“Forse che le parabole non vogliono aprire ma chiudere?” è una domanda retorica posta da Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel primo volume del Gesù di Nazaret intitolato “Natura e scopo delle parabole” (pp. 219ss dell’edizione Rizzoli del 2007): domanda retorica che sta a dire che non può essere che quello di chiudere e rendere inaccessibile il messaggio sia lo scopo delle parabole e che dunque occorre interpretare il detto di Gesù sulle parabole destinate a far sì che “quelli di fuori” – ovvero chi non è suo discepolo – “ascoltino ma non intendano” (Marco 4, 11s): si tratta, precisa Ratzinger, di interpretarlo nella “unità e totalità” della Scrittura. Avevo rinviato a questo capitolo nel post di sabato 29 maggio, presentando il brano del Vangelo di Marco che leggeremo stasera nell’incontro di Pizza e Vangelo. Ne è venuta una disputa, qui nel blog, che mi ha convinto dell’opportunità di riprodurre qui nei commenti – l’intera argomentazione ratzingeriana, facendola seguire da una mia nota.
Ratzinger: “Forse che le parabole non vogliono aprire ma chiudere?”
11 Comments
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
Parola che sconcerta. Ratzinger 1. Le parabole costituiscono senza dubbio il cuore della predicazione di Gesù […]. Se così ci è dato di interpretare tutte le parabole come inviti nascosti e multiformi a credere in Lui come al «regno di Dio in persona», si frappone sulla nostra strada una parola di Gesù a proposito delle parabole, che ci sconcerta. Tutti e tre i sinottici raccontano che Gesù, ai discepoli che lo interrogavano sul significato della parabola del seminatore, avrebbe dapprima dato una risposta generale sul senso dell’annuncio in parabole. Al centro di questa risposta di Gesù sta una parola di Isaia (cfr. 6,9s), che i sinottici riportano in diverse varianti. Il testo di Marco secondo la traduzione accuratamente ponderata di Jeremias dice: «A voi [cioè alla cerchia dei discepoli] Dio ha concesso il segreto del regno di Dio; a quelli che sono di fuori tutto è misterioso, affinché essi (come sta scritto) “guardino, ma non vedano; ascoltino, ma non intendano; a meno che si convertano e Dio perdoni loro”» (Me 4,12; Jeremias, p. 11). Che cosa significa tutto questo? Le parabole del Signore servono forse a rendere inaccessibile il suo messaggio e a riservarlo solo a una piccola cerchia di prescelti per i quali è Lui stesso a interpretarlo? Forse che le parabole non vogliono aprite, ma chiudere? Dio è forse di parte, così da non voler il tutto – tutti – ma solo un’élite?
Un detto misterioso. Ratzinger 2. Se vogliamo comprendere questa misteriosa parola del Signore, dobbiamo leggerla a partire dal testo di Isaia che Egli cita e dobbiamo leggerla nella prospettiva della sua via personale di cui Egli conosce l’esito. Con questa frase Gesù si colloca nella linea dei profeti – il suo destino è quello dei profeti. Il testo di Isaia nel suo insieme è ancora molto più severo e impressionante dell’estratto citato da Gesù. Nel Libro di Isaia si legge: «Rendi insensibile il cuore di questo popolo, fallo duro d’orecchio e acceca i suoi occhi e non veda con gli occhi né oda con gli orecchi né comprenda con il cuore né si converta in modo da esser guarito» (6,10). Il profeta fallisce: il suo messaggio contraddice troppo l’opinione comune, le abitudini correnti. Solo attraverso il fallimento la sua parola diventa efficace. Questo fallimento del profeta incombe come oscura domanda sull’intera storia di Israele e si ripete in certo qual modo di continuo nella storia dell’umanità. E soprattutto sempre di nuovo anche il destino di Gesù Cristo: Egli finisce sulla croce. Ma proprio dalla croce deriva la grande fecondità.
Se il chicco non muore. Ratzinger 3. Ed ecco svelarsi qui, all’improvviso, anche il rapporto con la parabola del seminatore, che nei sinottici è il contesto in cui si trova tale parola di Gesù. Colpisce quale importanza assuma l’immagine del seme nell’insieme del messaggio di Gesù. Il tempo di Gesù, il tempo dei discepoli, è il tempo della semina e del seme. Il «regno di Dio» è presente come un seme. Il seme, visto dall’esterno, è una cosa piccola. Si può non vederlo. Il granello di senape – immagine del regno di Dio – è il più piccolo di tutti i semi eppure contiene in sé un albero intero. Il seme è presenza del futuro. Nascosto dentro il seme c’è già quello che verrà. E pro-messa già presente nell’oggi. Il Signore ha riassunto k molteplici parabole dei semi la domenica delle Palme e ne ha svelato il pieno significato: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto» (Gv 12,24). Egli stesso è il granello. Il suo «fallimento» sulla croce è proprio la via per giungere dai pochi ai molti, a tutti: «Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me» (Gv 12,32).
Fallimento di Gesù. Ratzinger 4. Il fallimento dei profeti, il suo fallimento, appare ora sotto un’altra luce. E proprio la via per ottenere «che si convertano e Dio perdoni loro». E appunto il modo in cui ora a tutti vengono aperti gli occhi e gli orecchi. Sulla croce le parabole vengono decifrate. Dice il Signore nei discorsi d’addio: «Queste cose vi ho dette in similitudini [in linguaggio velato] ; ma verrà l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre» (Gv 16,25). Così le parabole parlano in modo nascosto del mistero della croce; non solo ne parlano – ne sono esse stesse parte. Infatti, proprio perché lasciano trasparire il mistero divino di Gesù, suscitano contraddizione. Proprio laddove giungono all’estrema chiarezza, come nella parabola dei vignaioli omicidi (cfr. Me 12,1-12), si trasformano in stazioni sulla via verso la croce. Nelle parabole, Gesù non è solo il seminatore che sparge il seme della parola di Dio, ma è seme che cade nella terra per morire e così dare frutto.
Unità e totalità della Bibbia. Ratzinger 5. Così proprio l’inquietante spiegazione di Gesù sul senso delle sue parabole ci guida alla comprensione del loro significato più profondo, se solo – come richiede la natura della Parola di Dio scritta – leggiamo la Bibbia e soprattutto i Vangeli come unità e totalità, che in tutte le sue stratificazioni storiche esprime tuttavia un messaggio intrinsecamente consequenziale.
Il testo di Ratzinger che ho riportato in questi primi cinque commenti è alle pagine 225-228 dell’edizione Rizzoli 2007 del primo volume della trilogia Gesù di Nazaret di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, nel capitolo “Natura e scopo delle parabole”
Mia nota. Ringrazio i visitatori intervenuti nella discussione seguita al post precedente: mi hanno aiutato a percepire meglio la serietà delle parole di Gesù sul parlare in parabole. Invito chi mi legge a prestare buona attenzione al testo del Papa teologo e a leggerlo più volte, se necessario, perché esso non è di immediata comprensione. Il punto chiave è il richiamo all’unità e totalità della Scrittura. Se in quelle parole di Gesù – ci dice Ratzinger – leggiamo l’espressione di una volontà divina di esclusione di alcuni o molti dalla salvezza, ne viene il problema di armonizzare tale interpretazione con la volontà salvifica universale che è attribuita a Dio dall’insieme del Nuovo Testamento, riassunta in queste parole dell’apostolo Paolo nella Prima lettera a Timoteo: “Dio, nostro salvatore, vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità” (2, 4). Non solo: da una tale finalità del parlare in parabole, mirato all’accecamento e alla incomprensione da parte della maggioranza degli uditori, verrebbe anche la difficoltà di comprendere quanto è affermato in questo stesso quarto capitolo di Marco al versetto 33: “Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere”. Se l’intenzione fosse di non farsi capire, questa frase sarebbe incomprensibile. Ma anche tutta la predicazione di Gesù sarebbe incomprensibile. Si sarebbe adoperato per confondere gli uditori invece che per farsi capire? Il testo di Papa Ratzinger che ho riportato invita a interpretare questo brano sconcertante e misterioso senza staccarlo dall’insieme del Nuovo Testamento e dunque senza dimenticare la volontà salvifica universale.
Le parabole stimolano il dialogo con Gesù, come avviene ai discepoli. Stimolano delucidazioni su cose che toccano la vita concreta, specifica, personale. Il vangelo è stimolo al dialogo dal vivo. Lì è la fonte della sinodalità al punto che Gesù chiama suo fratello, sorella e madre chi ascolta e dialoga con lui in lui sulla Parola. E Gesù ossetva: se non comprendete la parabola del seminatore come comprenderete le altre parabole? Infatti essa parla non di uma parola da comprendere con il proprio cervello e mettere in pratica con le proprie forze ma di un seme che, accolto, cresce con gradualità e delicatezza nella vita delle petsone portando verso il suo pieno compimento. Proprio anche verso l’ascolto personale e comunitario della Parola. È, appunto, il contrario del sapere già tutto da soli.
Caratteristica del seme è dunque la delicatezza, il crescere dove è liberamente accolto, coltivato, l’amore vero attento alla comunicazione vera, specifica, dal vivo. Per questo Gesù non ha scritto perche parla amando persone specifiche, dal vivo, non in astratto. E per questo il vangelo va tradotto al vivo, in situazioni specifiche, da, con, per, persone specifiche…
https://gpcentofanti.altervista.org/la-marginalita-del-cercatore-del-vero/
“Le parabole ..proprio perché lasciano trasparire il mistero divino di Gesù, suscitano contraddizione. ” dice Ratzinger.
E ancora :
“le parabole parlano in modo nascosto del mistero della croce; non solo ne parlano – ne sono esse stesse parte. ”
Ratzinger Usa due volte la parola mistero. Dunque per lui le parabole non sono racconti edificanti, apologhi, per farsi capire meglio anzi sono degli enigmi,vil cui significato misterioso attinge al mistero della vita divina e della Croce Razionalizzarle troppo vuol dire non cogliere il loro senso profondo e mistico
quello che avevo tentato di dire e’che nel parlare in parabole da parte di Gesu’c’e’un mistero .Lo dice lui stesso in queste parole di Marco ” affinche’ non comprendano ..”
La predicazione di Gesu’non e’quella di un Maestro di sapienza umana, di un Socrate o di un Platone ,che vuole istruire i discepoli, ma piuttosto paragonabile al Gran Sacerdote che introduce nel mistero spirituale della divinita’.
Se la predicazione di Gesu’fosse razionale e priva di enigmaticita’ , non avrebbe quella profondita’,quella stratificazioni di significati che invece ha.
Giustamente Ratzinger lo collega agli antichi profeti, Isaia, Ezechiele, che parlavano per visioni, enigmi, similitudini
Ogni parola della Sacra Scrittura,insegnano i rabbini, puo’e deve essere letta a quattro livelli : letterale , esegetico, simbolico, mistico .
Nessuno vuol negare che Gesu’sia venuto per la salvezza di tutti gli uomini , ma questo non significa che nella sua vita terrena, prima della Resurrezione,la predicazione di Gesu’ non sia stata enigmatica,profetica , mistica come dice Ratzinger “le parabole come inviti nascosti e multiformi a credere in Lui come al «regno di Dio in persona”.
Sempre nel Vangelo di Marco poco piu’avanti ,al versetto 34 leggiamo:
“E non parlava loro se non in parabole; ma ai discepoli poi, in privato, spiegava ogni cosa.”
in “privato” : cor ad cor loquitur era il motto cardinalizio di Henry Newman preso da San Francesco di Sales. Il cuore parla al cuore. In “privato” Gesu ‘ spiegava ai discepoli ogni cosa. L’apprendimento delle verita’ spirituali non puo’che avvenire nell’intimo del cuore umano , toccato dalla grazia. Tutti gli altri ascoltano ma non comprendono .
La interpretazione che mi è stata data e che mi è parsa ragionevole è questa: la parabola svela il fondo del cuore. Se non si è interessati si lascia cadere, se si è intellettualmente curiosi si interroga se’ stessi ma non si riesce ad uscire dalla contraddizione, se si è vitalmente interessati si interroga ( si cerca la relazione ) con colui che ha pronunciato la Parabola. Voi che ascoltate il Rabbi Gesù, perché lo fate?
Mistero ed enigma sono due cose diverse nella teologia. Le parabole raccontano il mistero del Regno, ma il Regno non è un enigma da conoscere attraverso modalità esoteriche.
don Marco Statzu