Celebrando stamattina presso la basilica di Nostra Signora di Aparecida, in Brasile, papa Benedetto ha parlato del modo in cui “si sviluppa” la Chiesa, segnalando che quella crescita avviene “per attrazione”: ha proposto cioè una delle sue espressioni forti, a volte folgoranti per capacità di sintesi, che mi sono impegnato a segnalare ai visitatori del blog (vedi post del 15 aprile e 19 febbraio). “La missione di Cristo si è compiuta nell’amore (…) La Chiesa si sente discepola e missionaria di questo amore: missionaria solo in quanto discepola, cioè capace di lasciarsi sempre attrarre con rinnovato stupore da Dio, che ci ha amati e ci ama per primo. La Chiesa non fa proselitismo. Essa si sviluppa piuttosto per ‘attrazione’: come Cristo ‘attira tutti a sè’ con la forza del suo amore, culminato nel sacrificio della croce, così la Chiesa compie la sua missione quando, associata a Cristo, compie ogni sua opera in confornità spirituale e concreta alla carità del suo Signore“.
Il blog di Luigi Accattoli Posts
Stamattina alle 6,15 un gruppo di giornalisti che seguono la visita del papa in Brasile ha pregato per Orazio (vedi post precedente) nella stanza 189 dell’Hotel Club Dos 500 a Guarantiguetà. Ha celebrato la messa il padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana. Ha ricordato che in occasione dell’anniversario della morte di Giovanni Paolo II la moglie di Orazio – Claudia – ha dato a lui due lettere, una per papa Benedetto e l’altra da portare sulla tomba di papa Wojtyla. Ha anche riferito che Benedetto XVI è stato informato via via delle condizioni di Orazio. Ha osservato che il nostro collega – come tutti noi giornalisti, d’altra parte – collaborava in qualche maniera con il papa, contribuendo alla diffusione del suo messaggio. Ha segnalato la passione di Orazio per il lavoro. Poi ha detto del grande amore tra lui e Claudia, quale si è manifestato “nella salute e nella malattia”. Ha concluso che stamattina noi non pregavamo per Orazio, ma con lui e lui con noi.
Orazio Petrosillo, il collega del Messaggero colpito da ictus in Valle d’Aosta il luglio scorso mentre era lassù per seguire la vacanza del papa (vedi post del 6, 13, 24, 31 agosto), è morto in mattinata al Policlinico Gemelli di Roma. La notizia raggiunge noi giornalisti che siamo al seguito del viaggio del papa in Brasile il mattino presto, mentre facciamo colazione all’Holiday Inn di San Paolo, presi in gesti e faccende che abbiamo condiviso con Orazio in centinaia di occasioni. Aveva tre anni meno di me e lo conoscevo dai tempi della Fuci, cioè dal circa il 1970. Gli mando l’ultimo abbraccio e lo ricordo con una battuta che ebbe a dirmi in un albergo di Cracovia alcuni anni addietro, un giorno che venimmo a sapere della morte improvvisa della moglie di Henri Tincq, caro collega del quotidiano Le Monde. “Ma guarda il mistero della vita” mi disse allora Orazio dopo il commosso colloquio che avevamo avuto con Henri: “Da un momento all’altro puoi restare solo senza neanche il tempo di rendertene conto!” Allargo il mio abbraccio a Claudia e alle due figlie, loro hanno avuto un tempo lunghissimo per l’addio al marito e al papà. Possiamo immaginare la pena vissuta di questi mesi. Le aiuti a vincere il dolore la memoria della bravura umana e della fede di Orazio.
Sul B777 dell´Alitalia che ci portava da Roma a San Paolo del Brasile il papa ieri mattina ha parlato per mezz´ora con noi giornalisti ed é stata la sua prima vera conferenza stampa sul modello di quelle di papa Wojtyla. Negli altri quattro viaggi – tutti europei, facendo europea anche la Turchia – si affacciava nella “zona riservata dei giornalisti” per un saluto, o rispondeva a “quattro domande” selezionate dal portavoce. Trovo che questa uscita in campo aperto sia stata felice e trovo utile che il papa si avventuri nelle forme di comunicazione del nostro tempo. Lo fa con l´impresa massima del libro su Gesú – autorizzando ognuno a contraddirlo – e lo fa con questa avventura minore delle risposte improvvisate che ogni giornalista riferirá a suo modo. “Preferisco non leggere tutto” disse una volta Wojtyla in riferimento a quel rischio che fa viva la comunicazione. E´stato bello sentirlo parlare con semplicitádi Romero “grande testimone della fede”, della sfida delle sette che la Chiesa deve affrontare facendo “piú missionaria e piú dinamica la sua risposta alla sete di Dio” che “proprio i poveri vogliono avere vicino”. Ha parlato anche della “grande lotta della Chiesa per la vita” e – in risposta a un collega tedesco – della sua appartenenza all´umanitá: “Rispondo in italiano. Mi ha chiesto se mi sento sufficientemente appoggiato dai tedeschi e se ho anche un po’ di nostalgia della Germania. Sì, mi sento sufficientemente appoggiato; è normale che in un paese misto (protestante e cattolico), i battezzati non siano tutti d’accordo con il papa; questo è del tutto normale. Ma mi sembra che ci sia un grande appoggio, anche di persone che appartengono alla parte non cattolica della Germania. Quindi, sì l’appoggio c’è e mi aiuta. Amo la mia patria, ma amo anche Roma e adesso sono cittadino del mondo. E così sono a casa dappertutto e sono vicino al mio paese, come a tutti gli altri“.
“La domanda che ogni lettore del Nuovo Testamento deve porsi, e cioè dove Gesù abbia attinto la sua dottrina, dove sia la chiave per la spiegazione del suo comportamento, trova la sua vera risposta soltanto a partire da qui”, cioè dal fatto che “egli vive al cospetto di Dio, non solo come amico ma come Figlio; vive in profonda unità con il Padre”: così il papa nel suo libro su Gesù, alle pagine 27 e 26.
E’ verissimo – come osservava un visitatore di questo blog – che il libro del papa non è di facile lettura. Dopo una premessa teologica sulla questione del metodo “storico critico” di interpretazione delle Scritture, viene un’introduzione intitolata “Un primo sguardo sul mistero di Gesù” che è di lettura altrettanto complessa e che comunque non va saltata, perchè propone al lettore l’idea guida della ricerca che Ratzinger ha condotto per l’intera sua una vita e che trova l’ultima espressione in quest’opera: se prendiamo sul serio i Vangeli, dobbiamo mettere a fondamento della nostra lettura lo stretto legame che unisce il Figlio al Padre. Ecco altri due brani dell’introduzione che svolgono questo concetto:
“La reazione dei suoi ascoltatori fu chiara: questo insegnamento non viene da alcuna scuola. E’ radicalmente diverso da quello che si puà apprendere nelle scuole” (27)
“L’insegnamento di Gesù non proviene da un apprendimento umano, qualunque possa essere. Viene dall’immediato contatto con il Padre, dal dialogo ‘faccia a faccia’, dalla visione di Colui che è ‘nel seno del Padre’. E’ parola del Figlio. Senza questo fondamento interiore sarebbe temerarietà” (27)
Poi verranno pagine meglio fruibili che illustreranno le beatitudini, il Padre nostro, le grandi parabole, le “immagini” giovannee dell’acqua, della vite e del vino, del pane, del pastore. Ma la chiave per entrare in ognuna di quelle porte viene fornita in questa “introduzione” che propone un ardito paragone tra Mosè e Gesù e presenta Gesù come “il nuovo Mosè”. Può aiutare la lettura di queste pagine sapere che a “Mosè tipo di Gesù” è dedicato un corso di esercizi spirituali del cardinale Carlo Maria Martini molto apprezzato a suo tempo dal cardinale Joseph Ratzinger, che a seguito della lettura di quel testo volle Martini nella Congregazione per la dottrina di cui era prefetto. Ecco come di quel lavoro di Martini ebbe a parlare lo stesso Ratzinger in un testo del 1997: “In occasione della Pasqua del 1981mi capitò tra le mani la traduzione tedesca del libro di Martini Vita di Mosè – Vita di Gesu. Esistenza pasquale ed ebbi modo di capire come, al contrario di posizioni di quel genere, nel caso di Martini l’esegesi e la pastorale fossero tra loro congiunte. In quel piccolo libro trovai quella capacità di rendere attuale la parola biblica, che sempre avevo auspicato (…) La tipologia Mosè-Cristo perde ogni carattere artefatto; corrispondenze e analogie interiori si rendono manifeste” (vedi il testo completo in questo blog, al commento n. 1 del post del 10 aprile).
Ristrutturano la Stazione Centrale di Milano e spero che non “mi tocchino” la Sala d’attesa. Tra le passioni che coltivo come utente professionale delle Ferrovie dello Stato (vedi post del 19 marzo) c’è la sosta in quella sala monumentale con i colombi che l’attraversano a volo, la fontana sul fondo degna dell’ambulacro di una moschea, marmi e tendaggi simili a quelli degli androni di Montecitorio, pavimento a lastre colorate come in una cattedrale. Sui suoi pancali stamattina c’era una coppia di zingari che dormivano con le teste appoggiate ai braccioli, avvolti in coperte caldose. Sembravano Gelsomina e Zampanò.
Nella lunga “premessa” al volume su Gesù (vedi post del 18 e 24 aprile) papa Benedetto afferma che la “crocifissione” di quel rabbi ebreo e la sua “efficacia” – cioè la nascita di un culto che lo presenta come “uguale a Dio”, già vent’anni dopo la morte – si spiegano “solo se era successo qualcosa di straordinario, se la figura e le parole di Gesù avevano superato radicalmente le speranze e le aspettative dell’epoca”. Più che sull’ipotetica “azione di formazioni comunitarie anonime” che ne avrebbero rielaborato la memoria converrà dunque scommettere sulla dimensione sorprendente del suo insegnamento e degli eventi che ne avevano accompagnato la fine. Ed ecco il passaggio chiave della “premessa”:
Non è più logico, anche dal punto di vista storico, che la grandezza si collochi all’inizio e che la figura di Gesù abbia fatto nella pratica saltare tutte le categorie disponibili e abbia potuto così essere compresa solo a partire dal mistero di Dio? (18)
Ma papa Ratzinger pur prendendo le distanze così nettamente dal presupposto ideologico radicale del metodo storico-critico di interpretazione delle Scritture – che gioca tutto sulla rielaborazione comunitaria della memoria di Gesù – riconosce il suo debito conoscitivo nei confronti di quel metodo:
Naturalmente do per scontato quanto il Concilio e la moderna esegesi dicono sui generi letterari, sull’intenzionalità delle affermazioni, sul contesto comunitario dei Vangeli e il loro parlare in questo contesto vivo (18)
Questo libro non è stato scritto contro la moderna esegesi, ma con grande riconoscenza per il molto che essa ci ha dato e continua a darci (19)
Io ho solo cercato, al di là della mera interpretazione storico-critica, di applicare i nuovi criteri metodologici, che ci consentono un’interpretazione propriamente teologica della Bibbia e che però richiedono la fede, senza con ciò volere e potere per nulla rinunciare alla serietà storica (19)
In quell’affermazione sull’attendibilità storica del personaggio Gesù da cui dipende la “testimonianza” dei suoi discepoli e in questa disponibilità a un utilizzo critico e libero della moderna esegesi, io ritrovo il nocciolo di quanto aveva proposto il cardinale Carlo Maria Martini in una lectio sulla “figura di Gesù” tenuta nella Basilica di San Giovanni in Laterano nella Quaresima del 1997, in una serie di incontri che ebbero a protagonista anche il cardinale Ratzinger. “Si deve cercare la ragione sufficiente per il sorgere di una testimonianza, soprattutto se vicina ai fatti”, argomentava Martini con riferimento ai “vent’anni” di cui parla Ratzinger, che stanno tra la morte di Gesù e la prima testimonianza di una fede comunitaria nella “natura divina” di Cristo come è attestata dalla lettera di Paolo ai Filippesi (2, 6-11) . “E se tale ragione – continuava Martini – non è data in modo sufficiente né dall’ipotesi della creatività posteriore, né da quella del fanatismo, né da quella dell’inganno, mentre al contrario la testimonianza bene si adatta al suo ambiente originario, presenta caratteristiche di discontinuità con esso così da apparire inedita e sorgiva, allora l’ipotesi seria che rimane è che questa testimonianza deriva da un fatto reale e vi corrisponde”. Abbiamo insomma quello che Ratzinger chiama “qualcosa di straordinario”, superante “speranze e aspettative”; e una “grandezza” che si colloca all’inizio. Abbiamo molto discusso in questo blog sulla diversità tra il cardinale biblista e il papa teologo, ma c’è un punto – quello della lettura dei Vangeli – in cui i due si incontrano e si abbracciano (vedi post del 10 aprile).
Sono in campagna da amici a Cervaro (Frosinone) e stasera ho visto le lucciole sul grano in erba: non mi era mai capitato. Le avevo sempre viste sul grano maturo, nelle campagne delle Marche dove sono nato e del Lazio dove sono poi capitato. Ero dunque abituato ad attenderle a fine maggio sul Tirreno e a metà giugno dalle parti dell’Adriatico, ma mai a fine aprile. E sono già tante e ammiccanti come le altre, svolanti fino all’orto sotto casa. Per niente turbate da Musetta che abbaia a ognuna tutta seria scattando con la testa di qua e di là.
“Deborah ti amo – perdonami”: scritto sull’edificio di ingresso alla stazione Quintiliani della Metro B di Roma. Immagino che lei abbia subito una pubblica offesa e lui voglia farle una richiesta pubblica di perdono. O semplicemente lei si nega al telefono e lui scrive sul muro. Per un altro caso di un perdono invocato con scritta pubblica vedi il post del 12 ottobre scorso: “Perdonalo Claudia!”.
Questo libro non è in alcun modo un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del volto del Signore. Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione (20)
Dopo la mia elezione alla sede episcopale di Roma ho usato tutti i momenti liberi per portare avanti il libro (20)
Poiché non so quanto tempo e quanta forza mi saranno ancora concessi, mi sono ora deciso a pubblicare, come prima parte del libro, i primi dieci capitoli (…) Con la seconda parte spero di poter offrire anche il capitolo sui racconti dell’infanzia che, per ora, ho rimandato, perché mi sembrava soprattutto urgente presentare la figura e il messaggio di Gesù nella sua attività pubblica, al fine di favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto con lui (20)
Tre sono le emozioni che provo leggendo il libro del papa su Gesù: una lettura che costituisce come una visita al laboratorio del papa teologo, egli ha fretta di dire il più importante, ma si impegna a dare anche il resto, che completerà quando e come potrà; in questo approccio egli si presenta in abito da lavoro, senza guardie svizzere e senza “sacre congregazioni” che l’assistono, lo vediamo che si alza dalla scrivania, va a cercare il libro da consultare o da citare, ci parla da uomo a uomo, ci invita addirittura a contraddirlo, se ne sentiamo il bisogno; ci comunica il sentimento di un’urgenza, segnalando che a questo lavoro sta dedicando – da quando è papa – “tutti i momenti liberi”. Leggendo queste righe capiamo la scioltezza e quasi la fretta con cui si muove quando sale i gradoni del sagrato di San Pietro, o quando passa tra la folla dell’Aula Nervi, come se stesse pensando che se farà presto potrà scrivere ancora – entro notte – una pagina del secondo volume.
Un libro che aveva iniziato da cardinale – nell’estate del 2004 – e che ha continuato da papa porta naturalmente i due nomi: “Joseph Ratzinger – Benedetto XVI”. Ma in quella doppia firma c’è di più di questa referenza fattuale: c’è l’idea che il papa oggi può e deve comunicare con i cristiani e con il mondo anche al di fuori del momento magisteriale, nell’ampiezza e nella pienezza della sua testimonianza di credente. Il magistero papale ha delle prudenze che impedirebbero una squadernata considerazione della verità storica e teologica dei Vangeli. Qui il papa scende dalla cattedra e cammina tra i banchi, come fanno i maestri a scuola. Cerca insieme ai suoi interlocutori, si fa loro compagno di strada.
Mi affascinava Giovanni Paolo che non rinunciava a essere Karol Wojtyla e scriveva “a mio parere” nelle encicliche e rivendicava il diritto del papa a dire “qualche volta parole azzardate”. Mi affascina due volte Benedetto che segue quel cammino di libertà e l’utilizza per la più alta delle missioni cui è chiamato un cristiano: dire per intero, se possibile, il suo sentimento – apprendimento – insegnamento a proposito della figura di Gesù.
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