Roma, 21 novembre 2006 – Caro Direttore, Le scrivo questa lettera aperta dopo che Lei ha respinto, a più riprese, le mie richieste di colloquio diretto e personale. Ho provato un brivido quando ho sentito, nell’incontro col Sindacato, che i giornalisti e l’informazione non erano parte essenziale del progetto originario di Telepace.
Mi sono tornate in mente le parole di Giovanni Paolo II sul frontespizio del volume “Giornalisti abbiate coraggio”, da me curato insieme ai colleghi Guarasci e Ingrao: “Poche professioni richiedono tanta energia, dedizione, integrità e responsabilità come questa ma, nello stesso tempo, sono poche le professioni che abbiano un’uguale incidenza sui destini dell’umanità”.
Mi è tornato in mente il discorso che Lei mi fece quindici anni fa, convenendo che il compito di un’emittente cattolica non è soltanto quello di riprendere e diffondere gli eventi, così come sono, ma di presentarli in un linguaggio idoneo al mezzo. Mi è tornata in mente, soprattutto, la mia prima intervista a un capo di Stato, quando Lei e io salimmo insieme al Quirinale, nel centenario della Rerum Novarum.
Sì, Don Guido, la Dottrina Sociale. Tradirei quel principio temporale e quei principi morali, se oggi non sostenessi l’impegno della FNSI, riguardo a Telepace e al mondo dell’informazione.
So bene che Lei mi considera all’origine di una vicenda che ha portato a contestazioni e accertamenti, non senza concreti riscontri oggettivi. Ma so anche di avere seguito l’imperativo della coscienza e il metodo del Vangelo: appellandomi dapprima a Lei, invano e per lunghi mesi; informando successivamente, con delicatezza e riservatezza, le istanze ecclesiali; solo da ultimo rivolgendomi al Sindacato. So infine – e questo è il punto che mi sta più a cuore – di non essermi limitato a contestare: quale segno efficace di condivisione, Le ho offerto in via conciliativa, sin dall’inizio, la rinuncia ai miei pregressi economici.
Davanti a un sacerdote che rischia di tradire la dottrina sociale della Chiesa e destare scandalo, licenziando i propri dipendenti nel XXV anniversario della Laborem exercens, un laico ha il compito di testimoniare con ancora più forza e sacrificio il principio cristiano della solidarietà, verso i colleghi e verso Telepace stessa. Le offro nuovamente in via conciliativa la rinuncia ai miei pregressi, sufficienti a pagare per un anno l’intera redazione, dato che i nostri stipendi come sa sono tutti bassi, al minimo contrattuale. Le rinnovo altresì l’invito al dialogo, guardandoci negli occhi e guardando avanti, senza vincitori né vinti, facendo tesoro di ciò che ciascuno ha imparato.
Se la ragione dei licenziamenti è davvero economica – come Lei sostiene – il problema per il momento si può considerare risolto, confidando per il futuro nella Provvidenza, secondo lo stile di Telepace. Se invece il motivo è la rivalsa contro i miei colleghi che hanno chiesto equità, e contro di me che ho sostenuto la loro causa, allora sono io ad affidarmi alla Provvidenza, e alla giustizia degli uomini, per i giorni difficili che mi aspettano.
Piero Schiavazzi
Telepace: Schiavazzi scrive a don Guido
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a questo punto, caro Schiavazzi, visto i ripetuti dinieghi di colloquio con l’ormai ex direttore, mi sento in coscienza di rivolgerle un consiglio: gli chieda una confessione, vedrà che non potrà tirarsi indietro. Purtroppo non scherzo.
In primo luogo ringrazio il prof. Accattoli per avermi accolto in questo blog, in secondo luogo la lettera di Piero Schiavazzi non desta in me alcuna meraviglia.
Tanti preti – e questo è un grosso male per tutta la nostra comunità di battezzati e credenti – si riempiono la bocca con parole tipo “dialogo” e “ascolto” ma poi, nel vissuto quotidiano, dimostrano una tale povertà di argomenti, di presunzione e arroganza che non meritano alcuna attenzione.
Non conosco il problema di fondo dell’emittente Telepace, ma sono convinto che in molte “opere ed enti ecclesiali” per i dipendenti laici è difficile capire se si trovano inseriti in una grande “famiglia” dove deve regnare l’amore e la pace così da poter pienamente collaborare col Vescovo diocesano nella sua azione pastorale, oppure se fanno parte di una mera impresa che deve fare i conti col proprio bilancio finanziario e con quelle logiche aziendali tipiche di ditte che perseguono fini commerciali.
Eppoi c’è il problema della “memoria”: gli ecclesiastici “odiano” i documenti scritti, quelle carte in cui si riportano nomi, luoghi, fatti e responsabilità. Ma come si fa a non mettere nero su bianco quando si ha a che fare con un prete che alle nove del mattino dà il via libera al “licenziamento” di un padre di famiglia per far posto ad una suora, e già due ore e mezza dopo – messo di fronte alle sue responsabilità – dice di non aver memoria di quel fatto?
Io ho due figli – spero di averne altri – e se da un lato sarò felicissimo se uno di loro vorrà consacrarsi per tutta la vita a Cristo, dall’altro questa Chiesa fatta quasi sempre e solo dalla gerarchia ecclesiastica mi fa tanto paura, ma proprio tanta paura.
Cordiali saluti, Carlo Silvano
Segnalo ancora che Korazym.org , dopo avere riportato l`interpellanza al Senato sul “caso” Telepace, continua oggi con l`autodifesa di Don Todeschini, riprendendo la sua intervista al Giornale del 12 novembre . Saluti, Luisa
Solo per “rassicurare” che non tutti i preti, pur essenso tutti chierici, sono clericali, è una scelta da legare alla correttezza personale e non solo istituzionale, e poi condivio e rafforzo che il “documento scritto”, come scelta di memoria, deve restare valore prezioso visto che anche i vangeli appartengono a questa categoria. Su Telepace, mi dispiace sempre molto lo svolgersi della vicenda, che in ogni caso resta triste.apprezzo molto l’espressione conciliativa “nè vincitori nè vinti” e penso con un pò di tristezza alla passione di Paolo VI per la “notizia” e alla sua scelta di essere un “cultore della verità”.
Naturalmente invito don Guido Todeschini, o un suo portavoce, o magari un suo simpatizzante a rispondere a Piero Schiavazzi. Parlando non si pregiudica nulla, non vi pare? Ecco intanto l’autodifesa del direttore di Telepace già segnalata da Luisa e apparsa undici giorni addietro sul Giornale. Luigi
“Sono sereno come i condannati che ho assistito fino al patibolo”
di Stefano Lorenzetto
su il Giornale, 12 novembre 2006
Se a Telepace è scoppiata la guerra, la colpa è anche mia. Ho creato senza volerlo due fenomeni, forse dovrei dire due mostri. Altra parola non mi viene. Uno, il veronese don Guido Todeschini, quasi vent’anni fa sul Corriere della Sera: il «Berlusconi di Dio». L’altro, il romano Piero Schiavazzi, nel 1994 su Sette: il «cronista di Dio». Nel caso del secondo, ho un’aggravante: durante il Giubileo l’ho anche fatto diventare un «tipo italiano» sul Giornale. Per forza: accreditandosi come plenipotenziario della Tv del Papa (che peraltro non dipende dalla Santa Sede) era riuscito a intervistare Cossiga, Ciampi, Agnelli, Berlusconi, Gorbaciov, Laura Bush, Rabin, Peres, Arafat, Walesa, Kohl, Mandela, Boutros Ghali, Kofi Annan, De Klerk, Menem, Cardoso, Havel; a intrufolarsi persino alla Casa Bianca, tanto che Bill Clinton affidò a Telepace la cassetta con gli auguri natalizi per Papa Wojtyla; a far celebrare al procuratore Borrelli il processo d’appello al Nazareno, non prima d’aver affidato le indagini della Settimana Santa al capo della polizia De Gennaro, il quale giunse alla conclusione che «Giuda era un collaboratore di giustizia»; ad aver promosso le gambe della Cuccarini e bocciato quelle della Parietti.
L’intervista odierna, che ho praticamente estorto, lungi dal costituire un doveroso atto di riparazione completa il disastro. Ma almeno mi mette in pari con le aggravanti. Capiamoci: qui si parla di mostri mediatici. In realtà, due buoni cristiani. Ma i giornali, che sono brutte bestie, amano far scorrere il sangue. Nell’Arena e nel Colosseo. Va così dai tempi di Nerone.
Il giorno d’Ognissanti ho visto la prima pagina della Stampa e m’è venuto uno stranguglione: «Monsignore spia nella Tv del Papa». Don Todeschini, in realtà, è monsignore. Si parlava di lui. All’interno c’era scritto che «dietro le quinte della Tv del Papa, sono andate in scena per anni vessazioni, umiliazioni, telefonate intercettate, insulti». Il giorno dopo, ricorrenza dei Defunti, il quotidiano torinese rincarava la dose: «Lavoro in nero alla Tv del Papa». Il caso è finito addirittura su Le Monde. E lì, sul quotidiano parigino, ho appreso che Schiavazzi si attribuisce una colpa: «J’ai fait entrer le syndicat, autant dire le diable, à Telepace». Il sindacato, vale a dire il diavolo.
Ecco, qui ho ritrovato per intero la fantasia dialettica di Schiavazzi, in redazione detto Vespetta, «il clone esatto di Bruno Vespa» (Pietrangelo Buttafuoco dixit), «un effervescente megalomane», come ebbi a definirlo con sua orgasmica soddisfazione, che il critico televisivo Aldo Grasso seppellì sotto due righe: «Cristina Parodi è molto più brava e composta di quel narcisista scatenato di Piero Schiavazzi». Paragone illuminante. Non a caso, come ricordava Le Monde, quando il magazine del Corriere pubblicò il mio primo ritratto del conduttore di Telepace, mise d’apertura una foto a doppia pagina del «cronista di Dio» accanto a Yasser Arafat e titolò il servizio così: «Chi è quel tizio con la barba vicino a Schiavazzi?».
Di tutt’altra pasta il «Berlusconi di Dio», 70 anni, prete da 45, giornalista da 31, uomo di ritrosie curiali che detesta apparire e parlare di sé. Infatti scende a Roma solo due giorni la settimana e preferisce vivere a Cerna, un paesino sui monti Lessini, dove nel 1979 fondò Telepace, che qui ha ancora gli studi. Interrompe l’alpeggio solo per seguire il Pontefice in giro per il mondo. Dal 1985 a oggi non s’è perso nemmeno uno dei viaggi apostolici, è stato in 130 nazioni. Unico prete fra gli inviati speciali ammessi sull’aereo papale (Todeschini non è l’unico prete tra i giornalisti ammessi al Volo Papale in occasione dei viaggi del Santo Padre fuori dell’Italia, ndr), è considerato un po’ il loro cappellano (anche questo non è corretto; tant’è vero che è padre Jarek Cielecki, direttore di Vatican Service News, che celebra ogni giorni la Messa per i giornalisti ammessi al Volo Papale, ndr). Il povero Ugo D’Ascia, vaticanista ateo nel Tg2 di Ugo Zatterin, confidava che si sarebbe convertito solo se in punto di morte l’avesse confessato don Guido: un tragico epilogo lo impedì.
Dalla premessa avrete capito che il 99 per cento delle notizie su don Todeschini sono attinte un po’ qua un po’ là e mi procureranno la definitiva scomunica latae sententiae. Una soffiata, di fonte ospedaliera, riguarda l’altruismo del reverendo direttore, che era pronto a farsi togliere un rene per donarlo al fratello Armando, l’ultimo dei cinque Todeschini. Il codice di diritto canonico prescrive che chi riceve l’ordine sacerdotale debba essere provvisto «di tutte le qualità fisiche e psichiche congruenti» e lui, benché vestisse la talare già da un pezzo, per scrupolo andò dunque a chiedere al suo vescovo l’autorizzazione all’espianto. «A un prete non si domanda che abbia due reni, ma un cuore», lo rinfrancò monsignor Giuseppe Carraro, oggi avviato alla beatificazione. I due fratelli erano già ricoverati all’ospedale da 15 giorni quando il professor Piero Confortini, il pioniere dei trapianti di rene che doveva eseguire il doppio intervento, fu stroncato da un infarto sui campi di sci a Cortina. Tenendosi il suo organo malato, Armando Todeschini visse senza problemi per altri 26 anni.
Sempre a proposito di generosità, non v’è stato viaggio papale in cui il direttore di Telepace non abbia affidato al Pontefice una busta gonfia di offerte dei telespettatori, da distribuire brevi manu nei Paesi in cui sbarcava. Una volta, come mi ha raccontato un vaticanista, gliela consegnò mentre Karol Wojtyla s’era affacciato per pochi minuti a salutare i giornalisti. «Oh, finalmente!», esclamò Sua Santità, sventolando l’involucro legato con l’elastico. «Tutti fanno domande al Papa, ma grazie a Dio c’è anche chi dà risposte».
È vero che ha convertito in carcere Marco Furlan, uno dei due ragazzi condannati per 10 dei 15 omicidi firmati Ludwig, fra cui quelli di due frati e un prete?
«Di questo non parlo».
È recluso nel carcere milanese di Opera, come Pietro Maso.
«Lo so».
Lei è il confessore di Maso, lo ha visto piangere per la prima volta. Ha anche portato, su suo incarico, un vaso di gelsomini sulla tomba dei genitori assassinati. Nega anche questo?
«È molto meglio se questa intervista finisce qui».
Insomma, è un fatto che va molto d’accordo con assassini ed ergastolani. Perché?
«Perché in loro vedo il volto di Cristo. “Ero carcerato e siete venuti a trovarmi”. Matteo, capitolo 25. Insieme con dar da mangiare agli affamati e dar da bere agli assetati è anche una delle sette opere di misericordia corporale prescritte dalla Chiesa. I più maledetti, autori di delitti abominevoli, non vanno difesi, bensì aiutati a comprendere il peccato commesso e a redimersi. “Io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva”. Ezechiele, capitolo 33».
Per questo va anche negli Stati Uniti ad assistere i condannati a morte?
«Ne seguo tre, reclusi nel carcere di Livingstone, Texas. Altri due, Ivan Ray Murphy e Bryan Eric Wolfe, sono già stati giustiziati nel braccio della morte di Huntsville».
Sempre nello Stato dov’era governatore George Bush.
«Un bianco di 38 anni e un nero di 44». (Mi regala i due santini che ha fatto stampare in loro memoria). «Murphy mi aveva chiesto di assistere alla sua esecuzione. Non voleva i parenti. Tre giorni prima l’ho confessato e gli ho portato una lettera scritta da Papa Wojtyla. Le sue ultime parole sono state: “Voglio ringraziare tutti quelli che nel mondo hanno pregato per me con Telepace. Padre, sia fatta la tua volontà. Per essere breve: vi amo tutti. Guardiano, sono pronto!”».
Ci vuole stomaco per assistere a una roba del genere.
«I secondini lo chiamano lettino, ma è una croce. È stato legato a braccia aperte e coperto con un lenzuolo, tranne la faccia. Gli hanno fatto tre iniezioni nelle braccia: una di anestetico e due di veleno per fermargli i polmoni e il cuore. I singulti lo hanno scosso per dieci minuti. Sono stato tre giorni e tre notti senza mangiare e senza dormire, non riuscivo a cancellare quella scena. Ma posso dire d’aver visto morire la morte».
E Bryan Eric Wolfe?
«Ha chiesto la cresima, l’eucarestia e l’estrema unzione. La particola sarei riuscito a farla passare, ma non potevo certo ungerlo attraverso il vetro blindato. E lì è accaduto un fatto straordinario: per la prima volta a un estraneo è stato concesso di avvicinare un condannato a morte. L’hanno portato in catene nella sala del barbiere. Cresimandolo, non so perché mi è venuto istintivo dargli lo schiaffo sulla guancia come s’usava nella liturgia di un tempo. Lui è scoppiato a piangere: “Grazie, padre, perché dopo nove anni per la prima volta è la mano di un uomo che mi sfiora, anziché quella di un agente che mi afferra”. Gli ho chiesto di offrire la sua vita per Benedetto XVI. Lui ha risposto: “Sì, la mia vita per la vita del Papa”. Le sue ultime parole sono state: “Mi arrendo completamente a Dio”. L’indomani il direttore del carcere mi ha mandato a chiamare e mi ha detto: “Devo ringraziarla”. E io: di che? “Abbiamo visto il lupo trasfigurato in agnello”. Ha adoperato proprio questo verbo, trasfigurato, senza rendersi conto che è lo stesso che nel Vangelo viene usato per Gesù sul monte Tabor. “Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per 99 giusti che non hanno bisogno di conversione”. Luca, capitolo 15».
Che cosa l’ha portata nel braccio della morte?
«Un telespettatore, un ingegnere romano. Chiamò in diretta chiedendo 20.000 dollari per Hank Skinner, un condannato a morte che si proclama innocente. Io presi paura. La mattina dopo si presentò negli studi una signora con un assegno da 20 milioni di lire. Tre anni dopo servivano altri 50.000 dollari per la prova del Dna. Telefonò un ascoltatore: ne metto a disposizione 20.000 purché vada lei a portarli. Potevo rifiutarmi?».
Perché ha fondato Telepace?
«Non l’ho fondata io. Furono i bambini ospiti a Cerna per un campo estivo nel 1977 a domandare una radio perché i genitori li sentissero da casa. Andai a esporre questa pazza idea al vescovo Carraro. Commentò: “Vedi? Intuizione profetica. Hai capito?”. Sì, eccellenza, ho capito. “No, non hai capito niente. Te lo chiedono i fanciulli, cioè quelli che nella società non hanno voce. Come gli anziani, gli handicappati, i carcerati, i drogati e la stessa Chiesa”. Per questo ho chiamato Telepace “la voce di chi non ha voce”».
Quale fu l’investimento iniziale?
«Sedici milioni di lire. E chi li aveva? Una sfida alla Provvidenza, che ancora continua. Viviamo di offerte».
Niente pubblicità.
«Per statuto. Madre Teresa di Calcutta mi disse: “O si lavora per qualcosa o si lavora per Qualcuno”, con la “q” maiuscola. Telepace deve fare i conti con quello che non ha».
Ma riceve richieste per trasmettere spot a pagamento?
«Un mare. Nel 2000 avevamo l’acqua alla gola, ci avrebbero fatto comodo. Sempre rifiutate».
Richieste da chi?
«Lasciamo perdere».
Insisto.
«Soprattutto istituzioni, tipo ministeri, Ferrovie dello Stato, Telecom».
Quante sedi ha Telepace?
«Verona, Trento, Lodi, Roma, Agrigento, Fatima e Gerusalemme. Ognuna, tranne Lodi, sostenuta da una fondazione autonoma, con un proprio bilancio. Insieme, formano il palinsesto trasmesso sul satellite, che è pagato da Telepace Roma».
Costa molto andare su Hot bird?
(Fa il calcolo, 44×12, su un foglietto). «Sono 528.000 euro l’anno di canone, Iva inclusa».
Come mai nella sua rubrica Lettere al direttore, quando i telespettatori le inviano un’offerta, parla sempre di «goccia» o di «segno», mai di soldi?
«Anche di obolo o di briciola. A me il denaro fa paura. Paolo dice: “È la radice di tutti i mali”. Prima lettera a Timoteo».
Fu il Papa a chiederle di aprire la sede di Roma?«In persona. Più volte. L’ultima durante un viaggio apostolico, con tono bonariamente polemico: “Possibile, don Guido, che il vescovo di Roma non riesca ad avere tanto così di quello che ha il vescovo di Verona?”, e mi mostrò il pollice che premeva sulla falangetta dell’indice. La settimana dopo ero giù. Abbiamo cominciato a trasmettere dalla capitale il 22 agosto 1990».
Però adesso ha licenziato i giornalisti.
«Non abbiamo ancora licenziato nessuno. Siamo stati costretti a sospendere i notiziari».
Perché questa sospensione?
«Per motivi economici. Negli ultimi sei mesi le offerte per Telepace Roma sono diminuite di circa l’80%».
Come lo spiega?
«Nel Centrosud gli stipendi non sono quelli del Nord, e ad aiutare Telepace sono principalmente i poveri e il ceto medio, non certo i ricchi. L’euro ha combinato il resto».
La Stampa ha parlato di «sopraffazioni alle dipendenti, gestione autoritaria da caserma, mobbing e persino assemblee-farsa convocate dai vertici aziendali davanti a tecnici, personale amministrativo e impiegati per discutere sulla sessualità di alcune giornaliste e stabilire se fossero o no vergini».
«Mi meraviglio che Il Giornale dia credito a queste nefandezze».
Ma lei come risponde?
«Menzogne infamanti inventate a tavolino per distruggere Telepace. Sporgeremo querela per diffamazione».
Chi può aver interesse a distruggere Telepace?
«Qualcuno forse c’è. Ma qui ripeto ciò che ho sempre detto: se Telepace è opera di Dio, nessuno riuscirà a distruggerla. È anche vero che mi è stato risposto: “Allora a finire distrutto sarà lei”».
Quanti sono i redattori di Telepace?
«Cinque, più un praticante, tra Verona e Lodi; quattro a Roma. Su un totale di oltre 50 dipendenti».
È vero che in 15 anni non hanno mai ricevuto una busta paga?
«Libro paga e giusta paga ci sono sempre stati per tutti, con regolari cedolini, come ha accertato un’ispezione dell’Inpgi, l’Istituto di previdenza dei giornalisti. E a Roma persino la tessera per fare la spesa e il pieno di benzina in Vaticano».
«Era in nero pure il filippino che faceva le pulizie», ho letto.
«Altra falsità. Lo pago io personalmente, con tanto di busta paga, visto che tiene in ordine anche il mio alloggio romano».
La accusano d’aver silurato il volto storico di Telepace, don Giovanni D’Ercole.
«È un carissimo collaboratore. L’ho sentito ieri per telefono: ha smentito questa velenosa insinuazione. Presto tornerà in video».
Quanto ha pesato in queste vicende il ruolo di Schiavazzi?
«Non saprei».
Nella mia intervista con Schiavazzi, pubblicata sei anni fa, ho rintracciato questa frase attribuita a lei: «Piero è bravo, bravissimo. Ma non lo assiste la Madonna dell’Equilibrio».
«Non mi risulta d’averla pronunciata. So che la disse Paolo VI di un prete. Che Schiavazzi sia bravo, non ci piove».
Perché ha assunto in un’emittente ecclesiale uno che arrivava da Mixer Tv? Una piccola televisione della capitale per la quale girava nei mercatini conducendo sondaggi su temi tipo «Meglio la pajata o l’abbacchio?».
«Io sapevo che veniva da Persona Tv, l’emittente dell’europarlamentare Alberto Michelini, ex volto del Tg1».
Non ha proprio nulla da rimproverarsi?
«D’aver lasciato fare. D’altronde fidarmi della gente per me è la regola. Preferisco essermi sbagliato per eccesso di fiducia piuttosto che aver ragione per eccesso di diffidenza».
Perché ha assunto quattro tecnici musulmani? In Italia, non a Gerusalemme.
«Avevano bisogno. Hanno bussato, gli ho aperto».
Vede un pericolo islamico alle porte?
«Io vedo gli uomini non come nemici, ma come fratelli. Altrimenti Telepace non avrebbe già portato alla laurea in Italia, grazie alle offerte dei telespettatori, 120 giovani provenienti da Libano, Irak, Iran, Israele, Palestina, Egitto, Senegal, Camerun, Etiopia, Brasile, Colombia. In questo momento abbiamo 50 studenti, nelle università di Verona, Padova e Ferrara, che si preparano a diventare medici, ingegneri, farmacisti».
Sta soffrendo per le accuse che le sono state rivolte?
«Molto. Ma sono sereno come i miei condannati a morte. Ripenso sempre alle parole che mia madre mi disse la sera dell’ordinazione: “Ora sei prete. Preparati a patire”».
Da Piero Schiavazzi ricevo questo messaggio:
Caro Don Vito, la mia lettera a Don Guido si ispira proprio al magistero di Paolo VI, otre che di Wojtyla. In un celebre discorso alla Radio Vaticana, Montini avvertì infatti che la sfida dei mass-media, per la Chiesa, non consisteva tanto nell’accedere al mezzo, con strumenti costosi e sofisticate tecnologie, ma nell’impararne la lingua, realizzando programmi originali e innovativi.
Cara Luisa, ho letto anch’io l’articolo del Giornale del 12 novembre. E l’ha letto anche l’extracomunitario dell’emittente, che contrariamente alle affermazioni di Don Guido è stato assunto solo dopo 10 anni (!) e su mia pressante insistenza.
Piero Schiavazzi
Chiedo scusa per questo intervento, che potrà sembrare polemico, ma adesso mi sembra che si stia esagerando con questo voler guardare per forza dal buco della serratura all’interno del passato e del presente di Telepace per conoscere il futuro dei giornalisti della redazione romana. Se non erro, il vero problema è che incombono dei licenziamenti e che c’è una seria vertenza in atto. Perchè, allora, caro Dr Schiavazzi, perdersi sulle date di assunzione del domestico o su altri particolari che proposti a noi sembrano più delle ripicche che altro? Per quanto riguarda Monsignor Todeschini, la mia l’ho già detta nelle scorse settimane: come sacerdote non si discute, il bene che ha fatto e che continua a fare credo sia indiscutibile; come direttore-editore di Telepace, avrà potuto commettere degli sbagli, speriamo in buona fede, ma chi di noi è senza peccato?
Caro Gianluca, non hai bisogno di scusarti per emettere la tua opinione ,anche se contraria al movimento generale, la tua opinione vale quanto un`altra e hai il diritto di esprimerla !
Mi sono sovente espressa su questa triste storia, e ho fatto parte più volte del mio timore che essa degenerasse in un” lavaggio di biancheria sporca” in pubblico . Se da una parte capisco l`amarezza dei giornalisti , il loro bisogno e diritto di difendersi, dall`altra parte mi sembra che lo scenario è scritto , con il buono e i cattivi, il persecutore e le vittime ( a seconda da che lato si guarda la scena ) e temo che ci stiamo allontanando sempre più da una soluzione senza vincitori nè vinti.
Vedremo che seguito avrà la proposizione di Piero Schiavazzi , ma temo che i licenziamenti non abbiano come causa principale le difficoltà economiche. Perchè in effetti, Don Todeschini non ha tirato il campanello d`allarme presso i telespettatori ? Perche non ha sollevato il problema e fatto appello alla nostra generosità?
Se esiste ancora una possibilità di conciliazione spero che essa si svolga lontano dai proiettori .Cari saluti, Luisa
Dalle mie parti si dice: rotta per rotta, rompila tutta che equivale un po’ al Muoia Sansone con tutti i Filistei. Quella di Telepace mi sembra una battaglia ormai persa per i giornalisti, per cui è forse nell’ordine delle cose che ognuno sfoghi la propria amarezza.
Lavaggio dei panni sporchi? Luigi è una persona dignitosa, non permetterebbe certe porcate sul suo blog. Credo stia facendo semplicemente il suo mestiere. E così in fondo lo fanno i giornalisti di Telepace che protestano, dicendo la loro.
Sono lavoratori e urlano il loro dolore. Hanno il diritto di farlo. Se gli operai della Sicilfiat di Termini Imerese vengono messi in cassa integrazione e bloccano i traghetti tutti ne parlano, se cinque cristiani (nel senso più meridionale del termine) restano senza lavoro non è sciacquare i panni.
Un caro saluto.
Piccolo OT simile alle scritte sui muri di Luigi.
Sono in metropolitana, c’è un anziano che parla con una coppia di fidanzatini. Ad un certo punto dice alla ragazza: “Sa che cos’è il segreto per vivere in coppia? Tenersi per mano”. E le prende la mano, poi continua: “Vede? Starete sempre insieme, felici o dispiaciuti, contenti o disperati”. Prima lezione. Poi, voltatosi con un suo coetaneo, dice: “Io sono del ’25, ma la voglia di scherzare non mi passa mai. Mi sento quasi un bambino, o meglio, non del tutto perché sono… rimbambino!” “Pure io”, gli risponde l’altro, e scendono dalla vettura con un sorriso.
Alla faccia di Cicerone e del suo senectus ipsa est morbus
Caro Tonizzo, non pensavo certo a questo blog quando parlavo di “lavaggio di biancheria sporca”, hai un po troppo rapidamente interpretato la mie parole. Mi riferivo fra l`altro a un articolo di un giornalista che se non mi sbaglio si chiama Galeazzi.
Continuo a credere che se in un conflitto è giusto e doveroso che le 2 parti sviluppino i loro argomenti e si difendino, quando questa confrontazione si fa anche per via mediatica, ci si espone al rischio di derive non controllate dai diretti interessati. E ciò non puo che avvelenare un clima già sufficientemente a rischio.
Apparentemente le persone in causa non si sono ancora incontrate o forse mi sbaglio,mi sembra in ogni caso che sia solo così ,occhi negli occhi ,che si potrebbe arrivare a un vero dialogo.
È veramente incomprensibile per me, ma non sono in possesso di tutte le informazioni, che Don Todeschini rifiuti questo contatto diretto e personale con i giornalisti.
Avevo scritto in uno dei miei primi commenti che Don Todeschini rischiava di trasformarsi in vittima innocente , è così del resto che finisce la sua intervista. Purtoppo ho l`impressione che questi abiti di vittima gli vanno a pennello e che non ha l`intenzione di disfarsene, restando così rinchiuso nel suo ruolo .
Saluti, Luisa
Concordo con i sentimenti espressi più volte da Gianluca riguardo a don Guido. Credo che vada rispettata anche la sua scelta del silenzio. Con ciò non si risolve nulla, ma si mettono le cose al loro posto. Resta il diritto alla protesta da parte dei quattro giornalisti e resta il nostro diritto a bussare perchè si faccia chiarezza. Ma c’è anche il suo diritto a non rispondere: lo prevede persino la procedura penale! Luigi
Da Piero Schiavazzi ricevo questo messaggio:
Offrire in via conciliativa i propri pregressi a Don Guido non mi pare che equivalga a “Muoia Sansone”, come leggo nel blog. Al contrario, mi sembra che costituisca una prova di attaccamento all’emittente, forse addirittura un “fatto di Vangelo”, di quelli che Luigi cerca e colloca in altro spazio del suo sito.
Non ricordo infatti, a memoria di cronista, di aver mai visto o sentito di un lavoratore pronto a rinunciare a centinaia di migliaia di euro (di tanto si tratta, secondo le stime dell’INPGI e del Ministero), per venire incontro alla propria azienda.
Per quanto riguarda l’extra-comunitario, infine, non guardo dal buco della serratura. Ma se Don Guido prende il megafono e dalle colonne di un grande quotidiano si vanta di episodi e situazioni che non corrispondono al vero, io ho il dovere di stigmatizzarlo. Non per ripicca. Ma per giustizia. Affinché l’extracomunitario stesso leggendo l’articolo non provi un senso di impotenza e sopraffazione.
Piero Schiavazzi
stamane al santuario della casa di maria a efeso mi sono trovato accanto a don guido al momento della pace e gli ho stretto la mano – luigi
Sovente Don Guido ,durante le dirette dalla Turchia, ha evocato l`importanza di Telepace per queste popolazioni che vivono la loro fede in condizioni difficili. Mi sono chiesta, se pensa avere reso un servizio sopprimendo il solo notiziario dedicato al Papa. Comunque grazie alla presenza in studio di un monsignore, professore di diritto canonico, di cui ho purtroppo dimenticaro il nome, la qualità dei commenti era molto interessante. Ammetto però che molto sovente ho ascoltato l`audio internazionale, in presa diretta senza intermediari . Perchè , purtoppo su Sat 2000, sono sempre confrontata allo stesso commentatore alle prese con con le sue schede, preparato, preparatissimo, direi troppo preparato e che deve decisamente temere il ” vuoto” del silenzio, non so come puo parlare così in fretta , senza una pausa, non fosse che per prendere una buona respirazione !
Mah il mestiere si impara, diamogli tempo!
Come sarebbe bello, Signor Accattoli, che questo scambio di pace potesse avvenire fra Don Guido e i giornalisti romani! Saluti, Luisa
COMUNICATO STAMPA – IL PRESIDENTE DELL’INPGI, GABRIELE CESCUTTI, SMENTISCE MONS. TODESCHINI – CONTESTATI A TELEPACE CONTRIBUTI EVASI E SANZIONI PER 90.000 EURO
Il Presidente dell’INPGI, Gabriele Cescutti, smentisce il Direttore di Telepace Mons. Guido Todeschini, che in una recente intervista al Giornale aveva chiamato in causa l’Istituto, dichiarando: “Libro paga e giusta paga ci sono sempre stati per tutti, con regolari cedolini, come ha accertato un’Ispezione dell’INPGI- Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani”. La smentita è resa nota da Pierluigi Roesler Franz, fiduciario INPGI per il Lazio, che ha divulgato la rettifica trasmessa da Cescutti al quotidiano milanese. Nella lettera Cescutti conferma che l’ispezione c’è stata, ma i risultati sono stati ben diversi da quelli descritti da Mons. Todeschini. “Il verbale ispettivo – scrive infatti il Presidente dell’INPGI – si è concluso con un addebito di 70 mila euro a titolo di contributi evasi e 20 mila di sanzioni”. Cescutti, dopo avere elencato tutta una serie di irregolarità riscontrate dagli ispettori dell’INPGI, informa che l’emittente, anziché versare le somme richieste, “ha impugnato l’ingiunzione di pagamento e che la prima udienza si terrà in marzo.” L’INPGI è un patrimonio comune di tutti i giornalisti. Meraviglia che un religioso come Mons. Todeschini stravolga così la realtà dei fatti, lasciando intendere un rapporto idilliaco con l’Istituto, quando, invece, proprio Telepace ha contestato le risultanze dell’ispezione davanti al Tribunale del lavoro di Roma. Si allega il testo integrale della lettera del Presidente dell’INPGI.
Roma, 2 dicembre 2006 Il Fiduciario INPGI per il Lazio Pierluigi Roesler Franz
ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI “Giovanni Amendola ”
IL PRESIDENTE – Prot. Presidente 451 del 29/11/06
Al Direttore responsabile de “Il Giornale” Dott. Maurizio Belpietro – Via Gaetano Negri 4 –Milano
Egregio Direttore, mi è stata segnalata un’intervista a mons. Guido Todeschini, legale rappresentante di Telepace, pubblicata sul quotidiano da te diretto il 12 novembre scorso, nella quale tra l’altro il religioso parla di un’ispezione attuata dall’Inpgi nella sede dell’emittente, e da cui sembrerebbe che l’accertamento non avesse rilevato alcunché di anomalo. Per la verità le cose non stanno così. Il verbale ispettivo si è concluso con un addebito di 70 mila euro a titolo di contributi evasi e 20 mila euro di sanzioni a seguito di alcune irregolarità contestate sulla base delle prove raccolte. E tra l’altro: 1) è stato accertato che tre giornalisti avevano lavorato in giorni festivi senza che fosse loro corrisposta la maggiorazione per lavoro straordinario prevista dal contratto nazionale; 2) cinque giornalisti, accreditati presso la Sala stampa vaticana, non percepivano la relativa indennità contrattuale; 3) altri cinque giornalisti con contratto di lavoro (e retribuzione) a tempo parziale, in realtà dovevano prestare orario a tempo pieno; 4) per un altro giornalista inserito stabilmente in redazione dal 1/6/2001, l’azienda aveva iniziato a versare contributi solo dal 19/5/2003; 5) il giornalista Piero Schiavazzi, denunciato all’Inpgi con la qualifica di redattore ordinario, svolgeva invece mansioni di vice direttore. – Il relativo decreto ingiuntivo è stato notificato all’Azienda, la quale ha impugnato l’ingiunzione. La prima udienza si terrà nel prossimo marzo. – Ti ringrazio per l’attenzione e ti saluto cordialmente. Gabriele Cescutti
Vicenda Telepace –
Interrogazione alla Camera dei deputati ds Giulietti, Folena, Ciocchetti e Caldarola
CAMERA DEI DEPUTATI
Seduta n. 82 di martedì 5/12/2006
Allegato B
Pagg. 2705-2706-2707-2808
ATTI DI CONTROLLO PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Interrogazione a risposta in Commissione:
GIULIETTI, FOLENA, CIOCCHETTI e CALDAROLA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. – Per sapere – premesso che:
il 5 ottobre 2006 l’emittente Telepace ha annunciato la drastica contrazione dell’attività giornalistica e la chiusura degli spazi informativi della redazione romana, a decorrere da lunedì 9 ottobre 2006;
il 23 ottobre 2006 il direttore e fondatore dell’emittente, monsignor Guido Todeschini, in una lettera alla Federazione nazionale della stampa (FNSI), ha dichiarato l’intento di «cessare i rapporti» con i quattro giornalisti professionisti della redazione, motivandolo con la necessità di «ridurre i costi del lavoro» e di assegnare priorità economica alla spesa per «l’impegno satellitare dell’emittente», a fronte di una «tendenza involutiva delle entrate»;
l’Associazione Stampa Romana, in un comunicalo, ha subito definito la decisione di monsignor Todeschini «un gravissimo atto ritorsivo contro un’intera redazione che aveva trovato la forza di ribellarsi alle vessazioni, alle ingiustizie, allo sfruttamento»;
il 17 novembre 2006, un comunicato congiunto della FNSI e dell’Associazione Stampa Romana ha reso noto il rifiuto di Monsignor Todeschini «di prendere in considerazione qualsiasi proposta tendente a una soluzione concordata per la salvaguardia dei posti di lavoro», con un atteggiamento «che va contro ogni etica e manifesta un incomprensibile cinismo nei confronti dei lavoratori»;
il Presidente della Federazione nazionale della stampa, Franco Siddi, ha invitato le autorità competenti «a fare piena luce su ogni aspetto di una vicenda che assume pieghe grottesche», dichiarando che «il dubbio che tutto ciò accada come ritorsione e ostilità verso i giornalisti appare sempre più evidente»;
la chiusura del notiziario (l’unico interamente dedicato alla giornata del Papa e della Santa Sede) e del programma «Speciale Interviste» (più di 150 Capi di Stato e di Governo, tra cui alcuni dei massimi protagonisti del nostro tempo, da Arafat a Rabin, da Gorbaciov a Mandela), ha suscitato stupore nella stampa italiana e internazionale, inducendo l’autorevole Le Monde ad occuparsene con un lungo articolo («La télévision du Pape quitte Rome», del 1o novembre 2006);
il TG dell’emittente, in onda alle 19,30 e alle 22,30, curato da Angela Ambrogetti, Simona De Santis ed Elisabetta Mancini, ha rappresentato per quindici anni una fonte quotidiana specialistica di notizie dal Vaticano, costantemente seguita e particolarmente apprezzata nelle sedi istituzionali e diplomatiche della Capitale;
le interviste domenicali di Telepace, curate da Piero Schiavazzi, hanno costituito un osservatorio privilegiato sullo sviluppo delle relazioni tra Italia e Santa Sede, ospitando nel tempo: 2 Presidenti della Repubblica (Cossiga, 1991; Ciampi, 1999); 4 Presidenti del Senato (Spadolini, 1993; Scognamiglio, 1994; Mancino, 2000; Pera, 2005); 4 Presidenti della Camera dei deputati (Napolitano, 1993, 1994; Pivetti 1995; Violante, 1998, 2000; Casini, 2002, 2006); 4 Presidenti del Consiglio dei ministri (Amato, 1992; Ciampi, 1993; Prodi, 1996; D’Alema, 1999); 5 Ministri degli affari esteri (Colombo, 1992; Andreatta, 1993; Agnelli, 1996; Dini, 1998, 2000; Fini, 2005);
il Decano del Corpo diplomatico presso la Santa Sede, Giovanni Galassi, ha sollecitato chiarimenti in merito alla chiusura degli spazi informativi di Telepace;
quale riconoscimento della professionalità dei vaticanisti di Telepace, uno di loro è stato scelto dal Ministero degli affari esteri come curatore delle manifestazioni promosse dall’Italia in 40 città del mondo nel XXV anniversario del pontificato di Giovanni Paolo II;
nelle comunicazioni al Sindacato dei giornalisti, monsignor Todeschini attribuisce la contrazione dell’attività giornalistica e la necessità dei licenziamenti ad un calo dell’80 per cento delle offerte, che però riguarderebbe la sola sede di Roma, mentre la redazione di Verona, sede storica dell’emittente, non viene interessata dai tagli, come pure le redazioni di Gerusalemme e Fatima, che proseguono normalmente l’attività, sotto la guida del Direttore medesimo;
nel nuovo palinsesto di Telepace, inviato alla FNSI, i programmi cancellati appaiono peraltro sostituiti da produzioni più costose (dirette di cerimonie, concerti, convegni, collegamenti satellitari), offrendo paradossalmente l’immagine di un’emittente in espansione, non certo in crisi;
nonostante gli inviti «alla moderazione e al dialogo con i giornalisti», rivolti ai dirigenti di Telepace dalle gerarchie ecclesiastiche, come riferito dagli organi di stampa, monsignor Todeschini ha proseguito sulla strada dei licenziamenti, rifiutando il confronto con i propri dipendenti e dichiarando di non sentirsi obbligato a trattare con il sindacato;
Telepace di Verona, nata nel 1977, è di proprietà della Fondazione «Artigiani della pace»;
Telepace di Roma, costituita nel 1990, è di proprietà dell’Associazione Amici di Telepace (già ditta individuale «Telepace di don Guido Todeschini»). Dal 1996 il canale trasmette anche su satellite e ha raggiunto progressivamente il mondo intero;
le due emittenti hanno un’unica programmazione, trasmessa sul satellite dalla sede di Roma e presentata sulla stampa come «palinsesto di Telepace»;
nel 2004 sono state aperte le redazioni di Gerusalemme e Fatima, che afferiscono amministrativamente alla Fondazione di Verona ma si coordinano funzionalmente con la redazione di Roma, inviando direttamente ad essa corrispondenze e servizi giornalistici;
Telepace per statuto rifiuta la pubblicità e vive di contributi di beneficenza;
sebbene Telepace di Verona e Telepace di Roma facciano capo ad enti proprietari distinti (la Fondazione Artigiani della Pace e l’Associazione Amici di Telepace), Monsignor Todeschini, unico direttore di entrambe, nelle richieste di beneficenza rivolte ai telespettatori, attraverso il filo diretto bisettimanale, gli spot e gli stampati promozionali, ha sempre presentato Telepace come un’unica realtà, infondendo nei donatori e nell’opinione pubblica la percezione consolidata che Telepace è una e una sola, come pure la destinazione delle offerte;
l’Associazione Amici di Telepace, nel 2006, ha presentato istanza al Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi del Lazio, ai sensi del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n. 292, per ottenere i contributi previsti per l’anno 2005 a favore delle emittenti televisive locali e, ai fini degli elementi di valutazione previsti dall’articolo 4 del suddetto decreto, ha dichiarato di avere tra i suoi dipendenti quattro giornalisti professionisti assunti a tempo indeterminato e di trasmettere un alto numero di ore di informazione;
nell’istanza presentata al medesimo Comitato il 28 gennaio 2005, per ottenere i benefici previsti per l’anno 2004, l’Associazione aveva peraltro dichiarato di essere in regola con il versamento dei contributi previdenziali;
il 12 aprile 2005 un comunicato dell’Associazione Stampa Romana denunciava «il grave comportamento dell’emittente Telepace, per la sistematica violazione delle norme contrattuali, dello Statuto dei lavoratori e delle leggi, in aperto contrasto con la dottrina sociale della Chiesa»;
il comunicato dell’Associazione Stampa Romana denunciava altresì «le ritorsioni contro i giornalisti» e terminava con l’affermazione e previsione, già allora, che «tali ritorsioni rivelano lo scopo evidente di chiudere la redazione romana, cui non si perdona di avere denunciato all’Ordine e al Sindacato le violazioni della deontologia e della legalità»;
il 12 luglio 2005, un duplice comunicato del Presidente della FNSI e dell’Associazione Stampa Romana denunciava il tentativo di emarginare sul lavoro e nel palinsesto il giornalista Piero Schiavazzi, volto noto dell’emittente, «per avere preso le difese dei colleghi»;
il 15 luglio 2005, i giornalisti di Telepace proclamavano 5 giorni di sciopero «contro la minaccia di chiusura della redazione romana, l’assenza di relazioni sindacali e gli attacchi al fiduciario di redazione, con motivazioni infondate e illegittime» («Nella televisione va in onda il primo sciopero» da il Giornale del 16 luglio 2005; «Contro la minaccia di chiusura, sciopero a Telepace», da la Repubblica del 16 luglio 2005);
la Repubblica del 24 ottobre 2006 e l’Espresso del 2 novembre 2006 hanno riportato la notizia che quattro dipendenti di Telepace sono iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Roma per falsa testimonianza contro una giornalista dell’emittente in una causa di lavoro (sentenza del Tribunale del Lavoro di Roma, n. 10360/06, del 24 maggio 2006), sollevando il sospetto che siano stati «istigati da qualche superiore» (l’Espresso);
articoli e titoli di giornali, da due anni a questa parte, hanno fatto spesso riferimento alle violazioni di legge, della deontologia e dei contratti a Telepace (ad esempio: «Mobbing a Telepace», la Stampa del 13 aprile 2006, «Una bufera sindacale su Telepace», l’Arena del 13 aprile 2006; «Va in onda Telebugia», l’Espresso del 2 novembre 2006) e nell’ultimo periodo hanno posto l’accento sul carattere ritorsivo della chiusura della redazione romana, riflettendo il convincimento diffuso nell’opinione pubblica (ad esempio: «Signori non servite più, e Telepace va alla guerra», Liberazione dell’8 ottobre 2006; «Telepace chiude il TG: i giornalisti ritorsione», la Repubblica del 9 ottobre 2006; «Lavoro nero alla TV del Papa», la Stampa del 3 novembre 2006);
quale sia la spesa sostenuta per l’affitto dei satelliti, che si definisce «irrinunciabile», rapportata, in generale, al bilancio dell’emittente e, in particolare, ai «costi del lavoro sui quali si rende necessario intervenire», consistenti nella retribuzione, ai minimi contrattuali, di un giornalista full-time e di tre giornalisti part-time, né quali siano le spese sostenute per i programmi (cerimonie, concerti, convegni) che attualmente, come annunciato da monsignor Todeschini, sostituiscono gli spazi informativi soppressi, rapportate ai costi di produzione degli stessi;
in contrasto con la prassi consolidata di contatti regolari e diretti fra i giornalisti della redazione romana e i colleghi delle altre sedi, i prodotti giornalistici delle altre «realtà», come monsignor Todeschini ha dichiarato nella lettera in cui annuncia la chiusura della redazione romana, sarebbero stati fin qui trasmessi alla redazione di Roma solo e soltanto attraverso la Fondazione di Verona, quale «unico momento di contatto esistente tra l’Associazione Amici di Telepace e le altre realtà di Telepace» -:
se sia vero che l’Associazione Amici di Telepace, nell’anno 2006, avendo chiesto al Comitato regionale per i servizi radiotelevisivi del Lazio di ottenere i contributi previsti per l’anno 2005 a favore delle emittenti televisive locali, ai sensi del decreto ministeriale 5 novembre 2004, n. 292, e avendo dichiarato, ai fini degli elementi di valutazione previsti dall’articolo 4 del suddetto decreto, di avere tra i propri dipendenti quattro giornalisti professionisti assunti a tempo indeterminato, ha conseguito una collocazione avanzata in graduatoria proprio grazie ai quattro dipendenti giornalisti, che oggi si appresta a licenziare, e all’elevato numero di ore settimanali di informazione riportate nella domanda, ma cancellate dal palinsesto;
se sia vero che, in contrasto con la percezione consolidata dell’opinione pubblica, con la prassi di lavoro instaurata per anni tra i giornalisti delle diverse redazioni e con quanto lo stesso fondatore e direttore ha sempre pubblicamente sostenuto – che cioè Telepace è un’unica «realtà» – Telepace di Roma, come invece monsignor Todeschini ha dichiarato sorprendentemente nella lettera in cui annuncia la chiusura della redazione romana, non intrattiene alcun altro tipo di rapporto né di lavoro con altri giornalisti né con altre strutture societarie, quali Telepace di Verona, Telepace di Lodi, Telepace di Gerusalemme, Telepace di Trento, Telepace di Agrigento, Telepace di Fatima, Telepace di Chiavari, Telepace di Ostrawa; che le predette «realtà sono completamente diverse e distinte dalla Associazione Amici di Telepace di Roma e, sia che si tratti di veri e propri soggetti giuridici o di mere strutture organizzative, non hanno comunque alcun tipo di rapporto con l’Associazione Amici di Telepace di Roma»;
se in definitiva, questa inedita e improbabile rappresentazione a «compartimenti stagni» (Telepace di Roma, di Verona, di Gerusalemme, di Fatima, di Trento, eccetera) di una emittente che nella percezione della Chiesa, dell’opinione pubblica, dei telespettatori e soprattutto dei benefattori ha sempre costituito un unicum, rispecchi l’autentica realtà di Telepace o corrisponda invece a una costruzione giuridica per legittimare sul piano del diritto, non certo dell’etica, quattro odiosi licenziamenti in quella che è universalmente nota come «la TV del Papa»;
se corrisponda al vero che l’amministratore delegato dell’emittente ha ricevuto ed esercitato per un periodo l’incarico di vicedirettore giornalistico, pur non essendo iscritto all’Ordine; che i giornalisti erano tenuti al timbro del cartellino; che i giornalisti erano costretti a fornire a un centralino il numero dei destinatari delle loro chiamate;
se non ritenga di verificare la fondatezza del sospetto, avanzato dalla stampa, che quattro dipendenti di Telepace, indagati dalla Procura di Roma per falsa testimonianza, siano stati «istigati dai superiori», ed inoltre se tale «istigazione», qualora riscontrata, si sia ripetuta e/o possa ripetersi in altre vertenze dei giornalisti di Telepace;
con riferimento al quadro di sistematica irregolarità che emerge dalle denunce del sindacato e dalle continue notizie di stampa, e che ha già provocato l’intervento dell’Ordine dei giornalisti, e – come risulta agli interroganti – dell’INPGI, se non ritenga di verificare urgentemente, con una serie altrettanto sistematica di opportuni accertamenti, se e quali ulteriori violazioni normative siano avvenute e/o avvengano nell’emittente Telepace.
(5-00469)