“Le misure drastiche non sempre sono buone” ha detto ieri Francesco parlando della chiusura delle chiese chiesta dal Governo e attuata dal Vicariato di Roma. Con quelle sette parole, pronunciate nel giorno del compimento del settimo anno di Pontificato, Bergoglio ha confermato d’essere ancora un Papa scomodo, proprio come apparve fin dalla prima uscita sulla loggia di San Pietro. – E’ l’attacco di un mio scorciatissimo articolo sui sette anni bergogliani pubblicato oggi dal “Quotidiano del Sud”. Lo riporto per intero nei primi tre commenti e poi torno sulla questione delle chiese chiuse e riaperte.
Sui sette anni di Bergoglio Papa scomodo ieri e oggi
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Riformare Curia e Chiesa. Un Papa scomodo sull’Islam, sul commercio delle armi, sulla pena di morte, sulla Cina, sull’Amazzonia, sui migranti e ora anche sulla chiusura delle chiese nei giorni del Covid-19. Che non abbia condiviso una decisione del Cardinale Vicario di Roma, o che abbia cambiato idea rispetto a una decisione che aveva condiviso, è un fatto che ha disdetto ieri quello che era stato detto l’altro ieri.
Eletto per riformare Curia e Chiesa, ha scoperto in queste sette anni che l’impresa è più grande di quanto non gli fosse apparsa al momento della fumata bianca. Chi non vuole le riforme l’accusa d’essere eretico e i più impressionabili gli chiedono di dimettersi. Ma la bufera non lo spaventa.
Ha ripreso le riforme dove le aveva lasciate Paolo VI e quella ripresa ha riacceso nella Chiesa il dibattito che c’era stato negli anni del Vaticano II, tra il 1962 e il 1965. Che vi sia disputa sulle grandi questioni lo ritiene un segno di vitalità.
Limiti e incidenti. Com’è ovvio non mancano i limiti e gli incidenti in questo Pontificato controvento. Un limite è nel metodo del governo: per non lasciarsi ingabbiare dalla Curia ha scelto di non avere aiutanti alla regia ma questo procedere in solitaria lo espone a errori nella scelta delle persone e ad imprudenze di linguaggio.
Neanche gli errori lo bloccano: “Se sbaglio, con un po’ di vergogna chiedo scusa e vado avanti”, ha detto una volta. Infatti ha chiesto scusa in più occasioni, dalla forte vicenda del trattamento degli “abusi” durante la visita in Cile del 2018 a quella minima dello scatto d’ira verso una donna cinese che lo strattonava in piazza San Pietro lo scorso 31 dicembre.
La libertà di gesto e di parola gli acquista simpatie. Il richiamo radicale alle esigenze della carità, poniamo sull’accoglienza degli immigrati o sul rispetto degli omosessuali, gli procura nemici. Nemici tra i chierici e simpatie popolari. Simpatie tra i lontani e ansie tra i vicini.
Si è fatto prudente? Forse ultimamente si è fatto più prudente: lo si è visto in particolare con le riforme che gli aveva chiesto il Sinodo dell’Amazzonia. Tra le richieste c’era l’ordinazione di diaconi sposati e il diaconato per le donne, riforme che non ha negato ma che di fatto ha rinviato.
La capacità di vicinanza ai sofferenti resta la sua carta più forte. Lo si vede in maniera nuova in queste giornate di riduzione delle attività pubbliche e di concentrazione sulle meditazioni dalla cappella di Santa Marta.
In quelle omelie del mattino, che ora vengono date in diretta, offre il meglio del suo magistero ispirato al Vangelo. Chissà che questo nuovo approccio non allarghi la schiera di chi subisce il contagio della sua schietta umanità.
Ciò che è chiuso sarà riaperto. Leggendo e interrogando mi sono fatto l’idea che il cambio quasi in corsa della decisione sulle chiese sia stato dettato – al Papa e al Vicario in solido – dalla protesta di alcuni parroci. La decisione del Vicario era condivisa dal Papa e da ambedue adottata con sofferenza (vedi preghiera papale del 10 marzo “perchè i sacerdoti abbiano il coraggio di uscire e andare dai malati”) e in segno di solidarietà verso le autorità italiane (vedi intenzione papale del 12 marzo “perchè i governanti si sentano accompagnati dalla preghiera del popolo”). Ma sono seguite vive proteste di un gruppo minoritario ma non trascurabile di preti. Proteste andate per loro vie sia al Vicario sia al Papa. Una parte in questo ripensamento pare l’abbia svolta il cardinale polacco Konrad Krajewski, “elemosiniere del Papa”: quello che in ottobre calandosi in un tombino aveva riallacciato la corrente di uno stabile romano occupato. Ebbene ieri mattina don Konrad, come lo chiamano quelli che l’aiutano a portare tre volte alla settimana cibi caldi e coperte ai senzatetto che bivaccano per Roma, ha avuto un nuovo raptus evangelical: è andato alla chiesa di cui è titolare – l’Immacolata all’Esquilino – e l’ha spalancata dichiarando che “nel pieno rispetto delle norme di sicurezza” era suo diritto “assicurare ai poveri una chiesa aperta”. Ma prima di andare era passato a Santa Marta a fare gli auguri al Papa per il settimo compifumata. Legando insieme questi fuscelli si ottiene la fascina dei due decreti, dove il secondo è – a mio parere – migliore del primo.
Rif. 13.18 – Cardinali fedeli e infedeli
Dato che siamo all’indagine poliziesca circa il retroterra e il senso delle parole del papa, il 13 marzo, rimarrebbe da capire – per la parte svolta dal cardinale Krajewski – a che ora lui ha visto per gli auguri il papa, che ha parlato delle “misure drastiche” alle ore 7.
Indagine poliziesca. Non conosco l’ora in cui l’elemosiniere ha visto il Papa. La fonte dell’abboccamento è questo servizio di Vatican News che non la dice:
https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-03/cardinale-konrad-krajewski-chiesa-coronavirus-poveri-esquilino.html
Conoscendo il fattivo personaggio don Konrad e il suo rapporto spesso conflittuale con il Vicariato, immagino che abbia seguito in tv la celebrazione papale, abbia ascoltato le parole sulle “decisioni drastiche”, subito sia andato a salutarlo e in mezzo al saluto gli abbia detto che non era d’accordo con la chiusura stabilita dal Vicariato e gli abbia anche annunciato che lui, la sua chiesa, l’andava ad aprile. Mettendo in fila i fuscelli si ottiene questa sequenza:
– il cardinale Vicario pubblica il decreto concordato con il Papa alle 19.00 circa di giovedì 12;
– parroci e altri preti protestano sia con il Vicario sia con il Papa tra le 20 e le 22 dello stesso giorno;
– il Papa pronuncia le parole sulle misure drastiche alle 07.00 di venerdì 13;
– poco dopo – poniamo alle 08.00 – Krajewski parla con il Papa e va ad aprire la sua chiesa: la notizia di Vatican News è delle 10.30;
– verso le 13.00 arriva il nuovo decreto.
Intendo dire che considero efficaci le parole e il gesto dell’elemosiniere in ordine alla decisione sul nuovo decreto, ma non in ordine alle parole dette dal Papa alle 07.00.
In un certo senso siete ammirevoli. Come quei soldati giapponesi che rifiutavano di arrendersi (in questo caso, all’evidenza) e continuavano a combattere per l’imperatore anche dopo la sconfitta.
Rif. 15.36 – Onore dei cardinali (con disonore del papa)
Qualcuno forse si augurerebbe che De Donatis e Krajewski pubblicassero mail o telefonate registrate del papa – se ci sono – per salvare il loro onore, come Sarah con papa Ratzinger.
Mio padre, militare, mi diceva che ai suoi tempi correva questo motto militaresco: ricevuto l’ordine, attendere il contrordine per ottenere il disordine.
Il Vicario del papa emana un decreto, il papa parla in modo critico, il vicario emana un nuovo decreto che lo modifica sostanzialmente ma allo stesso tempo tempo conferma che anche il primo era stato concordato con il pontefice e che dunque il cambiamento in tempi rapidissimi era da attribuire non a se stesso ma al papa. Di norma un vice « copre « il’suo capo. Che brutta storia.
Vangelo domenica 15 marzo 2020 (III Quaresima, anno A)
Gv 4, 5-42
In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».
Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica».
Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Gesù dona la grazia a misura, passo dopo passo, nel cammino ben al di là degli schemi di ogni specifica persona. Alla donna adultera che volevano lapidare, in quel momento della sua vita, offre il perdono e le infonde una parola di grazia su una nuova maturazione affettiva. Un dono nel tempo opportuno. Alla samaritana che aveva una vita sentimentale almeno esternamente più disordinata non ripete la stessa formula, allora prefabbricata. Le chiede da bere. Perché ha sete ma anche e soprattutto perché quella donna, che in certe cose non aveva ancora ricevuto luci dal cielo in altre era, per grazia, più matura di tanti benpensanti con un solo coniuge. Capace di dare l’acqua faticosamente attinta al pozzo (di Giacobbe, le tradizioni, le correnti, le ortodossie, le eresie…) ad un nemico. Cristo vede ancora una volta la bellezza di quella persona al di là di tutte le apparenze e attinge alla grazia della samaritana. Quella donna gradualmente si scopre con stupore, per la prima volta, compresa, amata, aiutata a comprendersi con serenità: vede che Gesù è un profeta, non nel senso di indovino ma perché le fa percepire l’amore di Dio. L’acqua attinta sempre furtivamente, in ore troppo calde, fuggendo dai moralismi prefabbricati, che non dissetano. Invece ora ecco un ortodosso che chiede aiuto ad una eretica, un bempensante ad una squinternata. Una gioia nuova di donarsi, liberamente. Un amore sincero, maturato sinceramente, non obblighi meccanici. Non formalismi, convenzioni, dentro il tempio ma Spirito e verità. Quella donna fuggiva scandalosamente da tanti moralismi cercando a tentoni una vera sé stessa, risposte umane. Aspira confusamente ad un’acqua di sorgente semplice e bella, non a cisterne screpolate di doppiopettismo. Ecco questo Amore esiste e non finisce di sorprendere, di dissetare: è un’acqua che zampilla (non grigia, noiosa, come tante false austerità) per la vita eterna. Ossia per quella felicità a cui lei aspira. Fuoco di speranza prima sommerso da tanta cenere di giudizi senza cuore, di risposte prefabbricate, di ostilità. L’amore autentico può essere solamente libero, liberante. Cristo (l’acqua viva) e la donna (l’acqua umana) trovano più profondamente sé stessi in quell’incontro. Giudei e samaritani trovano più profondamente, in modo nuovo, sé stessi in quell’incontro. In quell’amore l’affettività della donna è guarita, torna con un cuore nuovo, libero, dal marito (samaritano) vero. Evidentemente quel primo non era stato un rapporto nel profondo fasullo. Ma si era perso in un mare di confusione. Paradossalmente quella donna dai sei mariti torna da quello vero insieme ad un settimo suo sposo. Gesù sorprende sempre, rovescia le impalcature fasulle, porta aria nuova, tersa e fresca. Libera l’amore ferito, oppresso, ingabbiato. Che allora più non sente. Da un sorso d’acqua donato genuinamente, al di là di tanti interessi e convenzioni, si converte tutto un paese di gente considerata eretica, sbagliata come la nostra protagonista.
Una storia
Un uomo si confessa e trova un prete che manifesta la propria disponibilità ad ascoltarlo, se lui vuole fargli comprendere quello che sta vivendo. Era molto sofferente perché la moglie voleva lasciarlo. Avevano quattro bambini. Era anche addolorato di aver trascurato la moglie. Ora confessandosi vedeva meglio alcuni errori commessi. Ma voleva bene alla donna e desiderava tanto rimediare. Il sacerdote gli dice che Dio comprende con amore la sua storia. Dopo qualche tempo quel marito ritorna dal parroco. La coniuge non ne vuole sapere. Anche se lui cerca di starle più vicino lei ormai non è più innamorata. Perché devono stare ancora insieme? Il sacerdote dopo qualche tempo di vari tentativi che il marito gli riporta gli chiede se non sia possibile parlare anche con la donna. Come vorranno, insieme o ciascuno per conto proprio. Lei è molto scettica ma comunque acconsente. Ma questa non è una cosa da poco. Quando nella coppia entrambi sono anche solo un poco aperti nella stessa direzione la grazia può operare con potenza. La signora vuole parlare da sola. Racconta la loro storia. Pare non esservi nulla di irreparabile ma il suo orientamento non cambia. Due mesi dopo la coppia comunica al prete che per il lavoro del marito staranno fuori per sei mesi. Il parroco dialogando con quella moglie le ha manifestato che Dio le vuole bene, la comprende. Che fa bene a cercare la vera sé stessa. Che solo in questo amore senza schemi prefabbricati possiamo trovare il bandolo della matassa della nostra vita. Ora però in quell’ultimo colloquio non vorrebbe lasciarla senza possibili piste da seguire, anche se avrebbe preferito accompagnare la sua ricerca più gradualmente. Importante che lei viva quello in cui crede. Dunque se quello che le dirà non lo sente suo non deve viverlo forzatamente. Dio la porta con amore sul suo autentico cammino. Ma se lei può liberamente maturare questa scelta una risposta ci sarebbe. Dare la vita per i figli e restare col marito. La donna, che era stata ascoltata con tanta delicatezza, resta un poco spiazzata, quasi arrabbiata, ma percepisce l’amore con il quale la proposta le è stata fatta. Senza schemi. Partono. Trascorso il semestre il prete un giorno la vede in parrocchia, con i bambini, raggiante. Chissà magari avrà trovato un altro partner. Ma la giovane mamna gli racconta che ha deciso dopo un primo sconcerto di dare la vita per i suoi figli. Questa scelta poi le ha messo in cuore una positività che l’ha portata ad innamorarsi di suo marito più di prima.
Beppe potrebbe essere che il secondo decreto sia migliore del primo e questo acquisto mitigherebbe la bruttezza della storia, non credi?
Certo, il secondo è meglio del primo, non c’è dubbio. Resta brutta la storia, al di là dei contenuti
Dice giustamente Beppe Zezza che «di norma un vice “copre” il suo capo». Si saranno anche un po’ stufati …
Rif. 20.54 – Brutta (o bella) storia
Meno male che la storia dei “due decreti” (così importante?) ha oscurato la gioia per i sette, evangelici, anni di pontificato. Che infatti nel blog ha ricevuto meno attestazioni della saga dei due decreti. Alla fine non ho capito se ne esca meglio il papa che avrebbe cambiato (in meglio) la prima decisione o il vicario che osa “attribuire” ordine e controordine al suo capo. Di certo è uscito un po’ di disordine sul blog che ha allietato alcuni.
Quanto ai vice che non coprono il loro capo l’esempio recente più lampante è Sarah con papa Ratzinger; e, a suo tempo (2009, mi pare), quelli che hanno lasciato l’ignaro papa a fronteggiare da solo il caso del negazionista Williamson nell’affare ritiro-scomunica .
Rif 12.57
Mal comune, mezzo gaudio?