«A volte non capisco né l’uomo né Dio ma abbraccio la mia croce un po’ per tutti e dico grazie al Signore per la mia piccolissima vita»: parole di Paola Olzer, trentina, colpita già alla nascita da tetraparesi spastica e ora autrice di un vivissimo Diario [scritto insieme al collega giornalista Diego Andreatta e pubblicato da Ancora] al quale brindo con un bicchiere di Vino Nuovo. Paola è quasi astemia e abbiamo cenato insieme – qui a Trento, dove sono venuto per presentare il Diario – senza che riuscissi a farle bere un dito di vino. Non potendole dare da bere, le do un bacio.
Paola Olzer: a volte non capisco nè l’uomo nè Dio
8 Comments
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Bella testimonianza di una persona affetta da grave disabilità che ama la vita e non è certo tentata da soluzioni eutanasiche.
Grazie.
Questa di Paola Olzer è una storia di vita di grande delicatezza. La sua “piccolissima vita” è un inno al Signore se, pur tra le tribolazioni delle operazioni e della carrozzina, le permette di gioire del suo “pezzettino di cielo”.Questa è fede autentica, che ha molto da insegnare a tutti gli uomini, soprattutto a quelli che discettano su quale sia la fede vera e quella fasulla. Questa è fede vissuta, che butta alle ortiche libri e riti religiosi e vaniloqui e fa di un corpo ammalato dalla nascita e alla fine accettato con serena rassegnazione, un vero sacrificio a Dio.
“Spero che, come un seme gettato nella terra, un piccolo dolore come il mio possa diventare un grande albero di bene per il mondo”.
Quali parole più sante di queste?
Paola Olzer è uno dei tanti semi di Dio su questa nostra povera terra.
C’è una frase bellissima di Einstein che dice pressappoco così :” Qual’è il senso della nostra esistenza, quale il significato dell’esistenza di tutti gli esseri viventi in generale? Il saper rispondere significa avere sentimenti religiosi. Voi direte: che senso può avere asserire ciò!? Io vi rispondo: chiunque crede la propria vita e quella dei suoi simili sia priva di significato, non solo è un essere infelice, ma appena capace di vivere.”
Il fatto che lo scienziato ebreo, per di più influenzato dalla truce visione di Schopenhauer, trovi inconcepibile un Dio che “giochi “col destino degli uomini, che premi o punisca è davvero illuminante; continua Eintein: “l’uomo, immerso in questo eone è sottoposto a leggi di “casualità” esterne e ineluttabili, tale la presenza stessa del male; La vita, se si è onesti, non può non apparirci essa stessa come qualcosa di incomprensibile, un enigma che restrebbe tale se non ci fosse quell’anelito di Trascendenza”
A pensarci bene..Se ci limitassimo ad osservare dal piano orizzontale, mi domando io, cosa resterebbe se non inquietudine, angoscia,insoddisfazione, attese, desideri e relative delusioni. Già l’essere creature “carnali” ci espone a sofferenza e morte, fisica e, anche, animica. Dunque, se non fossimo sorretti da un fiducia di fondo, unita ad una perseveranza illimitata, mai riusciremmo ad allargare gli orizzonti; sarebbe la fine se non osassimo sperare anche contro ogni speranza: unica via accessibile affinché la realtà assuma i suoi reali contorni e possa essere accettata e vissuta…. Allora, e solo allora, riusciremo a tacere dinnanzi a quel Dio, davvero incomprensibile, nel quale, per grazia, si crede al di la del bene e del male..
Grazie per questa condivisione.
Da lunedì andrò dai Pavoniani all’Ancora a prendermi il Diario.
Tu Luigi,
sai quanto sono sensibile alla tematica.
Grazie per la tua costanza sul tema.
A Federico B.
Sono d’accordo, ma con due precisazioni generali, senz alcuna polemica .
La prima.Questa è una persona che ama la vita.
Il fatto, oggettivo e imprescindibile, che sia ” affetta da grave disabilità” , è comunque un corollario. Mettere un timbro sulle persone, è esattamente quello che fa la malattia, e che facciamo inconsapevolmente tutti, cattolici e chiesa compresi con la nostra giornata “del malato”, pastorale “del malato”, funzione “per i malati”, pellegrinaggi” per i malati”.
La malattia già di per sé rischia di trasformarti in essa: di te non si dirà piu’, come prima e come con tutti, è un padre, una madre, una professore, un operaio, ma si dice immediatamente ha il cancro, è un disabile, è in carrozzina, è senza gambe.
Io credo che, anche solo con le parole, meno steccati si tirano su, meglio è.
“Il malato” non esiste, così come non esiste il disabile, o l’anziano.Esistono le persone e gli individui che , a un dato momento, o da sempre, possono vivere una situazione problematica.
La seconda. Sulle tentazioni eutanasiche. Non entro nel merito del discorso. Ma, per esperienza personale, ho riscontrato spesso che le persone ammalate o con problemi che le manifestano sono una esigua minoranza e che sono, generalmente, quelle che sono o si sentono lasciate sole e abbandonate. Mi chiedo quante di queste tentazioni siano inconsapevolmente indotte da quanto stanno attorno a queste persone e non sanno, o non riescono, o non voglioni, “vivere” davvero la loro situazione.
condivido!
@ Onego (e Clodine che condivide il suo intervento),
le mie parole vanno intese come risposta a Marco e in stretto riferimento alla discussione relativa all’eutonasia.
Sono d’accordo su entrambe le osservazioni: la dignità di una persona prescinde dalla disabilità o dalla malattia e dalle previsioni di guarigione; l’eutanasia può essere indotta dalla solitudine e dalla disperazione di coloro che non sono o non si sentono amati ed aiutati. In particolare questa conclusione ci interroga tutti su quanto possiamo fare per far sentire meno soli questi ammalati e le loro famiglie.
Ho scritto Onego anzichè Ondivago, chiedo scusa all’interessato.