Il parroco di Verdello, Bergamo, legge il mio libro Cerco fatti di Vangelo e mi scrive segnalando storie. Si stabilisce un contatto ed ecco che ora sono in treno per Verdello dove staserà parlerò sul tema Questa è la Chiesa che amo: uomini e donne testimoni di fraternità. Il parroco si chiama Arturo Bellini e uno dei “fatti” che mi aveva segnalato è questo, prezioso nella sua semplicità: “Qualche tempo fa, ho partecipato al funerale di un nonno di quasi novant’anni. Il figlio mi ha raccontato che il padre sentiva che la sua vita, raccolta nel palmo di una mano, è stata una vita cristiana bella. Lo esprimeva in dialetto che ha un accento ancor più persuasivo: La mé éta l’è stacia béla. Eppure non gli sono mancate difficoltà, come è accaduto alle generazioni dei primi decenni del Novecento. ‘La mia è stata una vita bella’, ripeteva: bella perché, rimasto orfano, ha sperimentato la solidarietà di chi si è preso cura di lui; bella perché ha conosciuto l’amore della moglie per lui, l’amore per i figli e i nipoti; bella perché illuminata dalla fede e dall’amore all’Eucaristia; bella perché vissuta con lo spirito proprio di chi si mette il grembiule del servizio e prende il catino per essere utile alla Chiesa e ai fratelli. Il suo nome è Tarcisio, come il santo martire dell’Eucaristia”. Nel primo commento qualche notizia su Tarcisio Bonati: conviene conoscere chi muore così.
Tarcisio Bonati: “La mé éta l’è stacia béla”
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Tarcisio Bonati [vedi post] nasce a Mozzo l’11 novembre 1921. A 7 anni il papà Giuseppe muore e la mamma Ancilla rimane inferma. Le sorelle gli trovano un posto a Milano presso la casa per orfani delle Ancelle della Provvidenza dove rimane fino a 18 anni imparando il lavoro di linotipista che gli permetterà dopo la guerra di essere assunto presso le arti Grafiche di Bergamo. Nel 1947 sposa Locatelli Luigina, dalla quale avrà 4 figli e trova lavoro al reparto di filatura dello stabilimento Legler di Ponte San Pietro. Va in pensione nel 1980 e segue con la moglie il figlio don Vittorio come custode dell’Oratorio di Zogno dal 1981 al 1985 e poi di quello della parrocchia di Monterosso in Bergamo, fino al 1992. Successivamente svolge il servizio di sacrista (per 17 anni fino a quando la salute ha retto) presso la Chiesa della Madonna del Bosco in Bergamo, dove muore in parrocchia il 28 marzo 2011. Negli ultimi mesi amava in carrozzella scendere alla Messa tutti i giorni e poi fare ogni giorno la Comunione. Quando gli fu impossibile deglutire l’Ostia consacrata per due giorni fece la Comunione con il Sangue di Cristo, ricevendo alla sera l’Olio degli infermi. I funerali si sono svolti il 31 marzo 2011 a Ponte San Pietro. E’ sepolto nel Cimitero di Ponte San Pietro.
Per parole simili a quelle di Tarcisio Bonati, vedi “Il Signore è stato troppo buono con me. Mi ha dato una vita bellissima“.
Luigi: conviene proprio conoscere chi è vissuto così, che è poi il perché è morto così.
Se ne notano altre di vite “normali” come questa, ne conosco qualcuna anch’io.
Mi pare di notare che sono vite di persone semplici, ma non nel senso di sempliciotte, nel senso che lascano semplici le cose semplici.
Che possa essere una “staregia di vita” vincente?
Viene da chiedere di lasiarci essere semplici.
Muore cosi’ perche’ vive cosi’.
Me lo ripeto: per imparare a morire bisogna imparare a vivere (e viceversa).
Cosi’ la morte (e cio’ che viene dopo la morte) diventa il senso della vita.
Il Risorto e’ il Crocifisso; il Crocifisso e’ Risorto.
Marcello Marchesi diceva: L’importante e’ che la morte ci colga vivi!
Mezzo OT –
Pochi post fa si accennava al Leopardi, convertito ad icona della felicita’ da qualche suo entusiasta compaesano… Il suo “A se stesso” proclama “l’infinita’ vanita’ del tutto”; il signor Tarcisio canta l’infinito senso-bellezza del tutto. Chissa’, magari perche’ -a differenza del Leopardi- non ha messo se’ stesso al centro del “tutto”!
La mé éta l’è stacia prope béla. Grasie Tarcisio.
Sperem be po’ noter!
Ma che tristezza, si continua a parlare di morte. Sembra che non ci siano altri argomenti. Che strano, il Cristo è venuto a parlare di vita, e si continua a pensare alla morte. Perché mai se la morte è stata e vinta ? ( 1 Cor 15.57)
Il Cristo è venuto a parlare delle bellezze che ci circondano e si continua a parlare di disgrazie e tristezze. Ma cos’è una fissa ? Piangersi addosso per suscitare compassione ? Magari per ottenere qualche vantaggio ?
Ma nessuno ha mai visto le farfalle ? Mai visto un campo di grano ondeggiare al vento ? O le piume di un fenicottero ?
Nessuno si è mai accorto chele chiese sono luoghi lugubri, depositi di cadaveri ? piene di ossa di morti ?
Basta uscire fuori per vedere la luce. Il sole splende fuori mica dentro. Eh che …..
L’importante e’ che la morte ci colga vivi! ( Marcello Marchesi) – Per una volta sono d’accordo con Mabuhay
http://www.avvenire.it/Chiesa/Pagine/martini-la-grandezza-dell-umilta.aspx
Mabuhay fai attenzione: Leopardi va maneggiato con cura.
– “l’infinita’ vanità del tutto” traduce Qoelet: “Vanità delle vanità, dice Qoèlet, vanità delle vanità: tutto è vanità”;
– ma Giacomo sapeva che c’è la via per vincere l’infita vanità ed è quella di farsi fanciulli: “I fanciulli trovano il tutto nel nulla, gli uomini trovano il nulla nel tutto” (Zibaldone 527);
– egli e Qoelet sono “uomini” e dunque trovatori del nulla;
– se ci faremo fanciulli troveremo “il tutto nel nulla”: questo Leopardi non ti ricorda Qualcuno?
Luigi: giusto per sentirti in buona compagnia – non solo con il Leopardi – anche Kempis scrive che la raffigurazione totalmente negativa della vita che il Qoeleth fa è stata la più alta sapienza, poiché ha valutato tutte le cose vane e inutili, dando priorità unicamente al servizio di Dio.
Ma il Tarcisio non nega la vanita’ , ne’ le sofferenze e ciononostante dice che la sua vita e’ stata bella. Miseria e dolore, fallimento e frustrazione ci sono e ci saranno per tutti sino alla fine; il senso che ne do’ cambia tutta la prospettiva ed “il gusto” della vita. Il Leopardi e il Kempis , sacrilego accostamento! – definiscono il loro senso “infinita vanita’ del tutto”. Il Tarcisio ne vede il bene, il fine positivo, l’amore e la misericordia di Dio e degli uomini; il “tuo” Leopardi non riesce ad andare oltre a “l’inganno estremo”, a ”l’infinita vanita’ del tutto”. O al massimo un: “…Amaro e noia la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo… … Al gener nostro il fato non donò che il morire.” Ma come il Tarcisio mi insegna, c’e’ modo e modo di morire (e di vivere).
E per carita’, io il Leopardi “lo maneggio” da pivello! Davvero.
Luigi forse può andare oltre citando i riferimenti “al dio ignoto” di Leopardi…
E naturalmente condivido che “l’altro” Leopardi, quello del tutto nel nulla, porta inevitabilmente a Qualcuno!
Le illusioni della vita. Dopo la vita il nulla.
Eppure “l’ Infinito” di Leopardi esprime un’ ansia quasi religiosa, sembra una preghiera silenziosa e intensa.
L’abbandono del poeta, nello stupore, all’infinità del tutto e il suo “naufragar m’è dolce in questo mare” parlano di un sentimento di pace non diverso da quello di un credente che questa pace trova nell’affidarsi interamente a Dio.
Ognuno, prima o poi, esprime a modo suo il desiderio che Dio esista.
Luigi, rinnovo la domanda di qualche giorno fa: sei mai stato sul colle dell’Infinito? Com’ è?
Marilisa ci sono stato tantissime volte: io sono nato a Recanati e lì sono restato fino agli anni dell’Università. Lì torno spesso dai miei parenti e amici. Il Colle dell’Infinito è il primo tra i luoghi leopardiani che fai vedere agli amici ed è anche quello che meglio ogni lettore del poeta “abita” a suo talento, perché altro non è che la veduta – o l’immaginazione – di un panorama, quello verso la valle del Potenza e i Monti Sibillini. Una veduta grande ma schermata da un muro, più che da una siepe – muro e siepe che chiudono a sud e a occidente l’orto del monastero di Santo Stefano. In questo video – un po’ sospiroso – puoi vedere il sentiero che Giacomo percorreva per andare dalla sua abitazione al presunto suo punto di ascolto dell’infinito silenzio: http://www.youtube.com/watch?v=ldqmSCfDgVw
Quel punto o terrazzo orla in alto una sporgenza – o un promontorio – del colle su cui si snoda la città di Recanati, ma non è un colle a sé. E’ la magia dei versi leopardiani che gli ha dato quel nome e quella figura: Colle dell’Infinito. Che lo ha cioè staccato dal continuum del colle e del “borgo” di cui fa parte. L’ha come posto a parte perché dica a chi voglia udirli gli interminati spazi e i sovrumani silenzi e la profondissima quiete che egli lì un giorno avvertì.
A proposito di storie…..Qualcuno ha letto “spe salvi” di BXVI ? Link
§ 5 “ un testo di san Gregorio Nazianzeno può essere illuminante. Egli dice che nel momento in cui i magi guidati dalla stella adorarono il nuovo re Cristo, giunse la fine dell’astrologia, perché ormai le stelle girano secondo l’orbita determinata da Cristo”
Sembra che non ci si possa aspettare un parere nè scientifico nè informato da personaggi che si muovono in tali prospettive mentali. Vero ? Infatti è Cristo che ogni giorno detta l’oroscopo ai giornalisti.
“La vita non è un semplice prodotto delle leggi e della casualità della materia, ma in tutto e contemporaneamente al di sopra di tutto c’è una volontà personale, c’è uno Spirito che in Gesù si è rivelato come Amore” Già, sembra proprio vero però, non considera che : ““Siamo convinti che il cumulo delle prove permetta, al di sopra di ogni seria contestazione, di applicare il concetto di evoluzione all’uomo e agli altri primati” (.Pontificia Accademia delle scienze)
“Ci sono tante prove scientifiche in favore di un’evoluzione che appare come una realtà che dobbiamo vedere e che arricchisce la nostra conoscenza della vita”. — PAPA BENEDETTO XVI http://www.paoline.it/stampaPagina.aspx?t=7&idp=908
Non è che stava sul colle dell’infinito con un bicchiere di “brunello” o era un “borro del diavolo”? . Non bisogna esagerare col vino….. anche se fa buon sangue.
Per Luigi, Marilisa e…..chiunque apprezza
http://www.youtube.com/watch?v=Te8tyDDsh2A&feature=related
da parte di una delle più belle voci del teatro italiano
Grazie Luigi. Mi è sembrato un luogo di grande suggestione, forse anche perché vi si respira inevitabilmente, solo a guardarlo, l’aria dell’ “infinito” leopardiano.
Magia del silenzio che parla di un grande Poeta.
Una “profondissima quiete” che svela la pace divina.
Molto bella la tua descrizione del luogo, Luigi.
Grazie Principessa. Da quando ho un figlio negli States ti sento più vicina.
Grazie Principessa. Splendida interpretazione di Nando Gazzolo. Altrettanto belle quelle di Vittorio Gassman, di Carmelo Bene, di Arnoldo Foà.
Impossibile non metterci l’anima nel recitare i versi sublimi dell’Infinito. Un capolavoro.
Io adoro questo “canto”. Mi fa toccare il cielo.
Lieta che sia tornato Leopardi. Speriamo che ritorni spesso.
Di nonno Tarcisio mi è piaciuto tanto leggere di quella sua vita “cristiana bella” che lui sentiva “raccolta nel palmo di una mano”. Mi sono raffigurata quella mano come le mani dei santi che nelle pitture e sculture medioevali si vedono tenere accolta e raccolta e custodita una intera città, per presentarla a Dio.
Questo blog mi ha sempre affascinato perchè oltre alle magnifiche storie riportate su temi di vita “comune” – come nonno Tarcisio, nel caso in questione -, riesce pure ad esporre pensieri profondi e disquisizioni intelligenti su argomenti di teologia, di filosofia e di poesia (il mio amato Leopardi, ritratto superbamente, senza datati preconcetti ideologici!).
Talvolta – pur con le dovute differenze – sembra di ritrovarsi nella Stanza della Segnatura decorata da Raffaello!
Che sia un aggancio, più o meno consapevole, alla via pulchritudinis, di cui tanto parla BXVI?
A tal proposito, mi piace ricordare H. U. Von Balthasar, la cui teologia si è particolarmente concentrata sui rapporti fra verità ed estetica [ogni forma di estetica “umana”]. Hans Urs von Balthasar apre la sua grande opera intitolata “Gloria. Un’estetica teologica” con queste suggestive espressioni: “La nostra parola iniziale si chiama bellezza. La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto”.
Continua poi: “Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma che ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza. Essa è la bellezza che non è più amata e custodita nemmeno dalla religione”. E conclude: “Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è più capace di pregare e, presto, nemmeno di amare”.
La via della bellezza ci conduce a cogliere il Tutto nel frammento, l’Infinito nel finito, Dio nella storia dell’umanità.
[La filosofa francese Simone Weil [1909-1943] scriveva a tal proposito: “In tutto quel che suscita in noi il sentimento puro ed autentico del bello, c’è realmente la presenza di Dio. C’è quasi una specie di incarnazione di Dio nel mondo, di cui la bellezza è il segno. Il bello è la prova sperimentale che l’incarnazione è possibile. Per questo ogni arte di prim’ordine è, per sua essenza, religiosa”.]
Complimenti sinceri a Luigi e a chi è innamorato della Bellezza, e così fa vivere con passione il Blog!
Ma Leopardi, secondo me…è più che la somma delle sue poesie. Leopardi è un pensatore, un profeta, un folosofo, un uomo dalla sapienza sconfinata; limitarlo al ruolo di poeta sic, per quanto straordinario, lo si limiterebbe. Lui è paragonabile a un sofista, a Protagora ad esempio, il quale pone l’uomo a misura di tutte le cose, “di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono in quanto non sono”, e in questa maniera fa propria la nozione di relatività dell’esistenza ponendo in essere una verità mai assoluta, diversa per ciascun individuo e una non meno valida delle altre. Tant’è rifiuterà le idee assolutiste di Platone – da sempre contestatore di Protagora- pur amandolo e sentendosene fortemente sedotto: lo sfiora, ma per sua natura,è impossibilitato ad attingerlo in profondità. Esempio, tracce di un Platone accolto e insieme – anche dolorosamente – negato, le troviamo nello “Zibaldone”, ma anche nelle “Operette morali” e – soprattutto – nella poesia dei “Canti”. Platone è definito da Leopardi “il più profondo, più vasto, più sublime filosofo di tutti essi antichi che ardi concepire un sistema il quale abbracciasse tutta l’esistenza”. Resta per lui un punto fermo con cui misurarsi….Misurarsi appunto….senza per questo condividerne i principi di fondo..
corrige: filosofo…
P.S
[questa teoria su Leopardi -più che una tesi- è una mia elaborazione, che potrebbe non essere condivisa, ovviamente]
Riprendendo il tema del post proposto da Luigi (sulla vita semplice di questo uomo di Dio e di preghiera: Tarcisio, che se ne torna alla casa del padre, sazio di anni, grato a Dio per la vita trascorsa e con la cesta colma di doni) al qual anche fiorenza riferisce in quel commento di ieri @ 23:45.
Ad esempio, trovo illuminante le ultime battute di quel “Dialogo del venditore di Almanacchi ad un passeggere” , che si trova nelle Operette Morali :.
Passeggere. Oh che altra vita vorreste rifare? la vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?
Venditore. Lo credo cotesto.
Passeggere. Né anche voi tornereste indietro con questo patto, non potendo in altro modo?
Venditore. Signor no davvero, non tornerei.
Passeggere. Oh che vita vorreste voi dunque?
Venditore. Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
“Una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti”.
Lo trovo …straordinario…
La mé éta l’è stacia béla… basta ciapala come la e’ (basta prenderla come viene) avra’ anche detto Tarcisio per completare la pillola di… saggezza bergamasca con una delle tante epressioni che tradotte in italiano sembrano persino banali… Per la nostra gente invece evocavano un sostrato umano e di vita immenso… Come quando la mia mamma vedova mi ha detto una cosa sola quando sono diventato prete e missionario: Regordet di poarecc… (ricordati dei poveri). L’aggettivo sostantivato in italiano ed anche in ecclesialese e’ obsoleto… In bergamasco mi fa venire ancora la pelle d’oca e le lacrime agli occhi dopo 26 anni…