“Per i cristiani l`accoglienza non è un optional, è un dovere. Ogni tanto possono anche tirare fuori le unghie ma senza fare troppo male”: è la regola aurea data ieri dall’arcivescovo Vegliò presentando il messaggio del Papa per la giornata dei migranti intitolato I MIGRANTI E I RIFUGIATI MINORENNI. Benedetto esorta all’accoglienza in nome del “Vangelo della solidarietà” e ricorda che “Gesù da bambino ha vissuto l’esperienza del migrante quando dovette rifugiarsi in Egitto”. I giornalisti chiedono commenti al BiancoNatale di Coccaglio, al referendum di domani in Svizzera sui minareti, al raggruppamento dei ragazzi immigrati in classi “speciali” e i presentatori del documento (presidente del Consiglio Migranti Veglio, segretario Marchetto, sottosegretario Rugambwa) dicono tre no piuttosto vivaci. Io li condivido tutti e tre – quei no – ma penso che sarebbe meglio se gli uomini di Chiesa richiamassero i doveri senza entrare nel merito di questioni tecniche. Esattamente come nella primavera del 2005 condividevo l’indicazione della Cei per il “non voto” al referendum sulla fecondazione assistita ma ritenevo che sarebbe spettato ai cristiani comuni e non ai vescovi scegliere mezzi con i quali difendere la veduta cristiana sulla vita nascente. Nel primo e secondo commento a questo post mi spiego meglio.
Minareti – BiancoNatale – classi di soli immigrati
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[Segue dal post] Quando gli uomini di Chiesa danno indicazioni su vita e famiglia gridano all’ingerenza i politici di sinistra, quando le danno sugli immigrati e le carceri protestano quelli della destra. Io dico che non c’è ingerenza in nessuno dei due casi: sono questioni che riguardano tutti e tutti hanno il diritto e anzi il dovere di parlare. Ma dico anche che dovrebbe crescere una diversità di ruoli nella Chiesa: i vescovi indicano gli obiettivi, i cristiani comuni [non mi piace la parola “laici”] scelgono i modi per raggiungerli. Altrimenti dove va a finire la responsabilità politica dei cristiani comuni? Passeremo dal parroco per conoscere il nostro dovere prima di votare o mentre andiamo al Consiglio comunale?
[Segue dal post] Un esempio di mantenimento del giusto limite lo trovo nelle parole con cui l’arcivescovo Vegliò ha risposto a una domanda sulla cittadinanza agli immigrati. “Non vedo – ha risposto – quale possa essere l`ostacolo a concedere la cittadinanza se un migrante è in Italia già da un po’ di tempo, ha un lavoro regolare, ha i figli che frequentano una scuola italiana e imparano l`italiano: certo le decisioni spettano alla politica, ma credo sia importante che questa discussione si sia aperta”. Non ha detto “ha ragione Maroni” oppure “ha ragione Fini”. Ha apprezzato il fatto che se ne discuta e ha concluso che sono loro che devono decidere. Risposte simili erano forse possibili anche sulle altre questioni.
Ciao Luigi,
“Risposte simili mi sarebbero piaciute anche sulle altre questioni.”
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Ad esempio sul processo breve, ovvero sull’azzeramento della giustizia?
Le ho viste di tanti colori e non mi meraviglia quasi più nulla ma francamente il silenzio assordante della gerarchia su uno dei cardini del Vangelo, la giustizia,
lascia perplessi.
Sono d’accordo, dovrebbero essere i cristiani comuni a trovare l’applicazione politico/legislativa delle posizioni fondamentali dell’antropologia cristiana.
Il punto è che non lo fanno, perchè scatta quella sindrome che io chiamo di “voltairismo cattolico”, per cui ci si preoccupa anzitutto del metodo, della tutela di chi la pensa diverso, del fatto che chi vuole un’altra cosa comunque possa farla, ecc.
Tutto il recente libro di Rosi Bindi è fatto così. Lei parla soprattutto di dare a Cesare “quel che è di Cesare”, ma a forza di sottolinearlo passa piuttosto in second’ordine – e parliamo di una politica cristiana – “quel che è di Dio”, che poi altro non è che una laicissima cultura politica, da declinarsi comunque con metodo laico.
Quindi la Chiesa si trova ad avere questa situazione qui: da una parte ci sono cattolici integralisti, confessionali, e sono inutilizzabili nella dinamica politica se non per fare un pò di colore e confusione.
Dall’altra ci sono cattolici “adulti”, che si preoccupano del diritto altrui mettendo il silenziatore alla proposta culturale cristiana.
La terza via è sostanzialmente irrintracciabile, eppure ci sarebbe.
Sono d’accordissimo con te, Luigi, e felicissimo che tu condivida così a fondo una posizione che è pure mia.
Sono sempre esitante a dire “sacerdoti e vescovi non devono fare politica” perchè temo che qualcuno confonda la mia posizione con quella laicista, in base alla quale se un consacrato dice “l’aborto è un crimine” commette un’ingerenza politica.
Sacerdoti e vescovi hanno il diritto e il dovere di fare conoscere la dottrina sociale della Chiesa.
Ma quando, come alle ultime elezioni, un santo vescovo disse: “Assolutamente l’UDC non deve schierarsi con il PD ma con il PdL”, allora no, no, no, no.
La politica appartiene al carisma dei cristiani laici, sacerdoti e vescovi siano fedeli al loro carisma, che non è poco!
Chi era il santo vescovo?
Francesco73, come spesso gli capita http://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=2813#comments mi toglie le parole di bocca. Non ci possiamo accontentare di una CEI che fa il don Camillo, nè di “laici impegnati” che -a destra o a sinistra che sia- spesso rischiano di costruire teorie o agire pratiche a partire dall’insignificanza pubblica dell’essere cristiani.
Il problema è l’equivoco del concetto di dialogo.
Lo dico ancora una volta pensando a Rosi.
Il dialogo non può che essere un istinto, un’attitudine, un dovere e uno stile dei cristiani, e tantopiù nella vita pubblica.
Basti pensare che noi abbiamo l’obbligo di unire, non di dividere, la vocazione ad aggregare, non certo a separare. Ed è anche per questo che un certo cattolicesimo si trova a malpartito col bipolarismo. La logica dell’ o-di-qua-o-di-là non sta nelle corde di un cattolico, e su questo c’è poco da smentire.
E però il dialogo non prescinde da un contenuto visibile, che pure abbiamo il compito di proporre e testimoniare. Se questo contenuto passa in second’ordine rispetto alla premura di garantire l’opinione contraria, è chiaro che la gerarchia si vede quasi costretta a intervenire oppure a patrocinare iniziative e mobilitazioni che invece spetterebbe ai laici mettere in campo.
La verità è che un certo cattolicesimo pubblico marca soprattutto il suo silenzio, ed è un peccato, perchè così la parola passa ai preti oppure – ed è questa la cosa peggiore – agli integristi.
Francesco73 io credo che si possa obbedire alla vocazione a unire e non a dividere – alla quale tengo – anche nell’accettazione del bipolarismo. Posso cioè stare di qua tenendo conto di chi è di là.
Sì, ma quello sul bipolarismo era solo un riferimento secondario.
E in ogni caso, c’è un’implicazione del bipolarismo (che peraltro ha tanti pregi) che peggiora di gran lunga un’attitudine propria della politica: occorre sposare una posizione in base a dove ci si disloca, ed è importante che tale posizione sia “comunque” distinta e contraria da quella dell’altra parte.
Diversamente, viene meno la visibile differenza e si grida all’inciucio.
Questa recita è tutto fuorchè nelle corde di un cattolico, sia come tale sia come laico impegnato in politica.
Inoltre, trovatemi un cristiano che non patisce le divisioni come tali, persino coi nemici, figuriamoci nel giochetto cretinetto della politica nostrana…
Io più che per il bipolarismo sono per il bipartitismo (anglosassone).
Il trucco è smettere di pensare che il partito per il quale si vota debba per forza essere la nostra fotocopia e che il partito per il quale non si vota debba essere sempre e comunque invotabile. Si inghiotte qualche rospo per non inghiottirne di più grossi e si vigila sempre sull’operato degli eletti.
Purtroppo vige spesso il clima da tifoseria calcistica: il partito che voto è sempre “er mejo” (“pure quanno sbajja”) e gli altri “so’ sempre zozzoni” (“pure quanno vincheno”).
Ce la possiamo fare.
E credo che questo atteggiamento degli elettori aiuterebbe i vescovi a parlare liberamente senza sembrare di essere (o addirittura essere) “tifosi”.
mons. Luigi Negri
Bella, stimolante discussone.
Concordo, al solito, con Luigi, ma mi “intrigano” anche alcuni spunti dell’amico Francesco73.
Credo – provo a dire la mia, come riesco – che, al fondo, dovremmo chiarirci sul concetto di “laicità”: di che si tratta, infatti ? Io penso che consista, in estrema sintesi, nell’accoglienza di valori condivisi, nell’apertura al prossimo, nel rispetto per tutti e nell’eguaglianza tra tutti i cittadini, senza distinzione di sorta, e nella piena, massima, assoluta libertà religiosa.
Poi (se vogliamo, come dire ?, compiere un passo avanti nel tema), possiamo osservare che nel tessuto sociale e culturale del nostro paese si sono formati e consolidati quei valori cristiani che tanto hanno significato nella storia italiana: costituiscono – piaccia o meno – parte importante delle nostre radici e giusto ed opportuno, in questo senso, m’è da sempre parso il richiamo operato dall’art. 7 della nostra Carta Costituzionale alla peculiare funzione svolta in Italia dalla Chiesa di Roma.
Credo, anche (continuando il “volo d’uccello”), che il patrimonio della nostra democrazia repubblicana si sia arricchito della tensione morale insita nell’ispirazione cristiana della partecipazione civile, poiché, come dire ?, educante al senso di responsabilità, allo spirito di servizio, al rispetto per la pluralità delle coscienze, al valore ed al primato della persona umana e della sua irriducibile dignità.
Qui, poi, a mio avviso, si innesta la responsabilità del “laicato cattolico” (il punto – correggimi se sbaglio, Francesco – toccato da Francesco73): il Concilio Vaticano ha ribadito una volta di più la funzione della Chiesa di Cristo come “popolo di Dio”, in cui i suoi ministri e vescovi sono al servizio della responsabilità di ogni cristiano; è compito di ogni credente la traduzione delle esigenze e dei valori di cui la coscienza cattolica è portatrice, il suo costante rigore morale, la dedizione verso il bene pubblico, la spinta verso il rinnovamento, nell’impegno dell’azione politica concreta e nel contributo verso una legislazione statale che possa alimentarsi anche di quest’ispirazione.
E’ in questa particolare complessità – lo ricordava sempre Pietro Scoppola, e scusate se è poco – che si esprime la responsabilità alla partecipazione democratica dei cattolici impegnati nella vita politica e la loro libertà da condizionamenti confessionali: la politica – è persino banale ripeterlo – è il terreno del confronto e della mediazione, anche – perché negarlo ? – del compromesso tra posizioni diverse e sensibilità plurali.
Non ho letto, Francesco, il libro di Rosi Bindi (che, peraltro, e ti confesso, è personalità politica che stimo molto) e, dunque, non ti so rispondere in merito: certo, non mi riconoscerei in quest’atteggiamento che tu definisci di “voltairismo cattolico” ma mi sento distantissimo anche dalla posizione “ancillare” (verso la Chiesa di Roma) della nostra destra (e della sua conventicola degli “atei devoti”).
Sono andato un pò a “zig-zag” ed ho “tenuto la linea” anche troppo, per cui qui mi fermo.
Buona (prima) domenica sera (d’Avvento) a tutti !
Roberto 55
Anche io stimo la Bindi, anche se – come pensa Cacciari – ritengo che abbia fatto alcuni danni politici gravi.
Ma il periodo era complesso, quindi…
Per voltairismo cattolico intendo essenzialmente che non capisco bene come si possa testimoniare una posizione preoccupandosi anzitutto di quello che non l’accetta. E’ un rovesciamento logico, perchè io PRIMA presento ciò di cui sono convinto e POI mi preoccupo di articolarlo dentro gli equilibri del pluralismo culturale.
Se inverto le priorità, non rappresento più nulla, se non una vocina flebile e poco distinguibile, che al dunque non serve nè ai favorevoli nè ai contrari.
Inoltre occorre anche mettere d’accordo la libertà di coscienza e l’autonomia dei laici con la statistica: se nove volte su dieci diventano una clausola di salvaguardia per stare su un fronte diverso da quello cui l’insegnamento della Chiesa chiama, allora trovo più onesto dismettere i panni del “cattolico nella vita pubblica” e recuperare una libertà e un margine di manovra a prova di condizionamento ecclesiale ma anche di paraculismo.
I cattoliconi che vogliono salvare sempre capra e cavoli, barcamenandosi tra ammiccamenti e distinguo, non hanno nulla a che vedere con la vocazione cristiana all’unità.
Sono solo dei controtestimoni.
Io mi accontenterei che la Chiesa non desse indicazioni di voto, dirette o indirette. E non può essere la religione, neppure la cattolica, a informare l’ordinamento giuridico dello Stato.
Infine, il diritto di praticare la propria religione, ovunque ci si trovi e nel rispetto della legge è non trattabile e fondamentale, non sottoposto al principio di reciprocità.
Guardate che la questione dei minareti non è banale, né la presa di posizione degli svizzeri si può sbrigativamente liquidare come xenofobia, intolleranza ecc.
Il tema non è quello della libertà religiosa, che non era in discussione, ma direi quello della “connotazione dello spazio politico”. Lo spazio politico è uno (a meno di immaginare una società frammentata in tanti “mondi” chiusi e coesistenti: ipotesi fragile, e che comunque richiede spazi amplissimi, all’americana: qui ci sto io, tu ti metti un po’ più in là perché tanto c’è posto per tutti: Chinatown, quartiere ebreo ortodosso, sobborgo wasp ecc. ecc.), ed essendo uno mette duramente alla prova (secondo me smentisce definitivamente) ogni idea illuministica di pluralismo tollerante (io la penso così, ma non ho difficoltà ad ammettere che tu la pensi all’opposto, anzi difendo il tuo diritto di sbagliare …). Gli svizzeri hanno forse detto di no alla prospettiva di una fungaia di minareti, ognuno col suo bravo muezzin che cinque volte al giorno invita alla preghiera, cioè hanno rifiutato l’ipotesi di una “islamizzazione” del paesaggio.
Il punto dolente è che, comunque la si metta, lo spazio politico è connotato in un qualche modo: campanili, o minareti, o entrambi o nessuno dei due. Comunque la sua strutturazione sarebbe “intollerante” verso qualcuno. Detto in termini storici tardoantichi: l’ara della Vittoria, nella curia, o si lascia o si toglie, tertium non datur, ma entrambe le soluzioni costituiscono un’imposizione “offensiva” per qualcuno.
Francesco73, devi essere dell’UDC o giù di lì…
Vedo che per te la politica dei cristiani consiste nel formulare una “proposta culturale cristiana”. Immagino che -se ti chiedessi in che cosa essa consiste- mi daresti una serie di indicazioni che tu sei convinto che siano caratterizzanti l’essere cristiano. Ma poi scopriremmo che i cristiani sono tra loro molto più diversi di quanto credevamo. Difficilmente ci troveremmo cioè d’accordo su quali siani i contenuti di questa proposta, pur rifacendoci alla stessa chiesa.
A me sembra che la prospettiva della Bindi tu non l’abbia capita proprio perché parti da questo presupposto: che esiste un contenuto cristiano identificabile da proporre e difendere. Invece io credo, e credo di essere in sintonia con la posizione della Bindi, che esista un modo di essere cristiani in politica, improntato alla coerenza (anche personale) e alla prospettiva del bene comune e del servizio.
Giriamo intorno al tema della laicità. Riguardo alle scelte politiche, la Chiesa (immagino tu alluda al magistero o alle prese di posizione della CEI) è legittimata a dire la sua, ma lo fa assumendosi il rischio di entrare nel campo dell’opinabile. Vale a dire che non può pretendere l’adesione dei laici come quando si esprime in materia di fede. Qui sta la questione dei “laici adulti”, nel saper dire ai cari vescovi che ci sono materie di cui non hanno competenza. L’autonomia dei laici in politica deriva dall’autonomia della sfera politica da quella più propriamente di fede.
Sono d’accordo con Leonardo sul fatto che il problema posto in Svizzera non è banale, e riguarda lo spazio pubblico (forse direi paesaggistico più che politico). La questione è: possono i musulmani passare da una situazione in cui la loro libertà religiosa è garantita nel senso di tollerata ad una in cui la loro professione di fede ha una legittimità pubblica? Si tratta di un salto che non è scontato.
Peraltro, mi ha colpito la presa di posizione delle chiese cristiane, che hanno censurato l’esito del referendum proprio in nome del diritto delle religioni ad un ruolo pubblico.
Qui lo scrivo e poi mi taccio, ma se leggete il recentissimo libro della Bindi scoprirete che il suo cattolicesimo è molto meno “adulto” (nel senso diventato purtroppo deteriore) di come una pubblicistica faziosa, imprecisa e manichea (non solo di destra) la dipinge.