Al Concistoro straordinario di venerdì il cardinale Tauran ha parlato del “segno incoraggiante rappresentato dalla lettera delle 138 personalità musulmane” arrivata al papa in ottobre e alla quale “presto” sarà data “una risposta”. Domanda: la Santa Sede, cioè il papa, risponderà da sola? Non sarebbe meglio se rispondesse insieme agli altri 26 leaders delle Chiese cristiane che erano nominate nell’intestazione della lettera? Essa è infatti concepita come un appello delle “Guide religiose musulmane” indirizzato alle “Guide delle Chiese cristiane in tutto il mondo”. Non solo cita le Scritture ebraico-cristiane nel loro testo canonico ma anche si rivolge agli interlocutori con perfetta conoscenza dell’ufficialità cristiana e li elenca secondo l’ordine di precedenza corrente da anni in ambito ecumenico: per primi vengono il papa e gli altri quattro patriarchi maggiori, seguono i patriarchi di Mosca, Serbia, Romania, Bulgaria e tutta l’Ortodossia e le Chiese orientali non ortodosse, il primate anglicano, i presidenti delle famiglie confessionali della Riforma e del Risveglio, il segretario del Cec. Perché allora non rispondere insieme, o almeno non provarci? Diamo per scontato che il mondo cristiano oggi è più diviso al suo interno di quanto non lo sia quello musulmano? L’ecumenismo più che affermato andrebbe messo in opera quando possibile e questa a mio avviso sarebbe un’ottima occasione: un fatto nuovo al quale rispondere in modo nuovo. Senza contare il fatto che una risposta corale avrebbe maggior peso di interlocuzione.
Sui 138 musulmani un consiglio al cardinale Tauran
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Qualcuno è corso avanti intanto…
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/178461?ref=hpchie
“La lettera dei 138 musulmani indirizzata lo scorso mese a Benedetto XVI e ai capi delle altre Chiese cristiane ha avuto una spettacolare risposta collettiva in un messaggio pubblicato sul “New York Times” del 18 novembre, firmato da 300 studiosi.
Il messaggio è nato nella Divinity School della Yale University, in particolare per impulso del suo decano Harold W. Attridge, professore di esegesi del Nuovo Testamento.
I firmatari appartengono per la maggior parte a confessioni protestanti, di tendenza sia “evangelical” che “liberal”, e tra essi c’è una celebrità come il teologo Harvey Cox. Ma nella lista dei 300 c’è anche un vescovo cattolico, Camillo Ballin, vicario apostolico nel Kuwait, comboniano. Sono cattolici l’islamologo John Esposito della Georgetown University e i teologi Donald Senior, passionista, e Thomas P. Rausch, gesuita, della Loyola Marymount University. E sono cattolici – sia pure ai margini dell’ortodossia – Paul Knitter, esponente della teologia del pluralismo religioso, ed Elizabeth Schüssler Fiorenza, docente a Harvard e teologa femminista. “
Dopo il concilio, credo che noi cattolici abbiamo fatto grandi passi nella maturità della fede. Tuttavia, a giudizio di molti, manca ancora qualcosa affinché la comunione ecclesiale sia davvero il respiro della Chiesa. Di parole se ne fanno tante, anzi, tantissime; si moltiplicano gli incontri ecclesiali con dimensioni oceaniche ma, per contro, si rarefanno e si rimpiccioliscono gli spazi di dialogo e confronto, privilegiando l’aspetto del “vedere” anziché all’ascoltare . Una Chiesa che pretende di dialogare con i non cattolici e non si mostra capace di dialogare al proprio interno non è credibile: è una questione di semplice coerenza.
Vorrei comprendere una cosuccia; perché solo e sempre i cattolici devono dimostrare buona volontà ecumenica? Perché agli altri non si chiede mai lo stesso? Cosa fanno costoro per venire incontro a noi? Ho l’impressione che gli altri rimangono sul piedistallo e noi pronti a genufletterci per il grande ideale. Ma fino a prova contraria non sono gli altri che si sono staccati dal fusto iniziale?
p.s. ma cosa diavolo significa teologa femminista, che categoria è mai questa?
Credo che la presa di posizione dei 300 studiosi, citata da Canelli nel primo post, assomigli troppo ad un indigesto mix di relativismo religioso e di politicamente corretto: tutto il contrario di quanto dice papa Benedetto (e con lui la tradizione ecclesiale).
Non solo dannosa all’interno, ma anche all’esterno.
Che tipo di pressione psicologica a tutela non solo di un’astratta libertà/democrazia, ma delle libertà specifiche dei cristiani in terra islamica: quella di essere se stessi, di poterlo celebrare e proclamare apertamente e di attrarre altri a sé (chi in fede, chi in speranza, chi in carità).
Alla proposta del padrone di casa temo aderirebbero in pochi: credo tutti i cristiani del Vicino Oriente e degli stati islamizzati e/o in via di islamizzazione, ma chi altri?
I cattolici e gli ortodossi, pur con mille distinguo a seconda dei beni ritenuti meritevoli di tutela.
Ma dubito assai che molti protestanti americani, a seguito di GWB, gradirebbero.
Ad essi bastano bombe e democrazia, o democrazia tramite bombe, che importa se i cristiani di lì spariscono, tanto poi arriveranno i telepredicatori a reimpiantare (?) un “cristianesimo” irrelato e irrelante.
Ancor meno ci starebbero (né penso alcuno li vorrebbe) i 300 di cui sopra … né giovani, né forti, morti dentro prima che fuori.
Francamente, almeno s.e. mons. Ballin è vivissimo sia dentro che fuori, grazie al Cielo.
E non pensiate si tratti di un intellettuale di curia. Prima di finire vescovo in Kuwait è stato per decenni missionario in Sudan, quindi l’islam – quello vero, non quello delle favole – lo conosce molto meglio, sulla propria pelle, di tutti i frequentatori di questo blog messi insieme. Con questo, si tratta di persona di grande intelligenza, estremamente giudiziosa e moderata.
In effetti firmando quella lettera è finito in variegata compagnia. Ma credo che queste “fughe in avanti” non facciano male alla Chiesa, aprendo la strada alle istituzioni. Sarebbe sbagliatissimo vedere le cose in senso contrappositivo. Sperando ovviamente che ciascuno legga i documenti prima di criticarli (dal discorso di Ratisbona alla lettera dei 138 a quella dei 300……),
Michele, la “teologia femminista” è una corrente notevole della teologia contemporanea. La si può apprezzare o meno (il documento di Ratzinger con sul ruolo della donna le riconosceva implicitamente alcune acquisizioni notevoli, e così pure i documenti vaicani relativi all’esegesi biblica, che rilevavano anche i suoi limiti; personalmente non è precisamente nelle mie corde) ma così è.
Peccato che in Italia la telogia femminista sia (quasi) una perfetta sconosciuta, peccato che da noi a “fare teologia” ci siano (quasi) esclusivamente solo uomini e preti.
Sulla lettera dei 300: ottimo che la abbiano firmata anche dei cattolici. Non vedo che cosa ci sia relativismo religioso nel dire come cristiani (tutti insieme!) che dobbiamo collaborare coi musulmani partendo dal comandamento comune di amare Dio e amare il prossimo. E cmq a me piace il politicamente corretto, scusate se sono all’antica. Detto questo sono d’accordo con Benedetto XVI quando dice che i musulmani farebbero bene ad affrontare le sfide che vengono dall’illuminismo, come ha fatto la Chiesa Cattolica nel secolo scorso. Un’altra cosa che potrebbe suonare ancora politicamnte corretta, ma che mi piace ribadire, è che l’illuminismo non si esporta con le bombe… Lo so.. l’argomento è trito e ritrito… ma a me convince sempre più.
Riguardo alla “cosuccia” di Michele: “perché solo e sempre i cattolici devono dimostrare buona volontà ecumenica?” Non la vedo concorrenziale, la faccenda della risposta ai 138, ma collegiale. Avendo coloro scritto a 27 “guide” cristiane, inziando dal papa, mi parrebbe conveniente che i 27 destinatari provino a risponde a “una voce”. Come si realizza questo? Qualcuno prende l’iniziativa. Quella di Roma è la Chiesa più attrezzata e dunque potrebbe farlo per prima. Non dico affatto che tocca a lei, dico che appartenendo a lei – da figlio suo – io mi auguro che tenti l’impresa. Tanto di cappello e complimenti se la prima mossa viene da un altro. Per la questione dell’acqua si è mosso per primo il patriarca di Costantinopoli e l’ecumene l’ha seguito. Quanto a muoversi per primi, storicamente, nell’ecumene, non siamo stati affatto noi cattolici. Ci siamo inseriti nel coro quasi ultimi, un mezzo secolo dopo che erano state compiute le prime – più difficili – mosse, ma poi abbiamo recuperato. Oggi siamo tra i più attivi. La disponibilità odierna pareggia la lentezza di prima. Mi piace vederla così. Luigi
Ottima proposta, Luigi. Tra l’altro in linea con il carattere ecumenico che il papa sta dando al suo magistero.
Non vorrei che qualcuno se ne uscisse anche nel campo de dialogo tra cristiani con la storia del principio di reciprocità inteso in senso ricattatorio. ‘Dialoghiamo solo se gli altri cristiani dialogano’. Significherebbe non aver compreso il nucleo centrale del messaggio evangelico.
Che sia giunto il momento di dare ascolto alle parole di Gesù “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.” Gv. 17, 21
Cito dallo stesso link di prima:
«Ma – obietta Troll – tra il Dio unico dei musulmani e il Dio trinitario dei cristiani, con il Figlio che si fa uomo, la differenza è abissale. Non può essere minimizzata, tanto meno negoziata. La vera “parola comune” va cercata altrove: “nell’applicare quei comandamenti alla concreta realtà delle società pluraliste, qui ed ora”. Va cercata nella tutela dei diritti umani, della libertà religiosa, della parità tra uomo e donna, della distinzione tra i poteri religioso e politico. Su tutto questo la lettera dei 138 è elusiva o muta. E lo è volutamente».
Ahimè per i dissenzienti: qui c’è un doppio “hic Rhodus, hic salta”.
Fede e ragione non sono contrapposte, se sulla fede non ci si ritroverà (a parte un minimo comune di partenza (il comandamento dell’Amore) qui nessuno vuole appiattire il Cristianesimo sull’Islam… ci mancherebbe… tanto meno i 300) ci si troverà sulle conquiste della ragione post-illuministica (diritti umani, libertà religiosa…). Si fa ancora più intrigante il discorso: attraverso il “lume” della ragione Cristiani e Musulmani (e quindi tutti gli esseri umani) possono collaborare e costruire insieme un mondo migliore.
Credo che, come non sia opportuno (e ci mancherebbe ancora!) “appiattire il Cristianesimo sull’Islam”, così non si debba avere come obiettivo quello di “appiattire il Cristanesimo sull’Illuminismo”.
Penso infatti che la ‘ratio’ di Fides & Ratio, non sia esattamente la Dea Ragione dei Giacobini…
[Più politically incorrectly: ecco qualcosa che -ne son convinto oserei dire per fede- nè Islam nè tantomeno Illuminismo potranno mai produrre:
http://www.bbc.co.uk/radio/aod/mainframe.shtml?http://www.bbc.co.uk/radio/aod/radio3_aod.shtml?radio3/choralevensong
E questo mi basta.]
a siriaco…
illuminismo = giacobini? come dire cristianesimo = crociati
… siamo seri.
E Cochin dove lo mettiamo?
E dire che c’è qualcuno che continua a prendersela con la “predicazione preilluministica del messaggio cristiano”.
#
don78 scrive,
27 Novembre 2007 @ 19:38
a siriaco…
illuminismo = giacobini? come dire cristianesimo = crociati
… siamo seri.
Reverendo, mi ha frainteso: non ho detto che l’Illuminismo coincida col Giacobinismo. Verò è che gli “ismi” non mi stanno molto simpatici in generale: dal comunismo al capitalismo passando per il tradizionalismo e il pauperismo. Preferisco il termine tedesco per “illuminismo”: Aufklaerung, (più o meno) ‘illuminazione/chiarimento/perlustrazione’ .
Ad esempio: il padre della Chimica moderna, Antoine Lavoisier (1743-1794), lo ritengo uno degli esseri più ‘illuminati’ del XVIII secolo. Da chimico, anche solo sorseggiandone gli scritti, ti inebri subito del suo (creativo) rigore (lo stesso effetto che mi fa leggere Galileo e molti altri) . La Rivoluzione lo ha travolto, ‘solo’ perchè era una sorta di -diremmo- ‘boiardo di stato’, socialmente creatura dell’odiato Ancien Regime, oltre che un appassionato scienziato, espressione dello svecchiamento della scienza nel’700. Fu ghigliottinato ancora relativamente giovane. (E, a detta del coevo grande matematico Lagrange: “È occorso solo un istante per tagliare quella testa, ma la Francia potrebbe non produrne un’altra simile in un secolo.” ) Per dire…
Ancora: Mozart era cattolico e massone, ma certo non mi rifiuto di cantarlo, neppure ad una messa ‘tridentina’. In sostanza, il ‘siamo seri’ è fuori luogo, con me. Se poi vuole, di gente che è esperta di Insorgenze e Controrivoluzioni restaurazioniste varie, ne trova a bizzeffe, senza scomodare il povero sottoscritto… (..che peraltro un giorno potrebbe svegliarsi e preferire, che so, la Monarchia costituzionale alla libera dittatura di Bananas, ‘che non è vangelo che Chavez sia meglio di Juan Carlos…). Io mi ritengo (in ordine sparso e senza esclusione di contraddizioni) moderno, razionale, sentimentale, tradizionale e laico, senza essere, rispettivamente modernista , razionalista , sentimentalista, tradizionalista e laicista.
Poi, ognuno la veda come vuole.
Non intendo fare proselit-ismo..
Resta però la domanda fondamentale, caro Don78: secondo Lei, il Logos greco-ebraico-cristiano, è assimilabile alla Ragione deificata dai razionalisti/laicisti/rivoluzionari varii, o è molto, …infinitamente di più?
http://www.rosmini.it/Resource/antiseri.html
“Sennonché entusiasti della nefasta idea perfettista sono gli utopisti – “profeti di smisurata felicità”, i quali, con la promessa del paradiso in terra, si adoperano alacremente a costruire per i propri simili molto rispettabili inferni. L’utopia – scrive Rosmini – “lungi dal felicitare gli uomini, scava l’abisso della miseria; lungi dal nobilitarli, gli ignobilita al par de’ bruti; lungi dal pacificarli, introduce la guerra universale, sostituendo il fatto al diritto; lungi d’eguagliar le ricchezze, le accumula; lungi da temperare il potere de’ governi lorende assolutissimo; lungi da aprire la concorrenza di tutti a tutti i beni, distrugge ogni concorrenza; lungi da animare l’industria, l’agricoltura, le arti, i commerci, ne togli via tutti gli stimoli, togliendo la privata volontà e lo spontaneo lavoro; lungi da eccitare gl’ingeni alle grandi invenzioni, e gli animi alle grandi virtù, comprime e schiaccia ogni slancio dell’anima, rende impossibile ogni nobile tentativo, ogni magnanimità, ogni eroismo e anzi la virtù stessa è sbandita, la stessa fede alla virtù è annullata”.
E qui va sottolineato che dietro all’antiperfettismo di Rosmini preme la sua critica all’arroganza di quel pensiero moderno che elabora i suoi fasti nei pensatori illuministi. La dea Ragione sta a simboleggiare un uomo che presume di sostituirsi a Dio e di poter crere una società perfetta. Il giudizio che Rosnini dà sulla presunzione fatale dell’Illuminismo e sugli esiti tragici della Rivoluzione francese fa venire alla mente analoghe considerazioni, prima di Edmund Burke e successivamente di Friedrich August von Hayek.”
(Dario Antiseri)
[“Stat Crux dum volvitur orbis” è il motto dei Certosini (non dei Crociati!) .
“Inpleta sunt quae concinit
David fideli carmine,
dicendo nationibus:
regnavit a ligno deus.” ]
“A British primary school teacher in Sudan is facing 40 lashes and up to six months in prison after allowing her pupils to name a teddy bear after the prophet Mohammed.”
http://www.telegraph.co.uk/news/main.jhtml?xml=/news/2007/11/27/wsudan127.xml
A proposito di teologia femminista.
Ho leggiucchiato recentemente un libretto sul mistero dell’ascensione: tra i diversi contributi, in genere di notevole valore, comunque fonte di approfondimento sia nel consenso che nel dissenso, ce n’é uno d’una teologa.
la quale partendo, gira e rigira, dall’assunto che se Dio è espresso in forma maschile allora il è maschile che diventa “dio”, va a infilare una serie di citazioni “al femminile”, al termine del quale sembra quasi, non un “correttivo” al – del tutto ipotetico – maschilismo delle formule teologiche, ma una sorta di edizione riveduta e corretta della teologia del Codice da Vinci (Mario Iannaccone, nel recente libro di Sugarco, insegna!).
A questo punto, forse é meglio non la teologia femminista, ma quella di una Donna: “fate tutto quello che Lui vi dirà”.
syriacus,
lei mi chiede se il Logos cristiano è assimilabile alla Ragione deificata… evidentemente non mi sono per nulla spiegato bene nei miei precedenti post: dalla mia citazione di Benedetto XVI sull’Islam che deve affrontare le sfide dell’Illuminismo e che sulle conquiste della civiltà Occidentale post-illuministica (diritti umani, libertà religiosa, uguaglianza donne…) si possa trovare una base di collaborazione fattiva con i musulmani per la pace e la sicurezza nel mondo, Lei è passato a Dea Ragione e Giacobinismo… tali argomenti non hanno nulla a che vedere con il mio pensiero.
Syriacus, grazie per il link ai choral evensongs di Westminster. Meravigliosi.
Mi sono tornati in mente i vespri anglicani che ho ascoltato il 14 agosto scorso nella York Minster.
Nel cura del canto liturgico gli inglesi hanno davvero molto da insegnarci.
Illuminismo e post-illuminismo: nel suo Memoria e Identità, Giovanni Paolo II c’è andato giù davvero pesante. In sostanza pone l’illuminismo alla radice delle ideologie del male del XX secolo perché “è stato respinto Dio quale Creatore, e perciò fonte della determinazione di ciò che è bene e cio’ che è male”.
Per Syriacus, guarda che Rosmini è stato condannato dalla Chiesa, salvo beatificarlo dopo un secolo ma senza accennare ai fatti che lo avevano fatto condannare, in quanto all’utopia, c’è n’è di vari tipi, tra cui anche quella buona, anche il Regno di Dio sulla terra è qualcosa di utopico da realizzare, (speriamo di riuscire a farlo almeno in parte, ma il male esiste ed opera, lo vediamo tutti i giorni), ma questo non ci esime dal tentarlo con tutte le nostre forze.
DALL’INDICE AL POLLICE VERSO. FINO ALL’ALTARE.
IL DIFFICILE RAPPORTO DELLA GERARCHIA CON ROSMINI
34158. ROMA-ADISTA. Nei giorni scorsi diversi commentatori, specie di area cattolica, hanno evidenziato come già nel 1854 le opere di Rosmini fossero state riabilitate dalla Congregazione dell’Indice. In realtà le cose non stanno esattamente così: il decreto dell’Indice afferma che vengono “dimesse dall’esame” (dimittantur) tutte le opere di Rosmini. L’interpretazione comune di questo decreto è di “piena assoluzione”. Ma la Nota non parla di “assoluzione”; si limita Ad usare il verbo dimittantur. E infatti gli anti-rosminiani, guidati dai gesuiti de “La Civiltà cattolica”, non si diedero pace. E tornarono alla carica sotto Leone XIII. Nel 1887, ben 32 anni dopo la morte di Rosmini, il Sant’Uffizio, scegliendo qua e là dalle opere del teologo, estrasse quaranta “proposizioni” che furono condannate con un apposito Decreto post obitum, un decreto “dopo la morte del reo”. In particolare, la Suprema Congregazione del Sant’Uffizio (erede dell’Inquisizione) condannava le tesi rosminiane sul rapporto Dio-mondo, immanenza-trascendenza, origine dell’anima.
Dopo il Vaticano II (1962-65), che sotto diversi aspetti fece sue le tesi che Rosmini aveva avanzato ne Le cinque piaghe, si erano levate da più parti richieste che la condanna al filosofo fosse cancellata. Per questo scopo molto si era adoperato il rosminiano mons. Clemente Riva, dal 1975 vescovo ausiliare di Roma fino al decesso, nel ‘99. E se Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et ratio (1998) cita Rosmini in modo positivo, il cerchiobottismo che la gerarchia cattolica ha sempre cercato di mantenere nei confronti di Rosmini è evidente nella “Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede (Cdf) sul valore dei decreti dottrinali concernenti il pensiero e le opere del rev.do sacerdote Antonio Rosmini Serbati”, firmata dall’allora prefetto Joseph Ratzinger e dal suo segretario Tarcisio Bertone, pubblicata il 1.mo luglio del 1999. La Nota tentava di salvare capra e cavoli: non modificava il giudizio del Decreto Post obitum sul pensiero rosminiano, ma giungeva alla conclusione che oggi si possono considerare “ormai superati i motivi di preoccupazione” che ne determinarono la promulgazione.
Avvenire, per celebrare il nuovo beato, il 16 ottobre titola “Rosmini: teologo contro Voltaire” e fa dire a Giuseppe Lorizio (docente di teologia fondamentale alla Lateranense) che il lascito del pensiero rosminiano costituisce “un monito a superare un certo positivismo teologico fatto di esasperata attenzione ai testi e alla storia, ma anche un invito a rifiutare ogni forma di razionalismo teologico estremo”. Del resto già nel 2001, in un editoriale firmato da Dario Antiseri, (19/3/2001) Avvenire preferiva mettere in luce l’aspetto antiutopista, antisocialista e antistatalista del filosofo. E, soprattutto, il suo “antiperfettismo”, cui – diceva Antiseri – è connessa “la decisa critica di Rosmini all’arroganza di quel pensiero che celebra i suoi fasti negli scritti degli Illuministi e che poi scatena gli orrori della Rivoluzione francese”.
A tentare un’opera di integrale memoria storica è invece “Noi siamo Chiesa”, che il 17 novembre, alla vigilia della beatificazione, in un comunicato saluta positivamente l’elevazione agli altari di Rosmini, pur riaffermando il suo “radicale disaccordo col vigente sistema delle canonizzazioni e con gli abusi che di esso sono stati fatti, soprattutto negli ultimi anni”, perché – scrive – “Rosmini fu la massima espressione di quei cattolici che si impegnarono per una soluzione non traumatica del rapporto tra il potere temporale della Chiesa e la nascente nazione italiana. Il suo intervento si fondava su principi di democrazia e di laicità che sorprendono per la loro attualità e che, se fossero stati praticati, avrebbero potuto cambiare nel nostro Paese la storia della Chiesa e dello Stato. Molte delle sue proposte per una radicale riforma della Chiesa cattolica furono alla base di orientamenti e decisioni del Concilio Vaticano II”. È per questo che, per essere credibile, questa beatificazione esige “riflessioni autocritiche ed impegni riformatori da parte della Chiesa italiana oggi”.
Qui si è messo tutto sullo stesso mette piano, la Rivoluzione Francese dei principi, valida tutt’oggi, con la aberrazioni giacobine, ma allora ragionando in questo modo si può condannare tutto ed il contrario di tutto, (anche la Chiesa perchè di aberrazioni anche i suoi menbri non sono esenti).
Quanto a quelli che condannano i documenti prima di leggerli, solo in base a chi li ha firmati, sono gli stessi a mio parere che prima di esprimere un parere su un argomento si domandano cosa ne pensi la Chiesa e poi in base a questo si regolano.
Giovanni Paolo II condanna l’illuminismo, dice Fabrizio, Benedetto XVI dice che l’Islam deve apprendere invece i veri valori dell’Illuminismo, i diritti dell’uomo e la libertà religiosa come puoi leggere qui sotto, (brani tratti dal BLOG di Magister), quindi riflettiamo:
* * *
Qual è invece il dialogo con l’islam voluto da Benedetto XVI?
Il papa l’ha spiegato nel modo più limpido in un passaggio del discorso prenatalizio alla curia romana del 22 dicembre 2006:
“In un dialogo da intensificare con l’Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell’illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica.
“Si tratta dell’atteggiamento che la comunità dei fedeli deve assumere di fronte alle convinzioni e alle esigenze affermatesi nell’illuminismo.
“Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l’uomo di suoi specifici criteri di misura.
“D’altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell’illuminismo, i diritti dell’uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l’autenticità della religione.
“Come nella comunità cristiana c’è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte.
“Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s’impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà”.
* * *
Di questa proposta lanciata al mondo musulmano da Benedetto XVI nel dicembre di un anno fa, nella lettera dei 138 non c’è traccia. Segno che la distanza tra le visioni dell’uno e degli altri è davvero forte.
La visione di Benedetto XVI è la stessa che altre autorità della Santa Sede manifestano ogni volta che si toccano questi temi. Ne è prova il messaggio rivolto ai musulmani lo scorso ottobre, in occasione della fine del Ramadan, dal pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, presieduto dal cardinale Jean-Louis Tauran: messaggio che ha anch’esso al suo centro “la libertà della fede e il suo esercizio”, come compito di tutte le religioni, conforme al “piano del Creatore”.
Ed è una visione che Ratzinger va argomentando da anni con grande coerenza, prima da cardinale e poi da papa.
La lezione di Ratisbona sulla doverosa “sinergia tra fede e ragione” ne è la fondazione più compiuta.
Ma, prima ancora, le premesse di come Benedetto XVI concepisce il dialogo con l’islam e le altre religioni vanno rintracciate nella discussione che egli ebbe nel gennaio del 2004, a Monaco di Baviera, con il filosofo laico Jürgen Habermas.
In quell’occasione, Ratzinger disse che un “diritto naturale” universalmente valido non è affatto riconosciuto oggi da tutte le culture e civiltà, divise tra loro e divise su questo anche al loro interno. Ma indicò la strada perché “le norme e i valori essenziali conosciuti o intuiti da tutti gli esseri umani” possano ricevere luce e “tenere unito il mondo”. La strada è quella di un legame positivo tra ragione e fede, “chiamate alla reciproca purificazione” dalle patologie che espongono l’una e l’altra al dominio della violenza.
C’è un grande studioso che ha analizzato con particolare lucidità la visione di Benedetto XVI in rapporto all’islam: il giurista tedesco Ernst-Wolfgang Böckenförde, in un saggio apparso quest’anno in Germania e tradotto in Italia dalla rivista “Il Regno”.
Böckenförde concorda in pieno col papa nel ritenere che l’islam ha oggi di fronte una sfida simile a quella posta ai cristiani dall’Illuminismo, in materia di libertà di religione.
La Chiesa cattolica rispose a quella sfida, nel Concilio Vaticano II, con la dichiarazione “Dignitatis Humanae” sulla libertà religiosa fondata sui diritti della persona.
Ma il mondo islamico – chiede Böckenförde – è pronto a fare un analogo cammino? È pronto a riconoscere la neutralità religiosa dello stato e quindi la pari libertà, nello stato, di tutte le religioni?
I musulmani che vivono “in diaspora”, cioè come minoranze nei paesi dell’Europa e dell’Occidente, sembrano disposti a questo riconoscimento. Ne è prova una dichiarazione adottata nel 2001 dal comitato dei musulmani di Germania, che dice: “Il diritto islamico vincola i musulmani che vivono in diaspora ad attenersi all’ordinamento giuridico del luogo”.
Ma dove i musulmani sono maggioranza e controllano lo stato? Böckenförde è scettico. Ritiene che l’islam, in situazione di forza, rimane molto lontano dall’accettare la neutralità dello stato e quindi la piena libertà di tutte le religioni.
Böckenförde ne è così convinto che conclude il suo saggio esaminando una ipotesi di scuola: l’ipotesi che in un paese europeo gli immigrati musulmani siano vicini a diventare la maggioranza della popolazione.
In questo caso – sostiene il giurista tedesco – quel paese ha il dovere di chiudere le frontiere. Per ragioni di autodifesa. Perché uno stato secolare non può rinunciare a quel “diritto naturale” che è il suo fondamento: “un diritto indotto dall’appartenenza a un mondo culturale radicato su elementi della classicità, dell’ebraismo e del cristianesimo, ma ripensati entro un orizzonte illuminista”.
Negli anni ’70, “illuminismo” significava “ragione critica”, in violenta antitesi con “dogmi” e “superstizioni”; ma anche “movimento politico” di lotta, con il naturale e obbligato nesso “riforma protestante + rivoluzione francese”: declinato a destra nelle varianti del “liberalismo”, a sinistra in quelle del “marxismo”.
Il linkage storico riandava, poi, alle eresie medievali, alla lotta della patristica contro i “residui” pagani, all’eversione della religione da parte del cristianesimo “delle origini” (non certo del “cattolicesimo costantiniano”); al Gesù storico, super-profeta culmine dell’opera demistificante dei veggenti biblici.
Nei più avvertiti, l’illuminismo, per eterogenesi dialettica, poteva farsi più che liberazione, nera oppressione. Ma questo era il limite invalicabile dell’autocritica. Oltre non era permesso.
È questo l’ “illuminismo”, oggi antidoto geopoliticamente ineluttabile all’islamismo?
Non direi, è piuttosto una variante non patogena ( “secolarizzazione buona” del cristianesimo, all’origine dell’idea di Europa o di Occidente) da inoculare a fini preventivi.
Opzione rispettabile, ma non impeccabile:
1. rimuove la “memoria storica”; è inaccettabile l’idea che la tradizione ecclesiale sia un cumulo di superstizioni oppressive: “questo” illuminismo è stato, è e sarà “nemico”; è rimozione che genera meaculpismi astratti e moralistici (nulla a che vedere con la wojtyliana “purificazione della memoria”);
2. ci vuole una buona dose di a-teologale misericordia per porre in continuità la ragione illuministica (critico-strumentale) e la c.d. “retta ragione”;
3. aldilà di autodissolutorie (o autoassolutorie?) confessioni di “dialettica dell’illuminismo”, non c’è ancora stata (tali non sono la new age e il pensiero debole) una “demitizzazione della demitizzazione”; senza la quale continueremo a pensare e praticare in termini di scissione, rottura, incompatibilità … dimensioni invece co-essenziali: santo/sacro, fede/religione, parola/immagine, esistenza/rito, annuncio/dogma, carisma/istituzione e via dicendo.
È opportuno vigilare.
Concordo con le parole del giurista tedesco riportate da Leone: in Occidente viviamo in “un mondo culturale radicato su elementi della classicità, dell’ebraismo e del cristianesimo, ma ripensati entro un orizzonte illuminista”.
Chi pensa in termini di rottura col passato sono proprio quelli che non sanno riconoscere i “frutti positivi” dell’illuminismo (come li chiama Benedetto) e che sostengono, appunto, che amare la propria storia e la propria fede significa non riconoscere che qualcosa di positivo possa venire dal di fuori di essa, anche per un “ripensamento” delle proprio mondo culturale. In rottura e dialettica inconciliabile sono quindi quelli che non riconoscono come la Chiesa abbia coraggiosamente affrontato questa sfida nel XX secolo e abbia affrontato la fatica di “ripensarsi”… cosa che ha sempre fatto del resto, e che continuerà a fare. Con buona pace dei teorici del muro contro muro.
“amare la propria storia e la propria fede significa non riconoscere che qualcosa di positivo possa venire dal di fuori di essa”.
Non c’è un un solo “frutto positivo” dell’illuminismo che non sia già all’interno del Vangelo. Semmai l’illuminismo (oltre ad essere alla base delle idelologie del male, GPII docet) può aver aiutato la Chiesa a riscoprire alcuni aspetti del Vangelo, ma non si può certo dire che i valori positivi espressi dall’illuminismo siano qualcosa in più rispetto alla fede e alla Rivelazione.
Altrimenti che Rivelazione sarebbe?
“Semmai l’illuminismo … può aver aiutato la Chiesa a riscoprire alcuni aspetti del Vangelo”
Mi sta bene anche così. Non cambia la sostanza di quello che volevo dire. Per questo spero che la Chiesa continui a guardare ancora e anche fuori di sè per riscoprire aspetti del Vangelo… omessi o dimenticati… ho piena fiducia nell’assistenza dello Spirito Santo di cui la Chiesa gode in questo processo.
Totalmente d’accordo con Don 78.
Per lycopodium, scusami ma dovresti tradurmi il tuo post in termini più comprensibili, ho fatto fatico a capirlo.
Grazie a tutti.
x leone.
Pizzicato una seconda volta, mi scuso …
Ho fatto un po’ di storia dell’idea illuminista, attraverso gli slogan dei libri di testo liceali e delle idee che giravano negli anni ’70.
Il resto è nella successiva risposta a don78.
Anch’io però non capisco … la frase: “Quanto a quelli che condannano i documenti prima di leggerli, solo in base a chi li ha firmati, sono gli stessi a mio parere che prima di esprimere un parere su un argomento si domandano cosa ne pensi la Chiesa e poi in base a questo si regolano”.
Il mio rapporto con Cristo è nato e si è evoluto nella Chiesa, mistero sacramentale e istituzione, mia vita spirituale e culturale. I cinque sacramenti ricevuti mi sostengono e, giunto sul passo estremo, ne vorrei almeno un sesto.
La frase citata mi fa lo stesso effetto che sentir dar della racchia a mia moglie.
Adista permettendo, “anch’io sono Chiesa”.
x don78
Lei ha citato la frase “un mondo culturale radicato su elementi della classicità, dell’ebraismo e del cristianesimo, ma ripensati entro un orizzonte illuminista”, io ho parlato di “secolarizzazione buona del cristianesimo” e ho detto che oggi è “geopoliticamente ineluttabile”; non mi sembrano posizioni troppo diverse.
Poi ho detto che c’è stato (e c’è) l’illuminismo della critica dissolvente del cristianesimo: dov’è il problema?
Certo, politicamente giochiamo tutti sulla scacchiera illuminista.
Invece, culturalmente parlando, il rapporto è molto più conflittuale e complesso: non possiamo accettare acriticamente, ad esempio, il presupposto che “da un fatto contingente si può trarre una verità generale” (cos’altro è l’incarnazione?) o ridurre “la religione nei limiti della sola ragione”; e c’è una violenza insita in questi assunti, apparentemente razionali, che non scopro certo io; così come è violenta e dissolvente l’applicazione degli stessi nella lettura del fatto cristiano.
Che male c’è ad auspicare una “demitizzazione della demitizzazione”?
Che non vuol dire professare una lettura “muro contro muro” della storia, né professare un pensiero debole (tutt’altro che innocente e “non violento”), ma l’uso niente di meno che della … ragione.
Confermo immutata stima.
ops!
… non possiamo accettare acriticamente, ad esempio, il presupposto che “da un fatto contingente NON si può trarre una verità generale” (cos’altro è l’incarnazione?) …
[…] by donmo in Cristianesimo, Ecumenismo, Islam, dialogo interreligioso. Tags: Cristianesimo, Islam trackback Con una lettera firmata del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, Benedetto XVI harisposto alla lettera aperta “Una parola comune tra noi e voi”, che lo scorso 13 ottobre, in occasione della fine del Ramadan, 138 guide religiose musulmane avevano indirizzato a lui e ai responsabili delle altre Chiese e confessioni cristiane. Ne avevamo parlato qui. La risposta è senz’altro una buona notizia, però, visto che il messaggio era indirizzato comunitariamente a tutti i capi cristiani, aleggia nell’aria l’interrogativo rilanciato nel suo blog da Luigi Accattoli e così sintetizzabile: “la Santa Sede, cioè il papa, risponderà da sola? Non sarebbe meglio se rispondesse insieme agli altri 26 leaders delle Chiese cristiane che erano nominate nell’intestazione della lettera? (…) Perché allora non rispondere insieme, o almeno non provarci? Diamo per scontato che il mondo cristiano oggi è più diviso al suo interno di quanto non lo sia quello musulmano? L’ecumenismo più che affermato andrebbe messo in opera quando possibile e questa a mio avviso sarebbe un’ottima occasione: un fatto nuovo al quale rispondere in modo nuovo. Senza contare il fatto che una risposta corale avrebbe maggior peso di interlocuzione”. Tutto giusto, peccato che a questi interrogativi nessuno darà mai una risposta, almeno ufficiale. […]
mi rallegro per la risposta di Benedetto XVI (cmq ho solo letto dei brevi comunicati stampa), quando si dialoga non posso che rallegrarmi, certo …Luigi aveva lanciato una provocazione molto interessante… rispondere tutti insieme… ma non credo che ci sperasse relamente neanche lui 😉
A lycopodium,
secondo me diciamo più o meno la stessa cosa, con accenti diversi… siamo entrambi consapevoli che l’illuminismo ha portato frutti positivi e negativi… lei ci ha ricordato i negativi, io i positivi… 🙂 ma il mondo non è nè bianco nè nero… e credo che lo pensiamo entrambi.
Una cosa che mi viene immediatamente sulla demitizzazione: onestamente ringrazio la teologia biblica “illuminata” che oggi non mi chiede di credere che l’universo sia stato fatto in 7 giorni e che Adamo ed Eva siano due persone storicamente esistite nel tempo e nello spazio.. poi ci sarà anche la demitizzazione negativa.. ma nel frattempo ringrazio il Cielo per questa e per avermi fatti scoprire il senso profondo ed eterno dei primi capitoli della Genesi.
Ringrazio per la stima e ricambio sinceramente.
Non solo ci speravo, ma continuo a sperarci! Quella del papa è solo una prima risposta, diciamo di cornice. In attesa di una risposta che entri in merito, per quello che mi riguarda terrò caldo il chiodo! Luigi
Benedictus hodie locutus est de spe christiana per litteram encyclicam :
“17. Chi legge queste affermazioni e vi riflette con attenzione, vi riconosce un passaggio sconcertante: fino a quel momento il ricupero di ciò che l’uomo nella cacciata dal paradiso terrestre aveva perso si attendeva dalla fede in Gesù Cristo, e in questo si vedeva la « redenzione ». Ora questa « redenzione », la restaurazione del « paradiso » perduto, non si attende più dalla fede, ma dal collegamento appena scoperto tra scienza e prassi. Non è che la fede, con ciò, venga semplicemente negata; essa viene piuttosto spostata su un altro livello – quello delle cose solamente private ed ultraterrene – e allo stesso tempo diventa in qualche modo irrilevante per il mondo. Questa visione programmatica ha determinato il cammino dei tempi moderni e influenza pure l’attuale crisi della fede che, nel concreto, è soprattutto una crisi della speranza cristiana. Così anche la speranza, in Bacone, riceve una nuova forma. Ora si chiama: fede nel progresso. Per Bacone, infatti, è chiaro che le scoperte e le invenzioni appena avviate sono solo un inizio; che grazie alla sinergia di scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo totalmente nuovo, il regno dell’uomo [16]. Così egli ha presentato anche una visione delle invenzioni prevedibili – fino all’aereo e al sommergibile. Durante l’ulteriore sviluppo dell’ideologia del progresso, la gioia per gli avanzamenti visibili delle potenzialità umane rimane una costante conferma della fede nel progresso come tale.
18. Al contempo, due categorie entrano sempre più al centro dell’idea di progresso: ragione e libertà. Il progresso è soprattutto un progresso nel crescente dominio della ragione e questa ragione viene considerata ovviamente un potere del bene e per il bene. Il progresso è il superamento di tutte le dipendenze – è progresso verso la libertà perfetta. Anche la libertà viene vista solo come promessa, nella quale l’uomo si realizza verso la sua pienezza. In ambedue i concetti – libertà e ragione – è presente un aspetto politico. Il regno della ragione, infatti, è atteso come la nuova condizione dell’umanità diventata totalmente libera. Le condizioni politiche di un tale regno della ragione e della libertà, tuttavia, in un primo momento appaiono poco definite. Ragione e libertà sembrano garantire da sé, in virtù della loro intrinseca bontà, una nuova comunità umana perfetta. In ambedue i concetti-chiave di « ragione » e « libertà », però, il pensiero tacitamente va sempre anche al contrasto con i vincoli della fede e della Chiesa, come pure con i vincoli degli ordinamenti statali di allora. Ambedue i concetti portano quindi in sé un potenziale rivoluzionario di un’enorme forza esplosiva.
19. Dobbiamo brevemente gettare uno sguardo sulle due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza, perché sono di grande importanza per il cammino della speranza cristiana, per la sua comprensione e per la sua persistenza. C’è innanzitutto la Rivoluzione francese come tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà ora anche in modo politicamente reale. L’Europa dell’Illuminismo, in un primo momento, ha guardato affascinata a questi avvenimenti, ma di fronte ai loro sviluppi ha poi dovuto riflettere in modo nuovo su ragione e libertà. Significativi per le due fasi della ricezione di ciò che era avvenuto in Francia sono due scritti di Immanuel Kant, in cui egli riflette sugli eventi. Nel 1792 scrive l’opera: « Der Sieg des guten Prinzips über das böse und die Gründung eines Reichs Gottes auf Erden » (La vittoria del principio buono su quello cattivo e la costituzione di un regno di Dio sulla terra). In essa egli dice: « Il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa costituisce l’avvicinamento del regno di Dio » [17]. Ci dice anche che le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo passaggio dalla fede ecclesiastica alla fede razionale. Il « regno di Dio », di cui Gesù aveva parlato ha qui ricevuto una nuova definizione e assunto anche una nuova presenza; esiste, per così dire, una nuova « attesa immediata »: il « regno di Dio » arriva là dove la « fede ecclesiastica » viene superata e rimpiazzata dalla « fede religiosa », vale a dire dalla semplice fede razionale. Nel 1795, nello scritto « Das Ende aller Dinge » (La fine di tutte le cose) appare un’immagine mutata. Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa. Scrive al riguardo: « Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore […] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo […] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose » [18].
20. L’Ottocento non venne meno alla sua fede nel progresso come nuova forma della speranza umana e continuò a considerare ragione e libertà come le stelle-guida da seguire sul cammino della speranza. L’avanzare sempre più veloce dello sviluppo tecnico e l’industrializzazione con esso collegata crearono, tuttavia, ben presto una situazione sociale del tutto nuova: si formò la classe dei lavoratori dell’industria e il cosiddetto « proletariato industriale », le cui terribili condizioni di vita Friedrich Engels nel 1845 illustrò in modo sconvolgente. Per il lettore doveva essere chiaro: questo non può continuare; è necessario un cambiamento. Ma il cambiamento avrebbe scosso e rovesciato l’intera struttura della società borghese. Dopo la rivoluzione borghese del 1789 era arrivata l’ora per una nuova rivoluzione, quella proletaria: il progresso non poteva semplicemente avanzare in modo lineare a piccoli passi. Ci voleva il salto rivoluzionario. Karl Marx raccolse questo richiamo del momento e, con vigore di linguaggio e di pensiero, cercò di avviare questo nuovo passo grande e, come riteneva, definitivo della storia verso la salvezza – verso quello che Kant aveva qualificato come il « regno di Dio ». Essendosi dileguata la verità dell’aldilà, si sarebbe ormai trattato di stabilire la verità dell’aldiquà. La critica del cielo si trasforma nella critica della terra, la critica della teologia nella critica della politica. Il progresso verso il meglio, verso il mondo definitivamente buono, non viene più semplicemente dalla scienza, ma dalla politica – da una politica pensata scientificamente, che sa riconoscere la struttura della storia e della società ed indica così la strada verso la rivoluzione, verso il cambiamento di tutte le cose. Con puntuale precisione, anche se in modo unilateralmente parziale, Marx ha descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione – non solo teoricamente: con il partito comunista, nato dal manifesto comunista del 1848, l’ha anche concretamente avviata. La sua promessa, grazie all’acutezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato ed affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche verificata nel modo più radicale in Russia.
21. Ma con la sua vittoria si è reso evidente anche l’errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo. Egli supponeva semplicemente che con l’espropriazione della classe dominante, con la caduta del potere politico e con la socializzazione dei mezzi di produzione si sarebbe realizzata la Nuova Gerusalemme. Allora, infatti, sarebbero state annullate tutte le contraddizioni, l’uomo e il mondo avrebbero visto finalmente chiaro in se stessi. Allora tutto avrebbe potuto procedere da sé sulla retta via, perché tutto sarebbe appartenuto a tutti e tutti avrebbero voluto il meglio l’uno per l’altro. Così, dopo la rivoluzione riuscita, Lenin dovette accorgersi che negli scritti del maestro non si trovava nessun’indicazione sul come procedere. Sì, egli aveva parlato della fase intermedia della dittatura del proletariato come di una necessità che, però, in un secondo tempo da sé si sarebbe dimostrata caduca. Questa « fase intermedia » la conosciamo benissimo e sappiamo anche come si sia poi sviluppata, non portando alla luce il mondo sano, ma lasciando dietro di sé una distruzione desolante. Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo – di questi, infatti, non doveva più esserci bisogno. Che egli di ciò non dica nulla, è logica conseguenza della sua impostazione. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l’economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l’uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall’esterno creando condizioni economiche favorevoli.
22. Così ci troviamo nuovamente davanti alla domanda: che cosa possiamo sperare? È necessaria un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza. In un tale dialogo anche i cristiani, nel contesto delle loro conoscenze e delle loro esperienze, devono imparare nuovamente in che cosa consista veramente la loro speranza, che cosa abbiano da offrire al mondo e che cosa invece non possano offrire. Bisogna che nell’autocritica dell’età moderna confluisca anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici. Su questo si possono qui tentare solo alcuni accenni. Innanzitutto c’è da chiedersi: che cosa significa veramente « progresso »; che cosa promette e che cosa non promette? Già nel XIX secolo esisteva una critica alla fede nel progresso. Nel XX secolo, Theodor W. Adorno ha formulato la problematicità della fede nel progresso in modo drastico: il progresso, visto da vicino, sarebbe il progresso dalla fionda alla megabomba. Ora, questo è, di fatto, un lato del progresso che non si deve mascherare. Detto altrimenti: si rende evidente l’ambiguità del progresso. Senza dubbio, esso offre nuove possibilità per il bene, ma apre anche possibilità abissali di male – possibilità che prima non esistevano. Noi tutti siamo diventati testimoni di come il progresso in mani sbagliate possa diventare e sia diventato, di fatto, un progresso terribile nel male. Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore (cfr Ef 3,16; 2 Cor 4,16), allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo.
23. Per quanto riguarda i due grandi temi « ragione » e « libertà », qui possono essere solo accennate quelle domande che sono con essi collegate. Sì, la ragione è il grande dono di Dio all’uomo, e la vittoria della ragione sull’irrazionalità è anche uno scopo della fede cristiana. Ma quand’è che la ragione domina veramente? Quando si è staccata da Dio? Quando è diventata cieca per Dio? La ragione del potere e del fare è già la ragione intera? Se il progresso per essere progresso ha bisogno della crescita morale dell’umanità, allora la ragione del potere e del fare deve altrettanto urgentemente essere integrata mediante l’apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male. Solo così diventa una ragione veramente umana. Diventa umana solo se è in grado di indicare la strada alla volontà, e di questo è capace solo se guarda oltre se stessa. In caso contrario la situazione dell’uomo, nello squilibrio tra capacità materiale e mancanza di giudizio del cuore, diventa una minaccia per lui e per il creato. Così in tema di libertà, bisogna ricordare che la libertà umana richiede sempre un concorso di varie libertà. Questo concorso, tuttavia, non può riuscire, se non è determinato da un comune intrinseco criterio di misura, che è fondamento e meta della nostra libertà. Diciamolo ora in modo molto semplice: l’uomo ha bisogno di Dio, altrimenti resta privo di speranza. Visti gli sviluppi dell’età moderna, l’affermazione di san Paolo citata all’inizio (cfr Ef 2,12) si rivela molto realistica e semplicemente vera. Non vi è dubbio, pertanto, che un « regno di Dio » realizzato senza Dio – un regno quindi dell’uomo solo – si risolve inevitabilmente nella « fine perversa » di tutte le cose descritta da Kant: l’abbiamo visto e lo vediamo sempre di nuovo. Ma non vi è neppure dubbio che Dio entra veramente nelle cose umane solo se non è soltanto da noi pensato, ma se Egli stesso ci viene incontro e ci parla. Per questo la ragione ha bisogno della fede per arrivare ad essere totalmente se stessa: ragione e fede hanno bisogno l’una dell’altra per realizzare la loro vera natura e la loro missione. ”
BENEDICTUS PP. XVI
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html
Per lycopodium: grazie per la risposta.
La mia affermazione di cui sopra che hai riportato riguarda un metodo che molte volte ho osservato in molti cristiani: prima di esprimersi su un dato argomento devono andare a vedere cosa pensa la Chiesa su di esso e poi si adeguano.
Un esempio, ricorda il cardinal Martini che quando frequentava il seminario il professore di teologia passò 2 gg. a spiegare come un uomo poteva sopravvivere nella pancia di una balena, (il profeta Giona mi pare).
Così di esempi di questo tipo ne poteri citare moltissimi, e non riguardano dogmi di fede ma argomenti su cui è legittimo anzi direi doveroso discutere.
Per tornare a Martini, mi piacque quando presentando la cattedra dei non credenti, parlò di come le persone prima che tra credenti e non credenti si dividono tra chi si pone i problemi e chi non se li pone.
Poi uno può essere tranquillamente d’accordo con la Chiesa.
John L Allen Jr Daily Column
Spe Salvi a ‘Greatest Hits’ collection of core Ratzinger ideas
Posted on Nov 30, 2007 0
By JOHN L. ALLEN JR.
New York
If one were to compile a list of the core concerns of Joseph Ratzinger, his idees fixes over almost sixty years now of theological reflection, it might look something like this:
• Truth is not a limit upon freedom, but the condition of freedom reaching its true potential;
• Reason and faith need one another – faith without reason becomes extremism, while reason without faith leads to despair;
• The dangers of the modern myth of progress, born in the new science of the 16th century and applied to politics through the French Revolution and Marxism;
• The impossibility of constructing a just social order without reference to God;
• The urgency of separating eschatology, the longing for a “new Heaven and a new earth,” from this-worldly politics;
• Objective truth as the only real limit to ideology and the blind will to power.
http://ncrcafe.org/node/1474
… da quel che ho capito dell’enciclica, mi pare che si dica de “The impossibility of constructing a just social order” – period.
Me too. -period^2.
Again:
“19. Dobbiamo brevemente gettare uno sguardo sulle due tappe essenziali della concretizzazione politica di questa speranza, perché sono di grande importanza per il cammino della speranza cristiana, per la sua comprensione e per la sua persistenza. C’è innanzitutto la Rivoluzione francese come tentativo di instaurare il dominio della ragione e della libertà ora anche in modo politicamente reale. L’Europa dell’Illuminismo, in un primo momento, ha guardato affascinata a questi avvenimenti, ma di fronte ai loro sviluppi ha poi dovuto riflettere in modo nuovo su ragione e libertà. Significativi per le due fasi della ricezione di ciò che era avvenuto in Francia sono due scritti di Immanuel Kant, in cui egli riflette sugli eventi. Nel 1792 scrive l’opera: « Der Sieg des guten Prinzips über das böse und die Gründung eines Reichs Gottes auf Erden » (La vittoria del principio buono su quello cattivo e la costituzione di un regno di Dio sulla terra). In essa egli dice: « Il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa costituisce l’avvicinamento del regno di Dio » [17]. Ci dice anche che le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo passaggio dalla fede ecclesiastica alla fede razionale. Il « regno di Dio », di cui Gesù aveva parlato ha qui ricevuto una nuova definizione e assunto anche una nuova presenza; esiste, per così dire, una nuova « attesa immediata »: il « regno di Dio » arriva là dove la « fede ecclesiastica » viene superata e rimpiazzata dalla « fede religiosa », vale a dire dalla semplice fede razionale. Nel 1795, nello scritto « Das Ende aller Dinge » (La fine di tutte le cose) appare un’immagine mutata. Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa. Scrive al riguardo: « Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore […] allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo […] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose » [18].”
[Il Papa ha nel paragrafo sopra detto un miliardo di volte meglio di quanto sarebbe stato capace il sottoscritto, ciò che tentavo -invano, perchè continuamente frainteso, o frorse no, putroppo- di sostenere qualche commento fa… “Grazie, Santo Padre. (…E che ora che nessuno venga a dire “Suvvia, sia serio, Santita!..”)]
Again:
Affermare che l’Illuminismo non è la realizzazione del regno di Dio in terra non mi sembra una novità del magistero di Benedetto XVI e di quello precedente, ma non era questo l’argomento in discussione. Si era già parlato dei frutti positivi e negativi dell’Illuminismo (che a differenza di altri movimenti ideologici non è mai stato definito male assoluto dal magistero), e si era detto che i frutti positivi possono essere base comune di discussione coi musulmani (libertà religiosa, diritti umani etc.), (come fa Bertone quando risponde alla lettera dei 138 parlando di dignità della persona, conoscenza della religione dell’altro etc.).
Onestamente non sto nella testa del Papa (e non ho neanche la fortuna che lui dopo due giorni dica esattamente quello che io intendevo dire) ma non condivido la interpretazione che il laico Scalfari fa di questo pontificato (ed enciclica) su Repubblica: anti-moderno e anti-illuminista. Io credo che il pontificato di Ratzinger non sia così “anti”.
Ad ogni modo, senza tentativi nè bisogno di tirare il papa per la giacchetta, io penso che l’illuminismo (oltre il giacobinismo e la dittatura stalinista) abbia contribuito essenzialmente a frutti positivi della nostra civiltà moderna (p.e. la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo), e anche per la Chiesa e la sua migliore comprensione di alcuni valori dimenticati nel corso dei secoli (come il rispetto della libertà religiosa). Il cristianesimo è in continua tensione critica, verso l’esterno, ed “autocritica”.. il che significa che a casa nostra non tutto splende e luccica e che oltre alle sozzure in casa d’altri dobbiamo essere in grado di apprezzarne gli ambienti puliti.
Don78: “Onestamente non sto nella testa del Papa.”
Neanch’io. Tantomeno in quella di Don78. Ma sì, mi metta d’ufficio fra i torturatori argentini e pensi pure che darei alle fiamme Beccaria… Pensi un pò quel che vuole..!