Il blog di Luigi Accattoli Posts

“I conquistatori vanno e vengono, restano i semplici, gli umili, coloro che coltivano la terra e portano avanti semina e raccolto tra dolori e gioie. Gli umili, i semplici sono, anche dal punto di vista puramente storico, più durevoli dei violenti”: così il papa a p. 108 del libro su Gesù, a commento della terza beatitudine di Matteo, riguardante i miti che possiederanno la terra. Mi piace leggere in Ratzinger questa lode degli umili “anche dal punto di vista puramente storico”. In letteratura l’intuizione che il mondo è sostenuto dai semplici rivela i grandi autori cristiani, da Manzoni a Tolkien. L’amore di Renzo e Lucia ha la meglio sulle mene di don Rodrigo e dell’Innominato. Due hobbit insignificanti come Frodo e Sam – detti anche “mezzi uomini” – battono l’Oscuro signore nonostante i nazgul e gli orchetti.  Tra i teologi quell’avvertenza degli ultimi che durano più dei potenti segnala chi ha percezione della vita oltre che studio delle Scritture. Per un altro spunto simile già incontrato nel volume del papa – riguardante il potere di Dio come “potere vero nel mondo” – vedi il post del 27 maggio.

“Auguri Clà! Alvaro”: scritto con spry bianco sul marciapiede davanti a un portone di via Cavour a Roma, in modo che sia leggibile per chi esce dall’edificio.

La partecipazione del cardinale Bertone – giovedì sera – a Porta a porta ha fruttato un’informazione indicativa di che cosa fosse la regola del riserbo nel Vaticano di quarant’anni addietro: il famoso “terzo segreto” non era conosciuto appena da tre o cinque persone, come si credeva finora, ma era stato letto a una “plenaria” del Sant’Uffizio eppure mai nulla se ne seppe fino alla pubblicazione nel duemila. Ha detto dunque il cardinale segretario di Stato che era “strano” che il cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio negli anni ’60, avesse affermato in un’occasione che il testo del segreto era di “25 righe” – mentre è di 62 – perché  “il cardinale lo conosceva bene, avendolo mostrato a una plenaria del dicastero”. Di questa consultazione e del voto contrario alla pubblicazione da essa espresso non si era mai saputo. Ho chiesto l’anno alla segreteria del cardinale Bertone e mi ha fatto dire che quella plenaria si tenne il 1° marzo 1967 in vista del viaggio di Paolo VI a Fatima (13 maggio di quell’anno). Finora si riteneva che prima di Giovanni Paolo e dei suoi collaboratori il “segreto” l’avessero letto Giovanni XXIII e Paolo VI assistiti dai rispettivi segretari e prefetti del Sant’Uffizio e da un paio di interpreti portoghesi, qualcosa dunque come otto persone. Ora invece sappiamo che erano stati una trentina a conoscerlo. Eppure il segreto – alla cui caccia erano devoti e medium, giornalisti e spie – ha retto per oltre trent’anni, calcolando a partire da quella “plenaria” e per un totale di 66 anni a contare dal scrittura di suor Lucia. Davvero il Vaticano non è più quello di una volta: ultimamente abbiamo saputo in anticipo le nomine di Tettamanzi Bertone Bagnasco e riteniamo di conoscere con buona approssimazione l’andamento degli scrutini degli ultimi tre conclavi. Quanto reggerebbe un “quarto” segreto di Fatima che venisse letto oggi alla plenaria della Congregazione per la dottrina?

Batto le mani al vescovo Rino Fisichella che era da Santoro ieri sera ad Annozero, alle prese con il filmato della Bbc sui preti pedofili. L’approvo per esservi andato, oltre che per come ha parlato. Ci voleva fegato ad andarvi ed egli l’ha avuto. Da giornalista apprezzo chi a domanda risponde. L’autore del filmato Colm O’ Gorman ha scusato il taglio unilaterale dell’inchiesta con il fatto che prima dal Vaticano e poi dalla Chiesa cattolica della Gran Bretagna non era riuscito a ottenere interviste. Una scusa debole, perchè se credi nel contraddittorio un Fisichella lo trovi (e questo vuol essere un riconoscimento anche a Santoro), o quantomeno ripieghi su un “avvocato” che ne faccia le veci. Ma quella del collega O’Gorman non è una scusa inventata: ognuno che ha lavorato da giornalista con gli uomini di Chiesa sa la risposta che ottiene quando chiede un “commento” a uno scandalo: “Non mi citi neanche”. Forse Fisichella una volta lì poteva ammettere – poniamo – che la preoccupazione per le vittime la Chiesa cattolica l’ha maturata sotto la spinta dell’opinione pubblica. Ma l’importante era esserci. Finalmente la cattolicità ufficiale sta facendo i conti – al proprio interno – con quello scandalo, ma non è ancora pronta a parlarne fuori casa. Fisichella l’ha fatto.

Commentando “Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia perchè saranno saziati”, Joseph Ratzinger-Benedetto XVI scrive nel libro su Gesù: “Lo sguardo è indirizzato a persone che non si accontentano della realtà esistente e non soffocano l’inquietudine del cuore, quell’inquietudine che rimanda l’uomo a qualcosa di più grande e lo spinge a intraprendere un cammino interiore – come i Magi dell’Oriente che cercano Gesù, la stella che indica la via verso la verità, verso l’amore, verso Dio. Sono persone dotate di una snesibilità interiore che le rende capaci di udire e vedere i deboli segnali che Dio manda nel mondo e che in questo modo rompono la dittatura della consuetudine” (116). Alla pagina seguente – volendo dire “qualcosa sulla salvezza di coloro che non conoscono Cristo” – riprende così quella stessa idea: “Dio esige il risveglio interiore per il suo silenzioso parlarci, che è presente in noi e ci strappa alle mere abitudini conducendoci sulla via della verità; esige persone che ‘hanno fame e sete della giustizia’ – questa è la via aperta a tutti; è la via che approda a Gesù Cristo“. Davvero è una via aperta a tutti: chi non conosce  l’afflizione, il pianto, la persecuzione, l’una o l’altra debolezza, o schiavitù, o povertà? Lo dico con una metafora che prendo dal mondo dell’arte. Ho visto la mostra “Chagall delle meraviglie” al Complesso del Vittoriano, a Roma e ho portato con me queste parole che quel pittore scrisse nel 1931: “Voglio vedere un mondo nuovo”. Parole che possono essere intese come una chiave d’accesso al mondo pieno di colori da lui sognato. Anch’io voglio vedere cieli nuovi e terra nuova, anche a me questo mondo non soddisfa. Penso che così, dentro, sia ognuno che cammina sulla terra. E dunque in tutti vi è la premessa – diciamo la condizione base – per captare i “deboli segnali” che Dio ci manda, purchè quel bisogno di novità, cambiamento, pienezza non venga soffocato. Purchè esso trovi anzi alimento, sia coltivato. Direi obbedito.

“Ciò che mi stupisce non è il fatto che io sia bisnonno ma che mia figlia sia nonna. Sono già due i suoi nipotini e ancora non mi abituo a questa vertigine. La sento che dice al telefono ‘sono nonna’ e di colpo avverto la profondità delle generazioni che sono venute da me e da Giulia, incredibile dono di Dio!” E’ il bisnonno Antonio Thellung (vedi post precedente) che mi parla così e dedico le sue parole ai visitatori che hanno figli e nipoti e qualcosa sanno – o intendono – di quella vertigine.

Antonio Thellung, cristiano libero e fantasioso amico, pubblica un altro libro, il più suo nel titolo,  Elogio del dissenso (Edizioni la Meridiana), e lo presenta al Centro Russia ecumenica di don Sergio Mercanzin che i visitatori del blog conoscono come amico di Milingo. Antonio propone un dissenso “affettuoso” – che cioè sappia presentare le proprie ragioni senza mettere mai alla prova la comunione ecclesiale – e suggerisce alle autorità della Chiesa di accoglierlo “benevolente”. Come si farebbe in famiglia. Sostiene che la parola scomunica, “la più anticristiana tra tutte”, dovrebbe essere “cancellata” dal linguaggio della Chiesa. Io non so se tutto ciò sia praticabile, ma dico che se lo fosse sarebbe bello. E dunque sostengo il sogno di Antonio e segnalo ai visitatori il sito con cui si presenta a chi vuole ascoltarlo: www.elogiodeldissenso.it Questo il suo biglietto da visita: “Felicemente sposato, padre, nonno e bisnonno, è stato educato al dissenso da figli e nipoti. Fondatore di comunità, ricercatore, pilota d’auto, pittore, scrittore, per molti anni si è dedicato all’assistenza di malati terminali. Raggiunta ormai l’età che comprime il futuro sta tentando di non sprecare il presente“. Io l’ho conosciuto nell’attività di assistenza ai malati e assicuro che la sua amicizia vale un tesoro.

L’impero cristiano, il papato mondano, il cristianesimo come chiave della civiltà sono le forme “sempre nuove” in cui nella storia si è “continuamente ripresentata” la tentazione di “assicurare la fede mediante il potere” che è la terza e ultima delle tre che Gesù respinge nel deserto – quando il diavolo gli offre il dominio del mondo – e che papa Benedetto tratta nel secondo capitolo del suo volume su Gesù. Vedi in particolare le pagine 61-67. Nell’ultima di queste pagine trova conclusione il forte ragionamento dell’autore su quale sia il vero apporto del cristianesimo alla storia dell’umanità, dal momento che dobbiamo fare “mea culpa” e riconoscere come forme della tentazione originaria ogni proiezione o riduzione della fede cristiana a grandezza mondana. Una conclusione centrale per l’autore e per i suoi lettori:

Qui sorge però la grande domanda che ci accompagnerà per tutto questo libro: ma che cosa ha portato Gesù veramente, se non ha portato la pace nel mondo, il benessere per tutti, un mondo migliore? Che cosa ha portato? La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio (…): ora noi conosciamo il suo volto, ora noi possiamo invocarlo (…) Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco. Sì, il potere di Dio nel mondo è silenzioso, ma è il potere vero, duraturo. La causa di Dio sembra trovarsi continuamente in agonia. Ma si dimostra sempre come ciò che veramente permane e salva (67)

In Clausura di Espedita Fisher (vedi post del 23 aprile) c’è Attilio, un amico o fidanzato che compare ogni dieci pagine, ma sempre di spalle. Non che guardi sempre in una direzione, ma – ci avverte lei – come certi girasoli “non si volta mai dove dovrebbe”. Sentiamo per esempio che Espedita ha fatto un “inter-rail fino a Vilnius con Attilio” e che lui poi “ha proseguito fino a Riga”. Lei “gira un corto” e ci informa che “nessuno ha voluto guardarlo, neanche Attilio”. Quest’uomo va dallo psicanalista e gli “piacciono le grandi storie, non è il cinico che sembra”. L’informazione più coinvolgente l’abbiamo a pagina 88 e riguarda la pipì che lei trattiene per un’intera intervista mentre “lui si ferma a farla praticamente dappertutto, a volte ho il dubbio di uscire con un cane”. Attilio sostiene che lei ha “le carte in regola per il monastero perchè ci entrano solo le brutte”. Le scatta una foto “davanti al ritratto di Teresina che è nella cattedrale di Vienna” ma non condivide l’emozione “forte” di lei che incontra Lucio Dalla al Quirinale. Attilio ha doti sue e “arriva dappertutto anche senza cartina, lo odio per questo”. Compie lunghi viaggi per accompagnarla nell’inchiesta ma si interessa “veramente” solo a ciò che mangia. Il suo “ronfare” la tiene sveglia, nonostante che dorma “nella stanza accanto”. Lei gli racconta i suoi sogni e lui la guarda “di traverso” e chiede: “Perché non sogni mai me?”. Alla fine della lettura comprendiamo che la vista di spalle si addice alla sua anima: “Attilio è un bravo ragazzo, ma ha paura di esporsi, io il contrario”. Ma restano inesplorate circostanze che potrebbero essere decisive per chi volesse conoscerlo meglio: se veramente sia tornato “in Italia da solo” interrompendo un viaggio in Spagna perché gli era “più facile rinunciare a me che alla matriciana” e se in definitiva si sia dimesso “dal lavoro in fabbrica” come a un certo punto “aveva deciso”, facendola sentire “responsabile” perché una volta gli aveva detto “Vieni via da quell’inferno! Non vedi com’è bello il sole?” Credo che Attilio sia il più vivo tra i personaggi voltati dall’altra parte che compaiono nella nostra letteratura di inizio millennio.

Mi sembra che, se vediamo il panorama della situazione del mondo di oggi, si può capire — direi anche umanamente, quasi senza necessità di ricorrere alla fede — che il Dio che si è dato un volto umano, il Dio che si è incarnato, che ha il nome di Gesù Cristo e che ha sofferto per noi, questo Dio è necessario per tutti, è l’unica risposta a tutte le sfide di questo tempo (…) Il libro “Gesù di Nazaret” — un libro personalissimo, non del Papa ma di quest’uomo — è scritto con questa intenzione: che possiamo di nuovo, con il cuore e con la ragione, vedere che Cristo è realmente Colui che il cuore umano attende“.

Sono due passaggi improvvisati del discorso che il papa ha tenuto oggi ai vescovi italiani. Trovo simpatica la battuta con cui ha riassunto l’intenzione di non considerare quel lavoro “un atto magisteriale”, come aveva detto nella premessa, ma un messaggio da uomo a uomo. Credo sia la prima volta che Benedetto parla del libro dopo la pubblicazione.