Ho pensato molto a Sergio d’Elia (vedi post precedente) in queste settimane di aggressione nei suoi confronti e sono lieto che la canea inscenata da quanti lo volevano far dimettere sia fallita. Dovremmo interessarci molto di più a chi è in carcere e alle sue possibilità di recupero. Ed esultare ogni volta che uno si riscatta. Anche il gesto di clemenza per i carcerati dovremmo pensarlo come finalizzato soprattutto alla funzione correttiva della pena. Ma più in generale bisognerebbe che sentissimo il mondo carcerario, con i suoi enormi drammi, come parte della società e quegli uomini come fratelli. Si impone sempre più, invece, la tendenza ad allontanare le carceri, anche fisicamente, dalle città. Ho parlato ultimamente con uno che è stato in diversi carceri e che dice: “Il peggiore era quello nuovo poco fuori Ancona, in campagna. Lì non arriva nessun rumore. A San Vittore si sente il tram, all’Ucciardone puoi ascoltare i ragazzi che gridano fuori???. Occorre opporsi al trasferimento delle carceri in campagna. Viene meno il senso della reciproca appartenenza.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
“Non intendo rimanere ostaggio della memoria, del mio passato, per quello che ho fatto e per quello che non ho fatto. Non intendo subire la maledizione del mito di Sodoma, che condanna a volgere lo sguardo all’indietro, marchiato a fuoco sulla pelle con una frase indelebile: tu non cambierai mai”. Così Sergio d’Elia (vedi post del 3 giugno: “Solidale con Sergio ex terrorista e deputato”). Credo che il “mito di Sodoma” (o forse della “moglie di Lot”, che guardando indietro diviene di sale) sia il frutto di un equivoco tra intervistato e intervistatore, ma in queste parole, riportate ieri dal “Corriere della Sera”, trovo un sentimento della vita che i cristiani dovrebbero avvertire come simile al loro: che cioè nessuno – sia pure un terrorista, come fu d’Elia – è condannato a non cambiare, come se non possa vincere l’istinto a volgersi indietro e quella vista lo tramuti ogni volta in una statua di sale. Gesù considera sempre aperto in avanti il destino d’ognuno, mai bloccato all’indietro.
“Il lieto amore con il quale i nostri genitori ci accolsero e accompagnarono nei primi passi in questo mondo è come un segno e prolungamento sacramentale dell’amore benevolo di Dio dal quale veniamo”: era questa la seconda citazione che volevo fare dai discorsi spagnoli di Benedetto XVI, a segnalazione (vedi post dell’11 luglio) di ciò che intendo quando penso al papa che parla a nome di tutti i cristiani. L’impegno inventivo che Benedetto mette nel proporre gli elementi forti della vocazione evangelica è forse il suo dono migliore. Egli ha la voce per farlo, egli lo fa a nome di tutti. Ecco un’altra citazione dall’omelia di Valencia, indicativa di quella capacità di comunicazione dell’attrattiva d’amore del messaggio evangelico: “Maria è l’immagine esemplare di tutte le madri, della loro grande missione come custodi della vita, della loro missione di insegnare l’arte di vivere, l’arte di amare.”
“Voglio dire che anche oggi, nel contesto della cultura moderna, con tutti i problemi che abiamo, anche oggi è possibile credere in Gesù Cristo, la luce che ci orienta anche nelle circostanze attuali”: sono parole dette ai giornalisti da Benedetto XVI durante il volo Roma-Valencia, sabato scorso. Le propongo come l’esempio più semplice di ciò che intendo quando affermo che il papa teologo si pone continuamente di fronte alla difficoltà a credere che ha l’umanità di oggi e cerca come di viverla dentro di sè, per poter in qualche modo venire in suo aiuto. Sono parole simili ad altre che ognuno di noi si trova a pronunciare quando vuole rispondere alle domande dei figli, o dei genitori, o degli amici che chiedono se davvero crediamo – poniamo – alla resurrezione della carne. Mi propongo di tornare sull’argomento e di proporre domani un altro esempio, preso sempre dal viaggio a Valencia, di ciò che intendo quando indico il papa come un cristiano che parla a nome di tutti.
Se ne va Joaquin Navarro-Valls, uomo vivo e portavoce di due papi per quasi 22 anni e prende il suo posto il padre Federico Lombardi, vivissimo cristiano tenuto fino a oggi in faticosi ruoli amministrativi, alla Radio Vaticana e al Centro televisivo vaticano. Ho avuto una consuetudine quasi quotidiana con Joaquin da prima che diventasse portavoce, quand’era lui – corrispondente del quotidiano spagnolo ABC – a venire da me per sapere le cose e conosco Federico dalla metà degli anni ’70, quand’era il vice di Sorge alla Civiltà cattolica e mi chiamava a parlare ai gruppi scout dei quali era animatore. Ambedue hanno partecipato da fratelli alle mie vicende familiari, tragiche e liete. Dedico a loro questo pensiero: se la sfida epocale per ogni papa, oggi, è quella di essere un cristiano chiamato a parlare a nome di tutti (vedi post del 7 luglio), allora l’uomo che egli sceglie come sua voce dovrà aiutarlo a parlare a tutti. Ho maturato questa idea vedendo all’opera Navarro-Valls e ascoltando le radiocronache e le telecronache del padre Lombardi.
Mezza giornata di turismo nell’incanto di Valencia, in coda alla visita del papa. Ne approfitto per mandare agli amici del blog due cartoline. La prima rappresenta una pietra d’angolo dietro il Miguelete, la torre che domina la facciata della cattedrale. Ho girato a lungo intorno al fascinoso edificio in cerca di un’erma, una stele o una pietra delle fondamenta che possa essere stata tempio di Diana, chiesa visigota, moschea, chiesa del Cid Campeador e di donna Jimena, di nuovo moschea e di nuovo chiesa (vedi post dell’8 luglio) e mi figuro d’averla trovata per l’appunto dietro il Miguelete, dov’esso si raccorda con un angolo rientrante all’edificio. La dedico ai cultori del meticciato di civiltà, ai quali forse potrei apparentarmi. E in primis al patriarca Angelo Scola, che ha proposto quel motto d’epoca. – La seconda cartolina ritrae le due catene del porto di Marsiglia, che vedi appesi alla parete di destra e a quella di fondo della “Cappella del santo Caliz”: furono tagliate e asportate dagli aragonesi con un atto di pirateria nel 1423 e qui appese come reti da pesca ad asciugare e come… ex voto! Beato quel tempo in cui ci si assaliva tra cristiani e si lodava Dio per la buona riuscita dell’assalto, che voleva dire – ovviamente – rapina e fraterno scannamento. Questa cartolina la dedico a quelli che sanno vedere gli aspetti negativi della modernità, senza dimenticare quelli positivi.
Un visitatore che si firma Francesco73 ha osservato in un commento, a proposito dei toni bassi di papa Benedetto, che “il nostro tempo non può fare a meno della scossa dei grandi gesti”. Non mi attendo grandi gesti da papa Ratzinger. Immagino che riuscirà comunque a scuotere il mondo con la concentrazione sul cuore del messaggio: Deus caritas est. Credo non vi sia messaggio più terremotante. Ma intuisco un dramma del tempo nel suo destino di papa. Egli avrebbe bisogno di una lunga stagione per la sua pedagogia dell’essenziale, ma non ne dispone, essendo stato eletto all’età in cui Wojtyla compiva vent’anni di pontificato. Non gli resta che scommettere sul tempo di Dio, che può essere lungo in una breve durata.
Sono con il papa nella cattedrale di Valencia e il cuore sfarfalla all’idea che questo luogo e parte di queste pietre furono tempio pagano in epoca romana e quindi chiesa cristiana e poi moschea, tra l’VIII e l’XI secolo. Per la seconda volta chiesa cristiana con il Cid Campeador, appena otto anni, tra il 1094 e il 1102. Di nuovo moschea e stavolta per piu` di due secoli, poi che Valencia fu ripresa dai mori e tolta alla sposa del Cid, donna Jemena, che l’aveva tenuta ancora per tre anni dopo la morte di lui. Torna a essere una nostra chiesa dopo la reconquista definitiva del 1238, da parte di Giacomo I d’Aragona. Una volta tempio pagano, due volte moschea e tre volte chiesa: che altro ti puo`capitare se sei terra o pietra?
Un visitatore del blog mi chiede che differenza io veda tra il papa che governa e il papa che parla a nome di tutti (vedi post precedente). Il papa che parla a nome di tutti è Giovanni Paolo II che si oppone alla guerra (a ogni guerra) e alla manipolazione genetica, che chiama fratelli maggiori gli ebrei e fratelli i musulmani. Il papa che governa è Giovanni Paolo II che promulga il codice di diritto canonico, che nomina i vescovi di tutto il mondo, che fa annunciare la scomunica di Marcel Lefebvre. Il papa che governa formulando leggi e applicandole resta il papa della Chiesa cattolica. Il papa che si pone a portavoce del Vangelo sulla scena del mondo potrebbe essere riconosciuto, domani, da tutti i cristiani. Immagino per il futuro prossimo una diminuzione della componente di giurisdizione del papato, parallela a un’esaltazione della dimensione apostolica. Per il futuro lontano sogno un papa apostolo investito del compito di attestare il Vangelo a nome di tutti i cristiani.
Sabato e domenica, 8 e 9 luglio, sarò a Valencia con il papa: sono felice di andarvi, anche perchè non ho mai visto Valencia, la ciudad del Cid Campeador! Ma sono attirato ovviamente dall’avventura conoscitiva del nuovo papa, che non è mai così viva come quando viaggia. A Roma il papa – qualsiasi papa ma soprattutto questo, che tende a nascondersi – è come coperto dalla ritualità che l’avvolge e lo riconduce, ogni momento, all’ombra dei predecessori. La visibilità papale si fa massima, invece, nelle trasferte. Allora egli è raggiungibile da ogni lato e non solo frontamente, come quando si affaccia alla finestra. Non parlo – si capisce – della sola visibilità fisica e gestuale, che è anch’essa importante: la novità delle situazioni esalta la percezione delle scelte, degli insegnamenti. Tanto più se non siamo semplicemente in attesa di capire il suo “governo”, ma se lo guardiamo come si guarda a un cristiano chiamato ad agire a nome di tutti. Ho già detto per il viaggio in Polonia (vedi i post del 25 maggio-1° giugno) che questa è la mia intenzione, quando mi applico a capire un papa. L’andata in Spagna merita il massimo d’attenzione, in quanto ci va per la famiglia e in Spagna c’è un conflitto politico su di essa più vivo che da noi. Che fa in quella situazione il cristiano che porta la responsabilità di parlare a nome di tutti? Parto con questa domanda negli occhi. A risentirci.
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