Un giorno Paola ha scoperto il computer e non si è più fermata: da quella scoperta è nato questo libro. L’abbiamo scritto insieme scambiando per tre anni laboriose e-mail.
Ma conviene dire subito chi sia Paola Olzer, che appena nata [a Pergine Valsugana, nel 1949] pesa meno di un chilo e dopo la nascita la sua fragilità sembra accentuarsi invece di ridursi e infine si scopre che è la tetraparesi spastica ad averla afferrata e a tenerla stretta fin da quando vide la luce. La costringerà a quattordici operazioni e all’uso della carrozzina.
La prima mossa per questo libretto fu sua: “Luigi, grazie di essere nella mia vita. Mi devi aiutare a fare un libro mettendo insieme alcune pagine dei miei quaderni”. Mi ha mandato i quaderni, che erano diari. Li ho letti e le ho proposto di sviluppare le pagine in cui raccontava un pellegrinaggio in Terra Santa che aveva fatto nel 2011 e quelle di una Via Crucis legata a quel pellegrinaggio. Lei ha accettato.
A questi due capitoli di partenza si sono poi aggiunti i testi di un terzo capitolo di suo ricordo e dialogo con una decina di amici, e un quarto composto da una vivissima memoria di “mamma Gemma”, la mamma di Paola, che narra le vicende della famiglia, dove Paola ha portato lo scompiglio e i doni che la caratterizzano. A premessa di ogni capitolo dirò come sono state pensate e come sono cresciute quelle pagine. Qui dico come è nato il tutto.
Il computer innanzitutto. Io sono un raccoglitore di storie di vita e tra i miei personaggi ve ne sono un buon numero che hanno vinto in parte la loro disabilità con l’aiuto di uno strumento digitale: per parlare, per scrivere, per leggere (ovvero: per ascoltare la lettura di testi che non possono leggere con gli occhi), per camminare e per tante altre imprese, ma prima di tutto per comunicare. Ne parlai a Paola che subito disse: “Non riuscirò mai a usare un computer, le mie mani non ne sono capaci”.
Paola è testarda, ma anch’io lo sono. L’informai che avevo visto usare il computer a persone molto più deboli di lei nell’uso delle mani. Lei scriveva con la penna e dunque le sarebbe stato molto più facile – le dicevo – scrivere con il computer. Infine mi ha ascoltato e ora ne è felice.
Da tempo – mi ha confidato – si veniva accorgendo di una certa rigidità alle mani che le provocava una difficoltà crescente nella scrittura. Sapeva che la sua malattia l’avrebbe condotta a questo punto ma non voleva perdere i contatti epistolari con gli amici lontani: ed è questa intenzione che l’ha indotta a prendere sul serio il mio suggerimento del computer.
“Non sapevo come muovermi”, mi ha raccontato Paola: “Una possibile soluzione pratica mi è stata segnalata da padre Mario Borghi e da due amici bresciani, Nicoletta e Gianfranco. Mi hanno informato che a Brescia opera la cooperativa onlus Nikolajewka che accoglie e assiste persone con disabilità motorie, e che ha ideato un laboratorio di informatica facilitante. Non ho esitato un attimo. Si trattava di trascorrere alcune settimane presso la struttura di Brescia, lontana dalla famiglia e dal mio ambiente abituale ma ne valeva la pena! Ho affrontato l’impegno determinata e ostinata, perché la posta in gioco era troppo importante”.
Nei primi mesi del 2013 Paola parte per Brescia. Riprende contatto con alcuni amici del passato, in particolare “un gruppo di persone conosciute ai Pavoniani in tempi giovanili”. Saranno loro che si alterneranno a tenerle compagnia e a darle qualche aiuto nei momenti liberi dallo studio dell’informatica. “In realtà – mi dice – i momenti liberi sono stati pochi perché mi sono esercitata, ho sbagliato, corretto e ripassato, riprovato, corretto e riscritto, si può dire, per tutto il tempo”.
“I risultati di tante ore di applicazione – conclude Paola – si sono visti: nell’arco di due anni sono riuscita a raggiungere tutti gli obiettivi e ora utilizzo molte funzioni del computer. Posso comunicare tramite mail o skipe con i miei amici lontani e mi diverto a inviare e ricevere foto e brani musicali. L’insegnante, Paola Bertelli, mi dedicava un’ora al mattino a giorni alterni, io ho sempre utilizzato il mio pc portatile, un ‘Asus con windows 8’ munito di alcuni programmi facilitatori della scrittura”.
Ho riferito in dettaglio la vicenda di Paola con il computer perché sono convinto che quella tra la disabilità e il digitale sia una frontiera straordinaria, decisiva per le possibilità dell’umano nella nostra epoca. Noi oggi stiamo infatti vivendo un ampliamento delle risorse dell’uomo proprio attraverso l’accoglienza e l’inclusione dei disabili, anche con l’aiuto del digitale, nelle ordinarie attività sociali.
Non avveniva in altre epoche. E forse è questa la ragione più forte per amare la nostra epoca. Il fatto che mai, in nessun tempo, il disabile sia stato accolto e aiutato come nel nostro, lo vedo come un dono dello Spirito, che provo a segnalare con alcune parole evangeliche che si addicono a Paola, lettrice dei Vangeli. Gesù per indicare il carattere messianico della sua predicazione dice: “I ciechi ricuperano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati e i sordi odono”. Ebbene, intorno a noi, oggi avviene qualcosa di messianico: ci sono storpi che camminano grazie alla tecnologia, lebbrosi mondati grazie alla medicina, muti che parlano grazie ai sintetizzatori vocali, o che comunicano grazie ai computer, sordi che odono. Domani avremo la possibilità di dare per via digitale la vista ai ciechi: ci sono esprimenti promettenti in quella direzione.
Tra le persone disabili con cui sono in corrispondenza c’è una coppia di ciechi totali dalla nascita, sposati tra loro, i quali usano normalmente il computer e corrispondono con me e rispondono alle interviste. Sono in corrispondenza con una persona completamente paralizzata tranne i piedi, la quale mi scrive con i piedi, cioè scrive al computer con i pollici dei due piedi e io giocando con i visitatori del mio blog, dove racconto queste storie, mi sono trovato a dire: ecco una persona che scrive benissimo con i piedi, mentre tanti “scrivono con i piedi” pur avendo le mani che si muovono.
Si può comunicare attraverso il computer con il battito delle ciglia: ci sono persone che oggi – pur essendo del tutto bloccate tranne gli occhi – riescono a scrivere in questo modo davvero miracoloso. Questo non poteva avvenire fino a quindici anni fa, e avviene nel nostro oggi.
Paola sa bene queste cose ed è grata – ne parla nel libretto – a ogni invenzione e a ogni persona che vada incontro alla sua e all’altrui disabilità. Nel racconto del pellegrinaggio torna a ogni pagina la segnalazione del ruolo che hanno avuto in esso la particolare carrozzina che le permetteva di accedere ai luoghi scomodi, nonché l’aiuto che le veniva dalle tre persone che in quei giorni si curavano di lei.
La gratitudine per ogni aiuto caratterizza anche gli altri capitoli del libretto, ma è nella Via Crucis che ci sono le parole più vive di Paola sulla disabilità. Una che è nel commento alla terza stazione, quella della condanna di Gesù pronunciata dal Sinedrio, è consegnata a queste parole generose: “Tante volte la disabilità è vissuta come una condanna che non si comprende, perché non riusciamo a farla entrare nella nostra piccola testa”.
Un’altra parola di Paola sulla disabilità, ancora più generosa, è nella preghiera finale della Via Crucis, che chiude il commento alla quattordicesima stazione: “Per me ti chiedo un aiuto speciale: a intendere, con il cuore, qualcosa che con la testa so da tanto tempo, e cioè che la disabilità non è la fine del mondo, poiché quaggiù nel mondo un poco disabili lo siamo tutti, come tutti siamo peccatori, solo che neppure a noi stessi lo vogliamo confessare. Nella nostra piccolezza di creature per superbia o per viltà non arriviamo quasi mai ad ammettere, come tu ci hai insegnato, che siamo servi inutili”.
Quella pagina è stata forse la più impegnativa per noi due, cioè per Paola e me: per capire l’uno quello che diceva l’altra, cioè per comprenderci tra noi e per capire insieme qualcosa della disabilità che è argomento per il quale non basta una vita.
“Guarda che il libro è tuo”, le dicevo io reagendo a una sua prima affermazione troppo breve per poter essere compresa dal lettore non motivato, o non preparato: “Devi decidere tu se vuoi dire davvero che siamo tutti un po’ disabili e se lo dici lo devi spiegare, o devi aiutarmi a spiegarlo”.
Lei di rimando: “Luigi come non ti è chiaro che siamo tutti disabili, ma non vogliamo ammetterlo per superbia? Cioè per lo stesso motivo di tutti i peccati?”.
Insistevo che non era affatto chiaro, ma che mi pareva importante dirlo e dirlo bene. “Riscrivilo tu, mi fido di te” ha detto più d’una volta, in reazione alle bozze che le mandavo. E io a chiedere: “Vuoi dire che tutti abbiamo bisogno degli altri ma non vogliamo dipendere da nessuno?”
“Voglio dire anche questo ma non solo. C’è in più quel fatto del peccato di superbia che ti dicevo. Spiega anche quello”.
“No, Paola. Non posso spiegare io, il libro è tuo. Devi aiutarmi a capire se vuoi parlare della disabilità tua e di tanti, o se stai ragionando del limite che caratterizza l’umano”.
“Voglio dire tutt’e due le cose, che non vogliamo ammettere che siamo servi inutili e peccatori”, ha detto infine, sempre per posta elettronica. E così io ho realizzato la formulazione che ho riportato sopra e lei ha concluso: “Va bene quello che hai scritto, mettilo in quel modo. Il libro è di tutti e due”.
Ed è così che Paola c’è in ogni pagina e quasi in ogni pagina ci sono anch’io. A spiegazione di molti passaggi si potrebbero mettere in nota le e-mail che ci siamo scambiati, ma sarebbe una noia. Basti questo racconto su come abbiamo lavorato e buona lettura, nostro caro lettore, chiunque tu sia.
Qui scopri la fatica di una persona che si è trovata a vivere nella lotta ogni giorno dei suoi anni e ogni ora dei suoi giorni e scopri la rara gioia e la molta preghiera che accompagna quella lotta. Trovi anche qualche mia parola che aiuta il racconto di quella fatica e lotta e preghiera.
Forse puoi unirti per qualche tratto a noi. Lo schema aperto del libretto può suggerire a chi legge un analogo accompagnamento di altre fatiche e gioie. Perché, come si diceva e si dirà – forse meglio – più avanti, tutti siamo in qualche modo dei disabili e l’incontro con un disabile narrante può aiutarci a capirlo. Può aiutare ognuno a capire se stesso.
Luigi Accattoli