Alla conferenza stampa in margine all’assemblea della Cei oggi ci hanno dato l’elenco dei “testimoni con cui la Chiesa italiana si presenterà al Paese in occasione del convegno di Verona, il 16-20 ottobre: tutti laici, uno per regione (con l’eccezione dei due fratelli Corrà per il Triveneto), sei donne come nel governo Prodi. E’ stato bello scoprirne quattro che non conoscevo: Lorena d’Alessandro (Lazio), Giovanni Modugno (Puglia), Maria Marchetta (Basilicata), Concetta Lombardo (Calabria). Mi sono rallegrato per queste figure, che venivano a rinfrescare il panorama di quelle che mi erano già note: Gesualdo Nosengo, Piemonte e Valle d’Aosta; Marcello Candia, Lombardia; Flavio e Gedeone Corrà, Triveneto; Itala Mela, Liguria; Annalena Tonelli, Emilia Romagna; Giorgio La Pira, Toscana; Enrico Medi, Marche; Vittorio Trancanelli, Umbria; Giuseppe Capograssi, Abruzzo e Molise; Giovanni Palatucci, Campania; Rosario Livatino, Sicilia; Antonia Mesina, Sardegna. Ho conosciuto La Pira, Medi e Trancanelli. Trancanelli l’ho intervistato per il volume Cerco fatti di Vangelo e sono stato a casa sua, a Perugia. Ho avuto occasione di scrivere i profili di Candia, Tonelli, Palatucci, Livatino, Mesina. Anche con le nuove conoscenze conto di sviluppare solide amicizie.
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A proposito di Bertinotti, presidente della Camera, che ieri a Porta a porta ha criticato il papa, invitandolo a “vedere” il positivo delle unioni di fatto, che tendono a “costruire dei valori” ai quali “egli stesso dovrebbe essere attento”. Sono sensibile a questo argomento, in nome dei giovani che scelgono l’unione di fatto e lo fanno seriamente. Bertinotti sembra dire alla Chiesa: anche quello è un modo di costruire rapporti d’amore, non vi interessa? E’ una domanda più penetrante di quanto non abbiano colto i corsivisti che hanno reagito accusando Bertinotti di voler insegnare al papa. In verità quella domanda gli uomini di Chiesa se la pongono in privato, ma evitano di porla pubblicamente perché temono che possa danneggiare l’impegno a difendere la famiglia. Dal mio angolo di battitore libero, io me la pongo così: dobbiamo pregiare, onorare e favorire ogni atto d’amore, o dobbiamo costruire una società che favorisca l’amore duraturo? Io credo che dobbiamo pregiare ogni atto d’amore, cercando di contribuire alla costruzione di una società capace di favorire l’amore duraturo. E’ forse la stessa questione che una sera di qualche anno addietro mi fu posta da un uditore sveglio di una mia conferenza: “Il nostro compito è di pregare a nome di chi non prega, o non è piuttosto quello di fare in modo che cresca il numero di coloro che pregano?”. Questa fu la mia risposta, se ricordo giusto: dobbiamo pregare a nome di chi non prega, mentre ci adoperiamo in ogni modo perché cresca il numero di coloro che pregano.
Forse il cardinale Camillo Ruini desidera che il suo successore alla presidenza della Cei sia il vescovo Giuseppe Betori, attuale segretario. Lo si poteva pensare in astratto, tenendo conto del buon affiatamento che li caratterizza, ma da lunedì 15 maggio ci anche – come indizio – le parole con cui il cardinale ha commentato la conferma di Betori nell’incarico, venuta dal papa il 6 aprile, “accogliendo la proposta della Presidenza della C.E.I., pienamente condivisa dal Consiglio Episcopale Permanente”: “Per questa conferma sento il bisogno di esprimere al Papa il più vivo ringraziamento, nella certezza di interpretare il sentire comune di tutti voi. Il ringraziamento si estende di cuore allo stesso Mons. Betori, per la dedizione tanto intelligente, premurosa e infaticabile con cui promuove le molteplici attività della C.E.I., ha cura dei vincoli di fraternità e comunione che ci uniscono, affronta i problemi assai diversificati che quotidianamente si presentano: verso di lui abbiamo tutti, ma io a titolo speciale, un grande debito di gratitudine”.
Jennifer, partecipo da lontano alla messa di addio che oggi viene celebrata a Olmo di Martellago. Tu sei benedetta e benedetto è il frutto del ventre tuo.
Mi arrivano le Lettere dalla Turchia di don Andrea Santoro (Città nuova, pp. 250, 10 euro) e mi allietano già solo mostrandomi la sua viva immagine in copertina, da una foto che lo ritrae con la Bibbia di Gerusalemme in mano, intento ad animare un pellegrinaggio ai “luoghi santi” della Turchia. Segnalo il libro dopo averlo letto in una notte: sono 33 lettere che mandò agli amici tra il 2000 e la morte, avvenuta il 5 febbraio scorso. C’è un’introduzione del cardinale Camillo Ruini e viene riportata in appendice l’omelia con cui lo stesso Ruini diede l’ultimo saluto al suo prete fidei donum (cioè missionario) il 10 febbraio nella Basilica di San Giovanni, segnalandone il “coraggio cristiano” e dicendosi convinto che “nel suo sacrificio ricorrono tutti gli elementi costitutivi del martirio cristiano”. A chi ha la fortuna di fare un mese di ferie consiglio di portarsi questo libro e di leggere una lettera al giorno. Ognuna è una lectio su come individuare i segni evangelici nel mondo profano che ci circonda. Egli lo faceva in Turchia e il suo sguardo penetrante può aiutarci a farlo in Italia e dappertutto.
Jennifer, 20 anni, che aveva preparato le tutine e gli orsacchiotti per Hevan che stava per nascere. Uccisa dal padre randagio del bambino. Jennifer così leggera eppure così sicura di essere madre. Ti voglio bene.
Seguo la presentazione del volume I giovani italiani di fronte alla vocazione, a cura di Franco Garelli (San Paolo editore) e ascolto Luca Bonari, del Centro nazionale vocazioni, che dice: “Questi ragazzi apprezzano massimamente quello che meno seguono: dicono di ammirare l’ideale missionario e vediamo come stanno oggi gli istituti missionari, mentre i nmonasteri – che sono i meno sognati – scoppiano di presenze”. Mia riflessione, ispirata alla visione del film Il grande silenzio: la figura del missionario si lega allo spirito di avventura e attira a largo raggio, mentre il “grande silenzio” rimanda alla ricerca interiore e ha pochi seguaci. Ma il grande numero facilmente esulta e facilmente si smemora, mentre la chiamata al silenzio arpiona nel profondo.
All’udienza generale ci sono cinquemila persone venute da Chieti, con l’arcivescovo Bruno Forte, “con il quale – dice il papa – ho collaborato per molto tempo nella Commissione teologica internazionale”. Fu una “collaborazione” importante, riguardò per esempio il documento “Memoria e riconciliazione. La Chiesa e le colpe del passato”, pubblicato il 1° marzo 2000, che Ratzinger e Forte presentarono insieme in Sala stampa vaticana. Ma non è per questo motivo che riprendo la frase improvvisata oggi da papa Benedetto, la riprendo perchè egli dice “ho collaborato”, non dice “è stato mio collaboratore”. Inimitabile finezza del papa teologo.
Nuova strage di italiani a Nassiriya. I giornalisti vanno a cercare i familiari dei carabinieri che morirono nel novembre del 2003. “Sono sempre in contatto con altre vedove. Ci siamo messe a piangere. Ho perso tutto, con mio marito” dice dolente Sabrina Brancato alla collega Elisabetta Rosaspina del Corsera. E Tiziana Ragazzi: “Veglio che i miei bambini crescano senza odio e senza desiderio di vendetta, fieri del padre”. “Io e lui eravamo quasi uguali – confida Marco Intravaio, gemello di uno dei morti di allora – e quando mi chiamano Mimmo, anzichè Marco, mi rendono felice”. Infine un padre, Enzo Vanzan, parla così dei parenti delle nuove vittime: “La loro sofferenza durerà per sempre, ma tutto quello che si può fare per loro è pregare che non si smarriscano, come sto facendo io nel solo modo che conosco, andando a trovare i lagunari”. Questo padre amputato del figlio ci insegna che infiniti sono i modi di pregare. Lo si può fare andando a trovare i lagunari, essendo contenti d’essere chiamati “Mimmo anzichè Marco”, aiutando i figli a crescere senza odio, piangendo i morti degli altri come una piange quello che era tutto per lei.
Arriva in libreria la traduzione italiana del volume di Uwe Michael Lang, con introduzione del cardinale Ratzinger, intitolato Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica, che era apparso nell’originale inglese nel 2003. Nella prefazione a questo volume, come già in tante altre occasioni, il cardinale Ratzinger rinnova la sua critica agli altari che la riforma liturgica ha girato verso il popolo e invita a “un nuovo dibattito, più disteso” su quella come su altre innovazioni. Mi ha sempre colpito la libertà di parola del cardinale Ratzinger in merito alla riforma liturgica di Paolo VI. Egli ne è severissimo giudice, il suo linguiaggio si fa quasi stroncatorio sul tema – che ritiene decisivo – della proibizione del vecchio messale: parla di “rottura senza precendenti” nella storia della liturgia. Quella libertà di parola mi ha colpito – e mi colpisce ancora di più ora che egli è papa – in senso favorevole: egli cioè ci insegna che c’è un modo ecclesiale di essere critici, anche totali, di una decisione papale. Perchè di questo si tratta: il cardinale Ratzinger non solo critica, ma sostanzalmente respinge alcune decisioni di quel papa contenute nelle sue “istruzioni” postconciliari, in specie quelle riguardanti la traduzione integrale della messa nelle lingue moderne, la redazione del nuovo messale, la proibizione di quello antico e le indicazioni a riguardo dell’altare rivolto al popolo. Non mi pare che altri papi dell’ultimo secolo fossero stati pubblicamente altrettanto critici, da cardinali, di un loro predecessore. Vedo qui una delle novità liberanti di questo pontificato.
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