in più che è tutt’altro che semplice: ovvero sviscerare il rapporto anche inconscio che si ha con il “potere”…
(Diciamolo chiaro e tondo: una ragazza o un ragazzo che hanno successo con l’altro sesso si sentono dei semidei).
In secondo luogo vi è l’accettazione di essere minoranza (creativa però, non arroccata).
Poi, una volta a 22 anni le persone si sposavano, ma adesso non più…Si può chiedere ancora la castità pre matrimoniale?? Non so, non ho una risposta.
Ciao!
Mio padre si è sposato a 28 anni, come me, i miei nonni a 25 e 26…Mio suocero addirittura a 35 anni, per le stesse ragioni per le quali i giovani di oggi rimandano la scelta di mettere su famiglia (il lavoro precario, il completamento degli studi, lo spostamento da u.a città all’altra…). Cercare giustificazioni in queste cose ha poco senso.
Si può vivere la castità prematrimoniale oggi? Se si vuole sì. Se si è convinti che sia giusto e che ne valga la pena, sì. Se si ha la fortuna, come è capitato a me e alla mia morosa (che poi ho sposato), di avere degli amici che la pensano allo stesso modo e che affrontano insieme lo stesso cammino ( ecco cosa intendeva quella parte della HV), sì. Se i vescovi cominciano a non dare valore alla castità prematrimoniale, per un’idea sbagliata di misericordia, sicuramente no.
Casualmente mi sono imbattuto in queste parole di Sant’Agostino : la legge è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia è stata data perché si osservasse la legge.
Penso che questo sia il grande equivoco di oggi: si vuole ridurre la legge alle forze dell’uomo ( che non è, con le sue sole forze, specialmente nel tempo attuale , capace di conservare la castità pre-matrimoniale ) perché non si crede alla grazia!
Siamo piombati in una forma di neo-pelagianesimo
“… si vuole ridurre la legge alle forze dell’uomo ( che non è, con le sue sole forze, specialmente nel tempo attuale , capace di conservare la castità pre-matrimoniale ) perché non si crede alla grazia!”
La castità pre-matrimoniale in realtà non c’entra niente con la grazia. Quando fra due persone, anche non sposate, c’è un amore grande, che è anche eros, è normale che entri in gioco la sessualità. Che non è una cosa sporca come si vuol far credere in ossequio alla teologia agostiniana che, purtroppo, ha trasmesso alla Chiesa cattolica una aberrante sessuofobia.
Basta tenere presente lo splendido “Cantico dei cantici”, scritto molti secoli prima di Gesù e di Agostino, per vedere che l’amore erotico fa parte naturale della vita dell’uomo e della donna, e non è cosa sconcia.
In quel Cantico non si parla di amore fra due sposi, ma fra due amanti, ed è tutto un inno alla vita e a Dio stesso.
Solo il sesso idolatrato è cosa sporca e deviante. E a quel punto è necessaria non tanto la grazia, quanto una terapia specialistica.
Io mi riferisco all’insegnamento della Chiesa cristiana Cattolica.
Lei, signora Boe, ha già più volte affermato che l’insegnamento della Chiesa Cristiana Cattolica va “aggiornato” per tenere conto delle scoperte della modernità.
Ognuno ha le sue opinioni.
Quando la Chiesa Cristiana Cattolica affermerà chiaramente che quello che è stato insegnato per anni erano tutte sciocchezze e che i rapporti sessuali sono “liberi” purché conditi da un non meglio precisato “amore”, vedrò di adeguarmi. Fino a quel momento mi attengo all’insegnamento di sempre.
( Nessuno dice che il “sesso sia cosa sporca e deviante “)
I rapporti sessuali al di fuori del sacramento del matrimonio sono peccato per la Chiesa Cattolica.
Chi sostiene il contrario è ignorante (absit iniuria verbis) o in malafede. Il “grande amore” tra due persone è una buona scusa, comprensibile finché si vuole, ma non esenta dal peccato (come del resto anche in altri casi, nel delitto passionale o per gelosia: il grande amore non giustifica il peccato, al limite dà la forza per affrontare un sacrificio).
Io non chiedo a nessuno di “adeguarsi”, sig. Beppe Zezza. Mica parlo di adeguamenti.
Dico solo che c’è sempre stata nei riguardi del sesso e della sessualità una lettura sbagliata da parte della Chiesa; un bel fraintendimento che tuttora perdura anche se in misura minore.
Con ciò non non voglio certo dire che sia bello fare sesso a gogò. Anche questo è un fraintendimento, se qualcuno ha interpretato in questo senso le mie parole.
In ogni caso, il discorso sarebbe lungo e complesso. E certo non sarò io a farlo pur potendolo.
Che poi l’insegnamento della Chiesa vada aggiornato, almeno su determinate questioni, questo lo ribadisco con piena convinzione.
Mai però ho detto “per tener conto della modernità”. Questo è un suo travisamento assai spiacevole delle mie parole. E da qui si vede come si può essere cattivi messaggeri dei discorsi di altri. Si potrebbe aprire un altro capitolo su questo argomento.
Le consiglio di cercare di capire bene quello che altre persone dicono e di avere maggior cautela nel riportare il pensiero altrui.
Chiudo qui il discorso, che non mi appassiona per niente.
Non penso che il mio “per tener conto della modernità ” sia del tutto fuori centro.
Non penso che ci siano dubbi sul fatto che la “rivoluzione sessuale” abbia una data di inizio: il 1968 e che questa “rivoluzione” abbia ribaltato il modo di vedere comune dell’argomento “sesso”.
da “fatto privato” ( da “foro interno” per dirla con termine ecclesiastico ) è diventato “fatto pubblico” anzi quasi “principio vitale” : l’esercizio libero del sesso “misura” della libertà individuale.
Sulla spinta di questa rivoluzione la Chiesa ha, correttamente, riflettuto sull’argomento e ha messo a punto la propria catechesi , inquadrando l’esercizio della sessualità nel quadro generale della vita di fede. Vita di fede che in una certa misura si contrappone alla “vita mondana”.
Ora, a mio parere, assistiamo a un accelerarsi del generalizzato indebolimento della fede avvenuto negli ultimi decenni e la incomprensione delle differenze tra “vita di fede” e “vita mondan” comporta anche una spinta all’adeguamento allo spirito del mondo.
Di qui la domanda: come si può nel 2017 non dico proporre ma anche solo parlare a giovani di “castità prematrimoniale”?
Se vogliamo essere ascoltati – pensano alcuni – giustifichiamo con il riferimento all’amore, una “conversione” nella posizione espressa fin’ora : sarà la coscienza individuale a dire se è il caso o no di fare un fidanzamento casto o , in vista di un migliore futuro della nostra unione, sperimentare da subito se tra di noi c’è quella ” intesa sessuale” senza la quale , con tutta la grazia che il buon Dio ci vorrà donare, un matrimonio non potrà sussistere.
La coscienza individuale ha il primato su tutto, perché è con essa che ci si pone di fronte a Dio, il quale ci ha creati liberi.
È un dovere di fronte a Dio quello di “formare la propria coscienza” , perché ci dia indicazioni corrette.
È necessario un lavoro spirituale per poter distinguere la voce della “coscienza” dagli
“Intimi convincementi” derivanti dalla cultura che assorbiamo dall’esterno.
È proprio per questa difficoltà reale che la Chiesa fornisce dei criteri ai quali attenersi, che sono le norme morali generali.
È possibile che in casi molto particolari una coscienza rettamente formata possa dare indicazioni diverse dalle norme morali generali. Maquesta e certamente solo una eccezione enon può essere assunta come norma di riferimento. Altrimenti si afferma in pieno il “realtivismo morale”
Infatti Marilisa sostiene in pieno da sempre un relativismo morale.
E non solo sul piano morale.
Beppe,
mi hai fatto venire in mente ne ‘I Promessi Sposi’, capitolo 25, quanto Manzoni dice di donna Prassede:
‘Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono.’
e più avanti
‘tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello’
Il suo errore, sig.Beppe Zezza, è quello di credere che la buona coscienza di un individuo si formi alla luce della fede in Dio. Per di più del Dio di Gesù Cristo, e quindi della dottrina della Chiesa.
Questo errore lo fanno parecchi ferventi(?!) cattolici che sono convinti che la buona coscienza l’abbiano solo coloro che praticano la religione cattolica. Per cui, non appena apre bocca una persona che parla diversamente dai soliti paradigmi mentali tipici dei devotissimi, questi ultimi si impelagano in un affannoso esercizio di epiteti e di paragoni che suscitano in chi li sente una ilarità pari alla pochezza intellettiva di chi crede di avere colto nel segno. Mentre sono andati del tutto fuori fase.
Sbaglio grandissimo questo di ritenere che solo chi pratica una religione abbia una buona coscienza.
Sono sempre esistite e sempre esisteranno persone non credenti di specchiata moralità, derivante da una coscienza retta non formata da alcun tipo di religiosità e sentita nel loro intimo come un forte richiamo a fare il bene. Lei, sig.Zezza, non ne ha conosciute? Io sì, e non poche; migliori anche di molti cattolici con una coscienza formatasi all’oratorio o nelle vicinanze. Neppure tutti gli ecclesiastici possono vantare una retta coscienza, come le cronache ci attestano quasi quotidianamente. E lei dovrebbe saperlo come lo so io e tutti.
Anzi, può avvenire che molte persone fino ad una certa età credenti, ad un certo punto, non trovando più risposte convincenti nella religione, decidano di abbandonare e di definirsi atee. Eppure hanno comportamenti esemplari. Io penso che in realtà Dio non si lasci abbandonare da loro e li segua come un’ombra.
Dunque, il suo discorso non è condivisibile. Non da me, almeno.
Lei, è chiaro, vuole far quadrare a tutti i costi il cerchio di una buona coscienza che solo si forma, a suo dire, seguendo la dottrina della Chiesa cattolica. Mi dispiace ma non concordo.
Ogni discorso di etica e di morale e di coscienza rettamente formata è del tutto avulso dalla religione. Da qualsiasi religione.
La libertà di scegliere il bene è il dono più grande che Dio abbia fatto ( e faccia) all’uomo; e nel momento in cui l’uomo fa il bene ed opera per la giustizia, Dio è con lui anche se non riconosciuto.
Questo io ritengo e questo dico senza alcuna pretesa di avere il consenso altrui.
Gentile signora Boe
vediamo di chiarire alcune cose.
Di quanto sia “retta” o meno la coscienza delle persone che conosco e che non conosco io non so nulla e suppongo neanche lei – posto che la coscienza è il “sacrario” intimo che nessun altro se non il buon Dio conosce.
La sacra Scrittura dice: 1Cor 4:5 Non vogliate perciò giudicare nulla prima del tempo, finché venga il Signore. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni dei cuori; allora ciascuno avrà la sua lode da Dio.
Credo che sia molto opportuno attenersi a questo, senza dare patenti di santità o di condanna a nessun vivente.
Che esistano persone di specchiata moralità ( cioè che si comportano “bene” ) che non confessano Gesù Cristo Signore non ho alcun dubbio, come non ho alcun dubbio che esistano persone che confessano Gesù Cristo Signore e non vivono una vita specchiata.
In secondo luogo il discorso che stavamo facendo e al quale mi sono collegato fa riferimento a quello che la Chiesa Cattolica è tenuta a insegnare ai suoi fedeli ( fidanzamento casto ) e a proporre anche a chi non è suo fedele ” ascoltino o non ascoltino “. Anche se oggi questo è un discorso poco popolare . In questo insegnamento fare riferimento a una presunta “libertà di coscienza” equivarrebbe a togliere ogni autorevolezza all’insegnamento stesso
Che la Chiesa Cattolica abbia ricevuto il proprio messaggio di salvezza presente e futura da Dio, attraverso Gesù Cristo e poi i suoi apostoli, è quanto la Chiesa ha sempre insegnato e alla quale io credo.
Naturalmente è del tutto legittimo – ma non è detto che sia corretto – non crederlo.
Se poi vuole sapere se penso che chi è cristiano si salva perché cristiano e chi non lo è si danna, le dico chiaramente che non penso così. Al contrario io credo che , per il fatto che abbiamo ricevuto molto di più, a noi cristiani sarà richiesto molto di più che non agli altri.
Libero di pensare quel che vuole.
Io parlo, riferendomi alla “retta coscienza”, di persone di specchiata moralità. Senza voler entrare nell’intimo della coscienza di qualcuno, cosa che nessuno peraltro potrebbe fare. Quindi non andiamo a cavillare, per amor del cielo.
Quando lei se ne esce con queste parole: “In questo insegnamento fare riferimento a una presunta “libertà di coscienza” equivarrebbe a togliere ogni autorevolezza all’insegnamento stesso (della Chiesa)”, lei sta manifestando una non-conoscenza del catechismo dove l’insegnamento si esplicita e dove si leggono alcuni paragrafi parecchio interessanti sulla coscienza. Fra gli altri questo: ” la grazia di Cristo opera anche in ogni uomo che, seguendo la retta coscienza, cerca e ama il vero e il bene, ed evita il male.” Sottolineo: OGNI UOMO. Non un uomo cristiano o altro.
E quest’altro: “la coscienza morale, presente nell’intimo della persona, è un giudizio della ragione che, al momento opportuno ingiunge all’uomo di compiere il bene e di evitare il male…Quando ascolta la coscienza morale, l’uomo prudente può sentire la voce di Dio che gli parla.”
Ciò che io ho definito talvolta con le parole: la voce della coscienza è voce di Dio.
E quest’altro: “A motivo della dignità personale, l’uomo non deve essere costretto ad agire contro coscienza e non si deve neppure impedirgli, entro i limiti del bene comune, di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso.”
È quel che io chiamo libertà di coscienza, appunto, e che la Chiesa INSEGNA, autorevolmente, come indebita costrizione ad agire contro coscienza.
E finiamola qui, per favore. Attaccarsi agli specchi va bene, ma quel che è troppo è davvero troppo.
Concordo. Quel che è troppo è troppo. Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.