Non fuggire dai carcerati

Ho pensato molto a Sergio d’Elia (vedi post precedente) in queste settimane di aggressione nei suoi confronti e sono lieto che la canea inscenata da quanti lo volevano far dimettere sia fallita. Dovremmo interessarci molto di più a chi è in carcere e alle sue possibilità di recupero. Ed esultare ogni volta che uno si riscatta. Anche il gesto di clemenza per i carcerati dovremmo pensarlo come finalizzato soprattutto alla funzione correttiva della pena. Ma più in generale bisognerebbe che sentissimo il mondo carcerario, con i suoi enormi drammi, come parte della società e quegli uomini come fratelli. Si impone sempre più, invece, la tendenza ad allontanare le carceri, anche fisicamente, dalle città. Ho parlato ultimamente con uno che è stato in diversi carceri e che dice: “Il peggiore era quello nuovo poco fuori Ancona, in campagna. Lì non arriva nessun rumore. A San Vittore si sente il tram, all’Ucciardone puoi ascoltare i ragazzi che gridano fuori???. Occorre opporsi al trasferimento delle carceri in campagna. Viene meno il senso della reciproca appartenenza. 

2 Comments

  1. Francesco73

    Ho parlato a lungo della vita nelle carceri con un amico, un giovane frate dell’Ordine della Mercede, che appunto fu fondato proprio per la liberazione degli schiavi e in generale di coloro che sono “in catene”, anche per pena, come i carcerati. Ho capito che il carcere è davvero il luogo “topico” di una città, perchè vi si addensano tanti significati di vita, tanti aspetti (persino belli, perchè nei luoghi più tristi ci sono tanti fatti di redenzione e di Vangelo, come direbbe un certo Accattoli) del dramma dell’esistenza umana. E del resto, basta ripensare alle parole semplici di Papa Roncalli nella visita a Regina Coeli: ho messo il mio cuore accanto al vostro, i miei occhi nei vostri occhi. Il nostro atteggiamento non dovrebbe essere che questo. Ma accanto a tale ordine profetico, lo sappiamo bene, esiste sempre l’ordine della realtà sociale, culturale, umana, in cui siamo immersi. E in tal senso, per le coordinate proprie di questo ordine, e soprattutto per le ragioni della politica, non è possibile purificare del tutto l’immagine di D’Elia e degli altri condannati, soprattutto per reati contro la persona. Il peccato “sociale” resta sempre, in una certa dimensione, e occorre tenerne conto anche e soprattutto per rispetto delle vittime, e ad onore di chi in vita si è sempre condotto con rettitudine e rispetto della legge. Stop alle speculazioni contro D’Elia, quindi. Ma occhio anche agli estremi opposti, a una certa tendenza ad azzerare tutto il passato, a parificarlo con quello altrui. La società del perdono, della riconciliazione e del riscatto è quella per cui noi cristiani siamo impegnati a depositare in silenzio qualche granello di lievito. Ma non è già qui, non l’abbiamo già realizzata. Ci vuole tempo, uno sforzo di approssimazione, e forse questa vita non basta.
    Teniamone conto.

    16 Luglio, 2006 - 9:13
  2. Bello l’intervento di Accattoli, bello il commento, sommesso ed equilibrato, di Francesco73.
    Come cristiani non possiamo pensare, secondo me, che “il peccato ‘sociale’ resta sempre”. Gesù perdona l’adultera e la restituisce immediatamente alla pubblica dignità: e il suo peccato, per la società del tempo, non era meno infamante ed escludente dell’assassinio.
    Naturalmente in D’Elia non c’è (o almeno non risulta, fino a prova contraria) il percorso cristiano del perdono e dell’espiazione. Risulta però il percorso “sociale” della condanna, non lieve, e del carcere. Una volta passato per la porta del carcere, D’Elia ha il diritto di essere valutato per ciò che pensa e fa ora, non per ciò che pensava e ha fatto in passato.
    Chiaramente anche la sua mancata (o insufficiente) presa di distanza da quel passato rientra nel novero di ciò di cui egli è oggi chiamato a rispondere. Ma a rispondere (salvo il caso dell’apologia di reato) sul piano politico dell’opportunità e inopportunità, della condivisibilità e non condivisibilità: che è il piano su cui siamo “giudicati” tutti noi, un piano su cui anche D’Elia ha piena legittimità a stare, assumendosi pienamente, come ognuno di noi, le proprie responsabilità, sottoponendosi giorno per giorno al vaglio degli uomini e della storia.

    17 Luglio, 2006 - 11:14

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