“Ogni battezzato, come tralcio unito alla vite, può cooperare alla missione di Gesù, che si riassume in questo: recare a ogni persona la buona notizia che ‘Dio è amore’ e, proprio per questo, vuole salvare il mondo”: sono parole dette dal papa domenica all’angelus. Le segnalo per l’impegno preso con i visitatori del blog a documentare la forza di parola della predicazione papale. Con l’occasione recupero un passaggio dell’omelia di Verona, giovedì 19 ottobre: “Occorre tornare ad annunciare con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del Cristianesimo, fulcro portante della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza ogni paura e indecisione, ogni dubbio e calcolo umano. Solo da Dio può venire il cambiamento decisivo del mondo”. Si direbbe che quel “vento impetuoso” dia impeto alla parola di Benedetto. Ma la forza del suo dire non è solo dono, è anche frutto di disciplina espressiva. Sabato 21, inaugurando la nuova biblioteca dell’Università del Laterano, ha accennato al legame tra dono e arte nella parola cristiana: “Studiando le parole per trovare la Parola, siamo al servizio del Signore. Un servizio del Vangelo per il mondo, perché il mondo ha bisogno della verità. Senza verità non c’è libertà, non siamo completamente nell’idea originaria del Creatore”.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
L’agenzia Apcom ha trasmesso questa notizia: “La chiusura del telegiornale e dei programmi di approfondimento di Telepace è stata una delusione. I loro servizi erano per tutti gli ambasciatori dei servizi oramai diventati tradizionali. Per questo mi sono fatto carico di portare il malcontento dell’intero corpo diplomatico in Segreteria di Stato”. A parlare è l’Ambasciatore di San Marino, Giovanni Galassi, decano del Corpo Diplomatico presso la Santa Sede che, giovedì scorso, ha rappresentato al Vaticano il disagio della diplomazia accreditata alla Santa Sede per la cancellazione dei programmi giornalistici di Telepace. Sia il ‘Notiziario’ che il programma ‘Speciale Interviste’ di Telepace – da sempre chiamata l’emittente del Papa – si dedicavano in maniera specialistica, e spesso esclusiva, all’attività diplomatica della Santa Sede. “Su Telepace potevamo avere notizie sia degli incontri che il Papa aveva con capi di Stato e con tutti gli ambasciatori – prosegue Galassi – e questo era indubbiamente un modo per essere informati sulla visione internazionale e di vedere in faccia questi personaggi”.
“Tre cose ci sono che mi superano
e una quarta che non comprendo:
il cammino dell’aquila nell’aria,
il cammino del serpente sulla pietra,
il cammino della nave per il mare,
il cammino dell’uomo nella donna”.
Dedico ai visitatori del blog questi versi del libro dei Proverbi (30, 18-19) che mi incantano con le quattro istantanee sul mistero di quanto ci circonda e che culmina nella veduta dell’amore tra l’uomo e la donna, guardato con il massimo dello stupore. Possono aiutare a interpretare la scritta murale che riportavo al post precedente: “Questo sei tu dentro di me”.
“Il fiume sembra una strada, scorre tranquillo come all’inizio l’amore. Poi inevitabilmente scatena la sua forza irresistibile, inarrestabile. Questo sei tu dentro di me. Vivienne giugno 2005-giugno 2006”: letto a Verona sul Ponte di pietra, parapetto di sinistra, poco oltre la metà per chi viene dalla via di Pietra.
Romeo e Giulietta fanno foto sulla fontana di “Madonna Verona”, in pazza delle Erbe. Lei sale sul “piatto” della fontana, con l’acqua che le scorre sotto le scarpe da tennis. Lui le fa “più indietro” con un cenno della testa, lei si prende gli schizzi sulla schiena. Il ragazzo la guarda beato tra gli strilli.
Cento metri più in là, in piazza dei Signori, ho trovato il cartellone del “Toca ti” Festival internazionale dei giochi in strada. 22-23.24 settembre, di cui ci aveva parlato don Vito nel commento n. 2 al post del 25 settembre. Ne approfitto per mandare un saluto a don Vito.
Ho scritto (tre post più sotto) che i laici al convegno di Verona erano sì in maggioranza per numero, ma non per peso. Debbo però riconoscere che c’è stato un momento – io credo più importante d’ogni altro – in cui i laici sono stati egemoni e lo sono stati per decisione dei chierici: quello dei 16 “testimoni” della “Chiesa in Italia”, di cui ho già parlato all’inizio di questo blog (vedi post del 17, 18, 22 maggio). Segnalo ai visitatori il volumetto della San Paolo Sedici profili di testimoni della Chiesa in Italia, a cura del Comitato preparatorio del IV Convegno ecclesiale nazionale (141 pagine, 7 euro), tutto da leggere. Quei testimoni sono stati scelti dai vescovi delle sedici regioni “ecclesiastiche” in cui è divisa l’Italia. Dando la precedenza alle donne, ecco per la Liguria Itala Mela, una mistica del nostro tempo. Per il Lazio e per la Basilicata sono state segnalate Lorena d’Alessandro e Maria Marchetta, che hanno accettato con il sorriso grandi malattie. La Calabria e la Sardegna hanno proposto Concetta Lombardo e Antonia Mesina, che potremmo chiamare “martiri della dignità della donna” in quanto uccise da corteggiatori violenti. La più nota e più recente di queste sorelle forti è Annalena Tonelli, uccisa in Somalia nel 2003, proposta dall’Emilia Romagna. Tra gli uomini vi sono il politico Giorgio La Pira (Toscana), lo scienziato Enrico Medi (Marche), i pedagogisti Gesualdo Nosengo (Piemonte e Valle d’Aosta) e Giovanni Modugno (Puglie), il filosofo del diritto Giuseppe Capograssi (Abruzzo-Molise), il medico Vittorio Trancanelli (Umbria), l’imprenditore che vende tutto e va a soccorrere i poveri dell’America Latina Marcello Candia (Lombardia), i martiri dell’aiuto agli ebrei Giovanni Palatucci (Campania), della resistenza al nazismo Flavio e Gedeone Corrà (Triveneto), della giustizia Rosario Livatino (Sicilia). Forse nessuno di loro – o perché sconosciuti, o troppo noti, o troppo creativi – sarebbe stato chiamato a fare il delegato a un convegno ultraselezionato come questo. Ma a loro il convegno si è ispirato e io trovo bellissima tale scelta. Era bello passare tra i grandi poster che riproducevano le loro facce, per raggiungere l’auditorium del padiglione numero 4.
Piazza delle Erbe, spuntino al ristorante bar Alla Torre. Un passero svola sul mio tavolo a beccare le briciole. Il cameriere dice che viene sempre a questo ombrellone: “Si fida degli uomini”. Se tu fossi qui.
Sul discorso tenuto oggi dal papa a Verona ho fatto una cronaca e un commento per il Corriere della Sera e dunque qui non dico nulla dei suoi contenuti di più immediata rilevanza. Ma segnalo un passaggio minore e a me più caro, di quelli che aiutano a credere in quanto segnalano convincentemente la bellezza della fede cristiana. Si tratta del terzo paragrafo, intitolato Il Signore risorto e la sua Chiesa. In esso Benedetto riprende quasi alla lettera e poi sviluppa quanto aveva detto la notte di Pasqua nella basilica vaticana a proposito della risurrezione di Cristo (vedi post del 12 giugno: Ratzinger punta sulla forza delle parole): “Essa non è affatto un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande ‘mutazione’ mai accaduta, il salto decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, l’ingresso in un ordine decisamente diverso, che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo: per questo la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio alla fine dei tempi”. Tutto il paragrafo – che indica l’amore come “cifra di questo mistero” – è da leggere, ma io qui mi limito a riportare queste parole conclusive, che mi paiono le più belle: “Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la vita proprio lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte (…) La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé”.
Sono a Verona per il convegno ecclesiale e sono colpito da due fatti, come già a Roma nel 76, a Loreto nell’85 e a Palermo nel 95 (c’ero sempre): che è una bella assemblea e che è fatta per quasi metà di consacrati. I partecipanti a pieno titolo (escludendo gli invitati) sono 2457, dei quali 1262 laici. Gli altri sono cardinali (10), vescovi (213), preti (605), religiosi e religiose (322), diaconi (39), laici consacrati (16). “Una maggioranza di laici” scrivono i giornali. Ma si tratta di una ben misera maggioranza numerica e non affatto reale: cioè maggioranza quanto al peso delle presenze e alla loro rappresentatività. Non che in Italia non vi siano laici significativi, ce ne sono e come ma non sono qui. Qui vi sono i laici cooptati dalla gerarchia. Recriminare per questa prevalenza reale dei consacrati (per dire insieme vescovi, preti, religiosi e laici assimilati) sarebbe un lamentarsi della ricchezza: i consacrati vogliono dire tempo pieno, dedizione, cultura teologica, afflato biblico e spirituale. Vorrei tanto riuscire a dire che in questa Chiesa il laicato non è ancora protagonista in proprio senza farne un lamento. Sono più di trent’anni che provo a dirlo e ancora non ci sono riuscito. Ma insisto a provare. Sarà il tema del mio blog in questi giorni.
Tra i libri che ho letto venendo qui c’è Chiesa padrona di Roberto Beretta (Piemme editore), appena pubblicato e che consiglio ai visitatori: dice quasi la mia idea, seppure con un tono di denuncia che non condivido. Il titolo mi ricorda il Chiesa madre e matrigna di Melloni che pure non mi era piaciuto. Il sottotitolo del volume di Beretta è: Strapotere, monopolio e ingerenza nel cattolicesimo italiano. Ingerenza delle “gerarchie onnipresenti”. Sì, l’argomento è questo, ma Beretta, Melloni e io (tre approssimazioni del laico protagonista in proprio) non abbiamo ancora le parole per dirlo.
“Pensavo di dare il mio piccolo contributo affinchè si parlasse seriamente di due Pontefici e non solo di uno” ha scritto Maria Grazia, una visitatrice del blog che avverte nei media una difficoltà a elaborare il lutto per la perdita di papa Wojtyla. Prima di aprire questo blog, la primavera scorsa, non avvertivo il fenomeno e sono stati i visitatori a farmene consapevole: c’è in giro un lascito affettivo del papa precedente che da molti è avvertito come una remora ad accettare l’attuale. Ringrazio gli interlocutori che me l’hanno segnalato e riferisco tre episodi che possono aiutare a inquadrare il fenomeno. Il primo è di ieri pomeriggio: all’ora in cui 28 anni addietro si era avuta in piazza San Pietro la fumata bianca dell’ottobre del 1978 io ero davanti a quella piazza, in collegamento con la televisione polacca TVN24 e il collega Jacek Palasinski – già entrato in questo blog con un messaggio – mi chiedeva se non fossi anch’io del parere che era bastato un anno e mezzo perché Karol il Grande fosse “dimenticato da tutti: neanche una messa, qui, in questo anniversario”. Rispondevo che non era vero, che c’erano tante pubblicazioni e film e cartoni animati su di lui, ancora coda per vedere la tomba e dibattiti sulla sua figura. Dunque c’è chi trova in giro troppo Wojtyla e chi poco. Secondo episodio: per quello che vale la mia esperienza, in sette mesi (come si può vedere nella pagina “conferenze e dibattiti”, elencata sotto la mia foto) sono stato chiamato in varie parti d’Italia a tenere sette incontri dedicati a Giovanni Paolo o al passaggio dall’uno all’altro dei due papi e sempre si è parlato di tutti e due e mai – dico mai – ho avvertito un qualche disagio per la dimenticanza del primo, o per la sottovalutazione del secondo. Terzo fatto: una sola volta, prima di questa serie di incontri, mi era capitato di dire “lo rimpiangeremo” a proposito del “sine glossa” (cioè senza adattamenti interpretativi) con cui papa Wojtyla voleva fosse predicato il Vangelo. Fu a Latiano (Brindisi), l’aprile scorso. Non intendevo dire nulla a danno del papa attuale, era uno spunto di prospettiva storica: nel medioevo il “sine glossa” era stato motivo di condanna al rogo, e ora un papa, con coraggio insolito, l’aveva fatto suo. Volevo dire che avremmo rimpianto quel coraggio, tutto qui. Ma quella mia espressione provocò un’addolorata protesta di uno dei presenti in nome – a suo parere – del discredito che gettava sul papa attuale. Dopo tutta la discussione che i visitatori del blog hanno promosso su questa questione dei due papi riconosco l’errore di quella mia parola. Oggi penso la stessa cosa, ma la direi in maniera diversa. Direi che per quel coraggio papa Wojtyla “merita una particolare memoria”.
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