“Di mestieri ne ho fatti tanti e alcuni non li ricordo neppure più” dice con ironia di sè Antonio Thellung, amico romano che frequenta questo blog. Ha fatto l’attore, il pilota di automobili da corsa e l’autore di manuali sulla guida dell’automobile, il pittore e lo scultore, l’animatore di comunità, l’assistente di malati terminali; è scrittore e conferenziere, autore di versi e di epigrammi. Una mostra intitolata I miei primi ottant’anni documenta le stagioni della sua passione comunicativa. Apre giovedì sei ottobre a Roma, al Museo Umberto Mastroianni, piazza San Salvatore in Lauro 5. La suggerisco a chi voglia vedere dove possa arrivare un dilettante di talento.
Thellung ovvero dove possa arrivare un dilettante
7 Comments
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Antonio Thellung lo conosco come scrittore.
Vale la pena leggere i suoi scritti, che denotano un’apertura mentale fuori dell’ordinario. Sono quelli che ti fanno respirare un’aria nuova e stimolante, facendoti uscire dal cliché di idee stantie, proprie di una comoda pigrizia mentale e asservite al comune sentire, che rassicura chi non mette mai in discussione né se stesso né, soprattutto, i propri convincimenti.
Non vivo a Roma e quindi non potrò andare a visitare la mostra, e mi dispiace.
Cara Marilisa, mi spiace che, non vivendo a Roma, non possa venire alla mia mostra. Se crede, però, potrà scaricarne il catalogo in PDF dal sito: http://www.antoniothellung.it/scritti/novità/I miei primi 80 anni (ci vogliono alcuni minuti perché ci sono molte foto).
Sempre grato per gli apprezzamenti, le auguro il meglio per tutto ciò che spera.
Onore a Thellung, di cui mi sento affine in vari dilettantismi. Non certo come attore, né autore di epigrammi. Ma da giovane provai anch’io la passione per le auto sportive: ero ancora single e, mettendo insieme alcuni stipendi (insegnavo all’Artistico) riuscii a pagare le prime rate di una fiammante Fulvia Coupé: un mito, la amavo quasi come una ragazza. E non ero il solo: tra me e i miei allievi quella vettura era sempre in movimento.
Poi esplosero le grandi contestazioni, e io mi persi su mille tomi delle più svariate specie.
Mi incuriosì Marcuse, il cui “Uomo a una dimensione” aveva infiammato la giovane America. Ripresi in mano la Rerum Novarum e la confrontai con la Populorum Progressio: mi pare che vincesse la Populorim tre o quattro a uno. Ovviamente appartenevano a due tempi diversi. Contestualizzare, direbbe Monsignore.
Mi studiai –quasi come fosse un autore di scuola – Vance Packard che, con “I persuasori occulti”, mi fece poi capire Berlusconi: il marrano non sapeva che io l’avevo già vivisezionato vent’anni prima che apparisse sulle scene!
Ma la luce che mi aperse il mondo fu Dom Camara, la cui opera mi fece intendere anche la successiva Teologia della Liberazione. E io, uomo di scienza alla Einstein, mi forgiai una teoria della relatività dei giudizi. Mi si chiarì, ad esempio, quanto sia facile comprendere la povertà e la disperazione se ci si vive in mezzo, e quanto invece sia difficile se si vive a mille e mille chilometri di distanza, soprattutto se chiusi in stanze ovattate. E credetti di capire che così il buon Dio ha creato il mondo: relativo. Dando però a noi, esseri umani, alcuni strumenti come la fede e la ragione di cui servirci – se vogliamo – per superare perfino le più lunghe distanze. Soprattutto quelle che si annidano dentro di noi o che ci separano dal prossimo.
Un abbraccio a Thellung e un saluto agli amici.
Se qualcuno si domandasse come finì la storia della Rally, ecco qua.
Tra una lettura e l’altra di Camara, un giorno tornai dal mio venditore. “Non la voglio più. Te la rendo a un buon prezzo!”. Lui non ci credeva e me la riacquistò subito, per servirsene personalmente.
Poi mi procurai una cinquecento, con cui sono stato in amicizia per vent’anni, fino alla sua vecchiaia.
Giosal, la fede e la ragione ci aiutano a capire i poveri e i disperati se davvero “vogliamo” capirli, immedesimandoci in loro, pensando che forse per puro caso oggi ci troviamo in una posizione di vantaggio, domani chissà…
Fede e ragione non sempre funzionano, e comunque non in tutti. Forse è questione, invece, di maggiore o minore sensibilità individuali e collettive.
Vado fuori tema.
A proposito di cinquecento, la mia (rossa) è ancora funzionante dopo più di vent’anni. Nella via in cui abito è l’unica. Qualcuno mi canzona, ma qualcun altro la ammira e si ferma a guardarla come se fosse un bel giocattolo. Mi divertono i bambini che sgranano gli occhi nel vederla e i ragazzi che mi chiedono cosa sia la doppia debraiata di cui hanno sentito parlare. Mi rendo conto di possedere una specie di cimelio.
Grande macchina la cinquecento! Anche per l’implicito significato “storico” che ha.
Ho conosciuto Thellung in un convegno a Roma, eravamo a tavola a chiacchierare e io rimanevo colpito dalla sua “giovinezza”. Magari lo rivedrò per il prossimo convegno invernale all’Aurelia.
Grazie a Giosal e Marilisa per avermi richiamato il ricordo della Fulvia e della 500, due automobili particolarmente care che fanno parte integrante della mia vita. Quanto alla “giovinezza” di Matteo, il segreto sta nel rinnovarsi. Qualche anno fa sono passato da vecchio nonno a giovane bisnonno, e in questi giorni mi ritrovo a essere un giovanissimo ottantenne. Mi raccomando, fatti riconoscere al prossimo convegno, così diventeremo giovanissimi amici.