Un giovane vescovo serviva per due ore al giorno i disabili di una casa di accoglienza dov’era ospitato un ragazzo con forte squilibrio mentale ma capace di qualche prestazione manuale. Un infermiere un giorno chiede al ragazzo di portare in bagno un bugliolo usato ed egli finge di non sentire. Al terzo richiamo risponde seccato: “Sono mica il vescovo io!” Il vescovo che faceva quei servizi è Benito Cocchi. La storia mi è stata raccontata a Cento (Ferrara) dov’ero per una conferenza.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
“Non so che fare. Tutto nasce e poi muore”: scritto sulla parete esterna di un vagone della “Metro B”, a Roma.
«Un vero maleducato questo monsignor Bagnasco, nuovo presidente della Conferenza episcopale italiana. Non ha fatto rispondere neanche da un segretario alle congratulazioni e agli auguri che gli ho inviato, anche se solo per educazione non certo per convinzione. Va bene che lui è un generale di corpo d’armata ed io soltanto un capitano di fregata della riserva assoluta. Va bene che io non sono un ‘cattolico democratico’, la razza che lui preferisce. Va bene che io ero contro i Dico e che solo in ritardo, perchè non sono intelligente come lui, ho capito che l’aria è cambiata rispetto ai tempi del cardinale Sodano e del cardinale Ruini: ma la maleducazione è maleducazione. E poi stia tranquillo: io seguo ormai il consiglio del cardinale Martini e… ‘non me ne impiccio’. È contento? Può dare assicurazioni anche al cardinale Bertone? Povera chiesa italiana»: con questa dichiarazione alle agenzie di stampa, diffusa a fine mattinata, il senatore a vita Francesco Cossiga continua a piccolare il “soldatino” Bagnasco (vedi post del 6 marzo).
“Aspettiamo l’annuncio ufficiale del nuovo presidente della Cei, che ha fatto dormire sonni poco tranquilli a politici e anche a qualche cardinale”: così il cardinale Tarcisio Bertone durante un appuntamento pubblico, il 6 marzo. Non ci sono precedenti di un segretario di Stato che anticipa un annuncio ufficiale. Il suo è uno stile libero che provoca rumori in Curia e dintorni. Tant’è che Avvenire non ha saputo come riportare quella battuta e ha tagliato le ultime cinque parole: non si pensasse che Bertone alludeva ai contrasti che la nomina del nuovo presidente aveva messo in evidenza tra lui e il cardinale Ruini! A me piace questo Bertone che esce dagli schemi, come mi piaceva papa Wojtyla che andava a sciare. Apprezzo ogni smagliatura che introduce tra i canoni l’irregolarità della vita.
Trepidazione di padre quando scorgo nei figli nuovi modi di essere uomini e donne e sento di poterli amare anche senza capirli.
Pietà per il bimbo di Firenze che era vivo dopo l’aborto e che ora se ne è andato.
Pietà per i genitori tre volte sconvolti. Dalla decisione di non accogliere il figlio, dal figlio che arriva in quel modo e in quel modo riparte.
Pietà per le generazioni che sono oggi sulla terra, chiamate a sentimenti che non trovano parole.
Pietà.
Sulla legittimità e i limiti dei titoli ecclesiastici – papa, padre, eminenza, eccellenza, monsignore, don – vi è stata vivace discussione tra i commentatori del post del 4 marzo. La riprendo segnalando un testo giovanile del teologo Ratzinger: “La nostra realizzazione cristiana effettiva non sembra essere la maggior parte delle volte assai più simile al culto delle alte cariche dei giudei stigmatizzato da Gesù che non all’immagine da lui disegnata della comunità cristiana fraterna? Non soltanto il titolo di ‘padre’ viene limitato in Matteo 23, 8-11 (Non fatevi chiamare rabbi, padre, guide), bensì tutta la forma esteriore (ribadiamolo: esteriore) del gerarchismo, così come essa si è strutturata nei secoli dovrà in continuazione lasciarsi giudicare da questo testo” (La fraternità cristiana, Queriniana 2005, p. 74). Il volumetto da cui ho preso la citazione è del 1960, risale cioè a prima del Concilio e a un Joseph Ratzinger poco più che trentenne. A mio parere si tratta del più inquieto e sollecitante novità tra gli scritti giovanili del futuro papa. Ecco un altro brano di quel volumetto che potrebbe essere intitolato Cancellazione cristiana dei confini: “Nella sua tendenza a una radicale cancellazione dei confini il cristianesimo pone di continuo in crisi tutte le differenze esteriori, anche le differenti forme di fatto esistenti all’interno della Chiesa, e ci costringe a purificarle e ad animarle in continuazione dall’interno con lo spirito dell’uguale fraternità, che ci ha fatto diventare “uno” in Cristo Gesù: “Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” come recita Galati 3, 28″ (ivi, p. 82).
Fuochi coloratissimi in un’intervista di Francesco Cossiga al Riformista, dove tratta di una “tirata d’orecchio” che gli sarebbe arrivata dal Vaticano per i toni polemici con cui aveva ribattuto alle posizioni di altri cattolici sui Dico.
Eccolo lanciare carboni ardenti su Martini e Tettamanzi: “Sarei tentato di assumere la stessa posizione del cardinale Carlo Maria Martini, gesuita, arcivescovo emerito di Milano, che ha dichiarato con candore e umiltà a proposito dei Dico che ‘L’argomento è complesso’, e che lui, successore degli Apostoli, ‘non si impiccia’. O almeno la posizione equivoca, ‘un passo avanti e uno indietro’, del cardinale Dionigi Tettamanzi… nel nome della pace religiosa tra i cattolici”.
Ancora su Martini e vescovi e laici che chiama “cattolici democratici”: annuncia che “dopo questa intervista” tacerà sui Dico, anche perchè “non sono un vescovo, come il cardinal Martini, monsignor Bettazzzi e i vescovi di Padova, Pisa e Taranto, ma solo un laico, anche piuttosto ignorante, che poco conta nello Stato e certamente nella Chiesa. Non sono né Melloni né Scoppola né Elia né la Bindi né la Binetti, io!”
Su Bertone: “Cercherò di capire che cosa vuole la Segreteria di Stato. E forse voterò come voterebbero certamente il cardinale Martini e molti altri vescovi, religiosi e presbiteri se mai avessero il diritto di votare in Parlamento: non voterò a favore, ma neanche contro, e forse mi asterrò dal voto e dalla votazione”.
Bis per Bertone. Prima di questa intervista, il senatore a vita aveva detto all’Ansa d’essere stato “rimproverato anche di aver mancato di rispetto al Vaticano”, ma non per telefono, com’era stato scritto bensì “con una lettera piuttosto insolente, anche perchè indirizzata a un ex capo di uno Stato al quale il Vaticano è legato da accordi solenni. Accordi che hanno attribuito, a suo tempo, anche con la mia collaborazione politica, alla Chiesa italiana enormi privilegi ignorati dalla storia dei concordati”.
Ce n’è anche per Bagnasco: “Con l’uscita di scena del cardinale Ruini – aveva detto sempre all’Ansa – e con la successione di un militare con rango di generale di Corpo d’armata posto alle dipendenze dirette del segretario di Stato, la musica cambia. E io, che specie dopo il colloquio del
segretario di Stato vaticano con il presidente del Consiglio entrambi ‘cattolici doc’ non ci capisco più niente, seguirò il consiglio di un autorevolissimo cardinale già aspirante papa, che ha detto “l’argomento è complesso ed io non me ne impiccio”.
Bis per Bagnasco: “Non comprendo – aveva detto poco prima all’agenzia Adnkronos – questi bisticci da cortile tra i cattolici democratici Rutelli, Bobba, Bindi e Binetti sul problema dei Dico. Ma non hanno ancora capito che, col cambio del segretario di Stato vaticano e con la nomina del ‘soldatino’ a successore del cardinale Ruini, l’interesse della chiesa per questo argomento è molto diminuito?”
Da esperto in maldicenze confesso che con il “soldatino Bagnasco” la malalingua sarda batte ogni malalingua vaticana da me mai ascoltata.
“La preghiera non è un accessorio, un optional, ma è questione di vita o di morte. Solo chi prega, infatti, cioè chi si affida a Dio con amore filiale, può entrare nella vita eterna, che è Dio stesso”: parole del papa all’angelus, che segnalo come esempio della forza di linguaggio di papa Benedetto (vedi post del 19 febbraio e altri lì richiamati). Giovedì scorso ero a un dibattito a Venezia, presso il Centro Pattaro e ho ascoltato dal pastore valdese Fulvio Ferrario un’altra simile parola forte a riguardo del nostro pensiero di Dio: “Dire resurrezione dei morti è un altro modo di dire chi è il Dio di Gesù Cristo”. Il papa oggi ha detto che “la vita eterna è Dio stesso”.
“Chi pensa troppo si dimentica di vivere”: letto su un muro di via Ennio Quirino Visconti a Roma. Si tratta di un muro pieno di scritte, che si trova sulla sinistra, poco prima dello sbocco sul lungotevere. Una donna arguta che cammina con me esclama: “Ma questo è un muro parlante!”
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