“Siamo sfollati anche noi ed è stato spontaneo accogliere nel nostro giardino gli altri sfollati: ora siamo in tanti e ci facciamo compagnia“: parole di Carla ed Enzo Belli, farmacisti di San Giovanni Concordia sulla Secchia, nel modenese colpito dal terremoto. Hanno perduto un figlio di trent’anni, hanno la casa inagibile e hanno aperto i cancelli del parco di famiglia ai concittadini travolti dal terremoto. In loro onore un bicchiere di Vino Nuovo.
Siamo tutti sfollati e ci facciamo compagnia
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Dopo un mese la terra continua a tremare e purtroppo viviamo ancora tutti nella paura, specialmente gli anziani, e nell’attesa di poter tornare alla normalità. Se questo vale per noi che viviamo a ottanta chilometri dell’epicentro, figuriamoci cosa può provare chi vive nei paesi più colpiti dal terremoto, gli sfollati, coloro che vivono nelle tendopoli.
Il Papa andrà la prossima settimana a Carpi, la sua prima visita in Emilia, visita “lampo” per non creare difficoltà ai terremotati. Incontrerà il Vescovo di Carpi, Mons. Cavina, anche lui “sfollato” da un mese, ricorderà Don Ivan Martini che ha perso la vita in chiesa, durante la scossa del 29 aprile. Visiterà una chiesa ferita, una comunità frastornata, addolorata, disorientata.
Porterà un saluto affettuoso, una parola di conforto, un incoraggiamento, la sua preghiera. Le sue care parole e la sua benedizione ci consoleranno e ci aiuteranno ad affrontare la ricostruzione con più serenità.
Mi auguro che tutti vogliano riconoscere il contributo positivo di questa visita, mettendo da parte l’astio di un anticlericalismo purtroppo ancora molto forte (vi risparmio le cattiverie e le bugie che mi è capitato di sentire), perlomeno qui da noi, nella “rossa” Emilia.
Da parte mia apprezzo moltissimo il gesto di un pastore ormai anziano, ultraottantacinquenne, disposto ad affrontare i disagi di un viaggio in elicottero e di un caldo torrido (nella Bassa il sole non scherza, nella mia città domani sono previsti 39 gradi) pur di far sentire la sua vicinanza paterna a chi ha vissuto l’esperienza terribile del terremoto e ha pianto 17 vittime. Grazie, Santo Padre, l’attendiamo a braccia aperte!
Anche nel mio paese, all’apparenza costituito di gente che si fa gli affari propri, si è verificata una sorprendente corsa alla solidarietà che ha visto protagonisti ragazzi, casalinghe, amministratori pubblici nei ruoli più insoliti.
E’ vero, in un certo senso ci siamo ritrovati “comunità” ed abbiamo fatto emergere un senso di solidarietà che sembrava perduto.
Ma è venuta a galla anche la nostra precarietà, la nostra fragilità, il nostro non sentici autosufficienti.
Certo, è assurdo adesso metterci a fare l’elogio del terremoto, una tragedia vera e propria, che tra l’altro non accenna a esaurirsi.
Ma, se non altro, adesso siamo più consapevoli dei nostri limiti e meglio comprendiamo le parole del vangelo in cui Gesù ci invita a costruire la nostra casa sulla roccia. E quella roccia non può essere la nostra casa di pietra, né il nostro lavoro, né i nostri risparmi.
La visita del Santo Padre ci aiuterà a ritrovare il terreno giusto sul quale costruire.
io penso che sia un vero miracolo la pazienza, il buon senso, la bontà, la generosità e la moderazione dimostrata dai cittadini , in un paese come il nostro che sembra essere governato non dalla logica ma dal caos:
http://www.corriere.it/inchieste/emergenza-sisma-emilia-intanto-arrivano-51-miliardi-il-terremoto-irpinia/6f75fd40-ba5d-11e1-88e3-74eab70f59c2.shtml
Hai visto caro Luigi fa venire in mente il passato. Ricordi la festa delle capanne ? (ebr. sukkòhth) dal 15 al 21 Etanim ( Sett. – Ott. celebrava la raccolta. Era la festa che celebrava “la fine della raccolta”) sette giorni di festa. Di solito c’era una capanna per ogni famiglia. (Eso 34:23; Le 23:42) Gli israeliti le erigevano nei cortili e sulle terrazze delle abitazioni, nei cortili del tempio, nelle pubbliche piazze e sulle strade a meno di un sabato di viaggio dalla città… dovevano vivere per una settimana in capanne, “affinché le vostre generazioni sappiano che feci dimorare i figli d’Israele nelle capanne quando li facevo uscire dal paese d’Egitto. Io sono Jehovah vostro Dio”. (Le 23:42, 43)
Certo a differenza di questa, quella doveva essere un’occasione “festosa”, ricordava che l’uomo può facilmente diventare “nomade o residente forestiero”; e dovrebbe essere pronto a muoversi perché gli uomini non sono alberi con radici che li rendono immobili, ma hanno le gambe per muoversi, non per rimanere fermi e lo devono fare per essere pronti a scoprire cose nuove, per imparare e apprezzare le differenze e le varietà che Dio ha create per il loro beneficio. Chi rimane fermo e immobile difficilmente riesce a farlo difficilmente riuscirà ad osservare ciò che è oltre l’orizzonte.
Magari se si riuscisse a pensare che non tutti i mali vengono per nuocere, forse anche questa triste occasione potrebbe essere motivo di riflessione e insegnamento. Motivo per sperare in qualcosa di migliore, ma sarebbe necessario e utile un cambiamento di attitudine e di modo di agire, e forse si riuscirà anche a fare a meno dei vecchi e sconquassati edifici religiosi per ritrovarsi felicemente insieme sotto una tenda anche per un matrimonio o per stare insieme come le antiche tribù per banchettare e godere della compagnia di chi ha abbandonato pregiudizi e vecchie abitudini speranzoso di nuove e interessanti possibilità.
“Perciò, lasciando da parte l’insegnamento iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è più completo, senza gettare di nuovo le fondamenta della rinunzia alle opere morte e della fede in Dio, 2 della dottrina dei battesimi, dell’imposizione delle mani, della risurrezione dei morti e del giudizio eterno. 3 Questo noi intendiamo fare, se Dio lo permette.” ( Ebr. 6.1-3 CEI)
Un abbraccio a FedericoB e a tutti gli amici e le amiche dell’Emilia Romagna.
Grazie Fabricianus, ricambio l’abbraccio e lo estendo a tutti i terremotati emiliani, lombardi e veneti.
Un abbraccio particolare a Fides et ratio, che sappiamo accampato in un garage: Fides, sei ancora lì o sei riuscito a rientrare a casa? Come va? Coraggio!
Mio padre aveva molti amici emiliani, per via del “garofano vermiglio”che lo accomunava ai partigiani della resistenza di Modena, per il fatto, anche, che la sezione del suo partito era in gemellaggio con quella dei fratelli “Cervi”. Ricordo che quando tornava da Modena -dopo aver smaltito la sbronza ovviamente- iniziava a raccontarci con dovizia tutto quanto aveva fatto. Felice come un bambino raccontava la bonta dei suoi amici, la bellezza della regione, la bontà del cibo e soprattutto la tempra e il senso civico del popolo Emiliano, la grande cultura del lavoro che li caratterizza.
Forse è questo il motivo per il quale mi sento particolarmente vicina a Fides e Federico e a tutti gli emiliani che stanno tribolando, provati da tutte le parti, ma non schiacciati, non sconfitti, sempre animati dalla voglia di lasciarsi la distruzione alle spalle e ricominciare. L’Emilia risorgerà….risorgerà! Coraggio..
Vi sono accanto in preghiera costante…
Grazie, Clodine, apprezzo molto le tue parole di amicizia e di vicinanza.
E soprattutto la preghiera.