Parabole di Papa Bergoglio 2. “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”: così aveva parlato Francesco nell’intervista alle riviste dei Gesuiti (19 settembre 2013). Pongo questo “caso” come secondo tra le parabole bergogliane che vado raccogliendo: vedi il post di ieri. Nei commenti altri miei ragguagli.
Penso a una donna che ha abortito e si è risposata
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Come la pecora nel fosso. Qui Francesco non narra un fatto ma evoca una situazione e pone una domanda. Un po’ come il Gesù di Matteo 12 con il caso della pecora caduta nel fosso: Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga; 10ed ecco un uomo che aveva una mano paralizzata. Per accusarlo, domandarono a Gesù: “È lecito guarire in giorno di sabato?”. 11Ed egli rispose loro: “Chi di voi, se possiede una pecora e questa, in giorno di sabato, cade in un fosso, non l’afferra e la tira fuori? 12Ora, un uomo vale ben più di una pecora! Perciò è lecito in giorno di sabato fare del bene”. 13E disse all’uomo: “Tendi la tua mano”. Egli la tese e quella ritornò sana come l’altra.
Due parabole in una. Con la guarigione della mano paralizzata Gesù non narra una storia fittizia – come nel caso delle parabole classiche – ma pone un’azione con intento di parabola [lo fa spesso: il contatto con gli impuri, la comunione di mensa con i disprezzati…] e, al suo interno, formula una parabola implicita con il “caso” della pecora nel fosso. Pone dunque due parabole in una. Il mondo delle parabole è vasto quasi quanto quello reale e vedremo che ve ne sono di varie specie anche in Bergoglio. Anch’egli pone azioni con intento di parabola.
Dalla parabola all’Amoris laetitia. Tornando alla storia della donna risposata non credo che con essa Francesco voglia dire soltanto che i confessori dovranno cercare di guidare quella donna sui sentieri della misericordia. Dice di più: che in mezzo a simili situazioni di peccato e di grazia si possano rintracciare elementi di esemplarità evangelica, vie e segni di santità. La questione torna nell’Amoris laetitia, ai paragrafi caldi sulla grazia in situazione di peccato. Ne riporto qualche passaggio al commento seguente.
Del peccato e della grazia nell’esortazione “Amoris laetitia”. Illuminata dallo sguardo di Cristo, la Chiesa si volge con amore a coloro che partecipano alla sua vita in modo incompiuto, riconoscendo che la grazia di Dio opera anche nelle loro vite (291). Non è più possibile dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta “irregolare” vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante (301). A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa (305).
Virtù delle parabole. Interessante, vero? Quanto si può dire con una mezza parabola di quattro righe.
Si puo’ dire moltissimo, in effetti.
A partire dal fatto che proprio di parabole, mezze o intere o due in una, si tratta. Proseguendo con la considerazione che il parlare in parabole , come già con Gesù, è una precisa e voluta scelta per dire e non dire, insomma per provocare l’uditore a interrogarsi sul significato, sulla complessità delle risposte possibili, sugli aspetti molteplici della realtà delle cose, stanandolo da quel castello di carte speso posticcio- ma spacciato per bunker inattaccabile- che l’uditore stesso ( noi tutti) si è costruito con le sue mani in materia di fede. Terminando con la evidenza che il pubblico dei fedeli, oggi e sempre, non credo si tormenti sull’ eventuale etichetta da dare alle parabole bergogliane in rapporto a quelle del Vangelo, ma abbia bisogno del loro linguaggio concreto e pieno di richiami alla “banalità” quotidiana non solo per porsi in ascolto, ma anche per scacciare la tentazione di darsela a gambe per le scorciatoie verso questioni assortite campate per aria, da addetti ai lavori, di teoria pura. Per fare un esempio terra terra , visto che, come qui è stato ricordato ieri, tutti conosciamo la durezza della vita, la sua enorme sofferenza, e tutti , chi più chi meno, viviamo con bambini, papà e mamme che piangono, mi domando come sia possibile passare una fetta quotidiana della giornata a sminuzzare il picciolo della ciliegia sul nostro disaccordo con la virgola, punto e virgola e due punti di quello che ha detto/ fatto, non detto e non fatto il papa, e di quello che hanno detto gli Assolutamente Ininfluenti Tizio, Caio e Sempronio sulle stesse virgole, punto e virgole e due punti,,,,
🙂
Dalla paura del giudizio alla gioia dell’incontro.
P.S. Per quello che mi riguarda, nessuno è assolutamente ininfluente. E la mancanza d’influenza, vera o presunta, non è comunque un argomento.
Forse non mi sono spiegato bene , Leopoldo.
Nessuno è assolutamente ininfluente, ok.
Ma, se cattolici, tutti lo siamo, singolarmente presi, in materia di quello che pensiamo su Cristo, Chiesa e Fede.
Il che non significa non pensare, valutare e pure esternare. Nemmeno non giudicare.
Solo essere consapevoli che tutto questo non sposta un ette di quello di cui sopra.
( e questo, mi consentirai, è in argomento eccome).
Fermo restando che prima o poi tornerà un Pio XIII che rimettà la briscola a bastoni. Io mi domando seriamente in che misura può reggere il nesso analogico tra gli esempi “parabolici” di Bergoglio e le parabole del Vangelo che, a mio sommesso avviso, presantano un pensiero narrativo del tutto scevro da qualunque intenzione di voler giustificare il “peccato”, come invece sembra voler fare il Papa forzando, talvolta, l’acceleratore; perché alla fine la vita spirituale non si può vivere come una relazione di contropartita, dove si aspetta da Dio la salvezza come un diritto.
Il pensiero mio, forse troppo dogmatico non dico di no, mi fa dire che nessun peccato ( e tutti siamo peccatori) può essere confessato (neppure a sé stessi) senza “conversione”, e la conversione non esisterebbe senza la Grazia che la precede. Sarà pure un dono gratutito, la Grazia,ma è Dio il padrone, non noi, che neppure la meritiamo. Noi tutti viviamo nel mondo, tutti mancanti . Allora, sia che si percorra la via dell’anarchia, sia nell’osservanza rispetto alla legge -che pure ha la sua finalità positiva essendo stata “il nostro pedagogo” per condurci a Cristo (Gal.3,24)- non c’è via di scampo. Ciò che fa la differenza è la forza della fede e vivere “in” forza della fede, attestazione dietro la quale non stanno “solo parole” ma una vita, in cui, purtroppo, quella libertà promessa si scontra con i patimenti, le tribolazioni, le rinunce. Una libertà, all’apparenza, utopica.Si obietterà che La Chiesa, il papa, può per autorità perdonare anche l’abominio. Ma quando si baipassano le esigenze morali, quale sarà il criterio per “discernere qual’è la Volontà di Dio: quello che è buono, che piace a Lui ed è perfetto” (Rom.12,3)? Qui la questione è seria e di sostanza, non di virgola e punto…
Diciamola tutta, anche ai tempi di San Paolo la libertà, nella Chiesa, era minacciata, non dall’esterno, ma dall’interno, e credo sia ancora minacciata, nel suo interno, nel cuore stesso, tra le sue membra viventi. Purtroppo la “libertà” la si è sempre cercata al di fuori (sia ne La Chiesa che negli individui) come se l’essere liberi (abortire, divorziare, fare all’amore, riprendere marito, riprendere moglie) dipendesse dal proprio vissuto, daun “principio” secondo il quale la libertà è un nostro “potere” d’acquisto.
In realtà, la storia di ciascuno insegna che la libertà non può erompe dall’esistenza, sgangherata il più delle volte, ma deve essere per forza un dono che irrompe dall’esterno, da Dio, da Cristo, che per la “libertà ci ha liberati” a) per essere vissuto nell’obbedienza, b) per aver speso la vita, fino alla morte. Questa è la libertà che ci riserva Nostro Signore, una libertà “spirituale”, non carnale…
Condivido le riflessioni di Clodine, compresa la speranza che il prossimo pontificato possa essere profondamente diverso da quello di papa Francesco, un pontificato che voglia a recuperare questioni fondamentali che adesso sembrano essere diventate secondarie. Papa Francesco ha grandi meriti, e principalmente quello di essere riuscito a mostrare la misericordia di Dio a tutti gli uomini, ma temo che stia sottovalutando alcune terribili tentazioni con le quali il maligno sta seducendo il mondo (e i cattolici).
Vorrebbe elencare dettagliatamente Floris i punti in cui Bergoglio manifesta l’intenzione di vole giustificare il peccato? Grazie.
Già che c’è , vorrebbe anche indicare dettagliatamente i punti in cui Bergoglio “baipassa le esigenze morali” ? Grazie.
Quanto al papa presente e ai papi futuri, direi di non sprecare preghiere – pelose come la panza di uno scimpanzè, peraltro – volte a “orientare” (chessò, prenotandola?) una successione che si auspica -tra le righe, ma nemmeno tanto,- la piu’ rapida possibile.
Cose da non credere, fiorite sulle labbra di fior di cattoliconi/e, per giunta.
🙂
Le cose sono messe in modo tale che morto ( ma “grazie” a Benedetto anche dimesso) un papa, se ne farà un altro. E poichè,toh guarda, un papa non è messo lì per vellicare i calli di Clodine o di Federico o di Luigi o di Lorenzo, sarà – letteralmente- quello che Dio vorrà.
Il giochino di dire ” sto papa un me pjace, QUINDI sbajia ” lo sgama anche un pupo di tre anni.
Si dica quello che si pensa e non si osa dire: sto papa non lo reggo, spero che ne venga uno che la pensi COME ME. Cosa ridicola oltremisura, ma il senso del ridicolo si è perso completamente, altroché quello del peccato….
Poi, scusate, io non faccio testo data una capacità di comprendonio evidentemente limitata. Ma io leggo la parabola di quattro righe riportata da Luigi e il brano dell’Amoris Laetizia cui la correla e capisco con chiarezza dove si va a parare. Leggo i commento 13.11 13.13 13.44 e , a parte una insofferenza palpabile, non capisco una emerita acca.
Com’è stu fatto?
🙂
Ma Lorenzo, per carità!
non mettermi in bocca parole che non ho detto e non penso.
Lunga vita al Papa.
Bravo Fede!!!
🙂 🙂 🙂
Ma davvero il sacerdote capisce se la donna è sinceramente pentita?
Ma che bravo, che capacità di introspezione e discernimento.
E quanto pentito deve essere un uomo per essere “abbastanza” pentito?
Esiste forse un’unità di misura del pentimento, tipo da 1 a 10?
E non sarà che per don Tizio la donna sia molto pentita e quindi viene perdonata, mentre per don Caio non lo è e gli nega l’assoluzione?
Continuo a pensare a …. i miei pensieri non sono i vostri pensieri…
Luigi mio omonimo, tu sei dunque contrario al sacramento della confessione?
No, Luigi mio omonimo. La confessione per me resta un segno della misericordia di Dio, anche se a mio modo di vedere andrebbe profondamente riformata.
Invece:
– credo che il Padre Celeste abbia anche altri mezzi per perdonare.
– non credo che il primo prete da cui ti rechi abbia il potere di leggere e comprendere la sincerità del pentimento.
– per cui credo che ci possa essere il perdono anche aldilà di un’assoluzione non data; e che non ci possa essere anche a fronte di un’assoluzione in confessione.
Concordo in tutto. Ma perdona: tu a quale affermazione di altri visitatori reagivi? La mia prima domanda nasceva dal fatto che non intendevo – ci ho pensato nella notte – il senso di parole che pur intuivo sensate…
La Chiesa, fin dai primi secoli, ha parlato chiaramente (il delitto contro la vita umana è tale che La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia) sottolinando che la “scomunica” , ritienendo questo delitto come uno dei più gravi, commutando la pena della scomunica solo in caso di ignoranza o inconsapevolezza del reato loro ascritto.
Con gli anni il codice relativo ulteriori modifiche normando, e qui s’incardina l’articolo promulgato il 21 maggio 2001, l’assoluzione da parte del Vescovo o canonico penitenziare a chi provoca l’aborto e a chi “subisce”. Facoltà concessa, per volere del Vescovo e della Chiesa, ad altri presbiteri per un certo periodo di tempo o anche a tempo indeterminato .
Dunque, se le procedure di Diritto Canonico stabiliscono inequivocabilmente i termini per la riamissione nella Chiesa qualcuno mi aiuti a capire il motivo della parabola e della donna la quale, se veramente pentita come dice di essere, dovrebbe come minimo aver contattato un sacerdote, avviata la procedura di riammissione …
@ corrige: sottolinando che la “scomunica” , ritienendo questo delitto come uno dei più gravi, può essere commutata (perdonata) solo in caso di ignoranza o inconsapevolezza del reato ascritto.
Luigi, il mio post non è nato da nessuna reazione a un commento.
Semplicemente, ho riportato un’interrogazione rivolta alla mia coscienza riguardo alla domanda di Francesco “Che cosa fa il confessore?”.
E la mia coscienza mi ha risposto che qualunque cosa faccia il confessore l’unica cosa importante è cosa fa Dio.
Credo che quel Dio che perdonò l’adulterio e l’omicidio di Davide non rifiuterebbe il perdono a nessun altro uomo sinceramente pentito.
Luigi 1 e Luigi 2,
prima di “relativizzare” il sacramento della Confessione (“credo che ci possa essere il perdono anche aldilà di un’assoluzione non data; e che non ci possa essere anche a fronte di un’assoluzione in confessione”. “Concordo su tutto”), cerchiamo di non perdere di vista le parole stesse di Gesù:
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»
Mt 16, 17-19
Non dimentichiamo mai che, per esplicita volontà del Signore, è la Chiesa che lega e scioglie. Esistono condizioni (ad esempio il pentimento sincero) che devono essere rispettate, altrimenti la confessione non è valida e naturalemente esiste il mistero della misericordia infinita del nostro Creatore, ma per quanto sta a noi di comprendere le parole di Gesù a Pietro sono chiarissime.
Chi valuta, Federico, il “pentimento sincero”?
Dio o il confessore?
Chi può entrare nelle coscienze e scutarne le profondità. Forse che l’essere umano ha cura della propria coscienza morale, avverte come un “imperativo” il significato trascendente della coscienza scolpita come la Legge dal Creatore nella creatura ragionevole, nel suo cuore di carne. O non è sempre baipassata, intaccata al punto da perdere il suo carattere di legge divina?
Se la coscienza fosse sempre percepita come l’eco della voce di Dio , l’umanità non avrebbe conosciuto i totalitarismi , lo stalinismo, le camere a gas, i gulag, ne gli odierni campi profughi, il genocidio dei cristiani. I Cattolici, darebbe ascolto a ciò che insegna la sana dottrina della Chiesa.
Chi segue fedelmente la voce della propria coscienza, non si lascia abusare per scopi estranei alle proprie convinzioni interiori….”coscienza e verità si appartengono” ,diceva il Beato Newman ,” si sostengono e si illuminano a vicenda, l’obbedienza alla coscienza conduce all’obbedienza e alla verità”.
Luigi,
che discorsi fai?
Se uno mente al confessore, allora tanto vale che non si confessi.
Ma se una persona ha bisogno di un accompagnamento spirituale che la aiuti ad arrivare pian piano al pentimento, allora la confessione può comunque rappresentare il primo passo.
Temo chi spacca il capello in quattro su questi aspetti, perchè se si relativizza anche il sacramento della confessione, allora mettiamo in discussione tutto e sarà la fine.
Dio non è raggiungibile se non attraverso Cristo, che è il grande ponte tra gli uomini e Dio, l’unico mediatore. Ma anche Cristo, a sua volta, ha bisogno di tanti piccoli ponti che lo collegano tutte le giunture del Corpo, e sono i sacerdoti, i consacrati, per quanto il Popolo di Dio, attraverso la fede in Lui partecipa del sacerdozio regale, universale.
Già presso Origene prima, Gerolamo poi, è evidente la distinzione tra i ministri del culto, nella misura in cui sono proprietà, porzione del Signore, rispetto ai laici.
in Rom. 15,16 Paolo designa se stesso come “ministro del Cristo Gesù per i pagani”, E ancora in Atti 26;17-18 ” …io t’invio ad aprire gli occhi, affinché passino dalle tenebre alla luce e dal potere di Satana a Dio, e ricevano, per mezzo della fede in me, il perdono dei peccati e l’eredità con i santificati”.
condivido riflessioni e perplessità di Luigi e Luigi. In particolare trovo molto giusto quello che dice Luigi M. su un prete che non conosci bene. Aggiungerei anche di non chiedere consigli a sacerdoti che non si conoscono e che quindi non conoscono bene la situazione . Ci vuole prudenza, già Santa Teresa diceva che trovare un confessore è facile, ma trovarne uno bravo è difficile.
Cristina Vicquery
Persisto a dire che chiamare “parabole”i raccontini ,gli esempi,i fatti riferiti da papa Francesco e’del tutto erroneo. Chiamateli come volete ma non parabole. Gesu’paralava per parabole,alcuni testi di mistici ,dei Padri del Deserto,i monaci ZENparalano per parabole. Bergoglio riferisce dei fatti:il racconto ei un fatto non fa una parabola. Se no qualsiasi cronista che racconta un fatto parlerebbe per parabole. Perche’vi sia una parabola ci deve essere una similitudine tra un fatto ,un racconto,ed una realta’spirituale o morale. Quale sarebbe la similitudine spirituale della cosidetta “parabola”della donna che ha abortito e poi si e’pentita? Di racconti cosi’se ne possono fare a bizzeffe. Ma cosa significano? Io chiamerei piu’precisamente”esempi concreti”questi fatti da Bergoglio. Non sono parabole e non hanno l ne la profondita’spirituale delle parabole evangeliche ne’l’arguzia dei Koan dei monaci zen
Bisogna poi considerare loscopo per cui Gesu’parlava in parabole: basta leggere il Vangelo di Marco cap.13 che inizia cosi’ Egli parlo’loro di molte cose in parabole.Al versetto 9 Gesu’conclude la parabola del Seminatore con la formula Chi ha orecchi per intendere intenda.Gli avvicinarono allora i discepoli (dice Marco 13,10) e gli dissero Perche’parli loro in parabole? Egli rispose Perche’a voi e’dato di conoscere i misteri del regno dei cieli,ma a loro non e’dato. Cosi’ a chi ha sara’ dato e sara’nell’abbondanza a chi npn ha sara’tolto anche quello che ha. Per questo parlo loro in parabole perche’ pur vedendo non vedono e pur udendo non odano e non comprendono.Ecosi’ si adempie per loro la profezia di Isaia che dice Voi udrete ma jon comprenderete guarderete ma npn vedrete ” Marco 13,14.
Da queste enigmatiche parole di Gesu’ si capisce che Egli parlava in parabole NON per essere piu’chiaro,per farsi capire meglio,per dare degli esempi,ma quasi come per mettere alla prova “spirituale”chi aveva orecchie (spirituali) 0per udire e comprendere e chi no. Il contrariofa papa Francesco coi suoi racconti esemplificativi che voi chiamate erroneamente parabole:Francesco narra questi esempi per essere piu’chiaro piu’concreto piu’terra terra. Lungi da voler essere dei racconti spirituali il cui senso enigmatico a volte neppure gli apostoli comprendevano fome per le parabole do Gesu’ i racconti di Bergoglio non hanno nulla di soprannaturale,nulla di simbolico. Sono racconti di fatti. Non parabole.
Non abbiamo che il visibile per conoscere l’invisibile. E’ la vita una parabola, a saperla guardare.
Scusare il Vangelo citato e’Matteo non Marco.
Certo che la vita puo’ essere una parabola Leopoldo ma se leggi il Vangelo Gesu’parla dei fatti materiali della vita come simboli di una realta’spirituale: in Matteo 13 Gesu’ dice varie parabole: quella del Seminatore, quella del buon grano e la zizzania, quella del granello di senape. Alla fine di tutto questo discorso Matteo dice:tutte queste cose Gesu’ disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole perche’si adempisse cio’che era stato detto dal profeta”Apriro’ la mia bocca in parabole proclamero’cose nascoste fin dalla. fondazione del mondo”Matteo 13,34.
Le parabole di Gesu’proclamano veramente i grandi misteri nascosti fin dalla fondazione del mondo. Nella parabola del buon grano e della zizzania,che poi spiega in separata sede ai discepoli che non l’hanno capita,Gesu’parla addirittura del grande mistero escatologico : “il seme buono sono i fogli del Regno la zizzania sono i figli del maligno”
MA gli esempi ,le storie che racconta Bergoglio”Ho conosciuto una brava donna che.. ha fatto questo…ha detto questo..” non hanno nulla della parabola;sono solo esempi di esperienze di vita. Allora se iovi racconto che ho conosciuto una donna che ha fatto questo.. che ha detto questo.. mi esprimerei in parabole? Allora qualunque cronista che parla di storie vissute di esperienze di vita si esprimerebbe. in parabole? No per avere una parabola ci vuole la dimensione spirituale a cui quella materiale somiglia. Il Regno dei cieli e’simile a un tesoro nascosto in un campo,un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo poi va pieno di gioia vende tutti i suoi averi e compra quel campo” Matteo 13,44 . Questa e’una parabola anche se corta.
Se racconto che conoscevo un tale che che compro’um campo non e’una parabola.
Le parabole di Gesu‘iniziano tutte con una SIMILITUDINE:il Regno dei Cieli e‘simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi.. (Matteo 18,23)… Il Regno dei Cieli e‘simile ad un padrone di casa che usci‘all’ alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna (Matteo, 20,1) Il Regno dei Cieli e‘simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio (Matteo 22,1)
In tutte le sue parabole Gesu‘fa una similitudine fra una realta‘di ordine soprannaturale (Il Regno dei Cieli) e realta‘della vita naturale e materiale. E‘questo nesso,questo legame misterioso che rende veramente le parabole cio‘che sono: il rivelare “cose nascoste fin dalla creazione del mondo“
Fortunati gli angeli del Paradiso quando udiranno la chitarra del “Principe” arpeggiare le prime note di questo capolavoro.
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=0ahUKEwim_5b11qLMAhUsL8AKHaPUBbsQyCkIHzAA&url=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DF8BMm6Jn6oU&usg=AFQjCNFsAphYDX6BcfGMFhU1Ttyo3UJ_TQ&bvm=bv.119745492,d.bGg
Buon fine – settimana !
Roberto Caligaris
tutte Maria Cristina? la parabola del fico in luca 13,1-9, no per dirne una.
cristina vicquery
Ringrazio tutti per la disputa sulle parabole, assai feconda per me che ho in programma di produrne qua un’ottantina con il titolo in sequenza “Parabole di Papa Bergoglio”. Io uso il termine “parabola” in senso largo come sa chi segue il blog da qualche anno. E’ in quel senso che l’applico ai racconti di Francesco.
Esempi del mio uso scorrettissimo del termine “parabola” nei titoli dei post:
Parabola della mantide e della sedia – 30 luglio 2014
Parabola di Babbo Natale che si riposa in cella – 11 ottobre 2013
Parabola di Arturo e del cammello – 30 novembre 2012
Parabola della gabbiana e della gabbianella – 1° luglio 2011
Parabola degli sposi che partono insieme – 27 luglio 2010
Parabola del barbone che si crede Dio – 27 dicembre 2009
Parabola della donna che ride – 13 maggio 2008
Parabola del bimbo cieco e della testa scolpita – 31 ottobre 2007
Mi piacciono le parabole. Le vedo dappertutto e le invento.
Nella lettura dei Vangeli mi appassionano le parabole ma anche – e più – le “azioni con intento di parabola” ch’egli compie, come le qualifica Joachim Jeremias nel volume “Le parabole di Gesù”, Paideia 1973, che lessi l’anno stesso della sua traduzione in italiano (l’originale tedesco è del 1965). Perchè il punto è questo: Gesù non soltanto ha parlato ma ha anche agito in parabole. E altrettanto sta facendo Francesco.
Domani metterò un’altra parabola bergogliana che forse chiarirà la mia idea. Grazie a tutti.