Di nuovo un Papa nella Sinagoga di Roma: l’evento può essere stato accelerato dalle polemiche dello scorso inverno seguite alle uscite “negazioniste” del vescovo lefebvriano Williamson, o da quelle – di poco precedenti – sulla preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo, ma esso è di prima grandezza e va guardato in sé stesso, prima di raccordarlo a vicende contingenti. La Sinagoga di Roma è la più vicina al Vaticano ed è la sede spirituale della comunità ebraica più antica d’Europa, che custodisce la dolente memoria di persecuzioni secolari da parte del potere temporale dei Papi: sono queste le ragioni che danno spessore a una visita papale, sia pure essa la seconda, a 23 anni dalla prima. – E’ l’attacco del mio articolo sull’annuncio della visita di papa Benedetto alla Sinagoga di Roma, pubblicato oggi da LIBERAL:
Papa Ratzinger torna dai Fratelli maggiori
19 Comments
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Bene, sia riservata ogni cura a questo rapporto di fraternità.
Volevo leggere l’articolo ma, purtroppo, credo che qualcosa impedisca la visione della pagina. Comunque..Io credo che questo secondo incontro a distanza di poco più di un decennio sia opportuno. Come direbbe il Vaticano II “il Cristo, come la Chiesa, in virtù del suo grande amore, si è sottomesso volontariamente alla Sua passione a causa dei peccati di tutti gli uomini (ebrei inclusi), affinché tutti conseguano la salvezza. Il dovere della chiesa, nella sua predicazione, è dunque annunciare la croce di Cristo, come amore universale di Dio e fonte di ogni grazia”(DR4). Dopo le controversie del passato sembra che un nuovo tempo di convivenza tra la chiesa e gli ebrei si sia aperto ( salvo quando si toccano certi nervi scoperti: basti pensare alle recenti malevoli polemiche che ancora trascinano nel fango Pio XII : arbitro silenzioso che soffrendo, si è posto tra loro e i nazifascismio) di fatto, dicevo, come Israele è e resta il testimone del Dio vivente, il Padre di Gesù Cristo e della Chiesa è e resta il Dio di Israele. E’ proprio nel dialogo, lungi da dibattiti sterili o teoretici,che, forse l’antico e il nuovo popolo di Dio riescono a trovare qui punti di contatto: la Chiesa di Cristo scopre il suo “legame” con l’Ebraismo “scrutando il suo proprio mistero” . La religione ebraica non ci è “estrinseca”, ma in un certo qual modo, è “intrinseca” alla nostra religione. Così si legge nella Nostra Aetate. Abbiamo quindi verso di essa dei rapporti che non abbiamo con nessun’altra religione. “Siete i nostri fratelli prediletti e, in un certo modo, si potrebbe dire i nostri fratelli maggiori”…frase che mi lascia un tantino perplessa, e che non condivido del tutto.
Clodine, prova ora – ho rifatto il link all’articolo.
OK Luigi, ora va bene. Grazie!
Colgo l’occasione di questo bel post per augurare un Buon Capodanno (Rosh haShana) a tutti gli ebrei che si affacciano su questo blog!!
Reduce da un pellegrinaggio in Terra del Santo (Gerusalemme) dal 23 al 30 luglio scorso, mi torna alla mente una precisazione della nostra guida, discepolo del p. Rossi De Gasperis; è ambivalente usare, da cristiani, l’immagine di “fratelli maggiori” – senza evidentemente entrar nel merito delle intenzioni – in quanto nel Vangelo i fratelli maggiori, protagonisti di diverse parabole, non fanno precisamente una bella figura… effettivamente…
Shanah Tovah a tutti i fratelli ebrei (maggiori o minori che siano)
L’impressione che si riceve, ad uno sguardo attento -e mi sembra di aver già esposto le mie perplessità al riguardo- sia una sorta di “atteggiamento superbo da parte degli ebrei circa i ripetuti tentativi di dialogo. Di fatto oggi sarebbe auspicabile più un serio incontro che non una fraternità superficiale. Sul fondamento della Bibbia, almeno da questo versante, c’è una scissione totale tra noi e loro nel momento in cui si sfogliano le pagine nel N.T. Per questo motivo il dialogo si dimostra infinitamente più arduo di quello tra cristiani separati che , se non altro, hanno nella Bibbia una base comune. Il conflitto invece, tra cristiani ed Ebrei, passa direttamente all’interno della Bibbia proprio nel cuore della stessa: Gesù di Nazareth, per noi il Messia, per loro un ebreo rigettato, e questo è un ostacolo insormontabile. Un serio incontro, dicevo sarebbe auspicabile, anche per riannodare quei fili che si sono andati sciogliendo dopo l’ultimo conflitto mondiale. Di fatto spunti di riflessione interessanti, anche una certa apertura, seppur timida, si stavano dischiudendo nel rapporto cristiani-ebrei- già prima dei crimini del regime di Hitler. Già allora si tentava di impostare la ricerca teologico cristiana con una certa apertura verso il mondo spirituale ebraico, e viceversa, con sottolineature interessanti che miravano ad una continuità tra l’Antico e il Nuovo Testamento, se non altro dal punto di vista storico. Poi si è registrata una chiusura e solo di recente da parte ebrea la situazione è mutata, sicuramente in virtù della sorprendente ricostruzione dello stato di Israele….
“il dialogo si dimostra più arduo di quello tra cristiani separati”
Beh, non sarà che magari da parte degli ebrei non è facile dimenticare e cancellare millenni di storia in cui sono stati perseguitati dai cristiani?
costretti a battesimi forzati? discriminati? trattati come gli assassini di Cristo?
o abbiamo dimenticato tutta la Storia? E non sto parlando della storia
del secolo scorso, col nazismo, ma di quella precedente.. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare dei “pogrom” che i cristiani organizzavano verso gli ebrei
in Polonia e in Russia?
Ben venga il gesto del Papa, ma non si può pretendere che gli ebrei non provino una certa , come dire, “diffidenza” verso queste manifestazioni d’affetto. nella loro storia hanno imparato a non fidarsi di nessuno…e se noi cristiani siamo cambiati nei loro confronti (ma siamo davvero cambiati?)
è veramente da poco tempo….
A me sembra, comunque, sarà una mia impressione, che siamo noi cristiani che siamo “superbi” nei confronti degli ebrei, siamo noi che ci sentiamo superiori,
siamo noi che li guardiamo dall’alto in basso .. noi siamo i “redenti” , e vorremmo convertirli.. non il contrario ( nessun ebreo ha mai voluto convertire un cristiano)
non mi sembra proprio un atteggiamento “da pari a pari”
Dal racconto “Armistizio” di Bernard Malamud (1940)
” Da ragazzo Morris Lieberman aveva visto un erculeo contadino russo prendere la ruota di un carro appoggiata alla bottega di un fabbro, farla roteare in aria e scagliarla contro un becchino ebreo in fuga. La ruota aveva colpito l’ebreo alla schiena spezzandogli la spina dorsale. Ammutolito e terrorizzato, l’ebreo era rimasto a terra davanti alla sua casa in fiamme in attesa della morte.
Trent’anni dopo, Morris, una vedovo che gestiva una piccola drogheria nel quartiere scandinavo di Brooklyn, ricordava ancora la scena del pogrom con lo stesso terrore viscerale provato a quindici anni. E spesso, da quando i nazisti erano al potere in Germania, provava la stessa paura….
“che sarà di noi?- mormorò a se’ stesso e ripensò ai tempi in cui da ragazzo, studiava la storia degli ebrei. Gli ebrei vivevano un interminabile esodo e camminavano eternamente in lunghe file col fagotto in spalla….”
Se esiste quello che Jung chiama “l’inconscio collettivo” e cioè il sedimentarsi nei secoli di impulsi ,desideri, paure inconsce, ricordi delle esperienze vissute dai nostri antenati, come stupirsi che inconsciamente in ogni cristiano si nasconda un antisemita e in ogni ebreo un perseguitato terrorizzato e diffidente?
non basta un gesto, se pur nobile, non bastano pochi anni di apertura per
cancellare le voci profonde che ci arrivano dall’ “inconscio collettivo”.
Del resto, cosa che a nessuno piace ricordare , il fungo velenoso del nazismo
è nato nel cuore della cristiana Europa…..
Grazie mille davvero, discepolo!! …SPLENDIDO il tuo post delle 9:02!
Soffice e gentile il tuo articolo/pensiero sulla visita e nei confronti degli ebrei.
Tuttavia rimanda ad una lettura di parte della storia millenaria nei rapporti conflittuali tra le due fedi in cui i soccombenti, vessati, schiavizzati e rinchiusi nei ghetti, fino alla caduta del potere temporale, appaiono comunque colpevoli ed emendabili per la morte di Gesù, pur con toni e sfumature sempre più tenui,.
Così si continua a chiamarli “fratelli maggiori” dimenticando che Cristo era un ebreo e la nostra fede è per un ebreo, e noi tutti indistintamente siamo figli dell’unico Dio d’Israele.
Forse che chiameremmo gli ortodossi fratelli minori?
Mi sembrano questioni di lana caprina ma soprattutto di un linguaggio volutamente ambiguo, tipico delle gerarchie e lontano dal comune sentire della gente del terzo millenio.
Così tu stesso dici : C’è poi – ed è il fatto capitale di questa storia – la dichiarazione conciliare «Nostra aetate» (Nel nostro tempo): viene approvata – con 2.221 voti contro 88 – il 28 ottobre 1965. Afferma che «la morte di Cristo non può essere imputata indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei viventi oggi». “
Ma pochi, per lo più gli addetti ai lavori, sanno che il documento originale non prevedeva alcun riferimento all’ebraismo e solo per una casualità di rapporti amichevoli tra l’ex Patriarca di Venezia, poi divenuto Papa e Maria Vingiani (http://www.saenotizie.it/Varie/FotoVingiani.htm ) amica a sua volta di Jules Isaac (http://www.nostreradici.it/Morselli-Aetate.htm) che intermediò l’incontro tra lui e Giovanni XXIII avvenuto il 13 giugno 1960, che il riferimento agli ebrei fu inserito.
Quella che appare numericamente un’approvazione plebiscitaria in realtà fu il risultato di un compromesso durato 5 anni tra la potente lobby curiale che fino all’ultimo momento l’aveva osteggiata, per il riferimento all’ebraismo, per poi ingoiarla solo dopo averne ottenuto un significativo ridimensionamento rispetto al documento originario.
Questa la storia e i fatti che rimangono sullo sfondo di un dialogo mai realmente tra pari, come rileva anche discepolo, gestito da gerarchie più interessate a mantenere lo status quo in un clima, dopo ben 23 anni, tra il sereno e il variabile nella permanente ambiguità di rapporti diplomatici tra stati, il Vaticano e Israele ambedue di origine teocratica e autoreferenziali.
Scusa, Nino, ma Israele NON è uno stato “di origine teocratica”. Israele è uno stato laico dove per colpa del sistema elettorale proporzionale i partiti religiosi riescono a orientare le politiche sia della destra che della sinistra, contro il volere della maggioranza degli israeliani.
Si Marcello, per brevità ho semplificato per non precisare che SCV è uno stato teocratico, mentre Israele è si uno stato laico e repubblicano, tuttavia la componente religiosa trae origini teocratiche ed è essenziale nella vita politica e sociale di quello stato.
Bella notizia: sono davvero contento, e spero che questa visita contribuisca a superare equivoci e malintesi che, nel recentissimo passato, hanno coinvolto, suo malgrado, anche il nostro Pomtefice.
Bell’articolo, Luigi, vorrei anche dire se solo riuscissi a visionarlo, ma evidentemente, soffro degli stessi problemi “informatici” incontrati inizialmente da Clodine: pazienza !
Buon sabato notte a tutto il “pianerottolo” !
Roberto 55
Non sapendo come rimediare al link che non dura, copio qui il mio articolo:
Di nuovo un Papa nella Sinagoga di Roma: l’evento può essere stato accelerato dalle polemiche dello scorso inverno seguite alle uscite “negazioniste” del vescovo lefebvriano Williamson, o da quelle – di poco precedenti – sulla preghiera per gli ebrei nella liturgia del Venerdì Santo, ma esso è di prima grandezza e va guardato in sé stesso, prima di raccordarlo a vicende contingenti.
La Sinagoga di Roma è la più vicina al Vaticano ed è la sede spirituale della comunità ebraica più antica d’Europa, che custodisce la dolente memoria di persecuzioni secolari da parte del potere temporale dei Papi: sono queste le ragioni che danno spessore a una visita papale, sia pure essa la seconda, a 23 anni dalla prima.
Stiamo per assistere dunque a un nuovo gesto carico di significati e di speranze. Guardando in campo lungo all’ultimo mezzo secolo, che ha vissuto un inaspettato e rapidissimo avvicinamento tra cristiani ed ebrei, troviamo una decina di eventi che hanno visto la Chiesa di Roma e l’ebraismo incamminati verso il reciproco incontro.
Per prima viene la correzione della preghiera del Venerdì Santo da parte di Giovanni XXIII nella Pasqua del 1959: partì da lì la strada che il rabbino Elio Toaff all’indomani della visita di Papa Wojtyla alla Sinagoga ricapitolerà in un libro intitolato “Da perfidi giudei a fratelli maggiori” (Mondadori 1987).
C’è poi – ed è il fatto capitale di questa storia – la dichiarazione conciliare “Nostra aetate” (Nel nostro tempo): viene approvata – con 2.221 voti contro 88 – il 28 ottobre 1965. Afferma che “la morte di Cristo non può essere imputata indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi, né agli ebrei viventi oggi”.
Tocca a Giovanni Paolo II compiere quattro gesti creativi che hanno la funzione di recapitare all’interlocutore ebraico il messaggio di fraternità venuto dal Vaticano II: la visita ad Auschwitz nel 1979, con la “sosta” davanti alla lapide “con l’iscrizione in lingua ebraica”; la visita alla Sinagoga di Roma nel 1986, in cui chiama gli ebrei “fratelli maggiori”; la Giornata del perdono del 12 marzo 2000 in cui riconosce le responsabilità storiche dei cristiani nella persecuzione degli ebrei; la visita al Muro del Pianto, a Gerusalemme, il 26 dello stesso mese, quando infila in una fessura di quella muraglia, facendosi ebreo tra gli ebrei, la “richiesta di perdono” pronunciata in San Pietro quindici giorni prima.
Da parte sua Benedetto XVI ha già compiuto almeno due gesti analoghi a quelli del predecessore: ha visitato la Sinagoga di Colonia – quella distrutta dai nazisti nella “notte dei cristalli” del 1938 – nell’agosto del 2005 e ha pregato al Muro del Pianto il 12 maggio di quest’anno.
In preparazione della visita in Terra Santa, il 12 febbraio di quest’anno – parlando ai membri della Conferenza dei presidenti delle maggiori organizzazioni ebraiche americane – Benedetto aveva fatto suo il mea culpa del predecessore in materia di antigiudaismo e aveva così continuato: “L’odio e il disprezzo per uomini, donne e bambini manifestati nella Shoah sono stati un crimine contro Dio e contro l’umanità. È ovvio che qualsiasi negazione o minimizzazione di questo terribile crimine è intollerabile e del tutto inaccettabile”.
Papa Benedetto “tornando” nella Sinagoga compie dunque un atto di grande rilievo, confermativo e rafforzativo di quanto era stato fatto dal predecessore. Che egli abbia voluto una nuova preghiera per la liturgia del Venerdì Santo secondo il vecchio rito, che accenna a un ritrovamento escatologico – cioè oltre la storia – tra cristiani ed ebrei nell’unica Chiesa di Cristo sta a dire la sua preoccupazione di mantenere fede a un’invocazione di matrice biblica, ma non contraddice il proposito conciliare della rinnovata fraternità.
Ne è una riprova l’annuncio della visita alla Sinagoga. Come il predecessore anch’egli lì pregherà con i “fratelli maggiori” e quella preghiera in comune suonerà come un invito all’intera comunione cattolica perché segua l’esempio del vescovo di Roma.
Luigi Accattoli
Grazie, Luigi, e complimenti per l’articolo.
Buona XXV domenica del Tempo Ordinario a tutti !
Roberto 55