Con un’intervista a InBlu Radio l’ispettore dei cappellani delle carceri, don Raffaele Grimaldi, richiama – con riferimento a Totò Riina – l’importanza “dell’accesso dei familiari più intimi affinché gli ultimi momenti della vita non si trasformino in disperazione”. Nei commenti le parole di don Grimaldi che mi ha invitato a un seminario di formazione dei cappellani e che saluto.
Riina e il diritto all’accesso dei familiari
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Don Grimaldi. “Non dico se è bene o meno curare un detenuto a casa, non è il mio compito, ma è importante che ci sia l’accesso dei familiari più intimi affinché gli ultimi momenti della vita non si trasformino in disperazione con il rischio di vivere un suicidio mentale”. Lo ha detto l’ispettore dei cappellani d’Italia, don Raffaele Grimaldi, commentando la sentenza della Cassazione su Toto Riina. “Ogni detenuto – ha aggiunto don Grimaldi – ha il diritto di morire dignitosamente. E questa vale per tutti i detenuti come ci ricorda la Costituzione. Comprendo la reazione di molti cittadini, il dolore e la rabbia delle vittime che hanno subito violenza alla notizia della scarcerazione di un boss come Riina. Ma la soluzione per curare un detenuto anziano con patologie gravi è cercare strutture adatte con una buona assistenza medica”.
“Gesti e parole di Papa Francesco per i carcerati” è il tema che tratterò al Seminario di formazione dei cappellani delle carceri organizzato dall’Istituto superiore di Studi penitenziari che si terrà a Roma il 27 giugno.
Ok, “Ogni detenuto ha il diritto di morire dignitosamente”, dunque anche Riina. Ma è troppo, o non cristiano, chiedergli qualche parola di pentimento, o almeno di scuse per quello che ha fatto? E se ai famigliari più intimi, cui dovrebbe essere consentito l’accesso, lui consegnasse un “pizzino”?
E’ da non cristiano fare queste domande? Se sì, chiedo scusa. Non lo farò più.
Buona notte.
No Giuseppe, le tue sono domande giuste. Ho letto qualche servizio giornalistico, in particolare quello del collega Giovanni Bianconi sul Corsera di ieri a pagina 2, e mi pare d’aver capito che la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione non ha stabilito che Riina dev’essere scarcerato, ma ha “ordinato al tribunale di sorveglianza di Bologna”, competente per territorio, “di motivare meglio la negazione del differimento della pena e dunque l’uscita dalla prigione” decisa da quel tribunale un anno addietro. Le motivazioni d’allora sarebbero – secondo la Cassazione – “apodittiche, illogiche e contraddittorie”. Non c’è dunque ragione di allarme: il tribunale competente ascolterà gli addetti alla sorveglianza e alle cure e rivedrà o confermerà la vecchia decisione motivandola meglio. Mi pare perfettamente ragionevole che si facciano valere le ragioni di prudenza e sicurezza alle quali fai riferimento, ma trovo anche sacrosanto che esse – e ogni altra ragione – vengano adeguatamente motivate. Da qui il mio interesse alle parole dell’ispettore dei cappellani. Don Grimaldi non ha detto che dev’essere scarcerato, ma ha segnalato l’opportunità che venga tenuta in conto – nella decisione che dev’essere presa – l’importanza della presenza dei familiari agli ultimi momenti di vita di un detenuto. Come a dire: magari non può essere scarcerato, ma oltre a garantirgli le cure gli si garantisca la vicinanza “finale” dei familiari. Giuseppe, un salutone.
Prima che di morire dignitosamente, i detenuti, tutti, avrebbero diritto di vivere dignitosamente, al contrario di quel che accade nelle nostre carceri.
Quanto al caso di “Totò u curtu”, a parte i discorsi sulla funzione rieducativa della pena, bisogna considerare che la sanzione penale ha carattere retributivo ed è uno strumento che serve ad evitare che ciascuno si faccia giustizia da sé, mediante delega di tale compito allo Stato. Mi auguro per il Nostro, devo dire con qualche sforzo, che i suoi ultimi momenti di vita non si trasformino in disperazione, ma se tale disperazione è il prezzo che dev’essere pagato per la nostra sicurezza e per alleviare il dolore – magari anche disperazione? – dei parenti delle sue vittime, allora che lo paghi.
Infine, la domanda di scarcerazione per poter morire dignitosamente, come si dice, è stata presentata un anno fa. Non credo ci sia da aggiungere altro. Anzi una cosa, la rabbia cieca delle singole persone (basta leggere i commenti sui social network) non ha niente a che vedere con l’applicazione della legge, come pure, bisogna dire, non c’entrano l’eventuale umana pietà e la cristiana misericordia.
E di lui, boss mafioso, non dici che è il Male in persona?
Chiunque puo’morire “dignitosamente”non c’entrano le circostanze esterne ma lo stato d’animo INTERIORE!
Gesu’e’morto dignitosamente sulla Croce.
Tanti martiri sono morti dignitosamente nella polvere o nel fango.
Le carmelitane francesi e tanti preti francesi sono morti dignitosamente GHIGLIOTTINATI
Muore dignitosamente chi nel proprio animo si prepara con cuore sincero al grande “salto”nell’ALDILA’.
Un mafioso puo’morire dignitosamente se guardando indietro alla propria vita e ai propri delitti si pente sinceramente davanti a Dio del sangue versato. Basta un attimo:Gesu figlio di Dio abbi.pieta’di me peccatore!
Pensiamo al Buon Ladrone cro c ifiso alla destra di Cristo!
Toto’Riina, in questo uguale a ciascuno di noi, morira’dignitosamente non semplicemente se lasciato stare coi familiari, o rimandato a casa ma se di fronte all’Eternita’sapra’rendersi conto delle proprie colpe ed elevare un pensiero a Dio.Non si capisce perche’la giustizia umana debba “alleviare” la punizione che hli e’stata giustamente inflitta per i suoi crimini.
Sottoscrivo parola per parola discepolo Cristina, Parola x parola…
non credo possa essere aggiunto altro!