“Il nemico di Dio e dell’uomo ha avuto gioco facile nel separarci, perché la direzione che inseguivamo era quella della carne, non quella dello Spirito”: così il Papa stamane a Ginevra durante la “preghiera ecumenica” nella sede del Consiglio ecumenico delle Chiese. Nei commenti alcuni passaggi dei discorsi tenuti da Francesco nei vari appuntamenti della giornata: terza visita di un Papa al Cec, nel 70° della sua fondazione, dopo quelle di Paolo VI (1969) e di Giovanni Paolo II (1982).
Papa al Cec: il nemico ha avuto facile gioco a separarci
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Divisi per mentalità mondana. Preghiera ecumenica 1: Nel corso della storia, le divisioni tra cristiani sono spesso avvenute perché alla radice, nella vita delle comunità, si è infiltrata una mentalità mondana: prima si alimentavano gli interessi propri, poi quelli di Gesù Cristo. In queste situazioni il nemico di Dio e dell’uomo ha avuto gioco facile nel separarci, perché la direzione che inseguivamo era quella della carne, non quella dello Spirito. Persino alcuni tentativi del passato di porre fine a tali divisioni sono miseramente falliti, perché ispirati principalmente a logiche mondane. Ma il movimento ecumenico, al quale il Consiglio Ecumenico delle Chiese ha tanto contribuito, è sorto per grazia dello Spirito Santo (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Unitatis redintegratio, 1). L’ecumenismo ci ha messi in moto secondo la volontà di Gesù e potrà progredire se, camminando sotto la guida dello Spirito, rifiuterà ogni ripiegamento autoreferenziale.
La nostra impresa in perdita. Preghiera ecumenica 2: Ma – si potrebbe obiettare – camminare in questo modo è lavorare in perdita, perché non si tutelano a dovere gli interessi delle proprie comunità, spesso saldamente legati ad appartenenze etniche o a orientamenti consolidati, siano essi maggiormente “conservatori” o “progressisti”. Sì, scegliere di essere di Gesù prima che di Apollo o di Cefa (cfr 1 Cor 1,12), di Cristo prima che “Giudei o Greci” (cfr Gal 3,28), del Signore prima che di destra o di sinistra, scegliere in nome del Vangelo il fratello anziché sé stessi significa spesso, agli occhi del mondo, lavorare in perdita. Non abbiamo paura di lavorare in perdita! L’ecumenismo è “una grande impresa in perdita”. Ma si tratta di perdita evangelica, secondo la via tracciata da Gesù: «Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà» (Lc9,24). Salvare il proprio è camminare secondo la carne; perdersi dietro a Gesù è camminare secondo lo Spirito. Solo così si porta frutto nella vigna del Signore.
Le distanze non siano scuse. Preghiera ecumenica 3: Dopo tanti anni di impegno ecumenico, in questo settantesimo anniversario del Consiglio, chiediamo allo Spirito di rinvigorire il nostro passo. Troppo facilmente esso si arresta davanti alle divergenze che persistono; troppo spesso si blocca in partenza, logorato di pessimismo. Le distanze non siano scuse, è possibile già ora camminare secondo lo Spirito: pregare, evangelizzare, servire insieme, questo è possibile e gradito a Dio! Camminare insieme, pregare insieme, lavorare insieme: ecco la nostra strada maestra di oggi. Questa strada ha una meta precisa: l’unità. La strada contraria, quella della divisione, porta a guerre e distruzioni. Basta leggere la storia. Il Signore ci chiede di imboccare continuamente la via della comunione, che conduce alla pace. La divisione, infatti, «si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis redintegratio,1). Il Signore ci chiede unità; il mondo, dilaniato da troppe divisioni che colpiscono soprattutto i più deboli, invoca unità.
La missione farà l’unità. Incontro ecumenico 1: Permettetemi, cari fratelli e sorelle, di manifestarvi, oltre al vivo ringraziamento per l’impegno che profondete per l’unità, anche una preoccupazione. Essa deriva dall’impressione che ecumenismo e missione non siano più così strettamente legati come in origine. Eppure il mandato missionario, che è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano, non può essere dimenticato né svuotato. Ne va della nostra identità […]. Ciò di cui abbiamo veramente bisogno è un nuovo slancio evangelizzatore. Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo, che loda il Signore e serve i fratelli, con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Gesù. Sono convinto che, se aumenterà la spinta missionaria, aumenterà anche l’unità fra noi. Come alle origini l’annuncio segnò la primavera della Chiesa, così l’evangelizzazione segnerà la fioritura di una nuova primavera ecumenica.
Diaconia e martirio. Incontro ecumenico 2: il lavoro tipicamente ecclesiale ha un sinonimo ben definito: diakonia. È la via sulla quale seguire il Maestro, che «non è venuto per farsi servire, ma per servire» (Mc 10,45). Il variegato e intenso servizio delle Chiese-membri del Consiglio trova un’espressione emblematica nel Pellegrinaggio di giustizia e di pace. La credibilità del Vangelo è messa alla prova dal modo in cui i cristiani rispondono al grido di quanti, in ogni angolo della terra, sono ingiustamente vittime del tragico aumento di un’esclusione che, generando povertà, fomenta i conflitti. I deboli sono sempre più emarginati, senza pane, lavoro e futuro, mentre i ricchi sono sempre di meno e sempre più ricchi. Sentiamoci interpellati dal pianto di coloro che soffrono, e proviamo compassione, perché «il programma del cristiano è un cuore che vede» (Benedetto XVI, Lett. enc. Deus caritas est, 31). Vediamo ciò che è possibile fare concretamente, piuttosto che scoraggiarci per ciò che non lo è. Guardiamo anche a tanti nostri fratelli e sorelle che in varie parti del mondo, specialmente in Medio Oriente, soffrono perché sono cristiani. Stiamo loro vicini. E ricordiamo che il nostro cammino ecumenico è preceduto e accompagnato da un ecumenismo già realizzato, l’ecumenismo del sangue, che ci esorta ad andare avanti.
Bello questo discorso del papa, pieno di riferimenti paolini- forse perché il Consiglio delle Chiese è formato dalle Chiese protestanti le quali tengono in gran conto la parola di Dio. (Carne e Spirito sono chiari riferimenti paolini)
Ho apprezzato l’incipit con il riferimento al ” il nemico di Dio e dell’uomo” come la causa primaria delle divisioni.
E ancora la netta affermazione che “il mandato missionario, è più della diakonia e della promozione dello sviluppo umano” . E il richiamo “Ne va della nostra identità” .
E ancora “Siamo chiamati a essere un popolo che vive e condivide la gioia del Vangelo, che loda il Signore e serve i fratelli, con l’animo che arde dal desiderio di dischiudere orizzonti di bontà e di bellezza inauditi a chi non ha ancora avuto la grazia di conoscere veramente Gesù” . Mi colpisce il fatto che in questo nostro blog si discute tanto, si dibatte anche accanitamente su quella che deve essere l’essenza del vivere cristiano, ma poco o nulla si trova a proposito della “lode del Signore” : come si può pensare di “amare Dio” senza “lodarlo”? (Penso alla possibilità spesso dichiarata in questo blog di un “amore a Dio a propria insaputa” ). E come si può “lodare Dio” senza avere sperimentato che Lui è stato ed è la nostra “salvezza”, la roccia che ci permette di attraversare le strade di questa vita, costellata di sofferenza, nella serenità e nella pace?
Per questo la prima “diakonia” che è richiesta a chi ha conosciuto il Signore è di portarlo a chi non ne ha ancora avuto questa opportunità .
E’ lo Spirito che vivifica la carne, non viceversa.
E’ lo Spirito che rende possibile all’uomo “perdere se stesso a beneficio dell’altro”.
Temo che qualcuno, sentendo parlare di carne e di Spirito in contrapposizione, sia portato a pensare MALAMENTE che la carne e lo Spirito debbano intendersi in opposione. Come era tanti anni fa, quando si demonizzava la carne e si esaltava lo Spirito. Quando cioè, a mio avviso, si bestemmiava.
Se qualcuno pensa questo, dunque, sbaglia.
A me sembra di capire che il Papa abbia parlato di “carne” come sinonimo di “mondanità”, ed è tutta un’altra cosa. Un concetto molto diverso.
Lo dico perché mi spaventa il pensiero che si possa tornare a recuperare la falsa idea che la “carne” sia peccaminosa. La carne, invece, ha una sua SACRALITÀ da riconoscere e rispettare, e non sto a spiegare il perché.
Diverso è il discorso sulla mondanità.
Lo spiega bene il Papa.
Mondanità vuol dire alimentare prima gli interessi propri, poi quelli di Gesù Cristo. Pensare prima a sé stessi, poi alla voce di Dio. “Perdere di vista i compagni di viaggio” e coltivare l’indifferenza. Soddisfare solo i propri bisogni e dimenticare il precetto: “amerai il prossimo tuo come te stesso”.
Tutto questo e altro ancora ha il senso di inseguire la direzione della carne, non quella dello Spirito.
A victoria Boe suggerisco di rileggersi San Paolo.
Ma, già, San Paolo chi era costui?
chissà se aveva avuto modo di leggere i Vangeli!
Rif. 8.11 – Paolo e vangeli
Sportivamente: secondo me è certo che Paolo non conosceva nessuno dei vangeli attuali (nessuno di essi al momento della sua morte è completato).
Paolo conosce il Vangelo ma non i vangeli. Del resto Paolo evangelizza mezzo mondo di allora ignorando – nelle sue lettere – la vita di Gesù e la predicazione registrata nei vangeli (ma in Atti 20,35 ricorda una frase del Signore non presente nei vangeli). Paolo conosce il Signore dalla morte-risurrezione in là.
Nemmeno della Madonna parla. Il “nato da donna e sotto la legge” di Galati 4 è per dire che Gesù si è incarnato davvero, in terra ebrea.
Non intendo aprire un altro fronte. Fidiamoci degli esegeti attuali. Vengono da molto lontano e sono sul terreno solido.
Rif 0.07
Il mio “chissà se aveva avuto modo di leggere i Vangeli” era “ironico” nella mia (prolungata) diatriba con Victoria Boe la quale sembra dare valore solo ai Vangeli scritti ( e anche solo a alcune parti di quelli ) mettendo in secondo piano le lettere di San Paolo. ( Ovviamente sono ben cosciente che le lettere di San Paolo sono temporalmente anteriori agli scritti dei Vangeli e che per Paolo una conoscenza “secondo la carne” di Gesu’ – e cioè la conoscenza umana derivante da una vita in comune – ha poco peso rispetto alla “conoscenza spirituale” del Risorto )
Non sono teologo e non conosco neanche superficialmente gli esegeti “attuali” , tuttavia a me pare che parlare di SACRALITÀ della “carne”, sia dare al termine “carne” un senso assai diverso da quello paolino.
Parlo da profano, ma a me pare che, se non “esplicitamente” peccaminosa per Paolo la “carne” è “intrinsecamente” incapace di “salvezza” e condannata nel migliore dei casi a un ” profilo basso ” insufficiente e non risolutivo.
Sempre nella linea della mia diatriba con Victoria, la “carne” può al massimo giungere alla “solidarietà umana”, mentre l’Amore è Dono dello Spirito.
Penso che Beppe Zezza si riferisse al famoso passo Paolino della lettera ai Romani
( 7, 14-25) dove San Paolo dice “ Io so che il bene non abita in me , cioe’ nella mia carne; c’ e’ si la volonta’ del bene , ma l’ operare no; giacche’ non faccio il bene che voglio, ma il male che non voglio” e anche “ vedo un’ altra legge nella mia carne che fa guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo nella legge del peccato: la quale e’ nella mia carne. Infelice che io sono! Chi mi liberera’ da questo corpo di morte? La Grazia di Dio per Gesu’ Cristo Signor nostro”
Il passo di Romani 7 e’ stato il piu’ studiato da Lutero, il quale era ossessionata da questa frase “ non faccio il bene che voglio ma il male che non voglio”
L’ ultima frase poi e’ la confutazione di ogni pelagianesimo: l’ uomo non e’ “ buono” di natura ma corrotto dal peccato originale e solo la Grazia di Dio per mezzo di Gesu’ Cristo puo’ indirizzare al bene . Dunque le opere buone non vengono dalla “ carne” che e’ sottoposta alla legge del peccato ma dallo Spirito.
Vedendo anche un fatto di attualita’ , penso a Mons. Capella condannato a cinque anni per possesso di materiale pedopornografia, che si giustifica parlando di “ crisi” di fragilita’ , viene proprio da dire… la carne e’ debole! Se persino un consacrato, un sacerdote non riesce a tenere a bada le sue pulsioni e pur sapendo dove e’ il bene , e volendo il bene, fa il male che non vuole, che ne sara’ Di ognuno di noi peccatori?
Come Paolo possiamo dire : Infelice, chi mi liberera’ da questo corpo di morte.
E come Paolo rispondere: la Grazia di Dio per Gesu’ Cristo Signor nostro.
Occhio, che quando san Paolo cita ” la carne” , non lo fa nel senso della carnalità sessuale , manel senso di tutta la personalità umana.
La carne è debole?
Certamente.
Ma non solo nel senso che ha sperimentato il qui sopra citato
Mons. Capella,( e anche chiunque altro di noi, ognuno a modo suo, nessuno escluso: io di cherubini non ne ho conosciuti mai tra i viventi, santi conclamati compresi).
Molto chiaro questo pezzo di Ravasi su questo specifico argomento:
https://www.avvenire.it/agora/pagine/anma-e-corpo-paolo-batte-i-greci
Ne consiglio la lettura specialmente agli “antiravasiani a prescindere”, trattandosi di brano oggettivo ed etimologico, prima ancora che esegetico/teologico.
Morale.
Che Paolo batta su questo tasto, non ci piove.
Che da qui si sia originato tutto un cattolicesimo maniacale “anti-corpo”, non ci piove allo stesso modo.
“Cattolicesimo maniacale anti- corpo”
Ma il concetto paolino di “ carne” non e’ il corpo fisico . E’ molto di piu’ , un concetto molto piu’ profondo . La carne e’ tutto cio’ che e’ materia , cioe’ che non e’ Spirito.
Della carne fa parte anche il cervello umano coi suoi neuroni e cellule , e ne fanno parte le emozioni e sensazioni , tutte riconducibili a neurotrasmettitori chimici, cioe’ materia.
Lo Spirito e’ tutto cio’ che non e’ carne cioe’ che non e’ riconducibile a materia, atomi e cellule e chimica. Lo Spirito non e’ materia. Sembra una ovvieta’ e una tautologia ma in un mondo quale quello moderno in cui si riconduce tutto a categorie materiali ( e lo psichico, le emozioni le sensazioni le percezioni i sentimenti fanno parte di questa materia) e’ bene ricordarlo:
Lo “ spirituale” non e’ lo psichico. E San Paolo fa bene a ricordarlo. Le nostre emozioni, sensazioni e movimenti psichici non sono lo Spirito. La volonta’ umana ( di fare il bene) e’ lo psichico non lo spirituale. La Grazia e’ lo spirituale. La volonta ’ della mia psiche di fare il bene non e’ spirituale.
Quando Gesu’ nell’ Orto del Gethsemani dice agli apostoli “ Vegliate e pregate perche’ lo Spirito e’ pronto ma la carne e’ debole” non sta parlando di “ carne” come corpo fisico dei discepoli ma dello psichico, come cervello ed emozioni dei discepoli. E infatti i discepoli che cedono alla carne , cioe’ si addormentano nonostante le parole di Gesu’ , dopo nel momento clou dell’ arresto di Gesu’ “ fuggono per la paura” . La psiche umana, che e’ la carne debole, e’ sottoposta a emozioni quali la paura, la rabbia, la violenza , la frustrazione. I discepoli hanno ceduto alla debolezza della carne: non hanno vegliato è pregato e dopo cedono alle loro emozioni di rabbia, paura , violenza frustrazione. lo Spirito no, lo Spirito non sono le emozioni ne’ i sentimenti.
Lo Spirito e’ diverso dalla carne . Non e’ fatto di atomi, di cellule, di neurotrasmettitori, di cervelli. Non e’ fatto di materia. Non e’ fatto di tutto cio’ che noi possiamo studiare scientificamente. Non ci sara’ mai un computer , per quanto intelligente, che possa avere lo Spirito.
La differenza fra carne e Spirito si puo’ solo immaginare per metafore; lo Spirito e’ il vento che soffia dove vuole, e’ il Fuoco che scende a Pentecoste, e’ la colomba che si posa su Gesu’ nel suo battesimo nel Giordano.
Ma queste sono metafore. Lo Spirito, essenzialmente, non e’ la materia. Sembra un ovvieta’ ma a pensarci si aprono squarci di infinito. Se oltre la materia, che noi vediamo e tocchiamo e studiamo, esiste lo Spirito , allora?Allora?
Ma la materia , la “ carne” , a sua volta non e’ solo il corpo fisico ma anche la psiche, il cervello umano , fonte di emozioni, sensazioni, percezioni, sentimenti.
Nella Liturgia Ambrosiana Vetus Ordo della domenica di oggi c’ e’ la lettura del Vangelo dei dieci lebbrosi, tutti risanati da Gesu’ , ma solo uno dei quali, fra l’ altro uno straniero un samaritano, torna indietro dopo il miracolo per ringraziare e rendere lode a Gesu’ .
Noi siamo nella carne dei lebbrosi ma siamo risanati dalla Grazia di Dio: ogni dieci risanati c’è ne e’ solo uno che se ne rende conto e rende lode a Dio
Luca 17, 11-19
Lieto che si concordi.
( ciononostante che abbia arbitrariamente trionfato un “Cattolicesimo maniacale anti- corpo” e che ancora adesso ci siano suoi strenui difensori, è fuor di dubbio, come fuor di dubbio sono stati i danni che ha causato e causa.)
🙂
Molto corretto quello che dice MCV.
Secondo S. Paolo “carne” non sono solo gli istinti ma anche le passioni che noi consideriamo “buone” ad esempio la “passione per la musica”. Cioè Paolo è molto più radicale: dice che se noi nel nostro vivere quotidiano facciamo affidamento solo sulle nostre doti “umane” non andiamo lontano.
Di questo molti interventi sul blog non pare tengano conto : sembra che tutto dipenda dal nostro “impegno”, dalla nostra ” buona volontà” mentre, al contrario, Paolo dice che senza la Grazia – che il Signore non fa mancare a coloro che si affidano a Lui – ben poco possiamo, pur con tutta la nostra volontà (la quale comunque non può mancare)
Non fare riferimento alla Grazia è quel “volare basso” [ il bene possibile ] del quale più volte mi sono rammaricato su questo blog.
Il vostro è un Dio strano, che pensa di essere in credito con gli uomini. Potrebbe essere vero: una probabilità su un miliardo di miliatdi di miliardi di miliardi di miliardi… Continuate voi, prima di parlarne come di una verità scontata.
Infatti, visto così, è proprio un Dio strano.
Ma a loro piace così.
A Leopoldo Calo’
Sinceramente non capisco a cosa e a chi si riferisca quando parla di un Dio strano che “pensa di essere in credito congli uomini “. Qualche parola in più di chiarimento mi permetterebbe di argomentare.
Carissimo Beppe Zezza, la ringrazio per avermi dato l’opportunità di esprimermi sull’argomento, con la precisazione che si tratta di opinioni personali, che riguardano la mia visione della vita.
Penso che Dio non esista ma che, considerata l’esiguità di informazioni di cui siamo in possesso e l’irrilevanza non dico dell’uomo ma della nostra galassia rispetto all’universo, tutto può essere, perfino l’esistenza di un Essere superiore e pensante. Tuttavia, se così dovesse essere, non gli ho chiesto io di venire al mondo e, per motivi che ora non sto qui a spiegarle, io non sono dotato di libero arbitrio (la considero un’invenzione per stabilire una responsabilità che non esiste, finalizzata alla pacifica convivenza). Non gli ho chiesto io di venire al mondo e non ho nulla da dargli o da ricevere da lui. Se il dolore degli uomini contasse qualcosa, ma evidentemente non conta nulla, gliene chiederei conto, così come gli chiederei come possa aver progettato un inferno che, data la sua onniscienza, dovrebbe sapere in anticipo essere la sorte finale di coloro che di lui non ne hanno voluto, non ne vogliono e non ne vorranno sapere nulla. Tuttavia, sempre considerato che tutto può essere, anche l’impossibile, posso adattarmi, e lo faccio, all’idea che altri vogliano crederci, senza per questo essere considerati illusi, opportunisti, deboli, ingenui, infantili, eccetera: le persone che più amo, infatti, ci credono. Le cose cambiano, per quello che mi riguarda, quando sono loro, i credenti, a non accettare che la mia vita non debba in qualche modo adattarsi al loro modo di pensare e al loro credo, perché in tal caso mi viene forte la tentazione di ricordargli che hanno tutto da dimostrare e nulla da pretendere. Quanto a Gesù di Nazareth, lo considero un uomo eccezionale, in buona fede, onesto e dotato di un immenso carisma. Le cose che gli rimprovererei, se fosse ancora vivo come molti pensano, è l’assoluta mancanza di senso dell’umorismo – ma forse è da imputarsi a coloro che di lui hanno raccontato più che a lui – e l’aver fallito su tutta la linea, a cominciare dal fatto che era convinto di essere il Messia. Perdoni la lacunosità dell’esposizione e mi creda sincero quando dico che potrei sbagliarmi. Ma questo è.