I Papi santi intimoriscono per la loro grandezza: anche i Roncalli, i Montini e i Wojtyla che hanno segnato così a fondo la nostra epoca. Ma con Luciani è diverso: ora viene proclamato beato e presto sarà sicuramente santo, ma non intimorisce nessuno, come se neanche fosse stato un Papa. Tra chi lo conobbe, poi, la sua memoria non cessa di risvegliare qualcosa come un accorato rimpianto per averlo subito amato e subito perduto. – E’ l’attacco di un mio profilo di Giovanni Paolo I che ho scritto per il Corriere del Veneto e che riporto per intero nei commenti.
Sul Corriere del Veneto un mio profilo di Papa Luciani che Francesco ha appena fatto beato
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Papa Luciani è amato per le origini montanare, ai margini di un piccolo borgo, con un padre d’ogni mestiere, emigrato già a undici anni in Austria e poi in Germania, Francia, Svizzera.
Amato anche per aver conosciuto la miseria e la fame. Ricevendo un gruppo di bellunesi fece questa confessione: “Durante l’anno dell’invasione [il 1918, dopo Caporetto, quando aveva cinque e sei anni] ho patito veramente la fame, e anche dopo; almeno sarò capace di capire i problemi di chi ha fame”.
Una volta parlò di sé, Papa, come di “un povero Cristo”. Non dimenticò d’aver portato al pascolo le mucche, da ragazzo e che un giorno una mucca gli mangiò il quaderno di scuola.
Amato anche per i modi semplici e per non aver dimenticato la raccomandazione del papà Giovanni socialista che così gli scrisse dalla Svizzera quando a undici anni gli chiese il permesso di entrare in seminario: “Spero che quando tu sarai prete, starai dalla parte dei poveri, perché Cristo era dalla loro parte”.
Nulla presumendo di sé, prese i nomi dei Papi che gli erano stati padri nel servizio alla Chiesa: Giovanni XXIII che l’aveva fatto vescovo e Paolo VI che l’aveva mandato a Venezia e fatto cardinale. Un nome – quel Giovanni Paolo – che legava insieme la memoria dei due Papi del Concilio, al quale il neoeletto intendeva restare fedele: “Vogliamo continuare nell’attuazione della grande eredità del Concilio Vaticano II”, disse nel primo discorso dopo l’elezione.
Il richiamo ai Papi del Concilio fu ripreso dal successore Wojtyla che confermerà quell’intenzione scegliendo di chiamarsi Giovanni Paolo II. Quello che vale per il nome vale per l’opera di rinnovamento del Papato che tutti e quattro li caratterizza: un lavoro iniziato da Roncalli, continuato da Montini, suggestivamente proiettato in avanti da Luciani e fatto correre da Wojtyla.
Il povero Luciani aveva preso il nome di due grandi Papi ma restò piccolo nel sentimento di sé. Non dormì la notte dopo l’elezione, tormentato dagli “scrupoli per aver accettato”. Disse ai cardinali, scherzando senza scherzo: “Possa Dio perdonarvi per quello che avete fatto”. Stava a disagio sulla sedia gestatoria e ancora di più trovava fuori luogo dare la benedizione ai confratelli cardinali, nel discorso dopo l’elezione: “Mi sa un po’ strano darvi la benedizione apostolica: siete tutti successori degli Apostoli”.
Si sentiva inadeguato: non aveva esperienza diplomatica, o curiale, o d’insegnamento. Era intimorito dalle responsabilità di governo e dai dibattiti sul futuro della Chiesa. Aveva partecipato a tutte le sessioni del Concilio senza mai intervenire.
Quando lo fanno vescovo di Vittorio Veneto si sente perduto: “E’ tutto troppo grande per me”. Mandato a Venezia dirà: “Non so fare il patriarca”. Un’umiltà che forse è il primo titolo della sua santità. Ma anche uno spavento per le decisioni da prendere che forse ne ha affrettato la morte.
Tuttavia questo Papa intimorito dal Pontificato non è passato invano sul trono di Pietro. Molte delle novità venute poi dai successori forse non le avremmo avute così presto se non ci fosse stata la sua discesa da quel trono che manifestò con alcune decisioni mirate a proporre un nuovo modo d’essere papa: più spoglio, più personale, più evangelico.
Parlava in prima persona, dicendo “io” invece del “noi” maiestatico. Non ha voluto la tiara e nessun altro poi l’ha presa. Ha trasformato la cerimonia dell’Incoronazione papale in una “celebrazione di inizio del ministero di Pastore universale”: e anche questo è restato.
Da cardinale aveva suggerito a Paolo VI di non assumere una posizione rigida sulla pillola contraccettiva e da Papa invitò più volte a non perdere mai la speranza: “una virtù obbligatoria per noi credenti”, che ci fa “viaggiare in un clima di fiducia e di abbandono”. In un’occasione avvertì che contraddice alla speranza chi svilisce l’uomo: “Sono anche affiorate ogni tanto, nel corso dei secoli, tendenze di cristiani troppo pessimisti nei confronti dell’uomo”.
Da vescovo di Vittorio Veneto e da patriarca di Venezia era abituato a incontrare le persone e ora – da papa – egli teme di perdere quel sostegno: “Ho sempre avuto piccole diocesi e il mio lavoro era tra i ragazzi, gli operai, i malati. Non potrò più fare questo lavoro che mi piaceva tanto”. Così parla, il 30 agosto 1978, ai cardinali che l’hanno eletto.
E’ stato definito “il Papa del sorriso” ma tutti dicevano che da cardinale non sorrideva facilmente, come invece poi fece in ogni giorno del suo mese da Papa. Con quel sorriso io credo volesse manifestare al mondo la sua anima di buon pastore che si sentiva inviato a tutti e voleva mostrarsi fraterno nei confronti d’ognuno.
Luciani l’ho conosciuto da cardinale e non l’ho amato. Ero allora nella Fuci, la federazione degli universitari cattolici, della quale il patriarca Luciani aveva sciolto il gruppo di Venezia per il “no” nel referendum sul divorzio del 1974: un “no” che condividevo. L’ho amato invece da papa per il sorriso che dicevo e per il conforto che cercava di offrire a tutti con la predicazione di un Dio che ama l’umanità tribolata. “La gente ha tanto bisogno di incoraggiamento” disse una volta.
Nei suoi pochi giorni non sono mancate parole da memorizzare. Come quando disse, all’Angelus del 10 settembre 1978, che “noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. E’ papà; più ancora è madre. Vuol farci solo del bene, a tutti. E se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore”. Parole simili a quelle che ogni giorno da nove anni ci propone Francesco.
Di relativamente nuovo c’era allora, in quelle parole, la centralità da riconoscere al tema dell’amore e della misericordia, che il cardinale Luciani poco prima dell’elezione aveva così proposto: “Il Dio del cristianesimo è Dio che ci ama: chi non ha capito questo, non capisce il cristianesimo”. C’è qui un preludio all’enciclica Dives in misericordia di Wojtyla (1980), alla Deus caritas est di Benedetto (2006), al volume Il nome di Dio è misericordia di Francesco (2016).
Insomma una sua scuola del cuore questo Papa effimero l’ha svolta verso i suoi successori.
https://gpcentofanti.altervista.org/alla-scoperta-dellamore-meraviglioso-di-gesu/
Viva il Sismografo. Il Corriere.it oggi ha ripreso l’articolo che avevo scritto l’anno scorso, quando fu annunciata la beatificazione di Luciani:
https://www.corriere.it/cronache/vaticano-news/22_settembre_04/papa-luciani-beatificazione-d1e40c5c-2c20-11ed-a881-0468ff338f41.shtml