“Dio non è solitudine infinita, ma comunione di luce e di amore, vita donata e ricevuta in un eterno dialogo tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo: Amante, Amato e Amore”: così ha parlato il papa teologo ieri all’Angelus. Una parola calda, inventiva. Non è la prima volta che Benedetto XVI scommette sulla forza della sua parola e credo che un giorno tutti se n’avvedranno. Prometto ai visitatori del blog di segnalare le manifestazioni di quella forza. Qui richiamo i cinque casi che più mi avevano colpito fino a domenica. “Il deserto dell’oscurità di Dio”, disse il 24 aprile 2005, durante la celebrazione di avvio del pontificato, elencando i tanti deserti in cui si smarrisce, come la pecora evangelica, l’umanità di oggi. ” Nella Chiesa vi sono soltanto liberi fratelli e sorelle di Gesù Cristo. Vento e fuoco dello Spirito Santo devono senza sosta aprire quelle frontiere che noi uomini continuiamo a innalzare fra di noi”: 15 maggio 2005, Pentecoste. A Colonia, il 21 agosto scorso, propose un’audace similitudine tra il mistero eucaristico e la fissione nucleare: “È questa, per usare un’immagine a noi oggi ben nota, la fissione nucleare portata nel più intimo dell’essere – la vittoria dell’amore sull’odio, la vittoria dell’amore sulla morte. Soltanto questa intima esplosione del bene che vince il male può suscitare poi la catena di trasformazioni che poco a poco cambieranno il mondo”. Con analoga intuizione, la notte di Pasqua in San Pietro parlò di “grande mutazione” a proposito della risurrezione: “La risurrezione di Cristo (…) è – se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia”. A Czestochowa, il 26 maggio, ha detto che nella fede possiamo “toccare” Dio: “Mediante la fede possiamo aprirci un varco attraverso i concetti, perfino quelli teologici, e possiamo ‘toccare’ Dio vivente. E Dio, una volta toccato, ci trasmette immediatamente la sua forza”. Per dire il mistero, Benedetto forza la lingua. Il fatto di non essere italiano gli dà una maggiore libertà, almeno per quanto riguarda la traduzione dei suoi testi nella nostra lingua. Ne sentiremo di straordinarie. La forza delle parole si addice a Ratzinger, come Wojtyla si avvaleva di quella dei gesti.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
“Io, musulmano, al pellegrinaggio di Loreto”: leggo sul Corsera di oggi l’appello di Magdi Allam ai musulmani d’Italia perchè prendano parte al pellegrinaggio a piedi Macerata-Loreto e tifo perchè l’appello abbia successo. Considero una bella festa quel pellegrinaggio e ne ho seguito da giornalista una delle edizioni di partenza. Vi partecipano regolarmente alcuni miei parenti, che sono di Recanati. Che Maria sia “la figura unificante del cristianesimo e dell’islam” mi è apparso chiaro ogni volta che ho detto a un musulmano che ho una figlia che si chiama Miriam: “Ma è un nome nostro!” C’è infine un altro motivo, che mi fa bella l’idea del collega Magdi: Miriam è anche – e inizialmente – un nome ebraico e quando sono al mare, a Santa Marinella, in uno stabilimento frequentato da ebrei romani, se chiamo “Miriam” qualcuno si avvicina e si informa se per caso siamo ebrei. In Miriam e nella figura del Messia e in salmi che sono passati dall’ebraismo al cristianesimo e all’islam le tre fedi possono trovare una felice occasione di incontro. Ne sono certo.
Vedo in metro uno zingarello di cinque anni con la pianola a tracolla, che tende la mano. Gli do una moneta, fa lo stesso una donna accanto a me. Lo scugnizzo mette subito in tasca la prima moneta e poi l’altra, serio e soltanto quando le ha riposte ci ringrazia tutti e due con un sorriso. “E’ solo” dico io. “Solo!” fa lei con un brivido da madre. Mistero degli zingari. Mi viene in mente il padre Livio di Radio Maria che un giorno leggeva una notizia di giornale su due zingare che pareva avessero tentato di “rubare” un bambino e commentava: “Non dobbiamo essere prevenuti e pensare magari che gli zingari siano tutti uguali. Proprio ieri ho trovato una zingara che elemosinava davanti al supermercato e nessuno gli dava niente, allora gli ho dato io una moneta per combattere il pregiudizio”. Con padre Livio – che nominavo anche ieri – una volta sono d’accordo e un’altra no, ma apprezzo il suo spirito libero.
“La data di oggi è 06.06.06: seicentosessantasei – aguzzate l’ingegno amici miei”: così il padre Livio, a Radio Maria, nel Caffè mattutino, che è l’angolo creativo della sua rassegna stampa. Allude ovviamente ad Apocalisse 13, 18, dov’è indicato cone 666 “il numero della Bestia”. Mi chiedo che cosa abbia voluto dire il simpatico padre Livio e che cosa abbiano capito gli ascoltatori, che credo siano alcuni milioni. Egli sempre allude al Maligno che affila il forcone. Io credo come lui che l’affili, ma non ho alcun sentore che l’affilamento sia per risultare maturo oggi, grazie a una sequenza numerica che dipende soltanto dal nostro modo di organizzare la numerazione dei giorni. E se la Bestia seguisse il calendario giuliano, invece di quello gregoriano?
Papa Ratzinger torna sulla gioia di amare, di cui aveva parlato nell’enciclica Deus caritas est (Dio è amore) e scongiura i giovani a liberarsi dal “pregiudizio” che i Comandamenti biblici siano di ostacolo all’amore umano. Qui davvero i cristiani si giocano il rapporto con la nuova generazione, a partire dai loro figli, che continueranno ad allontanarsi da ogni Chiesa fino a che non resteranno convinti che quell’ostacolo è caduto. Perchè fino a ieri l’ostacolo c’è stato, non per responsabilità dei Comandamenti ma della loro interpretazione tradotta in precetti. Ora l’ostacolo non c’è più, ma resta la sua ombra lunga, come per ogni convincimento durato secoli e fatto valere anche con gli strumenti dell’autorità. Più che opera di un papa, o di altri portavoce delle Chiese, il superamento di quel pregiudizio può essere favorito dalle parole scambiate tra genitori e figli. I portavoce ecclesiali possono aiutarlo parlando meno di sesso e delle questioni a esso legate, di cui troppo si è parlato in passato e troppo ancora si parla.
Un prete di Padova, Marco Pozza, invita Andreotti in parrocchia a parlare di “ricerca di Dio” e tanti si scandalizzano. Ma don Marco tiene fede all’impegno: “C’è chi fatica ad andare oltre lo stereotipo di Andreotti mafioso, ma a parlare di fede potrei portare anche Provenzano”. Approvo. A proposito di Provenzano vedi sopra alle date 14 e 15 aprile. Quando si tratta della ricerca di Dio ognuno che sia disposto a parlarne va ascoltato, perchè non sappiamo chi potrebbe aiutarci. Il Vangelo mostra che i più vicini a incontrarlo sono le prostitute e i pubblicani.
“Senza vergogna. Un terrorista segretario della Camera”: così Libero apre l’edizione di sabato 3 giugno, menando scandalo per il fatto che Sergio D’Elia, eletto deputato nella lista della Rosa nel pugno, è segretario d’Aula a Montecitorio. Condannato a 25 anni per concorso in omicidio, ne sconta 12 e gli altri gli vengono abbonati a seguito di una fattiva dissociazione dal terrorismo. E’ fondatore di Nessuno tocchi Caino, che da dodici anni si batte contro la pena di morte. Mando la mia solidarietà a Sergio: non c’è vergogna nel riscatto dal crimine. Tra le accuse che portano Gesù alla morte c’è quella di aver chiamato a suoi discepoli esattori delle imposte e peccatrici.
Guardo in televisione la parata per la festa della Repubblica e ascolto dai colleghi telecronisti che ci sono oggi nel mondo 28 missioni militari italiane, impegnate in 19 paesi e tre aree geografiche. Missioni di pace, ovviamente. Vado su internet e trovo il documento Presenza militare italiana all’estero del Ministero della Difesa, aggiornato al 5 maggio, che dà in 8.514 il totale dei militari impegnati in quelle missioni: ne sono orgoglioso, mi pare una bella notizia, vorrei che fosse molto più diffusa. Ottomila nostri ragazzi che dividono contendenti e cercano di mettere pace tra popolazioni nemiche, procurano prefabbricati, pane, acqua e medicine a profughi e rifugiati. Ci vedo una forma attuale dell’evangelico “avevo fame e mi avete dato da mangiare”. Leggo in quel documento che nell’opera di ingerenza umanitaria siamo al terzo posto nel mondo per numero di uomini e al sesto per contributo alle spese. Nel soccorso ai disperati otteniamo dunque un piazzamento migliore che alle Olimpiadi, o nella ricchezza pro-capite.
Nel discorso di domenica ad Auschwitz Benedetto XVI non aveva nominato Hitler, il nazismo, l’antisemitismo e i sei milioni di ebrei mandati allo sterminio ed ecco che all’udienza generale di ieri, in piazza San Pietro, ha detto tutto questo, rievocando le tappe del viaggio in Polonia: “Proprio in quel luogo tristemente noto in tutto il mondo ho voluto sostare prima di far ritorno a Roma. Nel campo di Auschwitz-Birkenau, come in altri simili campi, Hitler fece sterminare oltre sei milioni di ebrei. Ad Auschwitz-Birkenau morirono anche circa 150.000 polacchi e decine di migliaia di uomini e donne di altre nazionalità. Di fronte all’orrore di Auschwitz non c’è altra risposta che la Croce di Cristo: l’Amore sceso fino in fondo all’abisso del male, per salvare l’uomo alla radice, dove la sua libertà può ribellarsi a Dio. Non dimentichi l’odierna umanità Auschwitz e le altre ‘fabbriche di morte’ nelle quali il regime nazista ha tentato di eliminare Dio per prendere il suo posto! Non ceda alla tentazione dell’odio razziale, che è all’origine delle peggiori forme di antisemitismo!” – Io trovo un’alta ironia in queste “correzioni”, come se avesse voluto dire ai critici più competitivi: se vi fa tanto problema che io non abbia detto quelle parole, eccole!
Ieri si inaugurava – con una lectio magistralis del cardinale Walter Kasper – in via della Conciliazione 37 una libreria del Centro editoriale dehoniano. Siamo presenti quattro giornalisti che chiediamo a Kasper un commento sulle critiche a quanto detto dal papa ad Auschwitz e il buon cardinale si sfoga: “C’è chi pone domande e poi controlla le risposte e non ammette che qualcuno si ponga domande sue e non di altri. Il papa non ha fatto un discorso da politico, che deve rispondere all’attesa dei più. Ha posto le domande più profonde, quella sul silenzio di Dio innanzitutto, che è la domanda di molti ebrei e su questa si è fermato. Il suo discorso è stato di altissimo livello, straordinario”. E ancora: “Un papa tedesco che va ad Auschwitz compie un cammino molto molto difficile. Sono tedesco anch’io e questo penso di poterlo dire! Chi ha visto il suo volto in quel momento capisce che cosa io voglia dire. Fare un discorso in quel luogo per lui era difficile e certamente avrebbe preferito restare in silenzio, ma non poteva tacere. Perciò è essenziale ciò che ha detto, non ciò che non ha detto”. Voglio aggiungere che anche a me sembra curiosa questa attesa al varco del papa che parla: dice pensieri profondi, drammatici, mostra di interrogarsi in profondo, riconosce che non tutto si riesce a intendere di quel mistero del male; ma tra chi legge si scatena una gara a chi trova più obiezioni. A parte la questione delle responsabilità tedesche – un “gruppo di criminali” che “usa e abusa” del popolo, ai suoi fini “di distruzione e di dominio” – tutte le altre obiezioni mi sono sembrate piccine. “Non ha detto Shoah, non ha nominato Hitler e il nazismo, non ha ricordato i sei milioni di ebrei che furono sterminati, non ha nominato l’antisemitismo”. Nella bozza del testo non c’era “Shoah”, parola che poi il papa ha pronunciato due volte, come a dire che questo non era un problema. Ma c’era il concetto, tanto che uno degli inserimenti il papa l’ha fatto a modo di sinonimo: “Con la distruzione di Israele, con la Shoah”. Se c’è il concetto che importanza ha la parola? Lo stesso vale per gli altri casi e per i milioni di ebrei. E’ necessario dire sempre tutto? Si può ragionevolmente temere che Ratzinger voglia abbellire Hitler, o voglia proteggere l’antisemitismo? A che pensa quando implora Dio che “non permetta mai più una simile cosa”? Anche l’accusa d’aver taciuto sulle responsabilità della Chiesa in materia di antigiudaismo mi sembra fuori luogo: non ha senso pretendere dal papa che visita Auschwitz un riepilogo dell’elaborazione svolta dalla Chiesa cattolica sulla questione ebraica negli ultimi cinquant’anni. Dice ciò che gli preme in quanto papa tedesco e successore di un papa polacco, ed è tanto e dovrebbe bastare. Forse sarebbe stato meglio se non fosse entrato nella questione disputata delle responsabilità del popolo tedesco e dei suoi governanti. Ma io penso si debba rispettare la coscienza e il sentimento di uno che appartiene a quel popolo, almeno nel giorno in cui compie una così dolorosa confessione. – Suggerisco due letture a chi è interessato ad approfondire l’idea che l’uomo Ratzinger si è fatto del nazismo, in oltre sessant’anni di dolorosa riflessione: L’Europa in guerra e dopo la guerra (pp. 75-80 del volume J. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, San Paolo 2004), i primi cinque capitoli – in particolare quello intitolato Servizio militare e prigionia – del volume La mia vita. Autobiografia, San Paolo 1997. Vi appare chiaro che non si può attribuire al professore e cardinale Ratzinger un’intenzione banalmente assolutoria del proprio popolo.
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