Un amico esigente e generoso ma anche scherzoso, Sumpontcura, ci lascia dopo essere stato con noi a lungo e motiva il distacco con una lettera di grande impegno, com’era suo costume in ogni intervento. Si tratta di un testo che muove critiche a molti di noi e lo pubblico nella fiducia che ci aiuti a comprendere il gioco che qui conduciamo. Riporto la lettera nel primo commento al post e qui lo saluto con l’affezione che tra noi è cresciuta di post in post: abbiamo la stessa età, ci vogliamo bene, un poco ci siamo aiutati. Gli ricordo che il pianerottolo non ha porte e sempre festeggia chi si riaffaccia.
Ecco la lettera di Sumpontcura annunciata nel post:
Caro Luigi, nel prendere commiato da te e dal “pianerottolo” mi viene da usare la stessa parola con cui avevo aperto – più di un anno fa! – il mio primo intervento: “Scusate”. In tutti questi mesi la mia presenza non sempre si è adeguata alla discrezione dovuta: qualche volta sono stato invadente, a tratti anche offensivo, ma nell’insieme l’esperienza condotta fra voi è stata per me (posso dirlo?) divertente, appagante e utilissima.
Dopo decenni di distacco fisico, intellettuale e psicologico dalla comunità dei credenti, nel momento in cui il pentimento, il desiderio e la volontà di tornare (“tornerò alla casa di mio padre…”) diventavano una cosa solida e credibile, mi sono accostato al tuo blog più per esigenza di sapere e di capire che per velleità di interloquire. Ma poi, quasi subito ho avuto l’impressione che per capire davvero era necessario un coinvolgimento intellettuale ed emotivo: mettersi in gioco e disporsi allo scambio alla pari: per scoprire dovevo esser pronto a rivelarmi, anche nelle debolezze, fino al cazzeggio e alla schermaglia.
Credo che sia giusto chiudere qui questa pagina di vita: ritengo di averne tratto quel che cercavo e di aver dato quel che potevo; ho l’impressione che continuare a tenere in piedi un rapporto concluso non sia utile né “divertente” per nessuno.
Bilanci e “conclusioni” non sono, ovviamente, definiti – e non sarebbero comunque da affidare a una rapida e-mail.
Una storia però voglio narrartela. Non è uno dei “fatti di Vangelo” che tu vieni ricercando e raccogliendo; semmai, è una testimonianza di anti-Vangelo.
L’anno scolastico 1960-61 (veleggiavo verso i diciott’anni) è stato l’ultimo da me trascorso a Villa Mondragone, vicino Frascati, nella Scuola Apostolica dei Gesuiti. Con qualche dubbio, ma con una gioia interiore che sembrava più forte di tutte le indecisioni, avevo programmato le tappe di un percorso solido e definito. Al termine del liceo: il noviziato, i primi voti, filosofia e teologia, il sacerdozio, i voti definitivi. Le difficoltà non mancavano, ma erano da offrire a Dio, da affrontare col suo aiuto: messo mano all’aratro dovevo guardare avanti, non esitare, non voltarmi indietro: il soccorso divino non sarebbe mancato e comunque quella strada era in qualche modo obbligata, salvo venir meno alla vocazione: quando sente di essere chiamata, una persona seria dice sì e scavalca gli ostacoli.
Il clima generale era cambiato molto a Mondragone, nell’ultimo periodo: l’annuncio del Concilio rendeva l’aria più frizzante ma anche – mi pareva – più instabile. L’attesa era grande, la voglia di navigare in mare aperto si toccava con mano, in alcuni dei “padri” (non in tutti); ma in certi momenti mi sentivo inquieto, come uno che venisse a scoprire che la solida roccia dell’identità (riti, catechismi, tomismi) era poi all’atto pratico più friabile di quanto non si sospettasse. E Mondragone era un porto, rassicurante, è vero, ma le navi ancorate cominciavano a ballare.
Bene: in questa situazione il Padre Rettore (Paolo Bachelet) organizzò per noi liceali un incontro che ci parve subito di grande interesse: due padri gesuiti che da anni dedicavano studio ed energie al grande nemico, il comunismo, invitati a parlarci, a raccontare la loro attività, a rispondere alle nostre (eventuali) domande. Non farò nomi (almeno uno dei due, peraltro, godeva fin da allora di una notevole notorietà); chissà se il tuo relatore di laurea, il prof. Giancarlo Pani – che ho ritrovato in uno dei tuoi articoli e di cui ho cercato con curiosità e simpatia notizie su Internet – ricorda l’episodio! Al netto da omonimie e somiglianze, forse eravamo a Mondragone insieme, anche se non nella stessa classe…
“Sia chiaro – ci disse subito uno dei due, mentre l’altro annuiva con convinzione – che io sono gesuita e son contento di esserlo. Ma se non fossi gesuita sarei, di sicuro, comunista”. Per me che – forse un po’ superficialmente – avevo fino allora considerato debole e infondata l’ideologia comunista anche alla luce della sola ragione, e che ritenevo la prassi dei paesi comunisti e le aspirazioni del PC il pericolo più grave per il mondo, nonché l’attacco più subdolo e violento del demonio contro il Regno di Dio, contro Dio e la Chiesa, fu un pugno in piena faccia. A una mia domanda – ma dunque aderire al comunismo non è un’aberrazione, può essere una scelta rispettabile, la risposta a una “vocazione” di amore e dedizione agli umili, ai diseredati? – risposero più o meno così: ma certo, ma che cosa credevate, ma in che mondo vivete? E continuavano, e raccontavano, e argomentavano: dalle loro parole usciva un quadro insospettabile, tracciato con enorme rispetto per i comunisti e la loro ideologia. A un certo punto venne fuori un riferimento alla scomunica di papa Pacelli: si scambiarono un sorrisino, più forte ed esplicito (ed efficace) di ogni possibile argomentazione.
Basta: non voglio dare all’episodio più valore di quanto non ne abbia avuto. Diciamo che nelle settimane e nei mesi successivi la sensazione di ghiaccio che ne avevo ricevuto rapidamente si sciolse e si trasformò: il mio Malacoda fece un lavoro egregio, che potrei semplificarti, e volgarizzarti, più o meno così: “Se non fossi gesuita sarei comunista”. Ma tu non sei gesuita; essere comunista richiederà certamente rinunce, sacrifici, ma incomparabilmente meno di quanti te ne toccherebbero per diventare gesuita. Pensa alla lunga guerra, difficile, “innaturale” che da anni conduci per difendere la tua purezza…
Certo, poi intervenne altro: ma all’origine di certe scelte sbagliate che avrei abbracciato negli anni seguenti ci fu, di fatto, quel pomeriggio frascatano, che mi aprì una scorciatoia, un’alternativa che in realtà era – oggi ne sono convinto – un’alternativa a Dio, una scorciatoia per l’inferno.
Tu mi dirai: ma perché mi racconti questa cosa?
Perché, nel pieno rispetto per la buona fede di tutti i “navigatori” del tuo blog, mi è sembrato (soprattutto in questi ultimi mesi) di sentire un odore di fumo a me non sconosciuto.
Ritrovare il mio posto nella Chiesa cattolica significa fare i conti con abitudini inveterate, litigare quotidianamente con la voce della mia coscienza, che decenni di letture, frequentazioni, amicizie hanno ridotto a una “cattiva coscienza”: una fatica boia, ci vuole, per liberarsi dalla rassicurante guida del solito Malacoda. Anche la legge morale è dentro di me, certo, ma a quanti compromessi si è piegata, quanti riflessi condizionati la corrompono e la offuscano! Certe parole come umiltà, sacrificio, mortificazione si impongono, sono rese necessarie: le ghiande dei maiali fanno schifo, ma la strada del ritorno alla casa del padre è lunga e i dubbi sono tanti. Ed ecco il diavolo custode sibilare all’orecchio: buttare all’aria tutto, calpestare una parte importante di te, sarà proprio necessario? Non puoi provare a raggiungere la casa del padre con una scorciatoia? con un compromesso fra un pezzo e l’altro pezzo di te?
Molti dei frequentatori del “pianerottolo” (non tutti, certo) ai miei occhi appaiono fautori e testimoni di una fede molto semplificata. Fra i due grandi comandamenti dell’amore, il primo sembra spesso esser lasciato allo stato di slogan: amare Dio (e quindi professare la fede nelle verità che Egli ci ha trasmesso) è un’enunciazione distratta, una specie di segno della Croce rapido e svogliato come a voler scacciare le mosche; tutta l’enfasi è posta sul secondo: amare il prossimo. Ma questo “amare”, sganciato da ogni obbligo di testimonianza della verità, schiacciato e ridotto alla sua dimensione emozionale, a volte sembra confondersi con la semplice, comoda, gratificante ammirazione espressa – a distanza di sicurezza – nei confronti di alcune anime grandi (Madre Teresa, Tonino Bello…). Forti di questa esaltazione sentimentale, alcuni “coraggiosissimi” navigatori fanno capire fra le righe – e in qualche caso apertamente teorizzano – che la coscienza individuale è la misura di tutte le cose: tutto si può trascurare o rinnegare, accantonare o sbeffeggiare: tradizioni, depositi, Credo e catechismi, morale e precetti e comandamenti, purché la loro coscienza (immacolata) di cattolici adulti attesti che questo è il volere di Dio. E il fatto che su questo essi attirino l’adesione e la simpatia degli amici del nemico sembra loro nient’altro che un attestato della loro capacità di leggere i segni dei tempi!
Odore di “protestantesimo”? Simpatie dichiarate per ogni movimento di contestazione anticattolica (e quindi anche per le comunità ecclesiali “riformate”) mi paiono evidenti; ma dal punto di vista dottrinale a me sembra proprio di no: a prevalere è, all’opposto, un superficiale e strisciante “ottimismo pelagiano”, incapace di vedere il disastro provocato dal peccato originale, che ha reso il mondo campo di battaglia fra il divino Redentore e un nemico astuto e forte, e ha drammaticamente indebolito l’umanità intera, ottenebrando la coscienza individuale e cercando di farne strumento e ostaggio del male e del maligno. Che fatica, caro e buon Luigi, il tuo voler tenere insieme, all’insegna dell’umiltà e del rispetto, i cento modi diversi e contrastanti di vivere la presenza di Gesù fra noi! I dibattiti su Lutero, su Küng, sui valdesi, sul Martini più recente, sui lefebvriani… Negli ultimi giorni – consentimi una battuta – hai rischiato grosso anche tu, con la tua tenace e equilibrata adesione al Magistero e alla persona del papa; qualche buon cattolico, con gli occhi offuscati da un incredibile settarismo livoroso, ha provato a cantarle un po’ anche a te.
Per parte mia, da un po’ di tempo non mi “diverto” più. A distanza di mezzo secolo mi si ripresenta la tentazione della “scorciatoia”, sotto altra apparenza, ma con la stessa subdola efficacia. Ci ho messo qualche decennio a convincermi che i due bravi padri gesuiti filocomunisti avevano torto: il comunismo non era affatto rispettabile, loro malgrado è caduto e sepolto, ed essi – fatto sempre salvo il rispetto per le persone – hanno accuratamente lavorato per il nemico.
Ho il sospetto che la scorciatoia suggerita dai tuoi bloggers relativisti sia altrettanto subdola e pericolosa. Ma io non ho intenzione di ripetere il gioco.
Un abbraccio, caro amico. E grazie di tutto cuore. Pregare per tutti voi è intanto divenuta una dolce abitudine quotidiana che continuerà di certo. Ma per dare maggior forza alla mia determinazione – il ritorno alla casa del Padre – sento di dover continuare il cammino senza l’appuntamento virtuale con voi.
Addio al “pianerottolo” dunque, ma arrivederci a te! La tua presenza nella mia vita continuerà con i tuoi libri già editi, che ho cari, e con quelli che scriverai e stai già scrivendo. Sumpontcura
“Tornerò alla casa di mio padre”, si disse il figliol prodigo. E si mise in cammino nella direzione che a lume di naso gli sembrò quella giusta. Ma era passato molto tempo, e la strada del ritorno gli apparve lunga e molto diversa da quella che ricordava di aver percorso anni prima. Ricordava alberi, case, colline, con tanti possibili punti di riferimento; si trovò invece in una specie di deserto monotono, arido, un paesaggio tutto uguale. La sete e la fame cominciarono a farsi sentire e fu sul punto di pentirsi d’essersi pentito. Poi, nell’arsura gli parve di vedere un’oasi e si affrettò a raggiungerla; un cartello riportava il nome del luogo, un nome strano, qualcosa come “il Pianerottolo”.
C’era acqua in abbondanza, e lui bevve finalmente a sazietà. C’erano anche delle persone, uomini e donne, che lo guardavano incuriosite. Andavano e venivano, molte si fermavano un attimo a bere e – senza dir nulla – si rimettevano in cammino; qualcuno invece si fermava a lungo, offriva da bere bevande strane variamente speziate, e parlava parlava, e spartiva anche il cibo che portava con sé. “Questi conoscono davvero molte cose – si disse il figliol prodigo: – chissà che non sappiano anche indicarmi la strada”.
Macché! Tutti parlavano della casa del padre, è vero, ma le direzioni indicate divergevano di molto e in certi momenti egli ebbe addirittura l’impressione che qualcuno dei convenuti si riferisse a un padre diverso da quello che ricordava lui. Alcuni altri accennavano di sfuggita alla persona del padre, confermavano – certo – che il padrone di casa era lui, ma poi mettevano in evidenza soprattutto il dovere di amare i suoi servitori e vicini di casa, e sembravano trascurare i suggerimenti e le verità rivelate dal padre, affermando anzi che al centro di ogni decisione doveva esserci, sovrana, la loro coscienza personale. “Ma per la miseria! – pensava a volte il figliol prodigo: – questi sono come me: allontanandomi dal padre, io ragionavo esattamente in questo modo”.
Così, rinfrancato ma anche un po’ perplesso, decise di rimettersi in cammino. Per la direzione, privilegiò i suggerimenti di quelle anime buone che lo avevano guardato con occhi gentili e compassionevoli, ravvisando in lui – sia pure così degradato – come un riflesso dei tratti del padre, e amandolo per questo.
Lasciando il Pianerottolo, pensò con gratitudine a chi lo aveva predisposto e collocato lì, in pieno deserto, e anche a tutti i fratelli che lo popolavano e animavano. “Lungo la strada li ricorderò con amore tutti quanti, e per me e per tutti pregherò a lungo. Ciascuno di loro è quel che si dice ‘il mio prossimo’. E compito mio è quello di amarli. Non tutti allo stesso modo, con un amore/sentimento, sarebbe impossibile: ciascuno a suo modo, con un amore/volontà. Ami il prossimo non necessariamente e non sempre perché ‘ti piace’ (anzi, a volte non ti piace per niente); ma perché in nome del padre desideri il suo bene. Insomma – sorrise il figliol prodigo: – ami il prossimo tuo come te stesso: cioè, nel modo in cui ami te stesso anche quando non ti piaci”.
La strada era lunga ed incerta, ma aveva una borraccia piena d’acqua freschissima e prelibata, e alcune delle voci ascoltate in quell’oasi restavano nel suo cuore come un’eco, una promessa di felicità.
Caro Sump.
La Casa del TUO Padre è anche la casa del fratello maggiore (“Tutto ciò che è mio è tuo!”).
Se ci senti come fratelli maggiori, quasi tutti indistintamente (io non so se faccio parte di questa genìa ai tuoi occhi), lamentosi e sempre pronti ad attaccare il Padre che sbaglia riaccogliendoti, cionondimeno anche tu sei chiamato a sopportarci, a vivere sotto lo stesso tetto.
Non conosciamo l’epilogo della vicenda, proprio perchè è aperto.
Ma tu così facendo entri nella casa del Padre e lasci fuori tutti noi.
Evidentemente tutto questo a mio modestissimo parere.
Non è che faccia il buon pretacchio che istilla i sensi di colpa nelle persone, però caspita… è un po’ una doccia fredda…
Intanto buon viaggio e grazie di esserci.
Ti voglio bene.
don Marco
Ah, Sumpontcura… C’è un luogo virtuale in cui io possa continuare a leggerti?
Non tacere!
beh… la prima cosa che mi viene da dire è che uno che scrive così tanto e così bene per congedarsi, senz’altro ci “ha voluto bene”.
Sarebbe complicato commentare, contro-dedurre (se mai sia necessario nel mio caso specifico), tutti gli aspetti che tocchi. Anzi, dico con onestà che evidentemente mi mancano gli strumenti per farlo alla stessa altezza.
Una sola cosa mi sento di scrivere. La cosiddetta “parabola del figliol prodigo” è in realtà la “parabola del padre misericordioso” come diffusamente attestato da biblisti etc etc…
Ti chiedo? Come cambierebbe la tua esegesi così ricca e profonda se il protagonista della storia (anche della piccola storia di questo pianerottolo) non fosse il figliol prodigo (o il figlio più grande) ma il Padre?
Sai perché te lo dico? Perchè aver scoperto questo cambio di prospettiva rispetto a quello che avevo imparato da piccolo, è uno dei motivi per cui ho cominicato a giocare (tra autoironia e sarcasmo) sulla parola “moralista”.
Mi mancherai moltissimo.
Simone
Gent. Sumpontcura,
anche se spesso non ho condiviso le tue posizioni, credo che confrontandomi con te, anche quando il confronto è stato “ruvido”, mi abbia dato qualcosa.
Condivido ben poco della tua lettura della fede e del rapporto tra chiesa e mondo, ma ho il più profondo rispetto per il tuo percorso personale, che descrivi in modo così sincero. Sarà uno dei vantaggi di essere un po’ relativisti?
Che altro dire? Mi sento chiamato in causa dalla tua descrizione degli “altri” frequentatori, per quanto tale descrizione mi risulti francamente un poco caricaturale e semplificata. Se la mia (e di altri) visione delle cose ti dispiace al punto di spingerti ad abbandonare il pianerottolo, questo non può che rattristarmi. Quando qualcuno scrive una lettera di commiato con tono garbato, sembra scortese anche solo puntualizzare e ribattere, quindi mi asterrò dal farlo. Mi auguro ci sia la possibilità di approfondire i punti che hai toccato se e quando tu deciderai di tornare qui; un po’ illuministicamente, ho sempre la speranza che il dialogo porti ad un avanzamento della coscienza, oltre ad allontanare la puzza di zolfo!
Un sincero arrivederci
Massimo
Caro Sump,
vorrei dire meglio, purtroppo le parole non mi vengono.
E allora, che dire?
Ti posso capire, io stesso sono abbastanza snervato dalle stesse contro-testimonianze (verbali?) contro cui si eleva forte la tua denuncia; io stesso sono sconcertato da certi outing che mi promettono un futuro scenario ecclesiale da incubo, proprio mentre la pace – fra tutti – sembrava meno lontana.
Poco è dire che lasci un vuoto.
Sarà un po’ meno il pianerottolo che conoscevo, sarà il pianerottolo SENZA Sump (con la “p” finale), molto meno che un pianerottolo.
Sump, sei troppo intelligente e umano per non cambiare idea: io ti aspetto con le braccia aperte (ma comunque quello che conta davvero è che tu sita bene: la vita è un’altra cosa, questo è un angolino virtuale non bisogna dargli troppa importanza). Il passaggio più dolce del tuo lungo intervento è in fondo: il pensiero che porti nel cuore le nostre persone è una compagnia indistruttibile perchè garantita dal Signore. Di questo ti ringrazio.
Per quanto riguarda tutto il resto ti confesso che francamente sono abbastanza sbalordito che nel 2008 si parli ancora della ferita comunista, del problema dei comunisti: lo trovo palloso e oltremodo grottesco, è una cosa da Fede & Berlusconi. Guarda, se vuoi mi scopro: sono un elettore della prima ora dell’UdC. la sinistra per me è inesistente: li trovo più noiosi e confusi di un attacco di diarrea. La destra è acidula, tronfia aggressiva e morirà di indigestione. Sono un impenitente orfano della democrazia cristiana, di Sturzo, Lapira…Moro. Trovo grottesco però usare comunista come parola/sponda negativa: in 8 e mezzo di Fellini c’è quel cardinale che dice “di un comunista non di un uomo” ecco.. grottesco ancora ragionare così. Anche perchè in Italia i danno più osceni li hanno fatti i fascisti: al mio paese hanno fucilato un prete di 29 anni davanti a sua madre solo perchè aveva portato del salame a dei ragazzi nascosti nei boschi. Questa ossessione anticomunista francamente se va bene la trovo comica, se va male la trovo una scusa e di sicuro una preoccupazione non cristiana, come anche l’amico Guareschi e don Camillo ci hanno insegnanto. Poi… il passaggio c’è “puzza di protestantesimo” questo, e non mi scuso, lo devi ritirare. Questo non ti sarebbe consentito davanti a Benedetto XVI: vedi, vuoi difendere la cattolicità e la deformi. Non ti fa onore questo accusare di puzza chi non la pensa come te, chi non è – guarda caso – allineato con la tua interpretazione del magistero. La tua ossessione anticomunista. Per me questo significa volerti bene, dedicarti 20 minuti e parlarti mediante questo spazio moderato dalla profetica ed evangelica amicizia di Luigi. Se puoi vuoi sbattere la porta – che non c’è, quindi non puoi – fai pure. Ma nella vita credo ci siano priorità più edificanti alle quali dedicarsi piuttosto che l’anti questo o l’anti quello militante. Ti abbraccio anche io, se lo accetti, prima di andare, come sempre, a Messa.
Caro Sump (se ancora leggi le nostre parole),
mi occupo per lavoro e per diletto delle storie delle persone, non quelle anagrafiche, ma degli avvenimenti interiori.
Ho trovato affascinante e molto particolare il tuo racconto, ma anche lacunoso (d’altro canto non era una biografia), mi piacerebbe potere capire meglio, farti delle domande, sollecitare ulteriori testimonianze, se ne hai voglia.
Sapere cosa è successo nell’intervallo che hai saltato tra la “prima” fede e il riavvicinamento alla Chiesa: mi pare di capire che non sei diventato comunista…
Stai tranquillo non faccio lo psicologo e nemmeno il giornalista, ma se ne hai voglia raccontaci meglio, approfondisci quello che ci hai raccontato, forse potremo evitare se non di perderci (dalle tue parole e dal tuo allontanamento sembri non avere speranze in questo senso) almeno di far del male ad altri.
Io in particolare ho delle responsabilità educative e vorrei evitare di fare ad altri quel che è stato fatto a te.
Se decididi di rimanere, per favore raccontaci ancora.
Grazie
Il male e il fumo sono negli occhi di chi li vede dappertutto.
Arrivederci Sump.
Scusate (prendo in prestito una formula felice).
Non debbo intromettermi io sulla questione di Sump…sono proprio l’ultimo arrivato. E anzi, ancora ringrazio per l’accoglienza.
Dico solo che qui ho trovato uno dei pochissimi posti sul web (anzi forse proprio l’unico, fino ad oggi) dove sia possibile confrontarsi sulla propria fede con pacatezza e intelligenza. Lo apprezzo veramente molto e credo che questo dipenda soprattutto dallo stile evangelico di chi ci ospita. Detto questo, da prete, mi colpisce molto quel passaggio in cui Sump parla dei giovani gesuiti e della loro spericolata difesa del comunismo. Mi colpisce nella misura in cui io stesso mi interrogo sull’efficacia del mio modo di comunicare il Vangelo in un contesto eterogeneo e plurale. E naturalmente mi chiedo come riuscire a parlare con i lontani (o con i vicini che vivono da lontani) senza cadere nella polemica, senza risultare ammiccante, senza dare scandalo. Il “sì, sì, no, no” di Gesù si sposava pure con la capacità di sapersi misurare, spesso in modo cordiale, con uditori molto diversi.
Ancora: la fede si articola su vari livelli: non tutte le questioni sono sul medesimo piano. Ci sono Verità e fatti opinabili. Ci sono valori assoluti, ma applicazioni concrete discutibili. Credo che Magistero e Dialogo non siano due opposti. Soprattutto credo in un Magistero dialogante (che non vuol dire sottoposto agli indici di gradimento o ai sondaggi), ma un magistero che, nella fedeltà al deposito della fede, si preoccupa di entrare in rapporto con gli uomini di ogni epoca storica per i quali il Vangelo e la Tradizione debbono essere parola viva.
Apprezzo la confessione sincera di Sump (anche se non ne condivido tutti i passaggi e vorrei capire di più cosa ha fatto in questi quarant’anni). Certe esperienze possono essere traumatizzanti. Debbo dire che anch’io ho trovato in questi ultimi tempi tra alcuni frequentatori del blog un livore contro la Chiesa, un’adesione a certi luoghi comuni della cultura laicista e radicale che non mi aspettavo di trovare.
Concedetemi un ricordo. A metà degli anni ’70, quando frequentavo ormai l’Università, il mio insegnante di Religione del liceo organizzava incontri con esponenti del cattolicesimo “critico”: invitava Pietro Scoppola (che peraltro ho sempre letto con interesse), Emilio Gabaglio, padre Balducci, Enzo Bianchi (allora su posizioni da “teologia della rivoluzione”), don Sirio Politi (Prete operaio a Viareggio) e così via.Debbo dire che mi hanno sollecitato a riflettere, ma non ho mai condiviso un certo atteggiamentio ipercritico verso la Chiesa e “irenico” verso tutto ciò che veniva dallo “spirito del tempo”, pur vedendo anch’io tanti limiti negli uomini di Chiesa. Il marxismo come filosofia, lo confesso, non mi ha mai attirato: l’ho sempre trovato spiritualmente povero; mentre ho colto come una utile “provocazione” il vecchio mondo dei comunisti “tutti d’un pezzo”, alla Peppone (ma quelli si preoccupavano della classe operaia, non principalmente dell’aborto o dell’eutanasia, perlomeno non così tanto come i loro eredi).Al tempo stesso ho visto cambiare tante persone: un Enzo Bianchi, che allora leggeva l’Esodo in chiave di rivoluzione sociale, si è poi accostato alla tradizione monastica ed ora è, a mio avviso, un grande maestro spirituale, impegnato in un dialogo serio, senza facili irenismi, col mondo ortodosso ed ebraico.Dall’altre parte ho visto cattolici tutti d’un pezzo cedere al consumismo ed alle spinte della cultura individualistica e libertaria: un diacono della Chiesa di Bologna, che ha fatto cinque figli, ora professore universitario, ha lasciato la Chiesa ed ora parla di essa con grande astio e livore (gli ho sentito dire “nella chiesa c’è un’idolatria del feto, dell’embrione. Alla Chiesa interessano i feti e le persone ridotte a vita vegetativa, non i morti sul lavoro o in guerra”).
Perciò credo che non dobbiamo mai disperare delle persone che sembrano lontane; né sentirci “sicuri” perché siamo cattolici, o considerare “sicuri” quelli del nostro mondo.
Ehi Sump!
Grazie per tutta l’attenzione che dedichi a questo pianerottolo, e anche per l’affetto sincero che ne traspare, peraltro sempre evidente, in tutti i tuoi interventi.
Ti ho sempre considerato uno dei testimoni più efficaci di uno spirito che qui rilevo in tutti, e da cui io devo imparare un pò: prendere sul serio la riflessione sulla fede, oltrechè la fede stessa.
E farlo con delicatezza, profondità, capacità di attendere e ascoltare anche l’opinione più lontana, dietro la quale c’è sempre una persona.
Le ragioni del tuo allontanamento io le comprendo: ci sono tratti di strada, di andata o di ritorno, che occorre fare con un pò di silenzio. Conta soprattutto l’amicizia di Dio, e i volti che incrociano il nostro volto nei quali Lui si rivela, che sono da fissare ma non necessariamente da trasformare in compagni di bisboccia.
Qui non facciamo bisboccia, ma in fondo un pò anche quella, ed è in fondo bello pure questo.
Ci sono fasi, stili e indoli diverse, ed è pur vero che ciascuno parla un pò di sè: la comunità cristiana è anche questo, e pensa che triste sarebbe il tono monocorde o il cipiglio permanentemente cupo di chi vede ovunque spifferi satanici.
Io, ad esempio, sono un amante della speranza, la mia virtù preferita. Eppure non sono un ottimista in senso storico, che ritengo più o meno un ghiribizzo da oroscopo.
Mi tengo in mezzo, direi, tra l’inquietudine che mi offrono i profeti e il realismo cui mi obbligano la debolezza mia e altrui e la fallibilità della storia umana.
Se siamo realisti, impariamo anche a non prenderci troppo sul serio, a non attribuire troppe cose umane allo Spirito Santo o all’angelo decaduto, a vivere nella prospettiva della Trasfigurazione, ma senza evadere dal nostro dovere e dalla nostra responsabilità, che sono poi ciò che ci fa uomini.
Auguro ogni bene e ogni sorriso ironico a te e alla tua ricerca.
E prega per me!
Ah Sump, un’altra cosa.
Sai perchè, tra l’altro, amo la Chiesa?
Perchè non mi costringe a essere troppo manicheo, a banalizzare, a schierarmi indossando una maglietta.
Perchè mi insegna sempre che le cose sono più complesse di quel che appare, e che le vicende umane-culturali-di pensiero-di scelte sono sempre un groviglio ricco e profondo di esigenze, opportunità, grazie, cadute, drammi e riscosse.
Perchè mi ha abituato a tenere conto di tutte le posizioni, a rintracciare in ciascuna una scintilla di verità, a essere inclusivo.
Ecco perchè – lo avrai magari colto in qualche mio intervento, se ti è capitato di leggermi – io sono ruiniano ma anche estimatore di Martini, affascinato dalla santità “popolana” di Padre Pio o dei pastorelli di Fatima (con tutto il corollario geo-politico novecentesco) ma anche interessato ad Hans Kung, devotissimo di Maria Goretti e appassionato alla vicenda e alla figura di Romero, simpatizzante di Rosi Bindi ma pure di Antonio Socci, lettore vorace di Bageto Bozzo ma anche di Melloni e della scuola bolognese.
Noi vogliamo tutto capisci?
Perchè solo così ci sentiamo liberi di scegliere davvero, ecco la bellezza della Chiesa!
Eddai Sump!
A costo di sembrare “pallosa” ti chiedo di ripensarci, di cambiare idea …
Lo sai no? Solo i grandi sono capaci di cambiare idea perchè non temono i confronti, non disdegnano le autoanalisi, sono capaci di dire “Accc … ho toppato!”, sono liberi da sé stessi, sono orgogliosamente umili (che bello!) e sono pronti (spettacolo davvero) a discutere i propri punti di vista, a guardare dove altri indicano.
Questa storia di Eluana ha “steso” un po’ tutti, ha messo “alle corde” tanti e tutti hanno come un cuore svuotato (più o meno l’impressione è quella). Siamo stati intossicati dal veleno del “dicono di credere che nulla è impossibile a Dio, ma – a quanto pare – tutto è possibile al male (o come cavolo vuoi chiamarlo).
Ti chiedo di cambiare idea, perchè non siamo un banale “luogo virtuale”, noi siamo persone, con storie vere, con problemi veri che spesso “saltano fuori”. Non perdi tempo davanti ad un pc, doni tempo a persone, doni quello che sai, che sei, che hai a tutti noi.
Al di là di tutto, di ogni torto o ragione, ci sono persone (a volte un po’ troppo aggressive …. ma càpita) che, se sono qui e se fanno i salti mortali per riuscire ad incontrarsi è perchè stiamo tutti cercando di “ritornare” dal Padre. Tutti noi stiamo cercando la strada: sappiamo dove vogliamo andare, ma non riusciamo a trovare la strada giusta … ma da soli ci si perde, in tanti è più difficile perdersi.
Resta con noi (non aggiungo “la sera” perchè ti potresti montare la testa 🙂 ) la Chiesa è gente che cammina … e camminando si parla, si discute, ci si diverte anche, si allegerisce il peso dell’altro, ci si arricchisce e ci si prende a schiaffoni quando “girano” … ma poi si sta ancora insieme.
L’ho detto per un bel po’ di volte, la Chiesa è gente che vuole stare insieme perchè sente che “siamo fatti della stessa Carne. E’ gente che è convinta che la con-versione non è “una volta per tutte”, ma “ogni volta e per sempre” … Una faticaccia boia, e lo sai!
Non privarci del tuo pensiero e delle tue parole, della tua presenza.
E poi, davvero, oltre alle guerre “ideologiche”, oltre alle diatribe di pensiero, non ti sei reso accorto che spesso affiorano anche gesti affettuosi di vicinanza e sostegno?
Sai, forse dovremmo staccarci dalle nostre idee che si sono plasmate su libri ed autori famosi, su figure di punta; dovremmo staccarci dal nostro vissuto negativo che ha scavato un profondo fossato attorno a noi (con dentro pure gli alligatori); dovremmo staccarci da tutto e lasciare che il nostro pensiero (che è poi il nostro essere) si lasci guidare, interrogare, studiare da un solo libro: il Vangelo … e da una sola Persona: Gesù.
Se studiassimo solo quel Libro e quelle Parole e lasciassimo che il nostro pensiero “scorrazzi” libero e luminoso in quelle parole … la strada per il Padre la troveremmo tutti e subito.
Ti ripeto, per favore, cambia idea: ogni persona in meno è una debolezza in più per tutti, per la Chiesa.
Cambia idea, per favore!
Ciao, Sump. Non so dirti un gran che. Ma quando vorrai tornare, sappi che io sono quello che incontrerai per primo. Quello dell’ultimo banco.
Con stima e affetto.
Di sumpontcura non posso dire che bene. quando ne ho condiviso le idee, per le ampie motivazioni addotte e la gradevolezza delle sue argomentazioni. quando così non è stato, per il confronto intellettuale onesto e sincero con una persona e crede in quello che dice, che non si ritira dal confronto, che non offende gratuitamente. Mi ritrovo in molte sue affermazioni dell’ultima lettera e tutto sommato le condivido.
Tuttavia, condivido le considerazioni di Don Mario sui diversi livelli. Da un lato, si può leggere uno stesso fatto su piani differenti. e molte volte ne abbiamo avuto dimostrazione in questo blog…. pianerottolo. per esempio, proprio sul caso englaro, mi sembra che non si possa mettere in dubbio che ciascuno nella propria opinione parta da presupposti di fede e voglia giungere a considerazioni che permettano un sincero, vero, profondo incontro con il Signore. Da un altro lato, ci sono verità di fede e precipitati culturali, sociali, politici che vengono letti con modi e sensibilità diverse da ciascuno di noi.
ps. caro Sump, resta la mia curiosità sullo spunto che ti proponevo, ma colgo al volo una frase di marta09 per sottolineare che:
1. credo sia la prima volta che leggo fino in fondo ogni commento. C’è un motivo.
2. citando marta09, molliamo – vi prego – le Idee (in questi giorni in cui mi sono imposto di rileggere un manuale di filosofia antica, capisco quanti danni misconosciuti hanno prodotto anche nel cristianesimo… ora uccidetemi…), e teniamoci le persone, comprese quelle tre Persone, che sono Uno.
Questo pianerottolo è un po’ come le tende di Mamre. Dove da stranieri, gli uni per gli altri, si mangia alla stessa mensa.
Un caro saluto.
Ho dato un’occhiata all’ondata di sentimentalismo che ha travolto questo pianerottolo per l’addio di Sump e mi è venuta in mente questa frase del Signore…
“guardatevi dal lievito dei farisei che è l’ipocrisia”…
aaaah pierini… “ma mi faccia il piacere” (Totò)
Ma si può sapere come caspita fate a “formattare” i testi?
Scusate l’OT poco pertinente … ma mi servirebbe!
con i tag html… ma a volte ho fatto dei casini che il buon Luigi ha dovuto sistemare…
si potrebbe trasferire su word, togliere ogni formattazione e poi copia incolla… non so se ho capito bene il problema..
Grande Sump!
Il sacrificio di Eluana è un mistero che ci fa sperare
http://www.ilsussidiario.net/articolo.aspx?articolo=12240
Ma dobbiamo rimboccarci le maniche. Se no, con l’evidenza che hai dettagliato e che abbiamo visto in questi giorni, precipitiamo.
beh” moralista io ci provo (e scusate l’intromissione, ma sono davvero curiosa
ciao
Alèèèè! Ci sono riuscita! Fantastico! Aver accompagnato una figlia nello studio di Perito informatico è venuto uile
Il Card. Biffi e Il Vaticano II
Memorie e digressioni di un italiano cardinale”
Memorie e digressioni di un italiano cardinale” (pp.177-179) Papa Roncalli morì nella solennità di Pentecoste, il 3 giugno 1963. Anch’io lo rimpiangevo, perché avevo un’invincibile simpatia per lui. M’incantavano i suoi gesti “irrituali”, ed ero rallegrato dalle sue parole spesso sorprendenti e dalle sue uscite estemporanee. Solo la valutazione di alcune frasi mi lasciava esitante. Ed erano proprio quelle che più facilmente di altre conquistavano gli animi, perché apparivano conformi alle istintive aspirazioni degli uomini. C’era, per esempio, il giudizio di riprovazione sui “profeti di sventura”. L’espressione divenne e rimase popolarissima ed è naturale: la gente non ama i guastafeste; preferisce chi promette tempi felici a chi avanza timori e riserve. E anch’io ammiravo qui il coraggio e lo slancio, negli ultimi anni della sua vita, di questo “giovane” successore di Pietro. Ma ricordo che una perplessità mi prese però quasi sùbito. Nella storia della Rivelazione, annunziatori anche di castighi e calamità furono solitamente i veri profeti, quali adesempio Isaia (capitolo 24), Geremia (capitolo 4), Ezechiele (capitoli 4-11). Gesù stesso, a leggere il capitolo 24 del Vangelo di Matteo, andrebbe annoverato tra i “profeti di sventura”: le notizie di futuri successi e di prossime gioie non riguardano di norma l’esistenza di quaggiù, bensì la “vita eterna” e il “Regno dei Cieli”. A proclamare di solito l’imminenza di ore tranquille e rasserenate, nella Bibbia sono piuttosto i falsi profeti (si veda il capitolo 13 del Libro di Ezechiele). La frase di Giovanni XXIII si spiega col suo stato d’animo del momento, ma non va assolutizzata. Al contrario, sarà bene ascoltare anche quelli che hanno qualche ragione di mettere all’erta i fratelli, preparandoli alle possibili prove, e coloro che ritengono opportuni gli inviti alla prudenza e alla vigilanza. “Bisogna guardare più a ciò che ci unisce che non a ciò che ci divide”. Anche questa sentenza – oggi molto ripetuta e apprezzata, quasi come la regola aurea del “dialogo” – ci viene dall’epoca giovannea e ce ne trasmette l’atmosfera. È un principio comportamentale di evidente assennatezza, che va tenuto presente quando si tratta di semplice convivenza e di decisioni da prendere nella spicciola quotidianità. Ma diventa assurdo e disastroso nelle sue conseguenze, se lo si applica nei grandi temi dell’esistenza e particolarmente nella problematica religiosa. È opportuno, per esempio, che si usi di questo aforisma per salvaguardare i rapporti di buon vicinato in un condominio o la rapida efficienza di un consiglio comunale. Ma guai se ce ne lasciamo ispirare nella testimonianza evangelica di fronte al mondo, nel nostro impegno ecumenico, nelle discussioni coi non credenti. In virtù di questo principio, Cristo potrebbe diventare la prima e più illustre vittima del dialogo con le religioni non cristiane. Il Signore Gesù ha detto di sé, ma è una delle sue parole che siamo inclini a censurare: “Io sono venuto a portare la divisione” (Luca 12,51). Nelle questioni che contano la regola non può essere che questa: noi dobbiamo guardare soprattutto a ciò che è decisivo, sostanziale, vero, ci divida o non ci divida. “Bisogna distinguere tra l’errore e l’errante”. È un’altra massima che fa parte dell’eredità morale di Giovanni XXIII e ha anch’essa influenzato il cattolicesimo successivo. Il principio è giustissimo e attinge la sua forza dallo stesso insegnamento evangelico: l’errore non può che essere deprecato, odiato, combattuto dai discepoli di colui che è la Verità; mentre l’errante – nella sua inalienabile umanità – è sempre un’immagine viva, pur se incoativa, del Figlio di Dio incarnato; e pertanto va rispettato, amato, aiutato per quel che è possibile. Io però non potevo dimenticare, riflettendo su questa sentenza, che la storica saggezza della Chiesa non ha mai ridotto la condanna dell’errore a una pura e inefficace astrazione. Il popolo cristiano va messo in guardia e difeso da colui che di fatto semina l’errore, senza che per questo si cessi di cercare il suo vero bene e pur senza giudicare la responsabilità soggettiva di nessuno, che è nota solo a Dio. Gesù a questo proposito ha dato ai capi della Chiesa una direttiva precisa: colui che scandalizza col suo comportamento e con la sua dottrina, e non si lascia persuadere né dalle ammonizioni personali, né dalla più solenne riprovazione della ecclesìa, “sia per te come un pagano e un pubblicano” (cfr. Matteo 18,17); prevedendo e prescrivendo così l’istituto della scomunica. Gli inganni del Vaticano II: “aggiornamento” e “pastoralità” (pp. 183-184) Papa Roncalli aveva assegnato al Concilio, come compito e come traguardo, il “rinnovamento interno della Chiesa”; espressione più pertinente del vocabolo “aggiornamento” (esso pure giovanneo), che però ebbe un’immeritata fortuna. Non era certo l’intenzione del sommo pontefice, ma “aggiornamento”includeva l’idea che la “nazione santa” si proponesse di ricercare la sua miglior conformità non al disegno eterno del Padre e alla sua volontà di salvezza (come aveva sempre creduto di dover fare nei suoi tentativi di giusta “riforma”), ma alla “giornata” (alla storia temporale e mondana); e così si dava l’impressione di indulgere alla “cronolatrìa”, per usare il termine di biasimo coniato poi da Maritain. Giovanni XXIII vagheggiava un Concilio che ottenesse il rinnovamento della Chiesa non con le condanne, ma con la “medicina della misericordia”. Astenendosi dal riprovare gli errori, il Concilio per ciò stesso avrebbe evitato di formulare insegnamenti definitivi, vincolanti per tutti. E di fatto ci si attenne sempre a questa indicazione di partenza. La ragione sorgiva e sintetica di questi indirizzi era il proposito dichiarato di mirare a un “Concilio pastorale”. Tutti, dentro e fuori l’aula vaticana, si mostravano contenti e compiaciuti di tale qualifica. Io però, nel mio angolino periferico, sentivo nascere in me, mio malgrado, qualche difficoltà. Il concetto mi pareva ambiguo, e un po’ sospetta l’enfasi con cui la “pastoralità” era attribuita al Concilio in atto: si voleva forse dire implicitamente che i precedenti Concili non intendevano essere “pastorali” o non lo erano stati abbastanza? Non aveva rilevanza pastorale il mettere in chiaro che Gesù di Nazaret era Dio e consostanziale al Padre, come si era definito a Nicea? Non aveva rilevanza pastorale precisare il realismo della presenza eucaristica e la natura sacrificale della messa, come era avvenuto a Trento? Non aveva rilevanza pastorale presentare in tutto il suo valore e in tutte le sue implicanze il primato di Pietro, come aveva insegnato il Concilio Vaticano I? Si capisce che l’intenzione dichiarata era quella di mettere a tema particolarmente lo studio dei modi migliori e dei mezzi più efficaci di raggiungere il cuore dell’uomo, senza per questo sminuire la positiva considerazione per il tradizionale magistero della Chiesa. Ma c’era il pericolo di non ricordare più che la prima e insostituibile “misericordia” per l’umanità smarrita è, secondo l’insegnamento chiaro della Rivelazione, la “misericordia della verità”; misericordia che non può essere esercitata senza la condanna esplicita, ferma, costante di ogni travisamento e di ogni alterazione del “deposito” della fede che va custodito. Qualcuno poteva addirittura incautamente pensare che il riscatto dei figli di Adamo dipendesse più dalle nostre arti di lusinga e di persuasione, che non dalla strategia soteriologica preordinata dal Padre prima di tutti i secoli, tutta incentrata nell’evento pasquale e nel suo annuncio; un annuncio “senza discorsi persuasivi di sapienza umana” (cfr. 1 Corinti 2,4). Nel postconcilio non è stato soltanto un pericolo. Sul comunismo aveva ragione papa Wojtyla: il Concilio non doveva tacere (pp. 184-186) Comunismo: il Concilio non ne parla. Se si percorre con attenzione l’indice sistematico, fa impressione imbattersi in questo categorico silenzio. Conclave 2005, che cosa ho detto al futuro papa (pp. 614-615) I giorni più faticosi per i cardinali sono quelli che precedono immediatamente il conclave. Il Sacro Collegio si raduna quotidianamente dalle ore 9,30 alle ore 13, in un’assemblea dove ciascuno dei presenti è libero di dire tutto ciò che crede. S’intuisce però che non si possa trattare pubblicamente l’argomento che più sta a cuore agli elettori del futuro vescovo di Roma: chi dobbiamo scegliere? E così va a finire che ogni cardinale è tentato di citare più che altro i suoi problemi e i suoi guai: o meglio, i problemi e i guai della sua cristianità, della sua nazione, del suo continente, del mondo intero. È senza dubbio molto utile questa generale, spontanea, incondizionata rassegna delle informazioni e dei giudizi. Ma senza dubbio il quadro che ne risulta non è fatto per incoraggiare. Quale fosse nell’occasione il mio stato d’animo e quale la mia riflessione prevalente emerge dall’intervento che dopo molte perplessità mi sono deciso a pronunciare il venerdì 15 aprile 2005. Eccone il testo: “1. Dopo aver ascoltato tutti gli interventi – giusti opportuni appassionati – che qui sono risonati, vorrei esprimere al futuro papa (che mi sta ascoltando) tutta la mia solidarietà, la mia simpatia, la mia comprensione, e anche un po’ della mia fraterna compassione. Ma vorrei suggerirgli anche che non si preoccupi troppo di tutto quello che qui ha sentito e non si spaventi troppo. Il Signore Gesù non gli chiederà di risolvere tutti i problemi del mondo. Gli chiederà di volergli bene con un amore straordinario: ‘Mi ami tu più di costoro?’ (cfr. Giovanni 21,15). In una ‘striscia’ e ‘fumetto’ che ci veniva dall’Argentina, quella di Mafalda, ho trovato diversi anni fa una frase che in questi giorni mi è venuta spesso alla mente: ‘Ho capito; – diceva quella terribile e acuta ragazzina – il mondo è pieno di problemologi, ma scarseggiano i soluzionologi’. “2. Vorrei dire al futuro papa che faccia attenzione a tutti i problemi. Ma prima e più ancora si renda conto dello stato di confusione, di disorientamento, di smarrimento che affligge in questi anni il popolo di Dio, e soprattutto affligge i ‘piccoli’. “3. Qualche giorno fa ho ascoltato alla televisione una suora anziana e devota che così rispondeva all’intervistatore: ‘Questo papa, che è morto, è stato grande soprattutto perché ci ha insegnato che tutte le religioni sono uguali’. Non so se Giovanni Paolo II avrebbe molto gradito un elogio come questo. “4. Infine vorrei segnalare al nuovo papa la vicenda incredibile della ‘Dominus Iesus’: un documento esplicitamente condiviso e pubblicamente approvato da Giovanni Paolo II; un documento per il quale mi piace esprimere al cardinal Ratzinger la mia vibrante gratitudine. Che Gesù sia l’unico necessario Salvatore di tutti è una verità che in venti secoli – a partire dal discorso di Pietro dopo Pentecoste – non si era mai sentito la necessità di richiamare. Questa verità è, per così dire, il grado minimo della fede; è la certezza primordiale, è tra i credenti il dato semplice e più essenziale. In duemila anni non è stata mai posta in dubbio, neppure durante la crisi ariana e neppure in occasione del deragliamento della Riforma protestante. L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna. Eppure questo documento, che richiama la certezza primordiale, più semplice, più essenziale, è stato contestato. È stato contestato a tutti i livelli: a tutti i livelli dell’azione pastorale, dell’insegnamento teologico, della gerarchia. “5. Mi è stato raccontato di un buon cattolico che ha proposto al suo parroco di fare una presentazione della ‘Dominus Iesus’ alla comunità parrocchiale. Il parroco (un sacerdote per altro eccellente e ben intenzionato) gli ha risposto: ‘Lascia perdere. Quello è un documento che divide’. ‘Un documento che divide’. Bella scoperta! Gesù stesso ha detto: ‘Io sono venuto a portare la divisione’ (Luca 12,51). Ma troppe parole di Gesù oggi risultano censurate dalla cristianità; almeno dalla cristianità nella sua parte più loquace”. __________ Giacomo Biffi, “Memorie e digressioni di un italiano cardinale”, Cantagalli, Siena, 2007, pp. 640, euro 23,90.
Peccato, davvero, che anche un “post” così bello, nobile ed importante come quello dedicato al saluto collettivo all’amico Sump sia stato inframmezzato dall’insopportabile intermezzo pubblicitario: va bè.
Dunque, Sump: non ti chiederò di ripensarci perchè credo sarebbe inutile; neppure, ti confesso, vorrei colorare di accenti strazianti questo saluto: ha ragione Ignigo74 nell’invitarci a non prenderci troppo sul serio.
Piuttosto, vorrei dedicare qualche riga al rapporto che mi sembra si fosse creato tra noi due in questi mesi di comune appartenenza al “pianerottolo”.
Mi piaceva leggerti, per la chiarezza, la profondità e la raffinatezza intellettuale che mostravi nell’approccio delle varie questioni e questo m’ha spinto, ad un certo punto, a “cercare” il confronto ed il dialogo diretto con le tue posizioni: era un confronto impari, per competenza e preparazione, ma non mi hai mai fatto pesare questa netta differenza; al contrario, ti sei misurato, con rispetto e semplicità che non scorderò, con la mia sensibilità, a volte così lontana dalle tue convinzioni.
Posso dirtelo ? Ti ho sempre considerato una persona che – come si diceva negli anni ’70 – stava “dall’altra parte” ma da cui mi sono sentito persino onorato – spero tu intenda esattamente il significato di questa frase – di essere ritenuto “avversario”: le nostre “tenzoni” (ricordi ? Su Berlinguer e Craxi, su Gramsci, su Don Milani e la “Lettera a Pipetta”), l’attenzione che dedicavi ai miei interventi, la puntualità con cui ne contestavi il contenuto erano, per me, motivo d’orgoglio e gratificazione.
L’affettuoso nomignolo di “frate cercatore” che mi hai apposto, poi, è stato impagabile.
Peccato che te ne vai, Sump: peccato, davvero.
Ti abbraccio, ti penserò.
Roberto 55
Cause di una rovina
di Eugenio Corti
Tra le principali cause dell’attuale smarrimento di identità della cultura cristiana si deve collocare la comparsa, poco prima della seconda guerra mondiale, di un corpo di idee nuove, promosse dal filosofo cattolico francese Jacques Maritain.
Costui, convertitosi nel 1905 dall’ateismo rivoluzionario al cattolicesimo, aveva in un primo tempo scritto opere antirivoluzionarie (come Antimoderno e i tre riformatori), e si era in seguito distinto per un efficace ammodernamento del tomismo, per il quale gli siamo debitori ancora oggi. Aveva insomma molto bene meritato nel campo della cultura cattolica, e glien’erano venuti ampi riconoscimenti e una straordinaria autorità. Per farsi un’idea della grande autorità acquisita da Maritain tra le due guerre e nel dopoguerra, si pensi a quella – nello stesso periodo di tempo – di Benedetto Croce nella cultura laica italiana: con la differenza che l’autorità di Maritain non si limitava all’ambito francese, ma si estendeva alla cultura cattolica del mondo intero.
Prima della guerra, però, Maritain aveva formulato un suo grande progetto di “nuova cristianità”, che si staccava non poco dall’insegnamento perenne della Chiesa, e l’aveva diffuso mediante un volume che divenne notissimo; Umanesimo integrale (uscito in Francia nel 1936, tradotto in italiano nel 1946). L’opera si caratterizzava per la ricerca delle verità e virtù, e valori cristiani “impazziti” – cioè delle verità e virtù, e valori cristiani “prigionieri dell’errore” ma pur sempre cristiani – che si trovano nel patrimonio culturale di determinati gruppi avversi alla Chiesa, segnatamente dei comunisti e dei laicisti radicali. Di questi gruppi Maritain prospettava l’inclusione nella “nuova cristianità”, appunto sulla base di tale patrimonio comune.
Le sue idee vennero severamente confutate dalla rivista dei gesuiti “Civiltà cattolica” (anno 1956, v. III, pagg. 449463) in un importante articolo del direttore padre A. Messineo, considerato allora portavoce di papa Pio XII: detto articolo si conclude con le parole: “L’umanesimo integrale non è l’umanesimo dell’uomo rigenerato dalla grazia… Nella sua sostanza l’umanesimo integrale è un naturalismo integrale”.
Malgrado questo, le idee di Maritain incontrarono sempre maggior credito e adesione tra i cristiani: qui in Italia il successo si fece un po’ alla volta addirittura travolgente, favorito anche dagli stessi avversari, i quali, mentre non intendevano certo farsi inquadrare dai cristiani, vedevano pero in quel progetto un’occasione d’incontro che bloccasse l’avanzata allora in atto dei cristiani su piano nazionale.
Va detto, per amore di verità, che diversi dei primi portatori delle idee di Maritain, e del suo discepolo e braccio destro in politica Mounier, erano persone colte, disinteressate e per più aspetti esemplari. Tali, del resto, erano gli stessi Maritain e Mounier; così qui in Italia Dossetti, Lazzati, La Pira e parecchi altri fino a Martinazzoli. Tuttavia il chiudere troppo a lungo gli occhi sulla realtà delle cose, il fare – anche se in buona fede – spazio all’errore, può comportare sbocchi molto gravi. Paradigmatico fu il caso di La Pira che, a quanto sembra, allorchè nel 1956 venne richiesto da Crusciov – col quale aveva notoriamente scambio di corrispondenza – di far conoscere in Occidente il suo famoso “rapporto segreto” al XX Congresso, in cui si denunciava e demoliva lo stalinismo, non ne volle sapere. La Pira cioè non avrebbe accettato di collaborare al ristabilimento di una verità comportante la liberazione dalla schiavitù per centinaia di milioni d’esseri umani; evidentemente perchè, se avesse accettato, avrebbe con ciò stesso implicitamente riconosciuto di avere costruita la propria testimonianza anche su una colossale menzogna. Viene spontaneo chiedersi fino a che punto si debba a questa omissione di La Pira – e ad altre consimili di personaggi “esemplari” come lui il fatto che tra i cattolici italiani l’enormità negativa dell’esperimento storico comunista venne recepita in modo del tutto inadeguato. Tanto che, al pari degli altri italiani, i cattolici vivono ancora oggi in uno stato di semi menzogna.
Dice il Vangelo: “riconoscerete i falsi profeti dai loro frutti”. Dai frutti, cioè dai fatti.
Cos’è derivato nei fatti dall’apertura che tanti cattolici finirono col fare non soltanto al mondo contemporaneo in generale, ma specificamente al comunismo, al laicismo, e ad ogni genere di modernismo? Per cominciare, una spaccatura nella cultura cattolica che ha portato alla sua paralisi. Poi limitandoci ai soli accadimenti maggiori una cessazione, nell’ambito delle società più avanzate, delle conversioni al cattolicesimo, che prima si contavano ogni anno a centinaia di migliaia. Inoltre una crescente perdita della nostra identità, con conseguente caduta delle vocazioni religiose: nel giro di appena una decina d’anni i chierici nei seminari si ridussero alla metà, e in qualche diocesi addirittura a un quinto o a un sesto. Negli ordini religiosi si ebbero colossali defezioni: tra i gesuiti diecimila padri su trentaseimila abbandonarono lo stato religioso, tra i domenicani (altro ordine culturalmente avanzato) la percentuale delle defezioni fu ancora più elevata (si fa presto a dirlo: ma quando mai nella storia millenaria della Chiesa si era assistito a qualcosa di simile?). In pari tempo, l’Azione Cattolica italiana ha visto il numero dei propri membri precipitare da tre milioni a seicentomila.
È ben noto il lamento di papa Paolo VI già nel giugno 1972: “Il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio… Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una “giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio”. E la sua precisazione (18.9.74): “Grande parte di essi mali non assale la Chiesa dal di fuori, ma l’affligge, l’indebolisce, la snerva dal di dentro. Il cuore si riempie di amarezza”.
Contemporaneamente, ha avuto luogo sul piano storico una nuova, tumultuosa avanzata della società secolarizzata, che si è affermata rapidamente nel costume (paganesimo sessuale, droga, scristianizzazione crescente del popolo), nonchè nell’ambito delle leggi (divorzio, aborto ed altre).
Quanto a Jacques Maritain va ricordato che più tardi si è spaventato e ricreduto. Nel suo ultimo libro importante infatti, Il contadino della Garonna (1966; traduzione italiana ritardata al 1969), Maritain ha parlato, riprovandolo, di un “neo-modernismo” inaspettatamente scatenatosi nella Chiesa, confronto al quale quello che a principio secolo preoccupava tanto non fu che “un modesto raffreddore da fieno”.
Ma ormai il danno era fatto. I suoi seguaci non sono più tornati indietro: anzi, dopo che si è arrivati alla spaccatura del partito politico cristiano, essi si sono subordinati agli eredi del comunismo, dandogli modo di prendere la guida del governo.
Che fare oggi, in tale situazione? Ci richiamiamo a un’altra affermazione di papa Paolo VI: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”. Il Papa aggiunge: “Ciò che manca in questo momento al cattolicesimo è la coerenza”.
Ecco: i cattolici che non si sono messi al seguito degli atei devono conservarsi coerenti, e conservare gelosamente la propria identità. Consci di quella promessa che è pegno di vittoria, fatta da Cristo ai suoi: “Io sarò con voi sino alla fine”. Dobbiamo anche
Accusare Maritain di cedimento alle mode è un’accusa del tutto infondata. Con tutto il rispetto, padre Messineo non ha capito nulla di Maritain.