A una conferenza mi chiedono che senso abbia l’attuale rimescolamento dei popoli. Rispondo che Dio fa circolare i suoi figli sulla terra perchè imparino ad amarsi.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Leggo che in Siria – per decisione del ministero degli Affari religiosi – presto verrà unificata per tutto il paese l’ora dell’Adhan, cioè del richiamo alla preghiera: un segnale radio proveniente dalla Moschea degli Omayyadi di Damasco (quella visitata nel 2001 da Giovanni Paolo) raggiungerà i minareti di tutto il paese e dai loro altoparlanti potrà esere udito, nello stesso istante, da ogni credente. Mi viene in mente il “sogno” coltivato dal Maestro del romanzo Il castello bianco di Orhan Pamuk, ambientato nel XVII secolo, che era quello di costruire un “orologio della preghiera” così preciso che permettesse a tutti di prostarsi a Dio contemporaneamente: egli esponeva con entusiasmo al Sultano quale avrebbe potuto essere “l’energia della preghiera che ognuno nello stesso attimo preciso avrebbe recitato” (p.34 dell’edizione Einaudi 2006). C’è qualcosa di affascinante in questo sogno islamico che oggi si realizza via radio. Fa pensare al fatto che i primi orologi meccanici sono stati realizzati nel tardo Medioevo nei monasteri dell’alta Italia sempre in funzione dell’ora della preghiera e che a tale scopo inizialmente sono stati alzati gli orologi sulle torri e i campanili delle chiese.
Ho letto con buona partecipazione le confessioni di Giovanni Lindo Ferretti raccolte in Reduce (Mondadori 2006, 120 pagine, 13 euro). E’ stato un bell’incontro dove temevo uno scontro. Perchè mal sopporto quei tipi ultrapuntuti che prima ci scaneggiavano da sinistra e ora ci scaneggiano da destra, sempre arciconvinti che la vasta umanità mai nulla ha capito e mai capirà. Ferretti ha compiuto anche lui il passaggio, essendo prima un cantante rivoluzionario “rovinato dal ’68” (dice in versi) e presentandosi ora come un “reduce” da quell’avventura, che si scopre pieno di ferite e si riscopre cristiano. Ha compiuto il passaggio, ma oggi ama l’umanità non la vitupera. Le pagine più belle le dedica alla nonna (41-43) e alla mamma (76-77): un vero dono quello sguardo riconoscente sulle creature più semplici e benefiche e sul sole e i cavalli, e Dio. “Ho cominciato a guardare la realtà tutta per quello che è e sono stato travolto dal cielo, dalla terra, dall’umanità e dintorni” (105). Preferisco i passi narrativi a quelli argomentativi. Quando fa memoria la sua scrittura è potente, come già lo era il recitativo recto tono dei suoi canti.
La battuta più cattiva sul cardinale Bertone: da quando è Segretario di Stato è mutata l’interpretazione della sigla SDB che sull’Annuario pontificio viene dopo il nome dei salesiani: non dice più “Società salesiana di San Giovanni Bosco”, ma “Sono di Bertone”.
La più cattiva sul papa: “E’ vero che a Istanbul ha pregato rivolto alla Mecca, ma dava le spalle al popolo!”
Sono pieno di riconoscenza per Carlo Castagna, detto dai giornali “papà Castagna”, marito padre e nonno di tre delle quattro vittime di Erba. Uomo giusto che subito scagiona il genero Azuz dall’accusa di essere lui l’assassino. Che dice di voler perdonare, anzi di aver perdonato gli uccisori. Che abbraccia e porta al giusto banco, in chiesa, Azuz durante la celebrazione per la moglie Paola: quell’Azuz scagionato ma pur sempre malvisto dagli altri parenti e dai vicini per i suoi precedenti. Che ha il cuore per leggere la prima lettura dal libro della Sapienza: “Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio”. Io credo ci sia riuscito perchè davanti alle telecamere aveva detto più volte parole equivalenti. Viene criticato – papà Carlo – per la rapidità del perdono, ma chi critica non coglie che egli l’aveva maturato per un mese quel perdono, avendo magari intuito chi e quali avessero a esserne i destinatari. Infine va detto che al perdono – come all’accettazione della morte – ci si prepara con tutta la vita. La dichiarazione dei figli, chiarissime sull’atteggiamento evangelico del papà, ci fa certi che egli ha lungamente cercato di avere in sè i sentimenti di Gesù. Io gli mando un bacio.
Vado a messa a Santa Maria Maggiore e si prega – come sempre – per il nostro papa tedesco, invitati a farlo da un celebrante polacco. Assiste alla messa solenne l’arciprete della Basilica che è un cardinale statunitense, mentre il diacono è un nero e il maestro che aiuta l’assemblea a rispondere ai canti lo diresti cinese, o coreano. Uscendo dalla Basilica mi imbatto in una processione della comunità filippina che ha sede in Santa Pudenziana e sfila festante e danzante con tamburi e statue coperte di fiori. Forse un giorno i romani riscopriranno il Vangelo attestato tra loro da forestieri, come ai tempi di Pietro e Paolo.
Da dieci giorni non ho pace – sul lavoro – per la vicenda dei preti polacchi che collaborarono con la polizia segreta del regime comunista, ma soprattutto sento una grande pena per quei poveri Wielgus! Ho studiato la questione e ho parlato a lungo con uno di loro, con il quale sono in trattative per un’intervista. Mi sono fatto l’idea che è ingiusto, ingeneroso, antistorico infierire su di loro per la “collaborazione”. Certo si dovrà appurare se hanno responsabilità specifiche, cioè se hanno danneggiato qualcuno con le “chiacchiere” con cui tenevano buoni gli agenti loro persecutori. E se hanno intascato denaro. E se hanno mentito quando è stata loro chiesta la verità su quel passato. Ma il fatto di aver “collaborato” io penso debba essere considerato veniale. Erano circuiti, pressati, minacciati, ricattati e generalmente – a quanto finora appurato – si sono limitati da dare informazioni “apparenti”, cioè a dire qualcosa di vagante per trarsi d’impaccio. Anche l’aver firmato un impegno a collaborare lo vedo come un gesto perdonabile: certo una debolezza, un’imprudenza, un errore. Ma se non c’erano di mezzo soldi, danni al prossimo e giuramenti falsi post-factum, io credo meritino una sanatoria. – Ecco il giuramento che Wielgus, l’arcivescovo dimissionario di Varsavia, rilasciò al nunzio prima della nomina: «Io giuro che nel corso degli incontri e dei colloqui con la polizia e i servizi segreti, in concomitanza con i miei viaggi all’estero negli anni settanta, non ho mai parlato contro la Chiesa e non ho mai detto niente di cattivo contro membri del clero o del laicato». Qui c’è – io credo – l’errore di non aver menzionato la firma di un impegno a collaborare: il “memorandum” dell’episcopato dell’agosto scorso invitata i “firmatari” a riconoscere la gravità di quell’atto. E poi Wielgus ha mentito di fronte alla nazione e anche quella è una colpa. Ma avesse ammesso d’aver firmato – come poi si è visto che aveva fatto dai documenti che sono stati pubblicati – e non avesse mentito ai media, di che lo si poteva accusare? Di non essere stato un eroe, non d’altro. Dove finirà la Polonia se non saprà perdonare ai figli che non erano nati per essere eroi?
“La società mi insegna solo a odiare – mi esprimo illegalmente e cerco di amare”: scritto a grandi lettere nere su un vagone della Metro B di Roma. Attenzione, questo imbrattatore di treni sembra aver letto Agostino: “Ama e fa’ cio che vuoi”.
Nei giorni della morte di Piergiorgio Welby (vedi post del 12, 22, 24 dicembre) appariva fugacemente nei telegiornali un sacerdote al quale veniva attribuito l’annuncio del funerale religioso e l’affermazione che “negli ultimi tempi” Piergiorgio si era “riconciliato con Dio”. Ho rintracciato quel sacerdote che da oltre sette anni frequentava la famiglia Welby e che l’aveva visto l’ultima volta due giorni prima della morte. Si chiama don Giovanni Nonne ed è uno dei salesiani della parrocchia San Giovanni Bosco sulla Tuscolana. Racconta che essendo andato a benedire la salma, all’uscita dall’abitazione gli fu chiesto da qualcuno quando ci sarebbe stato il funerale e che ne era del Welby un tempo “cattolico” e poi radicale o quasi. Aveva risposto che la data del funerale non era stata ancora fissata e aveva concluso: “Spero che negli ultimi istanti si sia riconciliato con Dio”. Mina e Piergiorgio, dice ora a me, si erano conosciuti in parrocchia e un tempo erano ambedue praticanti, ma lei lo è restata – e il prossimo 21 parteciperà alla messa di trigesimo – mentre lui da una decina d’anni si era “molto raffreddato” e non reagiva o si mostrava allergico a chi gli proponeva spunti cristiani. Quando Mina gli ha detto “ti farò un funerale religioso” aveva annuito. E un cenno analogo, ma senza parole, aveva fatto quando don Giovanni gli aveva parlato, nell’ultimo incontro, della “scommessa” di Pascal. Conclusione di don Giovanni: “Tanta sofferenza non può essere stata inutile”. Aggiungo di mio che al funerale sulla piazza nessuno ha detto parole cristiane. Soltanto in queste di Mina ho avvertito il respiro della preghiera: “Ora mi è passata anche la tristezza e ti sento contento, ti sento libero”
“Ho ricevuto un messaggino della befana, che dovevo mandare ad altre tre sennò ce restavo io befana! Ne ho mandato uno a Silvia, uno a Tiziana e il terzo, che non sapevo a chi darlo, l’ho mandato a mia cugina Giulia. Ma quella scema non ha capito e me ne ha rispediti tre a me. Adesso che faccio, ne devo mandare nove?” (conversazione ascoltata ieri sera sul bus 71, a Roma)
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