Rileggo la trascrizione della conversazione del papa con i preti di Albano (vedi post del 2 settembre) e colgo un’altra parola forte che segnalo all’intuizione dei visitatori: “Il problema è che questo (della liturgia, ndr) sia un momento che invita anche gli altri al silenzio con Dio e a pregare con Dio”.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Una donna vive da sola e porta fiori a casa. Ne regala uno al mendicante all’angolo.
La viva conversazione che il papa ha avuto giovedì 31 agosto con i preti della diocesi di Albano ha questa riflessione sul vescovo di Roma: “Ognuno di noi ha momenti in cui può scoraggiarsi davanti alla grandezza di ciò che bisognerebbe fare e ai limiti di quanto invece può realmente fare. Questo riguarda anche il Papa. Che cosa devo fare in quest’ora della Chiesa, con tanti problemi, con tante gioie, con tante sfide che riguardano la Chiesa universale? Tante cose succedono giorno per giorno e non sono in grado di rispondere a tutto. Faccio la mia parte, faccio quanto posso fare. Cerco di trovare le priorità”. Un anno addietro, parlando ai vescovi tedeschi durante la visita a Colonia, aveva detto, di fronte alla difficoltà della Chiesa con i giovani: “Che cosa dobbiamo fare? Non lo so”. Tutto possiamo attenderci da un papa che conosce la propria debolezza, perché si affiderà allo Spirito e non a quanto ha nella bisaccia.
“Voi tutti mi scuserete per il ritardo. Sapevo di questa iniziativa, ma solo ieri ho potuto leggere alcune delle molte lettere che tutti voi avete scritto per dimostrare il vostro affetto, la vostra ammirazione, il vostro sgomento per la dura prova che Orazio sta sopportando. Molte delle vostre parole hanno toccato il cuore di mio marito e il mio. Sono sicura che molto meglio di come lo sto facendo io, saprebbe trovare le parole giuste per ognuno di voi. Non so ancora quando, ma vi assicuro che risponderemo personalmente a tutti voi. Per ora vi dico solo grazie. Una piccola parola che racchiude in sé tutta la riconoscenza per il grande aiuto che ci state dando con le vostre preghiere. Vi prego, continuate. Claudia B. Petrosillo”.
Claudia saluta con questo messaggio i 54 visitatori del blog, in maggioranza colleghi giornalisti, che hanno lasciato un “commento” ai post Un abbraccio a Orazio Petrosillo e Un nuovo abbraccio a Orazio Petrosillo pubblicati il 6 e il 13 agosto. In risposta a quei “commenti” avevamo già avuto un messaggio dai fratelli di Orazio, pubblicato il 24 agosto. A nome di tutti, un bacio a Claudia, alle due figlie e ai fratelli di Orazio.
“Paradosso” dei Vangeli: il papa oggi all’udienza ha usato questa parola forte per commentare il fatto che “Gesù non esclude nessuno dalla propria amicizia” e “accoglie tra i suoi intimi un uomo che era considerato un pubblico peccatore”, come Matteo l’esattore. “Nella figura di Matteo – ha detto – i Vangeli ci propongono un vero e proprio paradosso: chi è apparentemente più lontano dalla santità può diventare persino un modello di accoglienza della misericordia di Dio e lasciarne intravedere i meravigliosi effetti nella propria esistenza”. – Mi piace che il papa parli di “paradosso” dei Vangeli (mercoledì 23 aveva ricordato il “tipico paradosso cristiano” della sofferenza guardata come “punto di passaggio verso la felicità”), che troppo spesso vengono letti come le tavole del perbenismo. Tra quelli che oggi appaiono più lontani eppure vivono storie di conversione che li propongono come modelli di “accoglienza della misericordia” metterei i morenti di Aids che gridano a Gesù come il ladrone dalla croce.
Benedetto XVI ha nominato il nuovo arcivescovo di Genova, Angelo Bagnasco, mentre è ancora in carica il vecchio, il cardinale Tarcisio Bertone, che lascerà l’incarico soltanto il 15 settembre. I giuristi della Curia sono restati a bocca aperta: pare non si abbiano precedenti di due arcivescovi in contemporanea per una sede. Io sono contento di questa libertà dalle regole. Mi auguro che il papa teologo compia sempre più spesso gesti senza precedenti. Già era inedito che preannunciasse in giugno un nuovo segretario di Stato (che sarà Bertone) mentre era ancora in carica Sodano. Benedetto XVI vuole andare al cuore del cristianesimo che è la carità e sa che questo movimento richiede anche una certa libertà dalle consuetudini, dalla diplomazia e dal diritto.
Felice rientro dal giro della Sicilia, con due soste a Paola e Pompei. A Paola per un aggiornamento d’amicizia con don Pietro De Luca, che lì è parroco e del quale sono amico di penna e di computer da una ventina d’anni. Quando passo da Paola gli telefono e mangiamo insieme. Un uomo intelligente, amico dei giovani, abituato a trattare con i giornalisti. Tre ore con lui vale qualcosa come prendere il polso alla viva sofferenza della Calabria che ancora non trova la sua strada, ma la cerca con piena vigilanza. – A Pompei invece la sosta mirava solo a una nuova visita agli scavi, a 32 anni dalla prima. Ne è venuta invece un incontro che mette conto raccontare, con Ciro il parheggiatore, che fa parte della cooperativa “La Sosta”, con partita Iva e tutto il resto. Gli chiedo la ricevuta per i cinque eruro che gli do, “così può lasciare la macchina per tutto il giorno” e la compila e nel darmela mostra l’avambraccio pieno di tatuaggi, tra i quali un pugnale con la scritta “La Vendetta” e accanto una svastica. Ciro, ma che roba è? “Li ho fatti da giovane”, risponde. Minorenne? chiedo e risponde: “Sì, nel carcere minorile. Lei magari pensa che io sono chissà chi, perchè vede questa che oggi è la svastica, ma noi neanche lo sapevamo, solo che bisognava passare il tempo lì dentro”. E vendetta che vuol dire? “Se uno ti manda dentro, tu gli giuri vendetta”, spiega e mi rassicura: “Ma è roba passata, sono diventato vecchio come lei e non mi sono mai vendicato. Però che vuole, questi non si cancellano più!” Sei giorni addietro avevo letto sui giornali che sono un milione i minorenni incarcerati, oggi nel mondo. Immagino che in verità siano di più. Penso ai miei figli e dico che è una vergogna. Mando un bacio a Ciro e a tutti i ragazzi ammanettati. Penso per un attimo che se Gesù tornasse sulla terra non starebbe a preoccuparsi per le statistiche della messa, ma ci direbbe: “Un milione di ragazzi in carcere? Che aspettate a legarvi una pietra al collo e a gettarvi in mare?”
A Lentini ho un amico di gioventù, Armando Rossitto, che da sei anni è preside mite e combattivo del “Quarto istituto comprensivo Marconi” e da sempre animatore di “Libera”, l’associazione per l’educazione alla legalità e l’uso civile dei beni confiscati alla mafia. Con la passione con cui l’ha organizzato mi fa visitare – insieme agli insegnanti e agli animatori – il campo scuola estivo, che da cinque anni colora la vita dell’istituto e costituisce un evento linguistico, pedagogico e sociale per tutta Lentini. L’edizione in svolgimento si intitola La fattoria didattica e questo titolo (che allude alla possibilità che una fattoria sequestrata ai mafiosi possa essere destinata alla didattica) campeggia a lettere colorate sull’edificio scolastico. Il colore delle scritte e dei murales è la nota dominante del campo. I ragazzi ne sono calamitati. C’è partecipazione, scherzo e vita nel sito internet dell’istituto, nei corridoi, nelle aule. Ogni campo lascia una traccia di vivi colori in un’ala dell’istituto. Quest’anno è il refettorio a uscirne pittato a festa. La prima edizione, del 2002, intitolata Sbulla la città, invitava a liberare dal bullismo rampante la città di Lentini. Dal bene al meglio è stato il titolo del 2003, poi sono venuti Gli aquiloni della mente (che sono i libri), A quando le rondini? e La fattoria di quest’anno. Armando mi mostra al computer video e spot, entusiasmandosi per le parole e i gesti dei ragazzi. “Questo progetto ci aiuta a diventare persone oneste e giuste”, dice un bambino a nome di tutti durante una seduta di un consiglio comunale. Un ragazzo bosniaco termina così il racconto di una visita a Palermo: “Con questo viaggio ho scoperto una cosa che non si doveva mai scoprire a me: la felicità”. Il preside creativo mi offre una granita e mi indica un poster autoironico con su uno Snoopy che ghigna: “Nessun preside è più importante del Grande Bracchetto”.
Volo in rete. Installazione di Maria Rosa Marcantonio, Maria Sambataro, Pippo Sambataro. Dal 20 al 27 agosto 2006. Monte Etna, cono vulcano quota metri 2000 (c/o Funivia). La salita all’Etna è stata allietata dalla sorpresa di trovare questo annuncio di un episodio creativo di Land Art su un cartellone legato a un palo, nella zona dei Crateri Silvestri. Prima di leggere il cartellone avevo provato a dare io un titolo a quei fili che correvano da un sasso all’altro, con sospesi – ogni dieci metri circa – degli spezzoni di plastica bianca: La ragnatela del Monte Fato. E tutt’ora lo preferisco, il mio primo titolo, ispirato a Tolkien, a quello degli autori dell’opera: Volo in rete. Trovato il cartellone, ho avuto questa spiegazione: “Nelle maglie che si allargano, si estendono, si moltiplicano, crescono, sono presenti forme irregolari che ricordano i gabbiani in volo. Il volo, metafora dell’andare oltre, per un discorso di armonia, leggerezza, equilibrio tra gli uomini e la natura tutta. Dal fondo e dalla parete interna del cono vulcanico si dipartono fili elastici che intessono una rete leggera che si diffonde in tutte le direzioni e vibra al soffio del vento”. Il soffio del vento come fosse quello del vulcano. Scampoli di plastica bianca come gabbiani. E da questi accostamenti il mio titolo definitivo: Gabbiani sull’Etna.
Il giro della Sicilia al sole d’agosto sta per terminare quando entro nella cattedrale di Siracusa, luogo di meraviglie e mi chiedo che cosa più mi abbia preso, in queste giornate. Un posto speciale certo lo conquista il tempio di Segesta, se non altro per il fatto di poterci entrare, cosa che non è permessa a Paestum e ad Agrigento.La sensazione di poter fare un qualcosa che sarà proibitissimo domani. Come mi capitò l’hanno scorso, vedendo che potevo calpestare il pavimento della cattedrale di Otranto, una specie di Divina Commedia in mosaico. E la memoria quasi imbarazzante di quando arrivai a Roma la prima volta, nel 1966 e vidi che si poteva entrare in automobile in piazza San Pietro e in piazza del Campidoglio. Ogni tanto dico ai miei figli che caso inverosimile sia ancora l’attuale, che ci permette di transitare in auto tra la facciata e l’obelisco di Trinità dei Monti! Se uno ha questi timori, rischia le palpitazioni a entrare in un tempio dorico. E che dire della cattedrale di Siracusa, che fu ed è tempio di Athena e chiesa e moschea e di nuovo chiesa? Già mi ero riempito di stupore a Valencia, visitando la cattedrale, che sorge sul luogo di un tempio pagano che lasciò il posto a una chiesa che poi divenne moschea e tornò chiesa e fu rifatta moschea e infine ridivenne chiesa, ogni volta in gran parte abbattuta e ricostruita (vedi post dell’8 luglio: Tre volte chiesa e due volte moschea). Ma a Siracusa la meraviglia raddoppia, perché non solo ci troviamo a visitare un luogo che ospitò templi e chiese e moschee, ma entriamo in un ambiente che si è mantenuto attraverso queste mutazioni: le colonne del tempio greco sono inglobate nelle mura della cattedrale, visibili all’esterno e all’interno, mentre le muraglie della cella del tempio, opportunamente tagliate e – si direbbe – ritagliate, forniscono i pilastri della navata centrale. Colonne e muraglie spettatrici inalterate del culto pagano, di quello bizantino, di quello musulmano e di quello latino. Forse l’emozione delle emozioni l’ho avvertita in quella cattedrale. Riassunta così dalla battuta di una visitatrice – che immagino insegnante di storia – al marito e ai figli: “Aspettatemi in piazza. Voglio restare ancora un poco con queste colonne”.
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