“Sì, io lo perdono. Perché anche mio marito, se fosse stato vivo, io lo so, avrebbe fatto la stessa cosa. Perché, sapete, per tutta la vita noi due siamo stati educatori e prima ai nostri figli e poi a tutti gli alunni delle scuole abbiamo sempre e solo insegnato la legalità, la giustizia, la non violenza. Se fosse vivo, Fortunato, direbbe lui stesso ai suoi ragazzi: adesso calma, non cercate la vendetta, non seminate odio e discordia nel paese. Sapete, io in classe a Gizzeria ho tanti alunni marocchini, tanti bambini che spero presto di rivedere e di poter riabbracciare. Ecco voglio adesso dir loro che il mio bene non è mutato e tornerò in classe senza rancore, con la voglia intatta di dialogare ancora. Noi eravamo una grande famiglia. Unita, anzi unitissima. Abbiamo cresciuto figli (Alessandro e Chiara, ndr) nella fede cristiana. Ed è per questo che dico che la morte oggi non è riuscita a spezzare questo vincolo, io credo anzi che Fortunato dal cielo continuerà ad accompagnarci ogni giorno che resta nel nostro cammino terreno. Adesso mi aspetto che la giustizia faccia il suo corso, naturalmente, perché io credo nella legge e credo che vada sempre rispettata. Però quello che m’importa veramente non è tanto che il ragazzo marocchino venga punito, quanto piuttosto che egli capisca, che si renda conto, che impari qualcosa da tutto il male che ha fatto. Non conta la pena. Conta l’educazione”. Sono parole di Teresina Natalino, moglie di Fortunato Bernardi, insegnante di ginnastica ucciso insieme ad altri sei ciclisti domenica, a Lamezia Terme, da un immigrato marocchino di 21 anni che li ha travolti con la sua automobile. Quelle parole le ha raccolte il collega del Corsera Fabrizio Caccia in un ottimo articolo pubblicato ieri a pagina 23 con il titolo LA MOGLIE DEL PROF: “LO PERDONO, LUI LO AVREBBE FATTO“.
Teresina da Lamezia: “Quel marocchino io lo perdono”
22 Comments
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Grazie, Teresina Natalino.
E grazie anche ai giornalisti che lo raccontano.
Molto coraggiosa. Il perdono sarà un percorso, comunque. E anche la pena implicherà un percorso rieducativo. Entrambi saranno lunghi e sofferti, senza dubbio. Speriamo che possano veramente continuare a intrecciarsi misteriosamente.
Bellissima testimonianza. Mi fa ricredere, temevo che la sensibilità per il perdono cristiano fosse venuta meno.
Antonella Lignani. Mi sono occupato, negli anni, del perdono cristiano, raccogliendo storie riguardanti l’attestazione pubblica del perdono verso gli uccisori dei parenti. Nel volume CERCO FATTI DI VANGELO (Sei, 1995) avevo narrato 37 storie di perdono degli anni ’70, ’80 e primi ’90 del secolo scorso. Nella pagina di questo blog che ha lo stesso titolo, elencata sotto la mia foto, al capitolo 3 riporto un’altra ventina di storie più recenti. La mia convinzione – maturata con questa ricerca sul campo – è che il miracolo del perdono sia frequente nell’Italia di oggi e costituisca un segno evangelico importante per la nostra epoca, che forse non si aveva così frequente in passato.
Un mese fa al mio paese sono morte in un incidente una ragazza di ventun’anni e la figlia di pochi mesi perché il conducente dell’auto su cui viaggiavano era sotto l’effetto di alcol e di droga: italiano, anche se nessuno si è preoccupato di specificarlo. Colui che ha ucciso i sette ciclisti è marocchino, lo sappiamo perché è la prima cosa che i giornali hanno scritto, e la moglie di una delle vittime si preoccupa di dire che ha ancora voglia di dialogare con i suoi piccoli alunni marocchini, addirittura senza rancore, come se si potesse pensare, anche per un solo momento, che quei bambini abbiano qualcosa a che vedere con chi le ha ucciso il marito. Una specie di “perdono esteso” a partire, però, dalla medesima radice che scatena l’odio contro l’immigrato: per uno perdono tutti, per uno pagano tutti. Posso dire che non mi convince per niente? Grazie.
Non è giusto seminare odio, cercare vendette, e tantomeno prendersela coi figli del marocchino. In questo trovo coraggiose ed apprezzabili le parole di Teresina. Ma è giusto che quel marocchino paghi per ciò che ha fatto e vada in galera (come dovrebbe andarci un italiano “nativo” che facesse la stessa cosa). Dico no alle rappresaglie, ma anche no al “buonismo” di chi difende sempre e comunque, “a prescindere”, gli immigrati.
Andrea Tornielli ha raccolto e commentato questa notizia in termini positivi:
http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-educazione-e-perdono-cristiano-83.htm
Bella testimonianza, davvero, segno di un paese reale probabilmente migliore di quello che i giornali e i mass media in genere descrivono. Premetto che sono per principio contrario a che venga posta la domanda “lei perdona l’assassino di suo … ” che fa parte del catalogo degli orrori (ed errori) giornalistici del nostro tempo; il perdono sincero e spontaneo è, fin nel suo etimo, un dono più grande, segno di cosa il cristianesimo abbia portato in lascito all’uomo, anche a chi oggi vede l’eredità cristiana come un pesante orpello o un vuoto simulacro (o anche peggio). Detto questo mi permetto di nutrire molti dubbi sul fatto che la “pena implicherà un percorso rieducativo”, per di più “lungo e sofferto”, come immagina Mattlar: innanzi tutto perché dubito che la pena irrogata (per un reato considerato poco più di una bagatella) sarà scontata, secondo perché la storia personale dell’uccisore (indipendentemente dalla sua nazionalità) questo mi ispira. Resto convinto del fatto (che del resto mi ricordo di aver ascoltato anche dalla televisione della svizzera romanda in occasione di un altro fattaccio di cronaca) che gli stranieri in genere siano stati convinti – per fatti concludenti – dagli italiani che nel nostro paese tutto sia possibile perché tutto resterà comunque impunito (per loro, per noi, per tutti).
In verità , in verità vi dico che chi crede in me farà anch’egli le opere che faccio io; e ne farà di più grandi” (Gv 14 : 12)
Accipicchia, Luigi, questa è veramente GRANDE!
Leopoldo può essere che quella donna si sia espressa male, o che il giornalista abbia male riassunto le sue parole, anche se a me non appaiono tanto problematiche, tranne forse per il vocabolo “rancore”. Ma globalmente quello che dice è ammirevole, non credi? Come mai – ti chiedi – tira in ballo la comunità marocchina? La risposta la trovi nel clima di aggressività contro i marocchini, numerosissimi proprio nella località dove lei insegna, che ha accompagnato quelle giornate di lutto cittadino. C’era un contesto di animosità contro di loro e lei nella sostanza dice: non dobbiamo avercela con loro… Sono parole che davvero mi convincono.
Luigi, è vero. Può darsi che io abbia torto.
Ringrazio Tornielli per la ripresa del mio post, ripresa qui segnalata da Savigni. Anche in riferimento al dibattito che qui c’è stato a commento del post dell’altro ieri intitolato C’ERA GIA’ IL TIMONE E ORA ARRIVA LA BUSSOLA, dico che sono contento della nascita della Bussola quotidiana e non solo perchè sono amico di Tornielli. La loro impostazione non è la mia, ma è proprio per questo che mi sono utili: a pensarla come me, me la cavo da solo.
Chi pensa come noi ci fa felici, chi pensa diversamente da noi ci fa crescere.
…e che noia che barba che noia che barba ‘sto mondo se tutti fossero uguali a me e la pensassero come me…!
CONTROCORRENTE
Sono un ciclista, troppi amici ho visto finire in ospedale e al cimitero per colpa di automobilisti di motociclisti drogati e non.
Io per ora mi sono salvato, solo qualche caduta da sfioramento.
Famiglie distrutte a causa di una pedalata tra amici che non fa male a nessuno.
Beata Teresina che perdona.
Io da cattivo cristiano no1
Nino va a finire che stavolta Leonardo ti vota.
Luigi, credimi, vedere con i tuoi occhi un SUV che a 160 km investe un ciclista è qualcosa che non dimenticherai mai.
E’ successo una domenica mattina sulla strada da Madrid all’aeroporto.
Una scena raccapricciante, veder volare per aria per decine di metri un essere umano come fosse un manichino.
Mi fermo qui per non entrare nel macabro che ne è seguito.
Ho immaginato di vedere me o uno dei miei tanti amici.
C’è poco da perdonare.
Luigi, vorrei tanto, ma mi è balzata davanti agli occhi l’orripilante visione di Nino in tenuta da ciclicsta (dovevo saperlo che era un ciclista dilettante, era inscritto nel profilo, che sciocco a non pensarci) … me lo sono immaginato, brutto come Prodi in caschetto e calzoncini, e mi sono anche un po’ spaventato. No, non posso proprio votarlo.
Certo, anche quello del SUV è esecrabile … ma gente normale che va a piedi no?
Qui dalle nostre parti, nella capitale di un paese in via di sviluppo e in grave ritardo di civiltà, anche quella che chiami gente normale che va a piedi rimane uccisa da autisti e motociclisti fumati, ubriachi o alle prese con il telefonino.
E ultimamente anche da bus pubblici guidati da autisti in narcolessia.
Leonardo
ti giro un articolo scritto da Paolo Rumiz a commento della morte dei 7 ciclisti, dedicato a quelli come te.
LA REPUBBLICA 07 dicembre 2010
L’Italia che pedala pericolosamente
PAOLO RUMIZ
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/12/07/news/italia_pedala_pericolosamente-9908072/index.html?ref=search
Distinguiamo.
Trovo che nel messaggio delle 7:50 Nino avesse perfettamente ragione, e infatti penso che, potendo, sia molto meglio stare a casa.
Alle 11:08, invece, era già meno lucido. L’articolo di Rumiz parla essenzialmente di quelli che adoperano la bicicletta in città. Anch’io sono fra questi, non prendo la macchina praticamente mai, però sono abbastanza onesto da riconoscere che noi ciclisti siamo una peste del traffico urbano: ce ne freghiamo della segnaletica, andiamo contromano, sorpassiamo a destra, tagliamo la strada, ecc. ecc. sicuri che, in caso di scontro avremo magari fisicamente la peggio, ma nel contenzioso giuridico non c’è partita: saremo sempre e comunque considerati le vittime.
I forsennati, come li chiama Rumiz, cioè quei panzoni in tuta multicolore che sfrecciano (su biciclette che a volte costano quanto un’utilitaria) per le strade extraurbane, sono un’altra categoria, ancor più pericolosa e nociva a sé e agli altri.
anch’io andavo sempre in bicicletta ora vado a piedi o in tram . tre anni fa un auto mi ha tagliato la strada, sono caduta rompendomi il braccio, frattura scomposta, 40 giorni di gesso.
A Milano chi va in bicicletta ( finchè non ci sono piste ciclabili) è un po’ un kamikaze. ci va a suo rischio e pericolo, sapendo di rischiare la vita .
Una città civile dovrebbe avere piste ciclabili. <in una città civile in centro ci dovrebbero essere solo mezzi pubblici, pedoni e bici.
In una città civile… vabbè lasciamo stare… !!!
MC