“Non temere, vermiciattolo di Giacobbe, io vengo in tuo aiuto”: stamane al Santa Marta Francesco ha predicato su questo versetto di Isaia 41. “Quando il bambino fa un brutto sogno, si sveglia, piange, il papà va e dice: non temere, ci sono io qui. Così ci parla il Signore. Quando guardiamo un papà o una mamma che parlano al loro figliolo, noi vediamo che diventano piccoli e parlano con la voce di un bambino e fanno gesti di bambini. Si rimpiccioliscono, perché l’amore del papà e della mamma ha necessità di avvicinarsi. E poi, il papà e la mamma dicono anche cose un po’ ridicole al bambino: ‘Amore mio, giocattolo mio’, e anche il Signore lo dice: ‘Vermiciattolo di Giacobbe’. Questo è il linguaggio del Signore, il linguaggio d’amore di padre, di madre“. Nel primo commento un’applicazione ai giorni del Natale.
Non temere vermiciattolo di Giacobbe
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Applicazione al Natale. “Normalmente ha detto ancora Francesco all’omelia – il Natale sembra una festa di molto rumore: ci farà bene fare un po’ di silenzio e sentire queste parole di amore, queste parole di tanta vicinanza, queste parole di tenerezza … ‘Tu sei un vermiciattolo, ma io ti amo tanto!’. E fare silenzio, in questo tempo in cui, come dice il prefazio, noi siamo vigilanti nell’attesa”.
Mi fa venire in mente la bellissima ninna-ninna che Verdi nella Traviata fa cantare ad Alfredo per la morente Violetta.. per consolarla.. per cullarla …(anche se tutti e due sono perfettemente consapevoli che la morte di Violetta è vicina)
http://www.youtube.com/watch?v=mw2zTGV2-AU
Parigi o cara
noi lasceremo,
la vita uniti trascorreremo..
dei corsi affanni
compenso avrai
la tua salute rifiorirrà
sospiro e luce tu mi sarai
tutto il futuro ne arriderà…
Parigi o caro,
noi lasceremo….
la vita uniti trascorremo… Sì
Questo il tweet di Papa Francesco pubblicato oggi: “Non si può pensare a una Chiesa senza gioia. La gioia della Chiesa è questa: annunciare a tutti il nome di Gesù”.
Mi sono chiesto se io so qualcosa di questa “gioia”. Invito i visitatori a dire se la conoscono.
Io concepisco la gioia come una “felicità operosa”, che è diversa dal’estasi (ex stasi – uscire da se stessi).
Vedo la gioia come uno stato di benessere palese da vivere e condividere con gli altri, ma non in modo chiasso, e nemmeno impositivo.
Diciamo che aspiro ad una condizione di goia che mi renda felice ed equilibrato al punto da indurre chi mi sta intorno a chiedermi perchè del mio stato che traspare.
Forse chiedo troppo alla Ptrovvidenza, però comincio col chiederlo…
Errata corrige: “in modo chiassoso”..
La gioia nostra o della Chiesa che annuncia il Vangelo?
La gioia personale è difficile da raccontare (più facile il dolore).
A me capita spesso di sentirmi gioiosa, anche il contrario spesso uguale basta così poco.
Gioia nella Chiesa devo dire ne ho incontrata pure tanta , magari le persone possono anche deluderti ma almeno nella messa la comunità la sento sempre vicina.
Intendevo: la gioia di annunciare il nome di Gesù. Proprio come la segnala il tweet del Papa. La domanda è: io conosco questa gioia? Capita che io parli di Cristo a chi non lo conosce e questa attestazione ha a che fare con la gioia?
Se con annuncio non intendiamo solo il catechismo ma il vivere il Vangelo nella propria vita io direi di conoscere questa gioia.
Non una gioia esplosiva e chiassosa e non sempre percepisco questa gioia, ma non posso dire di non conoscerla.
La gioia che esce da me non è mia, ma viene dalle fede in Gesù: quindi, se io riesco a farmi chiedere da qualcuno perché sono gioioso l’unica risposta che posso dare è che la mia gioia proviene da Gesù e dalla sua Parola e, se vuole, glielo spiego (per quel poco che riesco).
Anche questa non è farina del mio sacco: già Pietro disse che il cristiano deve essere “sempre pronto a rendere conto a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” . (1Pt 15-30). Il tutto con gioia.
Capita, capita, caro Luigi, altro ché se capita,guai se non capitasse!
La più grande tragedia dell’uomo, in ogni tempo sotto il cielo,sia l’assenza di Speranza. Ecco, la mancanza della Speranza , di “quella” Speranza, non di una generica speranza, credo rappresenti il naufragio dell’essere umano. Comunicare la Speranza non contempla molte parole, ma solo quelle essenziali, messe sulle labbra in “maniera ben misurata”dallo Spirito. Un anelito d’essenza che incatena ogni respiro oppresso dal gravame delle circostanze, che spesso allontanano la mente da ciò che conta, finanche da Cristo e dalla fede…Un’ essenza che trasfigura ogni sospiro in respiro. Un respiro che non aleggia a vuoto, nell’etere, ma gonfia i polmoni. La speranza invade quel luogo dove presente e passato si confondono fino a far naufragare un’anima nel mare della disperazione. Penso che comunicare la certezza che la Speranza ci sorreggerà ogni volta che stiamo per scivolare, che precederà i nostri passi sia nel l’ottimismo che nel pessimismo, nell’illusione che nella delusione, sia una grande Grazia, una scoperta sorprendente che porterà di nuovo , chi la Speranza non l’aveva, ad assaporare la rugiada del mattino…
Mi permetto un OT riservato a Luigi.
Qualche tempo fa tu, Luigi, chiedevi che ti venissero segnalate preghiere allo Spirito Santo.
Poco fa ne ho trovato una, breve, sul sito della mia parrocchia. Eccola:
“O Spirito Santo, anima della mia anima, io ti adoro, illuminami, guidami, fortificami, consolami, dimmi quello che devo fare: ti prometto di sottomettermi a tutto quello che desideri da me e di accettare quello che permetterai che mi succeda. Fammi soltanto conoscere la tua volontà! Amen “
L’altra giorno andando all’Oratorio ha visto una giovane “animatrice” scrivere su un grande foglio proprio queste parole: “A Natale viene Gesù il nostro salvatore e la nostra gioia”.
Vi ricordate che Benedetto XVI diceva sempre “cioia” invece che “gioia”?
Grazie Marilisa della segnalazione. Potresti chiedere ai responsabili del sito dove hanno preso quella preghiera? Attribuisco importanza alle parole con cui cerchiamo di dare voce alle nostre invocazioni. Per intenderle pienamente può essere utile conoscerne la provenienza.
E’ vero prof. antonella, indimenticabile l’espressione “cioia” di Benedetto XVI.
Riguardo alla domanda di Luigi sul tweet del papa, sì, capita di conoscerla questa gioia.
Ciao a tutti!
F.
Mia moglie ed io, quando torniamo dagli incontri di preparazione del battesimo che curiamo in parrocchia e quindi abbiamo potuto esprimere e annunciare il nome di Gesù e la sua storia con la nostra storia; quando abbiamo potuto condividere e ascoltare da altri le loro scoperte nel cammino; siamo sempre interiormente molto soddisfatti, contenti, felici. Abbiamo sempre da scoprire, da aprire nuove strade. La vita si rinnova o forse noi scopriamo quanto è bella.
Ecco un ottimo Rosino Gibellini sulla predicazione di Papa Francesco:
Giovanni Paolo II proponeva una predicazione pastorale, Benedetto una predicazione prevalentemente dottrinale, di papa Francesco credo si possa dire che propone una predicazione kerygmatica (oltre che popolare).
http://www.queriniana.it/blog/papa-francesco-papa-kerygmatico/269
Ma “kerygmatica” è “popolare”?
(O è come le brioches di Maria Antonietta?)
L’articolo di Queriniana è come quello della Spinelli: per dire che si torna al Vangelo fa riferimento a studi teologici.
Però si capisce quello che vuol dire e ringraziando il cielo sul Papa non intellettuale ogni giorno esce una carrettata di libri.
Eterogenesi dei fini.
A proposito di teologi:
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/Stampa201312/131213mancini.pdf
“Intendevo: la gioia di annunciare il nome di Gesù. Proprio come la segnala il tweet del Papa. La domanda è: io conosco questa gioia? ”
Con il suo solito modo molto garbato, senza parere, Luigi lascia partire uno dei suoi colpi meglio riusciti.
Vale la pena non scansarlo, come viene istintivo fare.
Voglio dire, cercando di tirare in mezzo , cito alla rinfusa: la speranza, la felicità, lo stare bene, il sentirsi bene, il sentirsi a posto, il sentirsi appagati, l’essere contenti, la soddisfazione, la realizzazione spirituale… e un sacco di altre cose.
Istintivamente io mi aggrappo sempre lì, quando devo parlare di gioia.
Ma questi aspetti, che si amano visceralmente, che si inseguono spasmodicamente, che sono di per sé buoni e belli, possono certamente essere una parte della gioia, ma certo non ne esauriscono la portata. E , anzi, lasciano scoperto il fianco sulla questione principale: quando tutto questo popò di bella roba va a farsi fottere, dove sta , peggio, dove finisce la mia gioia nell’annunciare il nome di Gesù?
Senza nessun intento polemico – chi si sogna di far polemica su un tema come questo? – acchiappo le parole molto condivisibili di Mattlar.
“quando abbiamo potuto esprimere e annunciare il nome di Gesù e la sua storia con la nostra storia; quando abbiamo potuto condividere e ascoltare da altri le loro scoperte nel cammino; siamo sempre interiormente molto soddisfatti, contenti, felici. Abbiamo sempre da scoprire, da aprire nuove strade. La vita si rinnova o forse noi scopriamo quanto è bella.”
Avrei scritto le identiche cose anch’io.
Poi penso a Gesù, agli apostoli, ai testimoni ( non uso martiri perché c’è un sacco di gente allergica alla parola ) e immediatamente mi casca l’asino sotto il sedere. Gli apostoli, ad esempio, la storia la sappiamo tutti arcibene: vengono catturati, e flagellati : dopo averli flagellati, li rilasciano con intimazione del silenzio. E quelli se ne tornano a casa lieti di essere stati giudicati degni di patire oltraggi per “quel nome”.
La differenza è grande come una casa e drammatica.
Meglio che la pianti di darmela a gambe per le solite scorciatoie. Prima scorciatoia: bella forza, quelli erano santi, mica una bestia come me. Palle. “Santi” lo sono diventati partendo dall’essere una bestia esattamente come me.
Seconda scorciatoia: mica tutti devono essere perseguitati e martiri… Vero, grazie a Dio. Allora è meglio che la pianti di costruire dei tragedioni senza fine su certe presunte emarginazioni, incomprensioni, vessazioni, e quant’altro io sono solito rubricare così solo perché intorno a me c’è qualcuno che mi dice papale papale che non è d’accordo su come la penso io, che quello in cui io credo sono tutte balle, che sono un retrivo oscurantista, o mille altre robuzze dello stesso tenore….
Il problema, ma il problema vero: drammatico, di fondo, guardate io credo che sia il ” vero ” problema oggi- almeno qui da noi- sta in una constatazione che è bene fare.
La gioia – quella particolare gioia che possiede e con cui Gesù contagia – è qualcosa che traspare e travalica.
Impossibile viverla a tratti, passarla sotto silenzio, cammuffarla, metterci la sordina. Non la si addomestica per nulla.
Assai poco imparentata con l’equilibrio e con la pace interiore, esplode non tanto nelle parole scritte e parlate, quanto IN COME NOI VIVIAMO. La gioia nel proclamare Gesù è quella di Francesco , quello di Assisi: butta all’aria la vita e la storia, tua e di chi ti vive insieme. Assai poco organica al quieto vivere e al ben pensare.
Questa roba qui, questa pentola a pressione ingestibile che chiamiamo “cioia”,
manco a morire riesci a mimetizzarla. Non è questione di carattere, indole, capacità espressive o tipi umani. Salterà fuori in n modi diversi quanti sono i caratteri, le indoli, le capacità espressive, e i tipi umani.
SE NON SALTA FUORI E’ PERCHE’ NON C’E’.
Stanotte ho fatto una rapida controprova: sono andato velocemente a rileggermi , in sequenza accelerata, tutte le sbrodolate che ho fatto in un anno e pussa di interventi su questo blog. Tracce della gioia di cui stiamo parlando?
Zero.
Tracce di molta altra roba, molta robaccia pure, e letta così tutta in massa fa un certo effetto per quanta ne ho potuta produrre. Ma gioia di sapere, proclamare, dire, annunciare Gesù, zero via zero.
Ma che cavolo c’è allora, in tutte quelle montagne di parole, in quegli scambi e in quelle discussioni?
La voglia- smodata- di dire la mia sulla qualunque.
Bella roba.
Sai che vuol dire questo, detto fuori dai denti?
Che “io annuncio” per dirla col linguaggio del Papa, quello che penso io: cioè ANNUNCIO ME e quelle quattro ideuzze in croce ( sempre quelle , ripetute all’ossessione) che ho su Dio, Cristo, la Chiesa.
Ma sarò coglione?
Credo per davvero che Gesù abbia piazzato occhi, passione e Passione su di me- che abbia investito su di me, direbbero i ben scriventi – perché io mi sgoli ad annunciare me stesso?
Coglione reiterato.
Scripta manent, ma per fortuna, data la provenienza, si dimenticano in un nanosecondo.
Ma parlare senza gioia , è qualcosa che fa male a me- e passi- a chi mi legge, a chi è lontano, a Gesù Cristo. Un controvangelo quotidiano, secondo Lorenz.
Meno male che sta roba è finita.
Il dono della sintesi…
“SE NON SALTA FUORI E’ PERCHE’ NON C’E’.”
Vero, Lorenz.
Il fatto è che se non c’è, è inutile drammatizzare, inutile coltivare sensi di colpa, inutile dirsi “coglioni”.
Molto meglio cercare di fare quel che si può nei limiti (di vario genere) che ognuno ha in sé. Altrimenti la vita diventa un inferno.
Ma a me risulta che Dio non ce l’ha data perché noi stessi ne facessimo un inferno con le nostre elucubrazioni mentali, che altro sbocco non hanno se non di sbattere la testa contro il muro inutilmente.
Non ti pare?
Ciao Marilisa! Ma no, nessun senso di colpa, ma proprio nessuno.
Capirmi coglione, puo’ non piacermi, ma è fondamentalmente liberatorio e anche gioioso: si, gioioso è la parola piu’ azzeccata.
Quindi nessun inferno, e nessuna elucubrazione.
Solo, chiudere le ciarle , muovere le chiappe e andare.
Almeno le ciarle e le chiappe mie, le uniche- fortunatamente!- su cui ho giurisdizione.
Che è anche una sintesi completa e definitiva- così pure Sara apprezza 🙂
Vabbè Lorenzo non è che la gioia è uno stato estatico perenne, tipo quelli che vogliono essere innamorati h24.
Fortunatamente.
Giuro che è la prima volta che sento dire che capirsi “coglioni” porta gioia.
Ognuno è gioioso, ovvero “coglione”, a modo suo.
Non si finisce mai di imparare.
Bentornato, Lorenzo!
“Gioia di comunicare il nome di Gesù”.
Già.
Partiamo dalla convinzione che ogni uomo ha avuto i suoi “talenti” (pochi o tanti ognuno ne ha avuti), ed il battezzato e cresimato ha avuto, in sovrappiù, anche la “capacità di comunicare il nome di Gesù” e di provare gioia nel farlo.
Parlo di me, quindi il ragionamento a voce alta che faccio qui di seguito è riferito solo ed unicamente a me stesso.
Quando riesco a comunicare il nome di Gesù e a provare gioia nel farlo, sto attento a non sbrodolarmi dall’auto compiacimento? Mi spiego meglio.
Quando noto che qualcuno segue il mio annuncio di Gesù, la gioia che provo è del tipo “anvedi come so’ bravo!” oppure “potrei fare di meglio con quello che so”, oppure ancora “riesco veramente a trasmettere qualcosa o il mio interlocutore mi sta ascoltando per pura cortesia?”.
Certo, annunciare Gesù è gioioso, però devo stare attento che Gesù chiede di essere “proposto”, non “imposto”.
La tentazione dell’annuncio è sempre forte, però devo stare attento a non confondermi: la gioia che provo nel farlo non dev’essere pura gratificazione personale ma puro ringraziamento per averlo potuto fare col proposito, la prossima volta che ne avrò l’opportunità, di fare meglio.
Magari riuscendo ad esprimere lo stesso concetto con un numero di parole ridotto…
Germano dice molto di ciò che ho pensato spesso.
Tuttavia non posso fare a meno di sottolineare che rimane, nonostante tutti i miei dubbi e le mie insicurezze (sono felice perchè ho annunciato o lo sono perchè mi sento gratificata a livello personale?) un dato di fatto:
Quando annuncio il nome di Gesù Salvatore, se lo faccio come si deve, io sono piena di gioia.
E allora ho smesso da un po’ di farmi troppe domande: solo Lo ringrazio di questa gioia immeritata, pervasiva, che migliora le mie giornate, e vado avanti.
Io non mi vergogno di annunciare Gesù. Lo dico come premessa a ciò che sto per dire. Ma l’esperienza accanto a chi di Gesù non ha mai sentito parlare se non superficialmente, e non immaginate quanti battezzati non conoscono realmente Gesù,mi suggerisce sempre molta cautela nell’approccio con il non credente. La cosa più ardua in assoluto è comunicare tacendo, entrare in punta di piedi dentro il cuore e le necessità delle persone che Dio ci mette sulla strada distanti anni luce il più delle volte dalla fede, che in Chiesa non sono mai entrate, che applaudono papa Francesco senza capire chi è veramente un Pontefice cosa la gerarchia e quale incommensurabile ruolo è stato loro assegnato, perché e da chi. La maggior parte non lo sa,diseducati alla fede a fronte di una errati pratica religiosa, da 50 anni non s’è fatto più niente -eccetto i grandi club, le grandi lobby , le comunità dove o sei dentro o sei fuori- chiusura di Parrocchie, scandali ecc, parlare di Cristo, del “Corpo Mistico” e altri importanti argomenti che riguardano la Chiesa e la salvezza dell’Anima sarebbe un piatto tanto indigesto digeribile forse entro 2024. Ho sempre fatto apostolato senza mai parlare di Gesù, pregando da me mesedima, agendo dove c’è stato bisogno d’aiuto, comunicando quell’anelito di speranza, solidale fino all’abbassamento per “ri-sollevare” gettando appena un seme di sguincio…perché , non ci illudiamo: è Dio che opera, noi siamo servi inutili, larve, vermiciattoli….
Ok. Quando si annuncia Gesù, e lo si fa ” come si deve” ( secondo noi ), ci sentiamo gioiosi.
Ok..
Ma la questione è: quando noi parliamo di Gesù, o, meglio ancora, quando lo comunichiamo tacendo- come dice Clodine- questa gioia che ci cambia e ci butta all’aria la vita, SALTA FUORI, o no?
La gioia che ci provoca l’annuncio è un fatto marginale, soggettivo e d’ altra natura, per quanto importante e bello.
Così come d’altra natura è il problema del risultato: certo non spetta a nessuno di noi convertire, convertirà Gesù se vuole…A noi spetta testimoniare di essere stati rivoltati come calzini da quella gioia, niente di piu’.Se invece siamo dei bei calzini ordinatini, ben piegati e ben disposti nei nostri cassettini, possiamoessere pozzi di scienza e di teologia, ma testimoniamo al piu’ un ” sapere”, un’appartenenza, gioiosi come possono esserlo delle dispense, per quanto possano essere fatte bene…
Sai cosa salta fuori, lorenzo, e fa la differenza? Non la gioia, perché quando assisti un anziano malato d’Alzaimer, o conosoli una madre che ha perso un figlio, o aiuti il ragazzo che non ce la fa a studiare perché non ha libri di testo..ti posso assicurare che tutto provi fuorché gioia, anzi, a volte sei svuotata totalmente. Diciamo che il compito nostro è riposto nel Comunicare la la serenità e la pazienza, ma non una sterile pazienza bensì quella pazienza attiva, creatrice, che fa germogliare le pietre e sperare contro ogni speranza.
Bho, anche questa necessità di dover essere sempre rivoltati come calzini e al massimo a me fa un po’ proselitismo.
Come quello che giustamente dice Clodine delle realtà parrocchiali dove o sei dentro o sei fuori.
Di mio rispetto alla Chiesa mi sento sempre con un piede dentro e uno fuori, forse per una mia forma di claustrofobica anarchia che mi fa detestare gli ambienti chiusi, però mi piace pensare alla gioia del Vangelo come quella che si vive discretamente nella propria vita in tutte le situazioni dove si è chiamati a metterlo in pratica.
e’ ovviamente possibile che questo voglia dire essere un calzino ben ordinato non lo metto in dubbio.
Però è quel poco che posso fare e in fondo me lo tengo così, sempre puntando a migliorare ovvio, una gioia delicata mi sembra rispondere meglio a quel bussare dolcemente che anche Papa Francesco in Brasile ha dichiarato di voler fare.
Anche io Sara, mi sento con un piede dentro e uno fuori…
Grande Nico! Concordo.
Dato che è tornato Lorenzo volevo dirgli che qualche mese fa ho letto un libro che mi sentivo di consigliargli: (forse perchè mentre lo leggevo mi ricordava lui)
http://www.ibs.it/code/9788839912824/bonhoeffer-dietrich/sequela.html
http://www.donboscoland.it/articoli/articolo.php?id=124640
Buona Domenica a tutti.
In fondo diciamo tutti cose molto vere, reali.
Poi c’è l’equivoco sulla parola “gioia” che intorbida le acque.
Noi la utilizziamo nel senso comune del termine, che ha una sua ben precisa connotazione. Un bel senso, tra l’altro, e una bella cosa. Su cui ci troviamo tutti d’accordo.
SOLO CHE Gesù parla di un altro tipo di gioia, utilizza la parola in modo diverso.E quella mi propone. Un modo molto stretto a quello con cui utilizza – e mi propone- la parola gloria : diametralmente opposto al senso comune che io continuo, non senza fondamento, ad attribuirle.
Non si tratta di cavillare.
La mia gioia, anche la piu’ completa e trascinante, è sempre una gioietta: destinata a sfarinarsi sotto il primo assalto del mio stato d’animo. Al centro della gioia come la intendo io, ci sono appunto io: che “mi sento” felice, magari beato…
Fine, per n motivi, di quel mio sentirmi? Fine della gioia.
E allora, giustamente, anch’io dicevo: non si puo’ essere gioiosi h 24, non si puo’ essere gioiosi davanti a chi soffre, o quando soffro io ecc ecc.
Assolutamente vero, se per gioia intendo la mia gioietta.
La gioia che mi propone Gesù, invece, non dipende affatto da me, da come la prendo in quel momento, dal mio sentirmi.
Dipende da un dato di fatto- SEMPRE CHE CI CREDA PER DAVVERO. Gesù c’è, è qui, e qui con me, ha scelto e mandato me esattamente come Dio ha scelto e mandato Lui. Mi propone, non solo in un domani indistinto e speranzoso alla oppio dei popoli, ma qui e adesso, di seguire lui, di lasciarmi fare da Lui, di lasciarmi fare Lui. Mi propone, già da adesso, la stessa Sua strada di vita piena, libertà, salvezza . La stessa Sua gloria.
Mica cavoli.
Dopodiche non si preoccupa affatto di indorare la pillola di questa Sua proposta con i dolcificanti che io mi aspetterei. Mi dice papale papale che , se la voglio, mi aspetta la gloria, e mi da anche l’indirizzo per arrivarci: lasciarmi consumare per gli altri,lasciarmi bruciare fino in fondo.
Nient’altro.
In questo modo di ragionare , di formulare la sua proposta, ecco che la gioia, la Sua, quella che deriva dallo stato delle cose mie e sue insieme, non è affatto incompatibile con la sofferenza, l’angoscia e la desolazione; si puo’ vivere anche nel piu’ profondo dei fallimenti; non si accorda solo con la serenità, ma pure con lo spaesamento e la crisi piu’ problematica.
La gioia di Gesù, almeno questo è quello che io ho scoperto nella mia storia,e lo dico con un pò di imbarazzo, ma non mi sogno nemmeno di voler convincere qualcuno che la pensi diversamente, non è ” nonostante ” la croce: è strettamente legata, al contario, alla croce. E non solo alla mia, a quelle che io incontro tutti i giorni davanti al naso e che per una vita ho studiato con tutti i mezzi, i trucchi e gli accorgimenti, di evitare, di ignorare, di esorcizzare parlando d’altro….
E qui si ritorna alla mia coglionaggine di cui sopra.
Quindi , per quanto mi riguarda, posso chiudere il cerchio.
Coglione sono partito, coglione arrivo.
Constatarlo mi riempie di libertà.
Sara, grazie per la segnalazione, ne farò uso.
(A proposito: pure io mi sono sempre sentito un po’ fuori e un po’ dentro… finché mi sono accorto che anche lì, come mi sentissi io era tutto un altro genere di problema…il fatto grosso, il dato di fatto era che quel Gesù= la sua chiesa ( quella di carne ed ossa con cui ho a che fare, non quella che mi piacerebbe) si era piazzato assolutamente dentro di me e non voleva sapere di andarsene, e pareva non gliene fregasse una benemerita fava del modo in cui io mi sentissi e paturniassi.)
Scusate la sintesi che non c’è mai.
E mo’ , Natale. E basta.
Sentirsi un po’ fuori non nel senso di non sentirsi figli della Chiesa ma nel senso di cercare di rimanere fuori da certe logiche troppo interne, magari il gruppo un po’ ristretto che si oppone all’altro come spesso capita nella vita delle parrocchie.
Intervista a Francesco di Tornielli:
http://www.lastampa.it/2013/12/15/esteri/vatican-insider/it/mai-avere-paura-della-tenerezza-1vmuRIcbjQlD5BzTsnVuvK/pagina.html
esattamente…Esattamente !!
Qui un bel testo della nostra nico sulla “gioia del Vangelo”:
http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1524
Grazie dell’apprezzamento, Luigi!