Inaugurazione della Cappella dell’Adorazione, oggi ad Altoetting. Quando tutto è compiuto, cantato il Te Deum, Benedetto torna a inginocchiarsi e resta solo. Due volte si asciuga il sudore. Guada l’ostensorio. Lentamente il volto affaticato ritrova la luce abituale. Gli si avvicinano prima il cerimoniere Marini e poi il segretario don Georg e timidamente, di nuovo, Marini. Solo allora si muove. Cinque minuti di risposo in Dio. Per riprendere forza, per insegnare il silenzio. Ed eccolo dopo altri cinque minuti sul piazzale, che si muove di nuovo sveglio e svelto, libero dal pesante piviale che sotto il sole, per quei duecento metri, doveva essere un forno. Di nuovo parla con i bambini, stringe cento mani, riceve piccoli doni, bacia un pupo in braccio a una bella mamma.
Quei cinque minuti gli sono bastati per mostrare che, potendo, sarebbe restato, restato, restato.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
“Bene-detto Bene-detto” gridavano ieri e stamattina i tedeschi al loro papa, così come avevano fatto i polacchi in maggio (vedi post del 27 maggio): gridavano cioè in italiano il nome del papa tedesco. “Le lingue nate dalla divisione di Babele possono aiutare al riavvicinamento”, avevo commentato allora, dal momento che anche il papa aveva scelto di parlare ai polacchi in italiano, per evitare loro il soprassalto emotivo di ricevere la benedizione nella lingua delle esecuzioni capitali della seconda guerra mondiale. Ma stavolta non c’è quella ragione geolinguistica, stavolta abbiamo solo una riprova che l’italiano – con i papi non italiani – è diventato come una seconda lingua della cattolicità, dopo il latino.
Oggi a Monaco, in Marienplatz, Benedetto è tornato a rievocare la leggenda di Corbiniano mettendosi nella parte dell’orso, come aveva già fatto nell’ultima pagina del volume La mia vita (San Paolo 1997). Quell’orso l’ha anche voluto – insieme alla conchiglia e alla testa di moro – nello stemma prima episcopale e poi papale. San Corbiniano in cammino per Roma si imbatte in un orso che gli uccide la cavalcatura, forse una mula. Il santo ordina all’orso di prendere il posto della bestia uccisa… e così concludeva il cardinale Ratzinger la sua autobiografia: “Di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà all’orso. Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della città eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so che anche per me vale il detto di Sant’Agostino: sono divenuto una bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te”. Nella rievocazione della leggenda fatta ieri, papa Benedetto ha tolto l’allusione all’orso che potrebbe andarsene in Abruzzo o prendere la via delle Alpi: quelle eventualità dopo l’elezione a papa non sono più attuali. Ma da cardinale Ratzinger dev’essersi seriamente interrogato sulla possibilità di rimanere in Italia, magari in un monastero benedettino, poniamo Subiaco o Montecassino, o di scegliere un monastero della Baviera.”Quando sarò lasciato libero, non lo so” scriveva nel 1997, ma tre anni dopo era certo che l’avventura fosse alla fine e stesse per concludersi con l’avvicinamento dei 75 anni, tanto da scrivere sulla copertina di un volume pubblicato nel duemila: “Nel periodo della mia permanenza a Roma…”. Trovo qualcosa di biblico, del Signore che porta qualcuno dove non vorrebbe, nella chiamata al pontificato che raggiunge il cardinale Ratzinger a 78 anni compiuti. In questo sobbarcarsi a un peso non cercato e non atteso vedo l’aspetto più avvincente della missione di papa Benedetto: qualcosa come il segno di una disponibilità totale che si fa totale apertura. Oltre le attese, oltre le vedute coltivate.
Domani parto con l’aereo del papa per i cinque giorni del viaggio in Baviera. Vedrà i luoghi dove è vissuto, le persone con cui è cresciuto. I papi italiani tendevano a staccarsi dalle loro origini, Pio XII salutava gli italiani dicendo: “La vostra bella patria, l’Italia!” Papa Wojtyla ci ha insegnato l’importanza che può assumere la nazionalità di un papa e ora la lezione si ripete con la Germania. Anche noi, chissà, la scopriremo – quell’importanza – quando torneremo ad avere un papa italiano. Osserviamo intanto l’effetto che essa produce sugli altri popoli. Affronto i cinque giorni con questa attesa.
In vista del passaggio delle consegne al cardinale Bertone, che avverrà il 15 settembre, il cardinale Sodano pubblica un’antologia di suoi discorsi – intitolata Il lievito del Vangelo. La presenza della Santa Sede nella vita dei popoli – che fa presentare in Sala Stampa vaticana dai monsignori Gabriele Caccia e Pietro Parolin. I giornalisti fanno domande sul passaggio dal segretario di Stato “diplomatico” a quello “non diplomatico”. I due rispondono insistendo sulla “continuità” del servizio nella variazione delle persone. Io non trovo granchè interessante il fatto che ora avremo un segretario di Stato che non viene dall’esperienza diplomatica, perchè da essa non venivano neanche Gasparri e Villot. La vera novità la trovo nel fatto che un papa non diplomatico si sceglie un segretario non diplomatico: questa combinazione secca di due estranei alla diplomazia non c’era mai stata, lungo l’ultimo secolo. Vi vedo un nuovo segno – dopo quello dei papi non italiani – della fuoriuscita del papato dalla tradizione romanocentrica.
All’udienza di oggi il papa è tornato a usare la parola “paradosso” (vedi post del 30 agosto) per indicare la novità cristiana. Commentava la figura di Filippo e le parole “colui che vede me vede il Padre”, che Gesù gli dice durante l’ultima cena, in risposta alla domanda “mostraci il Padre e ci basta”: “Per esprimerci secondo il paradosso dell’Incarnazione, possiamo ben dire che Dio si è dato un volto umano, quello di Gesù, e per conseguenza d’ora in poi, se davvero vogliamo conoscere il volto di Dio, non abbiamo che da contemplare il volto di Gesù! Nel suo volto vediamo realmente chi è Dio e come è Dio!” Papa Benedetto insiste perchè il Vangelo venga percepito nella novità che apporta e nel contrasto in cui si pone con il senso comune (vedi anche post del 10 agosto). La parola paradosso è il rilevatore di questa intenzione.
Una coppia con figli torna dal mare e racconta la prenotazione on line della casa di vacanza e la scoperta d’essere finiti accanto a un cantiere edile in piena attività.
– Accidenti a Internet – dice lui – abbiamo dovuto tenerci tutto quel rumore per tre settimane!
– E’ stata una seccatura – dice lei – ma finalmente i bambini hanno visto costruire una casa, che è sempre una cosa interessante.
Rileggo la trascrizione della conversazione del papa con i preti di Albano (vedi post del 2 settembre) e colgo un’altra parola forte che segnalo all’intuizione dei visitatori: “Il problema è che questo (della liturgia, ndr) sia un momento che invita anche gli altri al silenzio con Dio e a pregare con Dio”.
Una donna vive da sola e porta fiori a casa. Ne regala uno al mendicante all’angolo.
La viva conversazione che il papa ha avuto giovedì 31 agosto con i preti della diocesi di Albano ha questa riflessione sul vescovo di Roma: “Ognuno di noi ha momenti in cui può scoraggiarsi davanti alla grandezza di ciò che bisognerebbe fare e ai limiti di quanto invece può realmente fare. Questo riguarda anche il Papa. Che cosa devo fare in quest’ora della Chiesa, con tanti problemi, con tante gioie, con tante sfide che riguardano la Chiesa universale? Tante cose succedono giorno per giorno e non sono in grado di rispondere a tutto. Faccio la mia parte, faccio quanto posso fare. Cerco di trovare le priorità”. Un anno addietro, parlando ai vescovi tedeschi durante la visita a Colonia, aveva detto, di fronte alla difficoltà della Chiesa con i giovani: “Che cosa dobbiamo fare? Non lo so”. Tutto possiamo attenderci da un papa che conosce la propria debolezza, perché si affiderà allo Spirito e non a quanto ha nella bisaccia.
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