Difendo Rosy Bindi dagli attacchi che le vengono da tutte le parti. Non difendo il disegno di legge sulle convivenze, che mi ha provocato grane professionali in quantità, ma difendo lei come ministro, in nome del rispetto che è dovuto alla responsabilità dei politici e dei governanti, che si esercita nella mediazione. Lei ha mediato. La ricordo come vitale amica dell’Azione cattolica e la abbraccio in segno di solidarietà in un momento difficile.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
“Tutto il mondo lo deve sapere: ti amo troppo! Oriana”: scritto su un foglio appeso al cippo dei manoscritti che si trova all’uscita della Stazione di Roma Termini, al centro del cosiddetto “dinosauro”.
L’agenzia ANSA ha trasmesso oggi – poco dopo mezzogiorno – questa notizia (vedi sull’argomento 13 post tra il 6 ottobre e il 22 novembre) : ROMA, 5 feb – Scattano i licenziamenti a Telepace, la tv cattolica fondata e diretta da don Guido Todeschini. Dal 9 febbraio saranno licenziati i quattro giornalisti della redazione romana, come informa una lettera di don Todeschini alla fiduciaria di redazione, Angela Ambrogetti, lei stessa interessata dal provvedimento. L’annuncio del licenziamento avviene dopo che la tv ha sospeso le attivita’ giornalistiche della redazione romana, che era specializzata sull’informazione vaticana, tanto da essere chiamata la ”tv del Papa”. La chiusura della redazione romana dell’emittente e i preannunciati e oggi ufficializzati licenziamenti, hanno avviato una vertenza sindacale, e la situazione e’ stata anche all’esame della commissione Cultura della Camera.
Sono stato quattro giorni a interrogarmi su quale fosse la storia biblica che mi veniva richiamata dallo scambio di lettere tra Veronica Lario e Silvio Berlusconi e infine l’ho rintracciata: è quella di Ester, anzi dell’antefatto della sua avventura costituito dalla cacciata della regina Vasti da parte del re persiano Assuero. Assuero dunque regnava “dall’India fino all’Etiopia” e volle mostrare ai dignitari del Regno e a tutto il popolo la propria gloria e diede a tal fine un primo e un secondo banchetto, mentre la regina Vasti intratteneva a parte le donne. Lei dunque condivideva e serviva la gloria del re. Ma ecco che Assuero giunto al settimo giorno del secondo banchetto la manda a chiamare perchè venga “con la corona regale, per mostrare al popolo e ai capi la sua bellezza”. La regina Vasti rifiuta di di presentarsi: non voleva essere mostrata agli ospiti come una coppa d’oro o un elefante venuto dell’India. Travolto dalla collera, Assuero decreta che Vasti mai più compaia alla sua presenza e manda lettere a ogni provincia stabilendo che “ogni marito sia padrone in casa sua e possa parlare a suo arbitrio”. Con la richiesta di pubbliche scuse al marito che pretende di parlare a suo arbitrio senza tener conto della dignità della sposa, Veronica la settimana scorsa si è inserita nella lotta duratura iniziata dalla regina Vasti ai tempi di Ester, la fanciulla ebrea di “aspetto avvenente” destinata a prendere il posto della regina ripudiata da Assuero (cioè da Serse I, 486-465).
“Accompagnamento critico del processo di meticciato di civiltà e di culture”: è questa l’ultima precisazione della propria idea offerta dal patriarca Angelo Scola, il 17 gennaio, presentando all’Onu la rivista “Oasis” (vedi sopra, post del 23 gennaio). In quell’occasione il patriarca ha insistito sul “tema della testimonianza”, intendendo questa categoria – ha detto – “in tutta la sua forza teoretica e pratica”. Questo il passaggio forse più suggestivo della sua riflessione, a riguardo di quanto ciascuno di noi potrebbe trovarsi a dover fare nell’incontro tra diversi che è la cifra dell’epoca: “La testimonianza chiama in causa ogni uomo ed ogni donna, invitandoli ad esporsi, a pagare di persona, a non decidere in anticipo fino a dove si può arrivare nell’incontro e nel dialogo con l’altro. Alla testimonianza nessun uomo può sottrarsi, in forza del rischio implicato dalla libertà che non è mai definibile a priori. L’umana libertà non si può mai ‘dedurre’, ma il suo pieno significato si dà solo nell’atto che la performa”. Il linguaggio di Scola è sempre arduo, ma vale la pena sbucciarlo per arrivare alla polpa, che non manca mai.
«Anche tra santi ci sono contrasti, discordie, controverse. E questo a me appare molto consolante, perchè vediamo che i santi non sono “caduti dal cielo”. Sono uomini come noi, con problemi anche complicati. La santità non consiste nel non aver mai sbagliato, peccato. La santità cresce nella capacità di conversione, di pentimento, di disponibilità a ricominciare e soprattutto nella capacità di riconciliazione e di perdono»: l’ha detto Benedetto XVI all’udienza generale di questa mattina, parlando dei collaboratori dell’apostolo Paolo, Barnaba, Sila e Apollo. Ha improvvisato quella riflessione sulle discordie dei santi dopo aver accennato ai contrasti tra Paolo e Barnaba a riguardo di Marco, che Barnaba – in una certa occasione – voleva prendere con sè in un viaggio, incontrando l’opposizione di Paolo che non aveva sopportato una precedente presa di distanza di Marco dal lavoro comune. – Una riflessione che ricorda quanto affermato da Giovanni Paolo il 3 settembre 2000, beatificando insieme i papi Mastai e Roncalli: “La santità vive nella storia e ogni santo non è sottratto ai limiti e condizionamenti propri della nostra umanità. Beatificando un suo figlio la Chiesa non celebra particolari opzioni storiche da lui compiute“.
Alla Lateranense per incontrare il vescovo e rettore Fisichella ne approfitto per una visita al Battistero di San Giovanni, luogo cristiano tra i più antichi che emoziona per la possibilità che offre di unirci a quanti lì hanno pronunciato nei secoli le parole di Gesù. Accanto alla porta è seduta una zingara avvolta in maglie colorate che mi alza al volto un cartello con la scritta: “In bocca a lupo per esami. Io prego sempre per voi”. Qui sciamano gli studenti della Lateranense e questa è stagione di esoneri, esami, tesine. Le do un euro e le chiedo da dove venga: “Romania, cinque figli”. “Cinque anch’io” le rispondo ed entro nel Battistero, dove mi rifugio nella Cappella di San Venanzio, fatta costruire da papa Giovanni IV (640-642), dalmata, e dove sono raffigurati in mosaico otto martiri dalmati con libri e corone. Insieme a me siedono nei banchi una decina di studenti neri dell’Università. Papa dalmata, studenti neri e zingara romena: Roma dalle molte anime, nel secolo sette e in quello ventuno.
Infine ho rintracciato – e la dedico ai visitatori – la poesia di Mario Luzi che Piergiorgio Welby aveva chiesto gli venisse letta prima di “addormentarsi”, come narrò il cugino Francesco al funerale (vedi post del 12, 22, 24 dicembre e del 9 gennaio). Si intitola La notte lava la mente, fa parte della raccolta Onore del vero (1957) e ha la sua punta cristiana nel verso “chi pronto al balzo, chi quasi in catene”. Ancora un fraterno abbraccio a Welby che si sentiva “pronto al balzo”.
La notte lava la mente
Poco dopo si è qui come sai bene,
fila d’anime lungo la cornice,
chi pronto al balzo, chi quasi in catene.
Qualcuno sulla pagina del mare
traccia un segno di vita, figge un punto.
Raramente qualche gabbiano appare.
“Qualcuno mi riferì che il Santo Padre, quandò visitò la Casa dei Moribondi, a Calcutta, aveva sussurrato a Madre Teresa: ‘Se potessi, farei il papa da qui’. Mi sembrava poco delicato, e perciò non gli ho mai chiesto se avesse pronunciato quella frase. Ma, a ripensarci, era verosimile. Perchè era rimasto sconvolto, a vedere Cristo crocifisso nella carne martoriata di quella povera gente. E perchè, a stare accanto a Madre Teresa, nella realtà concreta della sua vita, della sua missione, aveva compreso una volta di più come, nella gratuità assoluta del donarsi agli altri, l’essere umano possa arrivare alla felicità più profonda. E Teresa era una donna felice” (Stanislaw Dziwisz, Una vita con Karol. Conversazione con Gianfranco Svidercoschi, Rizzoli, Milano 2007, pp. 224, euro 17,00).
“Basta che un angelo pensi a un altro per averlo accanto a sé”: così Borges (Il libro degli esseri immaginari, Adelphi 2006, p. 22) esemplifica la capacità degli angeli di Swedenborg di “fare a meno delle parole”. Considero quella facilità di relazione come una facoltà della preghiera cristiana: in essa possiamo avere con noi tutti quelli che idealmente prendiamo per mano prima di dire “Padre nostro”.
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