Massimo Alberizzi, innamorato dell’Africa, raccontava sabato sul Corriere della Sera una dolorante visita a un ospedale di Goma (Congo orientale), fondato da una dottoressa canadese, che ha curato in due anni cinquemila donne violentate dalle bande di quella inestricabile guerra tribale. Storie come incubi, sotto teneri nomi: Francine, Bernardine. Ecco quella di Linda, che attesta la lotta per la vita combattuta oggi dalle donne africane e come la possa echeggiare un cronista che si fa tutto a tutti: “Ero incinta e stavo lavorando il campo quando sono arrivati i nemici e mi hanno stuprato. Il bimbo ha cercato di nascere ma è morto. Mio marito si è sposato con un’altra. Ora sono sola. Spero che Dio mi assista”. Metto Linda accanto a Jennifer (vedi post del 9 e 12 maggio), tra le sorelle della vita che ci aiutano a credere che vi sia un domani per la povera umanità.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Mando un abbraccio a Orazio Petrosillo, a Claudia e alle loro due figlie: da ieri Orazio – il caro collega vaticanista del Messaggero – è al Gemelli, dopo le due settimane passate all’ospedale di Aosta, dove è stato operato per ictus il 23 luglio. Era a Introd per seguire la vacanza del papa. L’ultimo giorno del soggiorno sulle Alpi papa Ratzinger ha pregato con Claudia e ha benedetto le fedi del loro trentesimo di matrimonio. “Una luce contro l’oscurità quotidiana” è intitolato il commento al Vangelo domenicale apparso oggi sul Messaggero, dedicato alla “Trasfigurazione del Signore”, che Orazio aveva scritto prima di partire per la Valle d’Aosta. Affido alle parole di quel titolo il mio augurio al collega, gran lavoratore e lieto amico. Un bacio a Claudia, da trasmettere a Orazio, che l’aiuti a vincere questa scommessa.
Riferisco i dialoghi ascoltati in giro e le scritte sui muri perchè sono convinto che la bellezza sia frequente nelle parole della gente.
– Ti sei annoiato ad aspettarmi?
– Per niente. Guardavo i passanti…
– Sono restata là dentro più di un’ora!
– C’erano le mura e c’era questo bel sole. Lo sai che io trovo amici dappertutto.
(Dialogo ascoltato alla fermata del bus 62 davanti a Porta Pia, a Roma)
Nei giorni scorsi in questo blog c’è stata tempesta sulla figura del papa: se parli a nome di Dio, se sia scelto dallo Spirito Santo e così via. Più di un visitatore aveva auspicato che qualche teologo ci venisse in aiuto. Uno infine ci ha scritto, da me sollecitato: si tratta di don Vito Impellizzeri, che insegna teologia fondamentale alla Facolta teologica di Sicilia, giovane e simpatico amico. Metto qui il suo messaggio. Buona lettura.
Caro Luigi, carissimi nuovi amici, doppia e piacevole sorpresa mi costringe ad entrare in questo nuovo spazio di scambio e di arricchimento vicendevole:
– la telefonata di Luigi Accattoli, che seguo fedelmente nelle sue pubblicazioni,
– la lettura nel blog di un grande interesse intorno alla questione del Papa, del primato petrino. Accanto a questo la speranza di condividere la fatica dello studio teologico e di aiutare qualcuno (e lasciarmi aiutare) per una maggiore consapevolezza credente, resa solida dalla teologia e dal magistero.
Intorno alla delicata questione petrina, alcuni criteri determinanti, non proprio a caldo ma riflessi, e una proposta di lettura per l’approfondimento:
L’unità della Chiesa è la ragion d’essere del ministero petrino ed il contesto in cui situare la sua interpretazione.
Un primo binomio inseparabile è la relazione fra Chiesa e Papa. È riduttivo un approccio “personalista” al ruolo e alla figura del Papa, occorre averne un approccio ecclesiologico; cioè: è dentro la riflessione teologica sul mistero della Chiesa che trova luogo teologico la riflessione sul compito e il servizio del Papa.
È importante allora considerare che il problema nella sua ampiezza teologica va letto come espressione del rapporto fra Chiesa Universale e Chiesa Locale, fra la Chiesa di Roma, che presiede nella carità, e le altre chiese locali. Oggi questo orizzonte teologico viene ampliato dalla delicata questione ecumenica, di dialogo cioè con la Chiesa Sorella di Oriente e la comunità ecclesiale luterana.
Questo duplice orizzonte ecclesiologico pone finalmente nella sua giusta dimensione il rapporto fra Dio e la parola: la comunicazione, la possibilità di giungere a conoscere il mistero della sua volontà. Il rapporto fra Dio e la Parola ha ancora diversi orizzonti teologici che determinano il suo luogo:
– la Rivelazione, dove è il Figlio la Parola piena rivelatrice del Padre, il Verbo fatto carne, con la pienezza della sua vita pasquale, profeticamente annunciato e atteso dall’Antica Alleanza.
– la Scrittura, la Parola di Dio, dove la vita del Figlio viene donata per opera dello Spirito (Dei Verbum parla della Parola Viva del Vangelo), dove Dio interviene ispirando gli autori sacri con il dono del suo Spirito, dove la vita del popolo eletto di Israele, la vita della Chiesa nelle sue origini si intrecciano in un meraviglioso connubio con la volontà di Dio, con la rivelazione del volto misericordioso di Dio, con le esigenze di una vita autenticamente di sequela dietro a Gesù.
– La trasmissione della fede, il passaggio della memoria di Gesù, origina allora la Tradizione, cioè questa trasmissione viva della fede, questa continua testimonianza, sostenuta dalla presenza dello Spirito, che trova suo luogo privilegiato nella successione apostolica. Con essa gli apostoli passano ad altri e nuovi apostoli, i vescovi, il deposito della fede, l’annuncio della risurrezione, la bella notizia del vangelo, è garantiscono alla Chiesa l’unità della fede, capace di attraversare la storia con il dono della comunione, per la presenza dello Spirito.
– Dentro questa vitalità della Chiesa trova allora il suo luogo specifico il Magistero, per la successione apostolica responsabile della difesa del deposito della fede, chiamato a interpretare secondo le esigenze e le attualità della storia il messaggio e la vita di Cristo.
In questo pieno orizzonte teologico articolato fra Scrittura – Tradizione – Magistero trova significato la questione del ministero petrino.
Nel Proemio della Costituzione Pastor aeternus il Concilio Vaticano I descrive il significato del primato petrino. Esso affermava che, secondo il volere di Dio, nella Chiesa tutti i fedeli devono essere mantenuti insieme dal legame della fede e dell’amore. Lo stesso concetto riprende un recente articolo della Congregazione per la dottrina della fede del 2002 (P. Rodriguez et al., Natura e fini del primato del Papa: il Vaticano I alla luce del Vaticano II, in Il primato del successore di Pietro nel ministero della Chiesa, Città del vaticano 2002, 81-111). Inoltre il Vaticano II ha ribadito l’importanza della Chiesa locale, della comprensione sacramentale del ministero episcopale e soprattutto della comprensione della Chiesa come communio.
Questa è la scelta bella del Vaticano II di superare una concezione piramidale e unilaterale della Chiesa, sostituendola con una concezione condivisa nella quale le diverse istituzioni ed istanze hanno la loro rispettiva e insostituibile funzione e interagiscono reciprocamente. Una tale visione condivisa, che lascia spazio alla libertà dello Spirito, potrebbe essere il risultato di una più ampia ricezione del Vaticano II. (cf. O. Clément, Rome autrement. Un orthodoxe face à la papaute, Paris 1997, 59-64).
È importante leggere il ministero del Papa nell’orizzonte conciliare della Chiesa come mistero di comunione e dentro il grande sforzo ecumenico, voluto chiaramente sia da Paolo VI che da Giovanni Paolo II (basta richiamare l’Ut unum sint) e continuato oggi da Benedetto XVI, soprattutto nel dialogo fra cattolici e ortodossi.
Gesù chiamando Pietro come pietra ha spiegato la sua funzione nella Chiesa, nel senso pieno e bello di servizio. La Chiesa dei primi secoli visse la sua esperienza della fedeltà della comunità di Roma nella persecuzione e nella disputa con la gnosi, il suo ruolo nella fondazione del canone biblico, il ruolo dei vescovi, che molto presto assunsero la responsabilità dell’unità della Chiesa.
Giovanni Paolo II richiamandosi al vescovo martire Ignazio di Antiochia parla del “primato di Roma come il primato dell’amore”. È una bellissima interpretazione spirituale sulla base dell’idea di servizio, servizio all’unità, servizio e segno di misericordia e di amore. Occorre parlare di “servizio petrino” e non più di “papato”. Esso è un servizio pastorale sull’esempio di Gesù Buon Pastore, che dà la vita per le pecore. (1 Pt. 5, 2-4).
Per l’approfondimento propongo: W. Kasper (ed.), Il ministero petrino, Città Nuova, Roma 2004.
Questo mio non è esattamente un intervento immediato e spontaneo … pazienza! Don Vito.
“Dio c’è ma non si lascia coinvolgere”, diceva una scritta murale del “maggio francese” (1968) che indica bene il sentimento dell’umanità di oggi. NelIa primavera del sessantotto avevo 24 anni e posso attestare che da allora ho visto i credenti ingegnarsi in mille modi a smuovere l’incredulità dei contemporanei, ma sono venuto convincendomi che dovrebbero piuttosto impegnarsi a provocare il coinvolgimento di Dio. Questa svolta potrebbe operarla papa Benedetto, che da cardinale aveva parlato così della finalità alla quale dovrebbe applicarsi “la forza della preghiera, della fede e dell’amore”: “Grazie a questa forza Dio viene sollecitato a lasciarsi coinvolgere nella storia del mondo perchè tra gli uomini si diffonda una scintilla della sua luce” (Joseph Ratzinger in colloquio con Peter Seewald, Dio e il mondo, San Paolo 2001, p. 62).
“Due parole: Davide parlami…”: letto a Roma, in via Marcora, vicino alla sede delle Acli. Mi ricorda un altro messaggio murale, letto il marzo scorso a Bologna, in via Zamboni, zona Università: “Fede anche se tu non mi vuoi sentire io scrivo qui che sono innamorata persa di te“. Invito i visitatori del blog a segnalare le scritte che trovano sui muri. Aiutano ad ascoltare la passione degli umani.
Nei giorni scorsi un post intitolato Se Benedetto avesse interrotto la vacanza ha avuto un massimo di commenti (53) che si sono aggirati in prevalenza intorno al linguaggio con cui parlare del papa. Mi sono trovato a segnalare ai visitatori più caldi alcune espressioni che ritenevo eccessive, osservando che lo stesso Benedetto le avrebbe disapprovate. Tra esse ve ne erano un grappolo riguardante l’elezione del papa: “Dal momento che è scelto da Dio”, scriveva per esempio una visitatrice. Nella testa mi ronzava un testo ratzingeriano che ridimensionava simili espressioni devozionali, ma non riuscivo a rintracciarlo. Infine l’ho ritrovato e lo offro ai visitatori traducendolo dall’inglese, ma riporto anche il testo inglese che a sua volta lo traduceva dal tedesco: con le fonti giornalistiche la prudenza non è mai troppa. Si tratta di un’intervista alla televisione bavarese che risale al 1997, citata dal National Catholic Reporter del 14 aprile 2005. Alla domanda se lo Spirito Santo sia responsabile dell’elezione del papa il cardinale rispondeva: “Non direi così, nel senso che sia lo Spirito Santo a sceglierlo. Direi che lo Spirito non prende esattamente il controllo della questione, ma piuttosto, da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci. Così che il ruolo dello Spirito dovrebbe essere inteso in un senso molto più elastico, non che egli detti il candidato per il quale uno debba votare. Probabilmente l’unica sicurezza che egli offre è che la cosa non possa essere totalmente rovinata. Ci sono troppi esempi di papi che evidentemente lo Spirito Santo non avrebbe scelto”. In inglese: “I would not say so, in the sense that the Holy Spirit picks out the pope. I would say that the Spirit does not exactly take control of the affair, but rather like a good educator, as it were, leaves us much space, much freedom, without entirely abandoning us. Thus the Spirit’s role should be understood in a much more elastic sense, not that he dictates the candidate for whom one must vote. Probably the only assurance he offers is that the thing cannot be totally ruined. There are too many contrary instances of popes the Holy Spirit would obviously not have picked.”
Il ministro Clemente Mastella “dedica” l’indulto a Giovanni Paolo che al Parlamento aveva chiesto un “gesto di clemenza”. Ma Antonio Di Pietro contesta: “Sono certo che il papa pensasse ai poveri e agli sfortunati che sono in carcere e non ai corrotti e ai corruttori”. Ho già segnalato che Wojtyla nella lettera per il “giubileo nelle carceri” aveva chiesto un gesto rivolto a “tutti i detenuti” (vedi post del 29 luglio). Aggiungo che Di Pietro sbaglia quando restringe ai diseredati “la carità e la solidarietà” insegnate dai Vangeli: oltre che dei poveri, dei lebbrosi e delle prostitute, Gesù era amico dei pubblicani, che prendevano in appalto le imposte, facevano opera di strozzinaggio nei confronti della popolazione ed erano “collaborazionisti” dell’occupante romano. Erano cioè parte di quel ceto dei “senza dignità” al quale oggi appartengono i tangentisti. Ma più che con ogni altro mi trovo con Adriano Sofri, che oggi su Repubblica parla del “rischio del bene” a proposito di questi dodicimila che usciranno dal carcere e che di certo, in parte, torneranno a scippare, rapinare e corrompore.
Festa di saluto per Joaquin Navarro-Valls ieri sera, a Palazzo Cesi, in via della Conciliazione 51, offerta dai giornalisti accreditati presso il Vaticano (vedi post del 12 luglio). Salvatore Mazza di Avvenire, presidente degli accreditati (Aigav) parla a nome di tutti e dice del rapporto di amicizia e che i 22 anni del portavoce sono anche i suoi 22 anni di accreditato e dunque si sente legato a doppio a Joaquin. Il mio caso è diverso. Nei 31 anni del mio accredito ho conosciuto tre altri portavoce: Federico Alessandrini, Romeo Panciroli e Piefranco Pastore. Di tutti sono stato anche amico. Di Aessandrini anche perchè era di Recanati come me. Panciroli l’ho recuperato all’amicizia dopo che lasciò l’incarico (vedi post del 19 marzo), Pastore è stato più volte a casa mia. Navarro-Valls non è il primo laico chiamato a questo ruolo e Alessandrini lo era più di lui, che è pur sempre un consacrato dell’Opus mentre il mio conterraneo era sposato e padre. E non è stato il primo – dicevo – a giocare la carta dell’amicizia – o della complicità – con i giornalisti. Ma una singolarità l’ha avuta: è stato un vero uomo dei media e non un uomo di Chiesa che si affaccia sul mondo dei media. Quell’appartenenza al mondo della comunicazione l’ha aiutato a svolgere la funzione di regista dell’alleanza tra i media e il papato che si è realizzata con Wojtyla e Ratzinger, in funzione della loro predicazione al mondo e che io credo sia destinata a durare. Un’alleanza che prima non c’era e che ha pure aiutato questi papi nel governo della Chiesa.
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