“Ricordati Signore dei nostri fratelli defunti e ricordati di Bettino” dice il nostro parroco don Francesco alla messa delle 11. Io mi unisco a questo memento ripubblicando una memoria di Craxi che scrissi per “Il Regno” quando morì. Tre giorni addietro l’ha ripresa Stefano Ceccanti nel suo blog e mi ha detto: “ripubblicala”. Non l’avrei fatto senza la sua provocazione e quella del parroco. Nei commenti qualche passaggio di quel mio testo a vent’anni dalla pubblicazione, nel giorno anniversario della partenza di Bettino.
“Ricordati Signore di Bettino” dice il nostro don Francesco
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All’altezza della morte. La notizia della morte di qualcuno è un momento fecondo per la vita cristiana, che va colto con impegno. Può aiutarci a incontrare nel Signore quel fratello, o a recuperare in morte un rapporto che fu difficile, o a purificarlo nella penitenza per il peccato che possiamo aver compiuto con lui o contro di lui.
Tra le tre notizie di morti che più mi hanno morso negli ultimi due mesi c’è stata in gennaio quella di Bettino Craxi, del quale mai fui davvero conoscente, ma del quale sono divenuto amico in morte e proverò a dire in che maniera e con quale travaglio […]. All’altezza della sua morte, cioè in una posizione di relativa verità nei suoi confronti, ci sono arrivato – infatti – non solo dopo la sua morte fisica, ma con personale travaglio […]. Anch’egli è un fratello che muore e anche per lui sono andato in confusione al momento della morte, avvertendo davvero solo allora – e cioè troppo tardi – l’offesa che gli era fatta. Aveva delle responsabilità, certamente. Ma è stato colpito in modo sproporzionato: ha fatto quello che facevano tutti, solo esponendosi di più e ha pagato anche per gli altri.
Mai lo votai. Ho apprezzato quelli che hanno sfidato l’opinione pubblica – o i media: forse l’ipersensibilità anticraxiana era più dei media che della gente – e hanno tentato qualcosa perché Craxi potesse tornare in Italia a curarsi, o sono andati ad Hammamet per l’ultimo saluto. Ancora di più ho apprezzato Cossiga che è andato laggiù quando Craxi era ancora in vita e l’ha chiamato “amico” e dopo la morte è tornato laggiù e al momento della sepoltura – dato che non c’erano preti – ha preso per mano Anna e Stefania sconvolte e le ha aiutate a dire l’Eterno riposo.
Non ho mai votato per Craxi, né per Cossiga, né per Berlusconi, che è andato anche lui laggiù per quella messa: ma questo non interessa, lo dico solo per chiarire che qui parlo della morte – cioè della vita – e non di politica. Ho apprezzato anche il ministro Dini e il sottosegretario Minniti che sono andati laggiù nella posizione più scomoda. Tutti costoro – in questa occasione – sono stati migliori cristiani di me. Ma non è questo che interessa.
Bisogno di un vero cattivo. Il punto che mi preme è quest’altro: da quando Craxi è stato messo sotto accusa, e dunque per ben otto anni, io non ho saputo portarmi all’altezza della sua morte. Non sono riuscito cioè a guardare alla sua vicenda con gli occhi con cui la vedo ora.
Ora riesco a configurarmi l’uomo, che mi è sempre sfuggito. Eppure in tre occasioni – a Palazzo Chigi, in via Del Corso e in Vaticano – gli ho fatto domande, essendo presente come giornalista ai suoi trionfi. Tante volte ho scritto di lui. Per ragioni professionali ho ascoltato e letto per intero suoi discorsi e saggi. Ho studiato a lungo la riforma del Concordato da lui voluta “con intelligenza e coraggio”, dice ora il vescovo Nicora. Sul Concordato ho curato persino una pubblicazione, dodici anni fa.
Dunque avevo tutti gli elementi per vedere oltre e non ci sono riuscito […]. Mi ha tradito forse l’esigenza di avere in mente – magari sullo sfondo di tangentopoli – un vero cattivo: intendo dire un’immagine temibile di politico corrotto e corruttore. Non potevano bastare gli inermi Citaristi e Forlani. Né il povero Armanini. Né i dodici suicidi che tangentopoli (o i titoli dei giornali che anticipavano come condanne gli avvisi di garanzia: perché la sostanza di tangentopoli è certo da apprezzare) ha provocato in un solo anno, tra il 1992 e il 1993.
Leggeva il Vangelo. Ora abbiamo visto la lettera di Craxi al papa – letta ai giornalisti dalla figlia Stefania e pubblicata dai giornali il 21 gennaio – in risposta agli auguri per l’intervento chirurgico di novembre: “Santo padre, don Verzè mi porta il suo messaggio augurale. Grazie. La mia grande fiducia è in lei. Offro la mia sofferenza per il mio paese e per le intenzioni di vostra santità”.
Ora sappiamo – da una dichiarazione del vescovo di Tunisi, Fouad Twal, che ha celebrato la messa di addio – che il Craxi esule “stava scrivendo un libro sui martiri cristiani del Nord Africa” e che “la fede non l’aveva mai perduta: credeva nell’esistenza di Dio e nell’immortalità dell’anima, leggeva il Vangelo e lo conosceva bene”.
Ora che abbiamo visto le sue mani intrecciate alla corona del rosario che gli aveva mandato il papa, siamo in grado di guardare a Craxi con pietà. Ora tutti gli invochiamo la misericordia del Signore. Ora rivediamo il giudizio.
Il Papa alla vedova Anna. Una dichiarazione di Navarro-Valls e il messaggio del papa alla vedova Anna, una prima dichiarazione di Attilio Nicora sulla revisione del Concordato (ma accenna anche alla fede “che non gli era estranea”) e una successiva del card. Ruini sull’opera politica aiutano anche i più restii ad andare verso “un’interpretazione equa e sincera” (Ruini).
Ma oggi è tardi. Un cristiano dovrebbe riuscire a guardare a tutti i fratelli, e per tempo, con gli occhi della pietà. Lo sguardo della pietà è quello che più si avvicina alla veduta che di quel fratello ha il Signore, nella sua misericordia. Portarsi all’altezza della morte di qualcuno vuol dire guardarlo in vita con quell’occhio che generalmente di è donato solo in morte, quando il suo passaggio dalla vita ci tocca davvero.
Analogamente portarsi all’altezza della propria morte (che è operazione primaria della vita cristiana) vuol dire guardare alla propria avventura dal punto di vista del giudizio di Dio. Se io mi porto all’altezza della morte guardo solo all’essenziale, non mi perdo in rispetti umani, non faccio di una paglia un pagliaio perdendo la misura delle cose.
Il malatissimo Citaristi. I cristiani sono stati capaci di dire su Craxi una parola diversa rispetto a quella degli altri, lungo gli anni? Mi pare di no. E mi pare che questo sia stato un errore. E non lo dico dei vescovi, o della CEI, ma di me e di te che leggi. Perché mi pare che né io né tu l’abbiamo fatto ed è questo nostro dovere di cristiani comuni che mi interessa.
Forse l’abbiamo pensato che era ingiusto far morire in quell’esilio Craxi e certamente abbiamo pensato che non era giusto processare senza sosta il malatissimo Citaristi: ha accumulato venti processi e oltre trent’anni di carcere, tutti lo considerano onesto e nessuno sa dire su di lui una parola sensata. E io personalmente ho tremato sentendolo raccontare d’aver “invocato spesso” la morte e di aver scampato il suicidio “solamente per la fede”.
Forse abbiamo pensato che tutto ciò non era secondo il Vangelo. Ma non l’abbiamo detto – neanche in famiglia e forse neanche a noi stessi – per non comprometterci, o per non compromettere il Vangelo.
Nascondimento della pietà. Se un cristiano non si vergogna del Vangelo, deve dire ogni sentimento che gli viene di là. Senza timore di compromettere la parola di Dio, che è come una spada che taglia da ambedue le parti e che nessuno può compromettere. E soprattutto senza timore per la nostra compromissione, almeno se non facciamo politica.
Alcuni cristiani hanno difeso Craxi per ragioni politiche. Altri per ragioni politiche l’hanno combattuto. Ma una pietà non politica e tuttavia reale, cristianamente motivata, per Craxi vivo non l’abbiamo espressa. Tra i cristiani d’Italia c’è questa tentazione del nascondimento – fino al nascondimento della pietà – davanti alle questioni controverse, forse in reazione alla sovraesposizione politica (compresa la sovraesposizione della pietà) dei decenni democristiani.
L’invito a non vergognarsi del Vangelo è anche un invito a ribellarsi all’indebito nascondimento dei cristiani, che rende clandestino il Vangelo nella nostra società.
Molto bello questo ricordo di Craxi, che mi torna in mente come una grande persona. Non sapevo che fosse credente.
Bettino Craxi fu condannato in via definitiva per corruzione e diversi processi ancora in corso furono estinti a causa della sua morte. Non era in esilio, come dicevano lui e i suoi familiari e sodali, ma in contumacia. Uomo spregiudicato nel privato e nel pubblico (amava paragonarsi al brigante Ghino di Tacco), promosse con altri quel sistema corruttivo che creava tanti danni alla politica ed all’economia del nostro paese. Un gruppo di coraggiosi giudici fortunatamente scoperchio’ la rete di malaffare. “La misericordia divina ha sì gran braccia…” vale anche per Craxi, ma il giudizio sulla sua azione politica è racchiuso nelle sentenze di condanna nei suoi confronti.