Gran parlare sui giornali delle cinque Bibbie trovate nel casolare del capomafia Bernardo Provenzano. L’altro ieri il cardinale De Giorgi esprimeva “amarezza” per quell’ostentazione della “sacra Bibbia” e invitava Provenzano a convertirsi, ricordandogli che anche a lui erano “dirette le roventi parole di Giovanni Paolo II ad Agrigento”, quando minacciò il giudizio di Dio sugli uomini della mafia. Non mi sono trovato del tutto d’accordo. Certo Provenzano va richiamato alla conversione. Ma il fatto che avesse con sé più Bibbie e su una ci fossero sottolineature mi chiede di stare attento a ciò che succede tra cielo e terra e mi ricorda che la Bibbia non è proprietà delle Chiese. Mi ritrovo di più con quanto dichiarato oggi a Repubblica dalla poliziotta anonima – “la gatta” – che ha partecipato alla cattura: “Provenzano e tutti gli altri mafiosi latitanti vivono in una solitudine assoluta, non si fidano di nessuno. Cercano qualcosa sopra, qualcosa oltre. E forse cercano anche il perdono di Dio”. Mi sono garbate anche le parole del procuratore antimafia Pietro Grasso al Corriere della Sera: “Lo sguardo è quello di un uomo che ha una grande forza d’animo. Per carità, non ne voglio dare un’immagine positiva, però quel suo sorriso, che non era un ghigno come qualcuno ha detto, mi pare un modo per accettare la situazione e cercare di sopportarla nel migliore modo possibile”. Il magistrato e la poliziotta parlano cristiano. Gesù cercava l’uomo dietro ogni peccato.
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A Terranuova Bracciolini trovano in un fosso i corpi di due fratelli calabresi con polsi e piedi legati, uccisi a revolverate. Il vescovo di Arezzo, Gualtiero Bassetti, sgomento chiama il popolo a pregare: “A pochi giorni dalla Pasqua, un episodio di sangue che non sembra avere precedenti nella nostra provincia, scuote dal profondo le coscienze”. Un suggerimento: perché in casi come questi non si invita al digiuno, oltre che alla preghiera? Certi diavoli, diceva Gesù, non si cacciano altrimenti. Mi era balenata l’idea del digiuno domenica 9, vedendo in televisione la messa del vescovo di Parma per il bimbo Tommaso. Papa Wojtyla diceva che “forse” la gente oggi può mostrarsi sensibile al digiuno, se è invitata a farlo “per tale causa”. Egli propose il digiuno per la pace almeno quattro volte. Ogni vescovo – io penso – dovrebbe fare altrettanto, per ogni causa che scuote la comunità, dandone l’esempio personale e magari prolungando il digiuno per più giorni.
Si può fare peccato trascorrendo “una quantità di tempo sproporzionata nel leggere quotidiani e giornali, nel guardare la televisione e nell’utilizzare internet”: l’avrebbe affermato il cardinale James Francis Stafford, penitenziere maggiore, durante la celebrazione penitenziale comunitaria che si è tenuta per la prima volta in San Pietro in questo martedì santo. Povero me, mi viene da pensare, badando al mestiere che faccio. E mi torna all’occhio il fare sornione del migliore cardinale Biffi che durante il congresso eucaristico di Siena del 1994, dov’era legato papale, durante una conferenza stampa ci diceva: “La vostra professione non vi aiuta certo a salvare l’anima”. I preti – ma non tutti – hanno questo di curioso, che ritengono di sapere dov’è Satana (vedi sopra, 6 aprile) e dov’è il peccato, come se fosse possibile assegnare qualcosa come un domicilio coatto a ogni mistero.
Nottata elettorale stregata dalla luna e incertezza sull’esito fino quasi alle 13,30! Grande impressione del paese diviso a metà. Partecipo alla febbre collettiva intervistando per il Corriere della Sera il vescovo Rino Fisichella prima che si sappia alcunché e – anzi – in uno dei momenti più ballerini, verso le 20, quando sembra che vinca tutto il centrodestra. Ma partecipo ancor più attraverso Matilde, 18 anni, che fa la scrutatrice al seggio speciale di Castelnuovo di Porto, riservato ai voti degli italiani residenti all’estero. che ci hanno tenuti sospesi per una decina di ore oltre il risultato della Camera. Alla fine di tanta tensione anch’io festeggio con Isa e i quattro figli maggiorenni, avendo tutti votato per l’Unione. Ma non condivido l’entusiasmo di chi grida “finalmente” e crede arrivato un “nuovo giorno”. Ricordo due battute scambiate con Gianni Baget Bozzo nel 2001, quando giubilava per la vittoria di Berlusconi e diceva che nulla sarebbe più stato come prima e io a obiettare che non valeva la pena di esultare per un evento effimero come un voto, che se va bene dura cinque anni. Stavolta poi i cinque anni sembrano una chimera.
Benedetto XVI dialoga con i giovani di Roma in piazza San Pietro e così loda il cardinale Carlo Maria Martini, mentre risponde a una domanda su come leggere la Bibbia: “Abbiamo, per esempio, tanti bei libri del Cardinale Martini, un vero maestro della Lectio divina, che aiuta ad entrare nel vivo della Sacra Scrittura. Lui che conosce bene tutte le circostanze storiche, tutti gli elementi caratteristici del passato, cerca però sempre di aprire anche la porta per far vedere che parole apparentemente del passato sono anche parole del presente”.
“Tutto ciò che c’è di satanico in Italia va a finire lì” dice con sicurezza padre Livio dal microfono di Radio Maria, durante la rassegna stampa del mattino, con riferimento alle battaglie anticlericali della “Rosa nel pugno”. Padre Livio è un uomo simpatico, ma dubito che possa conoscere con tanta esattezza la localizzazione di Satana tra noi.
A quattro giorni dall’apertura delle urne Berlusconi dice: “Io non penso che un credente possa dare il suo voto a chi manifesta certe intenzioni contro la religione cattolica e la Chiesa”. La messa all’asta dei sentimenti religiosi non c’è stata, in questa campagna elettorale, ma il cavaliere l’ha sfiorata (vedi 16 marzo). Va osservato che Berlusconi fino a oggi non aveva mai usato quell’argomento e forse le sue parole tradiscono una più forte preoccupazione per quello che gli dicono i sondaggi segreti di cui certo dispone. Non l’aveva fatto nel 1994, nel 1996, nel 2001. Ma se quell’uscita resta isolata, continuerò a ritenere ben riuscita la transizione italiana, almeno dal punto di vista del non coinvolgimento del nome cristiano da parte dei contendenti.
Fausto Bertinotti commenta il Vangelo di Pasqua per l’agenzia ADISTA, nella rubrica Omelie fuori dal tempio: vedi il mio articolo Bertinotti e l’omelia da laico in questo sito nella sezione “Dal Corriere della Sera“. E’ una lettura culturale e politica della figura di Gesù e non mi basta, ovviamente. Ma apprezzo l’attenzione al Vangelo che essa dimostra. Nella tradizionale separatezza nostrana tra laici e cattolici era scontato che i laici appena incontravano la figura di Gesù guardassero appassionatamente da un’altra parte. Oggi per fortuna iniziano a non distogliere lo sguardo. Sono lieto per il rispetto che personalità laicissime come Bertinotti e Fassino, Amato e Pannella, Adornato e Pera, Ferrara e Scalfari e la Fallaci mostrano per i Vangeli. Tra essi Bertinotti è forse quello che presta più attenzione al testo.
Vedo in televisione Benigni che interpreta Dante e dice che – per lui – il più bel verso d’amore della Commedia è questo: “la bocca mi baciò tutto tremante” (Inferno V, 136). Contropropongo quest’altro del Paradiso (XI, 77): “amore e maraviglia e dolce sguardo”.
Finalmente hanno spiegato – dal Consiglio per l’unione dei cristiani – le ragioni per cui è stato lasciato cadere, nell’Annuario pontificio 2006, il titolo Patriarca dell’Occidente: “La rinuncia a detto titolo vuole esprimere un realismo storico e teologico e, allo stesso tempo, essere la rinuncia ad una pretesa, rinuncia che potrebbe essere di giovamento al dialogo ecumenico”. Va ricordato che il padre Yves Congar – già massima autorità in materia di “Titoli dati al papa” (così è intitolato un suo articolo pubblicato da Concilium più di trent’anni fa, 8/1975) aveva invece sostenuto che quel titolo era ricco di pregi ecumenici e il suo uso andava riscoperto (Vedi Guy Bedouelle, Padre Congar e la Chiesa romana, nel fascicolo dedicato a Congar dalla rivista Communio 142/1995, in particolare p. 53). Per un ragguaglio sull’evoluzione del pensiero di Ratzinger in materia, si può vedere Il Nuovo popolo di Dio, a p. 155s dell’edizione Queriniana 1971, dove accenna alla possibilità che venga data “alla Chiesa d’Asia e d’Africa, così come a quelle d’Oriente, una loro forma propria come patriarcati o grandi Chiese autonome” (questa pagina è stata riportata da Paolo Prodi a conclusione della seconda edizione del suo volume Il sovrano pontefice, Il Mulino 2006, p. 438s). Una successiva presa di distanza dall’idea della creazione di nuovi patriarcati all’interno della Chiesa latina è a p. 351 del volume intervista con Peter Seewald, Dio e il mondo (San Paolo 2001): “Sono sempre più in dubbio che questa possa essere la forma organizzativa adeguata a raggruppare grosse unità continentali – prima pensavo anch’io che questa potesse essere la soluzione”. Sembrerebbe di capire che una volta Ratzinger ritenesse poco opportuno il titolo papale di Patriarca dell’Occidente perché convinto dell’opportunità di creare nuovi patriarcati e che ora – avendo abbandonato quell’idea – ritenga che comunque quel titolo non abbia attualità e funzionalità alludendo a un patriarcato virtuale, abbracciante l’intera Chiesa latina! Un papa teologo costringe i suoi interpreti a una continua ginnastica mentale. Vedi sul Corriere della Sera il mio articolo Il papa non è più “Patriarca dell’Occidente”.
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