Torno sull’autobiografia del cardinale Scola [vedi post del 3 e del 4 settembre] per riprendere una sua risposta sul dolore innocente, nella quale si rifà all’affermazione “non abbiamo risposte” di Francesco e Benedetto e afferma di condividerla. Qui nel blog ne abbiamo parlato a più riprese: in particolare vedi i post del 6, 7, 8 gennaio 2017. Nei primi commenti riporto la domanda del collega Geninazzi e la risposta del cardinale [sono alle pagine 97s del volume, nel capitolo 7 intitolato: “Dentro la sofferenza. L’esperienza della malattia”].
Scola con Francesco e Benedetto sul dolore innocente
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Geninazzi. Resta sempre il grande interrogativo sulla sofferenza dei singoli e sul travaglio di dolore che vive l’umanità. A questo proposito Lei ha detto una volta che «l’uomo è tentato di chiamare Dio a discolparsi per l’esistenza del dolore nel mondo». Parole che sembrano riecheggiare quelle di Alessandro Manzoni secondo cui, di fronte alla cecità del male, «il pensiero si trova con raccapriccio a esitare tra due bestemmie: negare la Provvidenza o accusarla».L’interrogativo sul dolore è destinato a rimanere irrisolto?
Scola. È una domanda cui hanno tentato di dare risposta tanti filosofi e teologi lungo i secoli ma senza giungere a risultati convincenti. La dottrina tradizionale, da sant’Agostino a san Tommaso, è quella che Maritain ha sintetizzato nella «permission du mal», vale a dire che Dio permette il male a fin di bene. Ma, aggiungeva il pensatore francese, è una teoria insufficiente e addirittura inaccettabile quando per esempio si tratta del dolore di un bimbo innocente. Papa Francesco, a un bambino che gli chiedeva il motivo della sua grave malattia, ha ammesso di non avere una risposta. E anche Benedetto XVI si era espresso allo stesso modo quando, in visita in Giappone, una bambina gli aveva domandato perché Dio aveva permesso la terribile catastrofe dello tsunami.
Scola 2. Nel Vangelo non c’è una «teoria del dolore», ma solo la sconvolgente affermazione che troviamo nel discorso della Montagna: «Beati quelli che soffrono…». Tracciando di fatto con le beatitudini il proprio autoritratto, Gesù non ci ha offerto spiegazioni o giustificazioni. Ha affrontato la sofferenza prendendola su di sé. Per questo l’unica possibile risposta al mistero del dolore è una presenza. Davanti a certe situazioni di sofferenza estrema non ci sono parole, occorre stare in silenzio guardando insieme il Crocifisso. Il dolore più che capito, va condiviso. Essere vicino a chi soffre non è una bella espressione consolatoria ma la modalità con cui il credente testimonia l’amore di Cristo che ci salva dal male, sia fisico sia morale.
Personalmente, quel che più mi colpisce è il male involontario. Succede spesso di fare soffrire delle persone con il proprio comportamento o per un proprio giudizio, ma non te ne rendi conto e nessuno te lo farà notare. Non c’è in gioco la responsabilità diretta come accade nel male consapevole eppure l’effetto è lo stesso, anzi può risultare addirittura più grave. Ho molto riflettuto su quest’aspetto e sono arrivato alla conclusione che nel male involontario si manifesta l’inevitabile solidarietà che ci lega l’uno all’altro. È la dimostrazione che la famiglia umana è davvero un corpo solidale: in negativo per il peccato originale di Adamo, in positivo per il fatto di essere stati creati in Cristo e redenti da Lui che, morendo sulla croce, ha espiato tutti i peccati del mondo e ha svelato così la fecondità del dolore.
Ma oggi i 3 saggi del libro di Giobbe, sbugiardati da Dio, ricompaiono sotto mentite spoglie.
Su questo argomento vorrei dire la mia, sperando di non suscitare reazioni incontrollate da parte di Cuffini, il quale ha manifestato idiosincrasia per il mio pensiero al riguardo.
Condivido il pensiero tradizionale ” il male a fin di bene ” . Non condivido invece il fatto che Maritain considerasse questa una “teoria insufficiente e addirittura inaccettabile davanti al dolore degli innocenti. Non la condivido perché “il male a fin di bene” non è una teoria “razionale” ma una dichiarazione di FEDE, derivante immediatamente dalla affermazione cardine della FEDE : Dio è AMORE. Quando papa Francesco e Benedetto XVI hanno affermato di “non avere una risposta” , nel loro dire è sottointeso l’aggettivo “razionale” . Non c’è una risposta razionalmente comprensibile a quella che è una affermazione di fede. La Fede, come tutti sappiamo, TRASCENDE la ragione..
La affermazione sconvolgente “Beati quelli che soffrono…” non è altro che la affermazione sconvolgente del mistero di Pasqua : la croce come “antefatto” della Resurrezione. San Paolo lo esprime così : “le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” – sofferenza presente e gloria futura sono grandezze “incommensurabili” (l’ho scritto in termini matematici in un post precedente). Cristo, morendo sulla croce e resuscitando il terzo giorno ha manifestato agli uomini che la sofferenza – qualunque sofferenza perché sono tutte ricapitolate nel sacrificio della Croce – non è la ultima parola.
Che trovandosi di fronte a una situazione di sofferenza estrema la risposta che un cristiano può – anzi DEVE dare – non sono parole ma un silenzio operoso per quel poco che si può fare per alleviare il dolore. Il silenzio che è rifiuto della “disperazione”, è testimonianza della fede che la sofferenza non è l’ultima parola.
Una ultima annotazione che spesso faccio perché ritengo che sia importante è questa. Quando si parla del fatto che la sofferenza è un mistero, dovremmo esplicitare “la sofferenza degli innocenti” . Non tutte le sofferenze sono “misteriose”, molte infatti hanno una origine ben identificabile: derivano dai peccati, personali nostri o di coloro che condividono la nostra umanità, che essi siano “consapevoli” o meno.
“Molti e profondi sono i problemi che il dolore pone alla mente umana, anche se illuminata e guidata dalla Fede; ma uno certamente tra i più delicati e conturbanti è costituito dalla apparente capricciosità nella sua distribuzione tra gli uomini. Se il dolore infatti, come è facile e quasi naturale ammettere, è pena ed espiazione dcella colpa, dovrebbe pesare maggiormente su quelli, tra gli uomini, che più gravemente hanno peccato. Invece avviene di constatare molto spesso il contrario e, fino dai tempi del salmista – che più volte se ne lamenta con accenti di drammatica potenza – i peccatori trionfano ed i giusti soffrono, spesso a cagione della loro stessa ingiustizia. Tipico e più conturbante di tutti é il caso dei bambini che soffrono”. Così inizia il libretto scritto dal Beato Carlo Gnocchi, che offriamo ai nostri affezionati visitatori. Un libretto quasi introvabile scritto dal Santo pochi giorni prima della morte avvenuta il 28 Febbraio del 1956, si tratta d’una copia in formato PDF tratta da un originale della prima edizione che uscì solo poche ore dopo la sua morte. Fra pochi giorni scoccherà il 56° anniversario della Sua scomparsa e con questo piccolo segno, lo vogliamo ricordare per la sue grandi doti di Fede, Carità e Speranza. (la copia ci è stata fornita dalla sig.a Luisa Arnaboldi, presidentessa dell’Associazione Nazionale Ex-Allievi di don Carlo Gnocchi, carissima amica, che ringraziamo affettuosamente.
http://www.sibari.info/index.php?option=com_content&task=view&id=2676&Itemid=67
Il card. Scola e’stato allievo di Don Giussani. Ricordera’di sicuro che l’insegnamento di Don Giussani partiva sempre da un presupposto esistenziale , cioe’la richiesta di un senso da dare all’esistenza umana. Il cristianesimo secondo Don Giussani e’ l a risposta autentica a questa “domanda di un senso dell’esistenza umana”
Infatti chi vorrebbe vivere se la vita non avesse alcun senso? D ‘altra parte non si puo pensare che la vita abbia un senso solo se priva di sofferenza e che il dolore sia insensato, poiche ogni vita umana comprende fatalmente la sua parte di dolore, sofferenza, malattia a morte come gia Budda aveva osservato.
Certo ci sono stati dei pensatori com.e Schopenauer e Leopardi che possiamo definire pessimisti cosmici, per cui la vita umana non solo e’ male ma non ha alcunalcun significato tranne la propria eterna petpetuazione di vita, sofferenza, morte, all’infinito.
Secondo Budda per liberarsi da questa esiatenza insrnsata l’upmo doveva arrivare all’estinzione della volonta’ di vivere.
Al contrario secondo Don Giussani la risposta del cristianesimo, cioe’dell’incontro con una persona ben precisa Gesu’, si situa all’opposto del pessimismo cosmico:non solo per il cristiano la vita non e’male ma bene, ma qualsiasi stato dell’ esistenza e’ bene , perrsino gli aspetti piu’assurdi della vita, dolore, malattia, sofferenza morte, quelli che Budda rigetto’, Gesu’ li ha presi su di se’ e cosi’ facendo ci ha insegnato che non l’ estinzione della volonta’ ma la vita piena, che e’ la partecipazione alla vita divina, e’lo scopo dell’ esistenza umana e di tutte le creature viventi.
Per questo dire che per un cristiano non c’e’risposta alla domanda del senso della sofferenza e’ falso. Perche’ per il cristiano la sofferenza fa parte della vita e fa parte del ” bene” che e’ la vita. Non esiste creatura vivente dal microbo al ragno al mammifero che non speromenti la sofferenza.L’estinzione della sofferenza si ha solo con l’estinzione della vita, su questo Budda aveva ragione.
Ma non e’questa la risposta di Gesu’
Tutte le tue parole Beppe cercano di dare un significato alla sofferenza, ma nessuna di esse è una risposte alla domanda del perché della sofferenza.
Cristina Vicquery
La sofferenza, tutti noi pensiamo alle cose piu’patetiche tipo il bambino malato di leucemia, ma in realta’ nessuno neanche il piu'”fortunato” fra i mortali puo’ritenersi esente dal dolore. Ultimamente abbiamo visto il suicidio di persone ricche, famose, sane, realuzzate. Se sono arrivate a suicidarsi e’perche’per loro la vita era divenuta una sofferenza insopportabile. Per qualsiasi persona che abbia una grave depressione la vita e’ una sofferenza insopportabile e il dolore psichico e’peggiore di quello fisico.
Se un cristiano incontrasse una di queste persone che etanno per suocidatsi, potrebbe limitarsi al silenzio, oppure a confermare a queste persone cio’di cui sono gia’ convinte,cioe’ che non c’e’ risposta alla domanda sul perche’ eoffrono? Non “dovrebbe il cristiano in questo caso cetcare di parlare all’aspirante suicida del valore dell’edistenza, che e’un dono di Dio e anche del valore della loro sofferenza nel disegno di Dio?Non dico si debbano fare discorsi teologici ma dire semplicemente non ho risposte o stare in silenzio credete che aiuti il prossimo?
Quando si dice che il cristiano non ha risposte da dare ma solo conforto e vicinanza, non si scade nel sentimentale, quando le persone chiedono risposte e non abbracci e strette di mano?
anche nel caso dell’aspirante suicida un bel discorso alla Beppe che cita San Paolo: ““le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi” avrebbe come conseguenze immediate il suicidio dell’aspirante suicida preceduto dall’omicidio del predicatore
cristina Vicquery
Maria Cristina Venturi credo possa aiutare la nostra conversazione distinguere tra il colloquio diretto con il sofferente e la domanda sulla sofferenza. Benedetto, Francesco, Scola (e in altre occasioni abbiamo visto segnalate analoghe parole di Martini e di Biffi) rispondono che non c’è risposta a chi li interroga sulla sofferenza, cioè a chi chiede una risposta di pensiero, razionale, dottrinale. Altra è l’interrogazione che viene dal letto d’ospedale, o dalla scala del suicida. Nel dramma che si compie dirai quello che potrai. Nell’argomentazione riconoscerai il limite della parola. A me i due momenti appaiono distinti nell’esperienza vissuta. Grazie d’aver ricordato l’incontro con chi vive la perdita della speranza.
mcv
Non dico si debbano fare discorsi teologici ma dire semplicemente non ho risposte o stare in silenzio credete che aiuti il prossimo?
figlio di un mio collega..a 5 mesi scoprono un nodulo sul rene del bimbo, che muore un anno e mezzo passando la sua breve vita praticamente in ospedale.
La predica può avere un aspetto consolatorio ,ma certo non è una risposta al perchè mio figlio sia venuto al mondo per soffrire..
cristina vicquery
Io non ho risposte sul modo di consolare chi soffre e non credo ce ne siano di valide per tutti e per tutte le circostanze. Posso solo parlare della mia esperienza. Sono passati molti anni ormai. Ero in ospedale, in piedi, sulla porta della stanza in cui una persona cara moriva. Si avvicinò un medico, giovane, sconosciuto, mai visto. Mi posò la mano sulla spalla, fate conto, la sua mano destra sulla mia spalla destra, come fanno gli amici che si vogliono bene. Pochi secondi, non una parola, andò via. E la croce mi fu più lieve.
Molto opportuna la precisazione di Luigi, per non mescolare due discorsi diversi..
A picchio : dire che la sofferenza degli innocenti NON ha una spiegazione razionale ma deve comunque rientrare nel fondamento della Fede che Dio è amore, non cerca di essere una risposta al perché della sofferenza.
Concordo che dire all’aspirante suicida la affermazione di San Paolo avrebbe come conseguenza immediata la uccisione del predicatore. C’è un tempo per ogni cosa! ( come giustamente rileva Luigi ).
Concordo anche con Calo’ quando dice che non si possono dare regole “assolute” di comportamento quando si è accanto a un sofferente. È certo che per parlare ci vuole molta prudenza. Ma anche “tacere” può essere negativo ( Scola accennava anche al male che si può fare “senza volerlo” . Questo della vicinanza a sofferenti è un luogo nel quale con le migliori intenzioni si può fare un gran male )
Secondo il mio modesto parere non esiste la sofferenza innocente perché non esiste la sofferenza colpevole. Quando Dio dice “Misericordia io voglio e non sacrificio”, intende dire: IO voglio usare misericordia, non condannare. Il suo equivalente biblico, infatti, è la parola che si legge in Ezechiele: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. Dio, perciò, non vuole “sacrificare” la sua creatura, ma salvarla.
La sofferenza esiste perché l’uomo è una creatura, appunto, cioè un essere imperfetto. In quanto tale è normale che gli succedano cose che lo fanno soffrire. Per evitare sofferenze Dio lo avrebbe dovuto creare perfetto, ma allora Dio non sarebbe stato tale, se avesse avuto altri esseri uguali a Lui.
Bisogna considerare infatti che c’è un’imperfezione originale nella creatura, cioè che risale alle origini, ed è quindi connessa strettamente con la natura, la costituzione, poiché la creatura è essenzialmente limitata.
Ripeto, a mio modesto parere.
Giuseppe di Melchiorre, il tuo modesto parere è perfetto.
L’intervento di Giuseppe di Melchiorre evidenzia come ci si debba mettere d’accordo sulle parole per poter discutere dei contenuti.
Quello di cui s parlava è della sofferenza degli innocenti e non di sofferenza innocente.
Anche la impossibilità di una “sofferenza colpevole” andrebbe precisata. Di quale sofferenza stiamo parlando? Il drogato che ha una crisi di astinenza e soffre terribilmente non ha una “sofferenza innocente”, la sua sofferenza dipende direttamente dai suoi comportamenti, ma questo è vero non solo per sofferenze fisiche ma anche per “sofferenze morali” ad esempio uno che vive tutta la sua esistenza facendo il “cacciatore di donne” e poi, anziano, soffre per la solitudine, la sua non è una sofferenza “innocente” ma se la è procurata con i suoi comportamenti.
Che le cose create siano concettualmente caduche – Giuseppe le chiama “imperfette” – è un fatto; che la caducità implichi una “sofferenza” e di che tipo sia questa sofferenza – invece non è pacifico: un cane che invecchia e muore soffre? E la sua sofferenza è paragonabile a quella di un essere umano?
Negli esseri umani è la “consapevolezza della caducità” la causa principale della sofferenza, o in altri termini quella che “esalta” quel tipo di “sofferenza” legata alla casucita.
Conclusione : quando si parla di un tema così vasto come la sofferenza dovremmo prima di tutto porci la domanda : di cosa stiamo parlando?
Signor Beppe, grazie dell’attenzione. Se vuole modifico come segue:
“Secondo il mio modesto parere non esistono i sofferenti innocenti perché non esistono i sofferenti colpevoli. Quando Dio dice “Misericordia io voglio e non sacrificio”, intende dire: IO voglio usare misericordia, non condannare. Il suo equivalente biblico, infatti, è la parola che si legge in Ezechiele: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva”. Dio, perciò, non vuole “sacrificare” la sua creatura, ma salvarla”. Ecc.
Tempo fa ho letto che sono nati due gemelli con un fegato solo. Sono sicuro che anche lei è convinto che non scontano alcun peccato…
Rispettosi saluti…
Precisazione: non “gemelli”, ma “gemelli siamesi”…
Pardon.
Io penso che se non ci liberiamo dall’abitudine ad esprimere giudizi, i nostri giudizi, anche quando si parla di un tema quale quello del dolore e dalla morte, non se ne viene fuori. Le crisi di astinenza sono colpa del drogato? E perché uno si droga? Il cane soffre di meno perché… non so, forse perché non è consapevole del fatto che dovrà morire (è sicuro?) o non ha piena coscienza di sé come, più o meno, l’hanno gli uomini? Questo per me è un motivo in più per compatire chi soffre, come accade nel caso dei bambini, il cui dolore proprio perciò mi resta insopportabile. Il valore che ha la vita (la vita degli animali non vale quanto quella degli uomini, per me uomo) non può essere il metro di misura della sofferenza degli esseri viventi. A parte il fatto che, per quel che mi riguarda, colpevole e innocente sono parole senza senso al di fuori di una logica di sopravvivenza della società. Quanto alla coscienza della morte, è la radice del dolore degli uomini. E’ questo il peccato originale, l’acquisizione della coscienza di sé (il frutto della conoscenza), che ha svelato la l’esistenza della morte (dal momento in cui l’abbiamo conosciuta la morte è esistita per noi) e la differenza fra il bene e il male. Ma questo è un altro discorso.
A giuseppe di Melchiorre . Il caso prospettato dei due gemelli è il tipico caso di “sofferenza degli innocenti” di fronte al quale siamo senza spiegazioni.
“non esistono i sofferenti innocenti perché non esistono i sofferenti colpevoli” – in realtà – in un modo o nell’altro siamo tutti “colpevoli”! ma qui si sta parlando di sofferenze causate da NOSTRI comportamenti delle quali conosciamo bene la motivazione (es: un mal di testa dopo una sbronza, la cirrosi epatica dopo avere fatto stravizi per tutta la vita ecc) e sofferenze delle quali non conosciamo la motivazione né siamo capaci di dare una spiegazione razionale..
A Leopoldo Calò. Ho l’impressione che lei faccia confusione sul significato della espressione evangelica “non giudicare”. Questa si riferisce a esprimere giudizi morali sulle persone. Sulle cose al contrario siamo chiamati a esprimere giudizi e a interrogarci sul loro senso.
La sofferenza del drogato in crisi di astinenza ha una ben precisa motivazione, non è una sofferenza “inspiegabile” come quella che colpisce un innocente ad esempio che tua moglie si trovi sul ponte Morandi mentre crolla e tu rimani vedovo.
“A parte il fatto che, per quel che mi riguarda, colpevole e innocente sono parole senza senso al di fuori di una logica di sopravvivenza della società.” è una posizione comprensibile se si ritiene che il bene e il male non esistano ed esista solo la legge “positiva” che gli uomini mettono per poter vivere insieme. E’ una posizione filosofica nota, fondamentalmente atea, che molti hanno. Legittima anche se, a mio parere, erronea.
A Beppe Zezza
Forse ho fatto un erroneo accostamento.
Quando si parla di sofferenza innocente, in genere ci si riferisce ai bambini che, specialmente se neonati e con problemi di salute, sicuramente non possono avere nessuna colpa. Ma allora perché si vuol mettere in evidenza la loro innocenza? Perché, errando, c’è chi pensa che la sofferenza possa dipendere da Dio. Nel caso da me esemplificato, sicuramente NO!
Se poi lei mi fa la casistica dei drogati in crisi di astinenza, io potrei aggiungere il caso dei fumatori incalliti che si procurano il tumore ai polmoni. In questi casi, e in casi simili, è lampante chi è il colpevole. E sicuramente la colpa non è di Dio che ha rispettato la libertà dell’uomo di farsi male.
Secondo me Dio non procura la sofferenza a nessuno e, secondo me, nemmeno la gradisce come offerta in espiazione dei peccati. Lui preferisce l’amore e dona l’amore. Lo ha dimostrato Gesù, che, facendosi uomo, ha voluto far capire, sottoponendosi alla crocifissione, che, pur essendo Dio, della sua creatura ha voluto condividere il dolore più tremendo. E quando ha gridato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” probabilmente, sempre secondo il mio modesto parere, ha voluto far capire di sentirsi vicino anche a chi si sente abbandonato…
Siate comprensivi con le mie opinioni…
Caro Beppe, un cristianamente fraterno abbraccio.
Che un giorno, uscendo dalla terribile visione,
io canti gloria con gioia ad angeli accoglienti.
Che nessuno dei netti, martellanti battiti del cuore
cada su corde deboli, incerte o sul punto di spezzarsi.
Che il mio viso inondato
mi renda più splendente; che la banalità del pianto
fiorisca. Come mi sarete care, allora,
notti angosciose. Vi avessi sopportato più in ginocchio,
sorelle
sconsolate, mi fossi abbandonato di più
nei vostri capelli disciolti. Noi, scialacquatori di sofferenze.
Impegnati come siamo a indovinarne, nella triste durata,
la possibile fine. Eppure
sono il nostro fogliame invernale, il nostro sempreverde
più buio,
uno dei tempi del nostro anno segreto –, non solo
tempo –, ma luogo, sede, rifugio, terreno, dimora.
Ma come sono estranei i vicoli della Città-Dolore,
dove, nel falso silenzio creato dal frastuono,
impetuosa, dalla forma del vuoto, la colata
rintrona…
Ma dovessero risvegliare per noi, i morti senza fine,
un’immagine,
vedi, indicherebbero forse gli amenti
dei nocciòli spogli, che pendono, o forse
anche la pioggia che cade a primavera sulla terra nera –.
E noi, che pensiamo alla felicità
come a qualcosa che sale, sentiremmo
l’emozione, che quasi ci sgomenta,
di quando una cosa felice cade.
Rainer Maria Rilke “Elegie Duinesi”
a Giuseppe di Melchiorre
Dio – essendo Dio e onnipotente – in qualche modo è SEMPRE implicato in quello che accade.
In che modo Dio è implicato nel neonato che nasce con problemi di salute e non ha certamente alcuna colpa personale? Questo è il mistero per il quale non c’è riposta razionale. E risolverlo dicendo dire Dio non è implicato è una risposta non razionale perché configge con l’idea stessa di Dio e di onnipotenza.
” Gesù, che, facendosi uomo, ha voluto far capire, sottoponendosi alla crocifissione, che, pur essendo Dio, della sua creatura ha voluto condividere il dolore più tremendo.” Questo è indubbiamente vero ma parziale perché non dà conto della Resurrezione del Crocefisso. Cosa significa per noi la Resurrezione del Crocefisso?
Ricambio di cuore il cristianissimo abbraccio
A Beppe Zezza.
Caro Beppe, “onnipotente” significa “colui che può tutto”, ma questo non significa che adesso lo fa. Dio sicuramente è stata la “CAUSA PRIMA” di tutto, ma dopo sono subentrati degli “accidenti”, intesi come componenti accessori che non appartengono all’essenza di un soggetto, ma fanno parte della finitezza del creato, intesa come carattere di ciò che è limitato e imperfetto, ragione per la quale causa effetti non divini…
Così, tanto per continuare il dialogo con un fratello in Cristo, che abbraccio ancora.
A Giuseppe Di Melchiorre – per questo ho usato l’espressione “è implicato” , Dio è causa prima di tutte le cose, in quanto Dio, gli “accidenti” non gli possono essere ignoti. Ora, perché pur sapendolo lo accetta, rimane per noi incomprensibile razionalmente, ma accettabile per Fede che Lui È AMORE.
La Resurrezione di Cristo testimonia che, nel Suo disegno, la sofferenza – qualunque sofferenza – non è l’ultima parola. Questa consapevolezza porta con se’ una grande forza.
Caro Beppe, Dio è causa prima nel senso che è la causa iniziale che ha creato tutto. Ma come ho già scritto, il creato è imperfetto in quanto creatura, nel senso che, per non esserci il male, Dio doveva fare tutto divino. Invece fece Adam, che in ebraico significa “terroso”… E ciò che è terra, o suo derivato, non può essere perfetto. E Adam fu “ISH” (uomo) e poi ” ISHA’ “, come dire “uoma”, cioè della stessa essenza dell’uomo, sempre in ebraico. Mentre noi in italiano diciamo “uomo” e “donna”, che sembrano diversi. Nell’originale ebraico invece hanno la stessa sostanza, che però è la “terra”, una cosa non divina e quindi destinata alle imperfezioni…
Che poi Ish e Ishà siano destinati alla Resurrezone, come intelligentemente ricordi tu, lo ha dimostrato Gesù. E questo, hai ragionissima, porta con sè e per noi una grande forza. Bravo!
Volete vedere il dolore innocente in un’opera d’arte? Eccola: si tratta di una “Deposizione”, precisamente quella del pittore fiammingo Rogier Van der Weyden(1433-1435) custodita, dopo lungo travaglio, al Museo del Prado Spagna
La deposizione più straordinaria che la storia dell’Arte possa contemplare . In questa deposizione tutto è sospeso,ripiegato su se stesso. Tutto sembra cadere dolcemente. Il dolore che ansima e spacca il cuore è descritto nel volto di Nicodemo, che afferra Cristo per le braccia, nelle lacrime di Giuseppe D’Arimatea che in abiti sontuosi sostiene,del Signore, le gambe senza vita. Nei volti di Maria, la Madre, che sviene, pallida e affranta, in Maria di Cleofe che si asciuga gli occhi e nel volto rassegnato di Maria di Salome. C’è Giovanni, vestito di Rosso, che soccorre la Madre. Dov’è Maddalena: eccola: vorrebbe accarezzare i piedi del Maestro ma non osa. La potenza comunicativa di questa quadro dai colori impetuosi, il modo di stare nella realtà in ciò che non è reale, è l’essenza stessa dell’ amore e del dolore.
https://mainpuntadipiedi.wordpress.com/2016/03/26/deposizione-rogier-van-der-weyden-1435-museo-del-prado-madrid/
Caro Giuseppe
I nostri punti di vista hanno molte coincidenze ma anche. Alcune divergenze. La creatura è imperfetta perché necessariamente caduca. la caducità ha intrinseca una qualche forma di sofferenza ma non la sofferenza che proviene dal male.
Poi la espressione che ish e isha siano “destinati” alla Resurrezione non mi piace. Il vocabolo “destino” che è ineluttabile configge con la “libertà” che è la caratteristica suprema conferita a ish e isha dal Creatore.
E’ tutto vero, tutto giusto, Beppe, Giuseppe, condivido tutto quello che avete scritto..
Però, rifletto sul dolore innocente e penso che la tragedia di due guerre mondiali che ci siamo lasciati alle spalle -a conti fatti siamo sugli 85 milioni di morti ammazzati, sul campo, nelle trincee, vittime innocenti massacrate, città distrutte, villaggi rasi al suolo- Camere a gas, campi di sterminio, nazismo, stalinismo, leninismo, gulag. E prima ancora ? Tutto l’800 fu anch’esso un secolo di sangue:Napoleone, la scia di morte che lasciò eppoi… le guerre che infiammarono il mondo dalle americhe alla Spagna all’Italia, la guerra di Crimea e i martiri di Belfiore, e la nascita del comunismo che spalanca le porte dell’inferno. Ma vogliamo parlare del secolo precedente? La Rivoluzione Francese e il “Terrore”. Nella sola Parigi in un giorno vennero decapitate 3.000 persone, siamo nell’ordine di 100 persone al giorno. Non meno atroci le guerre di Religione nei due secoli precedenti: 1500, 1600. La catastrofe qui è talmente immane che sarebbe impossibile contare i morti
Allora, ditemi, ha un senso ancora parlare del perché della morte innocente?Pensare che tutto questo male possa passare così, senza che nessuno ne paghi il tributo, senza che quel sangue che grida vendetta non ricada su tutti, è follia!
Platone parlava di un principio unificante imprescindibile sicché tutti gli organismi viventi, seppur diversi tra loro ciascuno secondo la proprie specificità sono legati tra loro da una comune Anima universale.L’Anima Mundi
Se nei secoli, il cuore di questa anima è diventato luogo in cui si sono annidati, sedimentati, sentimenti di odio, dove quella pompa muscolare anziché produrre amore, pace, in nome di quel Cristo che ha dato la sua propria vita, ha lavorato affinché scorresse sangue innocente…di quello stesso sangue innocente si dovrà pagare.Di ogni anima tolta al servizio della Gloria di Dio l’umanità dovrà rispondere..è una legge…si entra in un mistero di Sapienza eterna, difficilissima da accettare senza una visione di fede alta, e sempre aggiornata. Quanto più questa difficoltà, oggi, in un tempo di fede non curata e non vissuta. Penso al buon ladrone che accetta il supplizio come via di espiazione per essersi riconosciuto ladro e colpevole, e penso all’altro, che grida. Ecco, così fa la stragrande maggioranza dell’umanità: chiede di essere da Cristo liberata dalla croce, e intanto gli innocenti insegnano a noi come stare crocifissi sulle nostre…
Cara Clodine, mi sa che non hai capito quello che ho scritto a proposito del dolore innocente. Il cosìddetto dolore innocente, appunto, sempre secondo me, non esiste in quanto sicuramente non può essere addebitato a Dio, specialmente quando viene riferito al dolore dei bambini, specialmente quelli neonati.
Che poi ci sia chi patisce dolore senza aver fatto niente per subirlo, non può essere che vero. Ma in questo caso scendiamo nella realtà fatta da uomini, come è quella che hai ampiamente esemplificato tu. Perciò quei morti, sono sicuro che lo pensi anche tu, non possono essere addebitati a Dio. Però non hai citato anche i morti causati dalla religione che, nel corso dei secoli è stata costituita da uomini seguaci, che l’insegnamento di Cristo lo adattarono alla loro convenienza. Tutte le religioni, infatti, sono fatte da uomini. La religione, come è stata realizzata nei secoli e in tutti i continenti, è un artefatto culturale. Seppure nata come strumento per sviluppare la spiritualità dell’uomo, in realtà la religione spesso la opprime e la soffoca, perché per sua natura ogni religione è violenta. Non ha fatto eccezione la religione cristiana, in ciò allontanandosi dall’insegnamento di Cristo che, invece, guariva anche persone pagane. Sarebbe troppo lungo elencare la casistica degli eventi caratterizzati da innumerevoli morti causati da cristiani, dimentichi che, già dalla nascita di Gesù, fu annunciata la pace agli uomini, tutti, ma tutti, amati da Dio.
Ti potrei mettere il link, ma sono sicuro che lo sai.
Un saluto fraternamente cristiano anche a te.
Rifletto su quanto dici sulla Religione Giuseppe. Devo darti che hai ragione. E’ vero.
E’ LA Verità che rende liberi, non la religione. Lo dicevano già i filosofi dell’antica Roma, il “De rerum natura” di Lucrezio,ad esempio, afferma in sostanza la stesso principio secondo il quale la religio(ne), ventre molle di ogni superstizione essendo una pratica collettiva del culto rappresentò un potente strumento di controllo e potere per la res publica romana. Ma andando ancora indietro lo stesso culto a Balaam, o al vitello d’oro in cui lo stesso Aronne, fratello di Mosè si fa complice di una liturgia sacrilega, ascrivibile ad una visione mercantilistica, retributiva del rapporto tra umano e divino come a tutt’oggi è presente nelle religioni, compreso l’Islam, regolato dallo stesso principio.
Quale è il passaggio, la linea di demarcazione che separa la Religione intesa come “strumento di potere”, schiavitù, rispetto a quella Religione che aspira a redimere l’uomo, l’umanità, e dischiude la possibilità -impensabile, perfino scandalosa come visione in qualsiasi religione vigente- di eguagliare la divinità stessa attraverso un cammino di perfezione morale che non poggia sulle fragili spalle dell’uomo che impotente dinnanzi alle forze occulte comprese quelle del male, ma per fede decide di aderire ad un progetto di Grazia se non in Colui che “p ur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana,
umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce” dice San Paolo ai Filippesi in quell’inno meraviglioso.
Non è la Religione, ma la Verità che ci fa liberi. Il dolore, non lo comprendiamo. Ma chiederci perché tante croci e se , per caso, queste non siano il frutto di ogni peccato piccolo e grande commesso da ciascuno. Pensare che quei 56 milioni di aborti ogni anno non gridino vendetta o che quel sangue non ricada come pioggia su ciascuno, significa non aver capito che la croce del peccato va portata in tutte le sue conseguenze.
E’ vero , Giuseppe, sono d’accordo quando dici che Cristo interviene, e spesso lo fa senza che nessuno lo solleciti, lo fa con tutti indistintamente. Ma questo aspetto è un segno che apre al mistero immenso di Cristo, divino e umano appunto. Ora, si può chieder a Dio che ci guarisca da un male, che ci tolga la croce? Si, certo che si può: in fondo siamo’ tutti lebbrosi, e ciechi e muti e sordi, ciascuno ha necessità di domandare a Cristo, ma, uno, in quei racconti, lo chiese in un modo particolare, lo si trova nel Vangelo di Marco capitolo 1 ; 40-45 :” SE VUOI , PUOI PURIFICARMI”. Se Vuoi, Puoi, è come domandare a Cristo, seconda Persona della Trinità, se Dio nella Sua prescienza, nel Suo piano di Provvidenza Eterna è contemplata quella specifica possibilità, ma in funzione della Gloria del Padre, così come ogni vita lo è, ogni malattia, ogni morte, ogni dolore, seppure incomprensibile e li, per la Gloria del Padre, tutto concorre alla Gloria del Padre.
Cara Clodine, non posso che condividre quanto hai scritto.
Adesso mi debbo mettere a scivere per conto mio. Sto scrivendo “Miryàm, secondo me”. La vita di Maria con i fatti evangelici, il loro contesto sociale e religioso, e con molta mia fantasia, tutta pregna del mio affetto per Lei.
Ciao. Stammi bene.
Giuseppe, il tuo omaggio alla Vergine non fa che confermare l’intensità e la purezza della tua fede.
Miryam di Nazareth, la Madre di Dio, è una presenza fondamentale nella vita di ogni discepolo, e nella mia. Pregherò lo Spirito Santo, che in Lei ha preso dimora, affinché ti sia guida e luce. Un caro saluto
Questo scambio di post testimonia quanto sia difficile parlare di questo argomento della “sofferenza degli innocenti” .
Si parla di “innocenti” in senso “personale” : individui la cui esistenza non motiva in alcun modo la sofferenza. GdM dice che queste sofferenze non possono essere in alcun modo essere “addebitate” a Dio. “Addebitare” non è lo stesso che “attribuire”: addebitare comprende in sé una idea di “colpa” che in “attribuite” non c’è. Io penso che non possano essere “addebitate” ma non possono NON essere “attribuite” a Lui in quanto Lui è causa prima di tutte le cose. Ora essendo per FEDE, il nostro Dio, AMORE e solo AMORE è necessario che anche queste sofferenze, in una qualche maniera, per noi incomprensibile razionalmente, ma che deve necessariamente ESISTERE, sono in funzione del BENE.
Clodine a mio parere mette l’accento su una cosa importante: considerare ogni persona come un individuo a sé stante, non rappresenta bene la realtà. Ogni individuo umano è parte – indipendentemente dalla sua personale consapevolezza – dell’intero “genere umano” che costituisce in qualche maniera una unità. Ora come nel corpo umano un organo soffre A MOTIVO di cose compiute da altri organi del corpo, così una singola persona soffre per cose compiute da altri – che magari non hanno nessuna relazione personale diretta. Quello che un organo fa di sbagliato ha conseguenze su tutti gli altri organi anche “innocenti”. Così molte sofferenze attuali di innocenti sono correlate – in forma spesso per noi misteriose – a tutte le cose sbagliate che il genere umano ha compiuto nella storia. Cose che possono essere ricondotte a Dio il quale ha creato un mondo “imperfetto” (e quindi suscettibile di terremoti, uragani ecc) e un uomo dotato di libertà.
GdM spezza anche una lancia CONTRO la Religione (tutte le religioni compresa la nostra). Io penso che la RELIGIONE sia necessaria all’uomo perché l’uomo ha necessità di esplicitare, incanalare, il suo rapporto con la Divinità e la Religione è proprio lo strumento che glielo permette.
E’ chiaro che la Religione, una volta che si è costituita , può degenerare e non essere più vista come uno strumento per esplicitare il rapporto dei fedeli (di quelli che hanno fede) con la Divinità ma come uno strumento per esercitare un potere sui fedeli. La Religione, in un certo senso, è una costruzione largamente umana e in quanto tale passibile di tutti gli errori che gli umani inevitabilmente compiono.
Possiamo avere qualche diversità di vedute su alcune cose, ma l’importante non è quello di avere tutti le medesime idee ma essere “in comunione”, consapevoli che il desiderio comune è essere fatti sempre più simili a Lui.
Caro Beppe, come è difficile parlare di questo argomento.
Non ti rispondo non per mancanza di attenzione, ma perché ho altri impegni. Del resto del dolore si parla e si scrive da secoli, e certamente non possiamo chiarire il problema noi due.
Perciò ti saluto ancora con un abbraccio che sai com’è…
Stammi davvero bene…
La gioia sia sempre con te, e con tutti… e anche con me…
Clodine, Mamma Miryàm ti riempia di gioia, come solo una Mamma come Lei sa fare…
Per me scrivere di Lei è un piacere grande che mi riempie di serenità e che me la fa immaginare sorridente e comprensiva per il mio impegno.
Un caro, ma davvero caro, saluto anche a te…