Salvatore Mellone ieri a Barletta è stato fatto prete in casa sua dal vescovo: è grave per un tumore all’esofago, dice parole che aiutano. Il Papa l’aveva chiamato al telefono martedì: “La prima benedizione che darai da sacerdote ricordati di darla a me”. E lui ieri tremante ha detto da casa: “Scenda sul Papa la benedizione di Dio Onnipotente”. Gli chiedo a nome dei visitatori di fare un segno anche su noi. Nei primi commenti alcune parole di Salvatore.
Salvatore fai un segno su di noi
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Portato sulle spalle. «Oggi mi sento portato sulle spalle da Cristo; da sacerdote porterò la stola con Cristo, per la salvezza del mondo. Anche celebrare una sola Eucaristia per me sarà partecipazione reale al sacerdozio di Cristo»: così aveva detto Salvatore al vescovo chiedendo d’essere ordinato in fretta per battere sul tempo la malattia.
Vite di Buona Novella. «Grazie a tutti i medici e gli infermieri dal cuore di samaritani, e a tutti i malati e sofferenti che in questi mesi di lotta estenuante contro la malattia che mi porto dentro ho incontrato: siete stati i miei evangelizzatori e lo sarete ancora. Sarete vite di Buona Novella nonostante il mistero. Non posso abbandonarvi proprio ora, sul più bello, quando Gesù Cristo mi dice “va’ da loro, esci nei territori della sofferenza, e porta almeno uno sguardo, almeno una carezza che possano spalancare a una vita piagata il senso di una vita piena, pura, risorta nella carità che tutto contiene”. Con San Paolo dico con forza che “né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore”».
Vedi? Io mica ci avevo pensato a chiedergli la benedizione e il ricordo nella preghiera.
Lo faccio ora, con infinito affetto e gratitudine.
7 mesi fà
8 settembre 2014
William Carmona,
seminarista , 51 anni, originario della Colombia,
è stato ordinato diacono e subito dopo sacerdote dal vescovo di Nashville nel reparto di terapia intensiva di un ospedale di San Antonio, nel Texas.
10 settembre 2014 è morto di cancro.
Anche se non aveva completato il ciclo di studi necessari,
il vescovo David Choby,
saputa la gravità delle sue condizioni, non solo ha acconsentito in via straordinaria a procedere con l’ordinazione, ma è volato in Texas per somministrargli i sacramenti in una toccante cerimonia a cui hanno partecipato numerosi sacerdoti, religiosi, suore ed il personale dell’ospedale.
Choby è stato fortemente toccato dal racconto che gli facevano alcuni amici del seminarista,
che, dal suo letto di ospedale,
non faceva che ripetere: “Dove è il vescovo Choby? Quando arriverà? Quante ore mancano alla mia ordinazione?”
L’ordinazione si è tenuta in un clima commovente e surreale,
con il seminarista nel letto,
con gli occhi chiusi a pochi passi dall’altare in cui veniva celebrata la liturgia, mentre un coro di altri seminaristi cantava inni di lode.
Attaccato alle macchine, durante la cerimonia i medici controllavano costantemente le sue condizioni di salute,
mentre il vescovo lo ungeva con l’olio sacro e gli imponeva le mani sulla testa.
Ovviamente padre Carmona non era più in grado di partecipare attivamente alla funzione, tuttavia i sacerdoti presenti hanno notato sul suo volto segni del fatto che il seminarista capiva in qualche modo cosa stava accadendo attorno a lui e la sua gioia.
Nelle scorse ore, appena due giorni dopo la sua ordinazione, padre Carmona è morto.
http://www.fanpage.it/ordinato-sacerdote-fin-di-vita/
Cesare Bisognin,
19enne,
malato terminale
Paolo VI su richiesta del Vescovo Michele Pellegrino (Torino) diede la dispensa ad ordinarlo sacerdote.
Ordinato Sacerdote il 4 apr. 1976
Muore per tumore osseo 28 apr. 1976 .
Mi ricordo quanto se ne parlo’ in televisione quando accade!!!!
Mi pongo in silenzio, condividendo l’invito di Luigi affinché Salvalore faccio un segno anche per noi.
Faccia*
“Abbraccio” Salvatore, con la sua voce senza incertezze e commozioni, come spesso capita a chi non ha tempo né per l’una né per le altre, e lo ringrazio per la verità che ci mette sotto il naso.
Che è questa: chi soffre, ci evangelizza per davvero, perchè “ci è” Cristo.
Per quel niente che conta, gli prometto di NON fare di questa l’ennesima “storia” edificante, l’ennesimo “santino” per carburarmi un po’ di devozione. Salvatore : mi sei segno, profezia vivente e concreta, strada da battere, compagno che mi anticipa e precede di un pochetto.
Quando si è come Gesù nell’orto, davvero ce lo si trova a un passo, innocente e a pezzi, vicinissimo, a offrirci la sua croce e la sua gloria.
Commentando su Avvenire il risalto che, già prima dell’ordinazione, la storia di don Salvatore Mellone stava ottenendo nella Rete dell’informazione ecclesiale, notavo che c’era, perlopiù implicito, una specie di “non detto”: la domanda sul perché il buon Dio chiamasse a sé un uomo ancor giovane e pronto a servirlo nel ministero presbiterale, e la speranza che con l’ordinazione giunga anche una miracolosa guarigione. Mi pare che, dopo l’ordinazione, questo sentimento sia stato ancor più esplicito. E’ un sentimento umanissimo, è Marta che rimprovera Gesù dopo la morte di Lazzaro. Sappiamo che “davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno”, eppure, sotto sotto, un supplemento di vita terrena per don Salvatore ci parrebbe un dono più grande della vita eterna verso la quale corre… Che ne dite, Luigi e amici del suo pianerottolo?
Ne dico che è sentimento umanissimo e struggente.
Ma che la storia di Gesù sta lì a mostrarci una strada contraria.
Davanti alla quale è lecito ( io dico sano e doveroso) dire “purtroppo”, “sfortunatamente” “incomprensibilmente “. Davanti alla quale è certamente lecito chiamare in causa Dio e chiederGli senza tante storie ragione e conto di tutto questo, mettendo già in conto il suo pesantissimo silenzio. Quella domanda che a pieno titolo e senza giri di parole e impliciti non detti ci sale alle labbra davanti a Salvatore, è la stessa che ci sarebbe salita , e ci salirebbe e ci sale ancora, davanti a Gesù Cristo stesso: perché il “buon Dio” non interviene – comportandosi una buona volta “da Dio”- davanti a un uomo ancora giovane e pronto a servirlo nel ministero, e per il quale un supplemento di vita terrena ci sembrerebbe solo “giusto” e “naturale” e “logico”?
Il fatto è che “il buon Dio” come ce lo pensiamo noi è una fola, ed è molto diverso dal Dio veramente buono che ci rivela il Vangelo: radicalmente e spaventosamente diverso. Prima ce ne rendiamo conto, meglio sarà.
Dio viene e libera e salva, ma non come umanissimamente, teneramente, vorremmo e penseremmo noi.
“L’accettazione dell’inaccettabile è la più grande fonte di grazia in questo mondo.”
(Eckhart Tolle)
E la morte per un essere consapevole è il massimo dell’inaccettabile.
Ringrazio Luigi per aver dedicato questo “post” a Salvatore, e ringrazio gli amici del “pianerottolo” per avermi dato l’opportunità di leggere i loro interventi: al solito, Lorenzo è riuscito ad esprimere al meglio quel che confusamente anch’io sento; aggiungo solo, dal mio “ultimo banco”, il contributo del mio ricordo della visita di Papa Benedetto XVI ad Auschwitz, quando chiese “perchè Iddio ha taciuto ? Perchè ha potuto tollerare tutto questo ?”.
Buon sabato a tutti.
Roberto 55
“…eppure, sotto sotto, un supplemento di vita terrena per don Salvatore ci parrebbe un dono più grande della vita eterna verso la quale corre… Che ne dite, Luigi e amici del suo pianerottolo?”
Dico che è proprio così. Lo dico– respingendo ogni forma di retorica– guardando alla sua vicenda, pur commovente, e a quella dei tantissimi altri giovani che non hanno avuto davanti a sé una vita abbastanza lunga per godere dei pochi momenti felici che la vita ci può offrire o che noi siamo in grado di cogliere. Perché è vero che purtroppo noi, passata la magica età dell’infanzia e della fanciullezza, non riusciamo più ad apprezzare le “piccole” cose che dovrebbero renderla desiderabile.
Beati quelli che mantengono, da adulti, lo sguardo dei bambini e la loro capacità di stupirsi e di gioire del bello della vita, senza essere stravolti dalle innumerevoli negatività che spengono la luce del dono.
L’uomo non è fatto per la morte, che è uno “strano incidente” che turba la grande festa. Un incidente crudelissimo per chi ne ha fatto un breve percorso e, soprattutto forse, per chi vede recidere il filo di una giovane vita.
E appare inutile appigliarsi a ragioni di fede per risolvere il drammatico enigma che è, e sempre resterà, la morte;la parola stessa ha in sé qualcosa di devastante.
Non piaceva neanche a Gesù, la morte, lo sappiamo bene.
E anche quelli che dicono di non temere la morte, quando se la vedono vicina la temono e la odiano. Ne ho esperienza diretta.
Solo la Grazia divina può aiutare un uomo a percorrere il più serenamente possibile il passo fatale. Alla mente umana ogni spiegazione sembra insufficiente e inadeguata.
Il grande card. Martini scrisse che per lungo tempo si trovò a chiedere a Dio perché non si fosse accontentato della morte dell’ Innocente suo Figlio, l’ eterna Vittima sacrificale, e tollerasse la morte di tutti gli altri suoi figli.
Trovò la risposta nel vederla come occasione, l’ultima ratio, che davanti alla morte l’uomo finalmente si affidi totalmente e umilmente nelle mani del suo Creatore.
Può essere consolante questa pagina:
ARGOMENTI:interviste cultura
PROTAGONISTI:Alberto Maggi
MONTEFANO – Alberto Maggi ha visto la morte da vicino. Ma poiché, oltre che frate, raffinato teologo e religioso spesso accusato di “eresia”, è un uomo spiritoso, il titolo del libro che dà conto di quell’esperienza, uscito da poco per Garzanti, suona: Chi non muore si rivede.”Avevo appena ultimato un saggio sull’ultima beatitudine. La morte come pienezza di vita, ma sentivo che mancava qualcosa. Poi sono stato ricoverato d’urgenza per una dissezione dell’aorta: tre interventi devastanti, settantacinque giorni con un piede di qua e uno di là. È stato allora che ho capito cosa mi mancava: l’esperienza diretta e positiva del morire. E ho anche capito perché San Francesco la chiami sorella morte: perché la morte non è una nemica che ti toglie la vita, ma una sorella che ti introduce a quella nuova e definitiva.
Nei giorni in cui ero ricoverato nel reparto di terapia intensiva, con stupore mi sono accorto che le andavo incontro con curiosità, senza paura, con il sorriso sulle labbra. Oltretutto percepivo con nettezza la presenza fisica dei miei morti, di coloro che mi avevano preceduto e ora venivano a visitarmi… Chissà perché quando qualcuno muore gli si augura l’eterno riposo, come se si trattasse di una condanna all’ergastolo. Io penso invece che chi muore continua a essere parte attiva dell’azione creatrice del Padre”.
Fatto sta che oggi si persegue tutt’altro sogno, quello di una tendenziale immortalità garantita dalle biotecnologie.
“È una novità che mette in difficoltà anche la Chiesa, chiamata ad approfondire il senso del sacro. Perché se è sacra la vita dell’uomo, anche quando si riduce alla sopravvivenza di una pura massa biologica, allora è giusto procrastinare quella vita all’infinito, utilizzando tutti gli strumenti della scienza medica. Se invece ad essere sacro è l’uomo, bisognerà garantirgli una fine dignitosa… Io non capisco questa smania di accanirsi su un vecchio, portarlo in ospedale, intervenire a tutti i costi, anche in prossimità del capolinea. Si potrà prolungare la sua esistenza ancora per un po’, ma in compenso lo si sottrae alla condivisione familiare di quel passaggio decisivo rappresentato dalla morte.
Quante volte mi capita di venire chiamato in ospedale per l’estremo saluto e assistere alla seguente commedia. I parenti mi implorano: la prego, non gli dica niente. Crede di avere soltanto un’ulcera. E il morente, perfettamente consapevole del suo stato, a sua volta mi chiede di rassicurare i familiari perché non sono pronti alla sua dipartita. Quando io ero piccolo, il vero tabù era rappresentato dal sesso. Ora invece è la morte il tabù. È scomparsa qualunque dimestichezza con la pratica mortuaria, delegata alle pompe funebri, e gli annunci funebri escogitano ogni escamotage pur di non affrontare il punto: il tal dei tali si è spento, ci ha lasciati, è tornato alla casa del padre. Mai una volta che si scriva semplicemente: è morto”.
Per un credente questo passaggio dovrebbe essere reso più facile dalla credenza nella resurrezione dei morti.
“Io veramente credo alla resurrezione dei vivi. La resurrezione dei morti è un concetto giudaico. Ma già con i primi cristiani cambia tutto, come mostra San Paolo nelle sue lettere: “Noi che siamo già resuscitati”, “noi che sediamo nei cieli”. Gesù ci offre una vita capace di superare anche la morte. Ecco perché i primi evangelisti usano il termine greco zoe. Mentrebiosindica la vita biologica, che ha un inizio, uno sviluppo e, per quanto ci dispiaccia, un disfacimento finale, la vita interiore (zoe) ringiovaniscedi giorno in giorno. Da qui le parole folli e meravigliose del Cristo: chi crede in me, non morirà mai”.
E allora l’Apocalisse, il giudizio universale, la fine dei giorni?
“Gesù, polemizzando con i Sadducei, afferma che Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi. E non resuscita i morti, ma comunica ai vivi una qualità di vita che scavalca la morte stessa. Questa è la buona novella. Quando qualcuno muore e il prete dice ai parenti: un giorno il vostro caro risorgerà, questa parola non suona affatto come consolatoria, ma incrementa la disperazione. Quando risorgerà?, si chiedono. Tra un mese, un anno, un secolo? Ma alla sorella di Lazzaro, Gesù dice: io sono la resurrezione, non io sarò. E aggiunge: chi ha vissuto credendo in me, anche se muore continua a vivere. Gesù non ci ha liberati dalla paura della morte, ma dalla morte stessa”.
Non è una visione del cristianesimo un po’ troppo gioiosa, consolatoria?
“Tutta questa gioia però passa attraverso la croce, non ti viene regalata dall’alto. Quando stavo male, le persone pie – che sono sempre le più pericolose – mi dicevano: offri le tue sofferenze al Signore. Io non ho offerto a lui nessuna sofferenza, semmai era lui che mi diceva: accoglimi nella tua malattia. Era lui che scendeva verso di me per aiutami a superare i miei momenti di disperazione”.
Torniamo al nostro tema. Per un lunghissimo periodo il freno principale all’effrazione del limite era rappresentato proprio dal terrore di incorrere nel peccato di superbia, di credersi onnipotenti come Dio.
“Questo secondo l’immagine tradizionale della religione, che presuppone un Dio che punisce e castiga. Per scribi e farisei è sacra la Legge, per Gesù invece è sacro l’uomo. Per i primi il peccato era una trasgressione della Legge e un’offesa a Dio, per Gesù il peccato è ciò che offende l’uomo “.
Ecco che salta fuori Maggi l’eretico, che vede nella religione un ostacolo che si frappone alla vera fede.
“La religione ha inventato la paura di Dio per meglio dominare le persone e mantenere posizioni di potere acquisite. Per religione si intende tutto ciò che l’uomo fa per Dio, per fede tutto ciò che Dio fa per l’uomo. Con Gesù invece Dio è all’inizio e il traguardo finale è l’uomo. Per questo ogni volta che Gesù si trova in conflitto tra l’osservanza della legge divina e il bene dell’uomo, sceglie sempre la seconda. Al contrario dei sacerdoti. Facendo il bene dell’uomo, si è certi di fare il bene di Dio, mentre quante volte invece, pensando di fare il bene di Dio, si è fatto del male all’uomo”.
Se non è più il terrore di commettere peccato a fare da freno alla nostra hybris, cos’altro spinge un cristiano a riconoscere la bontà del limite?
“Il tuo bene è il mio limite. La mia libertà è infinita; nessuno può limitarla, neppure il Cristo, perché quella libertà è racchiusa nello scrigno della mia coscienza. Sono io a circoscriverla. Per il tuo bene, per la tua felicità. È così che l’apparente perdita diventa guadagno. Lo dicono bene i Vangeli: si possiede soltanto quello che si dà”.
Mi sbaglierò, ma è proprio la parola limite che non si attaglia al suo vocabolario.
“Preferisco il termine pienezza. La parola limite ha una connotazione claustrofobica. La pienezza mi invita a respirare. Ogni mattina che mi sveglio, io mi trovo di fronte all’immensità dell’amore di Dio e cerco di coglierne un frammento, per poi restituirlo al prossimo. A partire, certo, dal mio limite. San Paolo usa a riguardo una bellissima espressione: abbiamo a disposizione un tesoro inestimabile e lo conserviamo in vasi da quattro soldi. Questa è la nostra condizione: una ricchezza immensa, a fronte della nostra umana fragilità e debolezza. Che però non necessariamente è negativa. Perché sarà il mio limite a farmi comprendere anche il tuo. E di nuovo ecco la rivoluzione di Gesù. Nell’Antico Testamento il Signore dice: siate santi come io sono santo. Gesù invece non invita alla santità, dice: siate compassionevoli come il Padre è compassionevole. La santità allontana dagli uomini comuni, la compassione invece ci unisce”.
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Unica accettabile ” risposta “.
Lorenzo, ricordo un mio insegnante, che adesso è tra le Sue braccia: “L’unica risposta alla sofferenza degli innocenti, è guardare all’Innocente che ha sofferto”.
Grazie a tutti, buona domenica
Vero nico urlando insieme a Lui però, tutto il nostro dolore e la non comprensione di talune vicende umane.
Un abbraccio.
Mi scuso per il grassetto, voleva evidenziare solo il nome.