Propongo dieci stazioni dell’accompagnamento del cristiano e della famiglia cristiana nella malattia: dieci stazioni nel cammino che va dalla scoperta di un male grave all’impegno per una morte consapevole. Derivano dall’esperienza vissuta e dalla ricerca di testimonianze d’oggi sull’accettazione dell’handicap, della malattia, della vecchiaia e della morte: della morte propria e di quella altrui. – E’ l’attacco di una mia conversazione con i cappellani ospedalieri romani che ho tenuto stamane nell’Aula delle conferenze del Seminario Romano Maggiore, su invito del vescovo della pastorale sanitaria Paolo Ricciardi. Nei primi due commenti, la prima e l’ultima delle dieci stazioni.
Mia conferenza stamane ai cappellani ospedalieri romani
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1. Vincere il tabù del male. Per vivere le prove del dolore con l’aiuto della Chiesa domestica e della grande Chiesa, è necessario vincere il tabù del male, che impone di esorcizzarlo tacendo. Occorre comunicare nella prova e per poter comunicare occorre conoscerla nella sua verità, compresa la malattia per la quale non vi sono cure. Con le cautele del caso, è bene avere come ideale cui tendere la piena e tempestiva consapevolezza del malato e del morente. Tale atteggiamento è presupposto dalla nuova disciplina del sacramento dell’Unzione. Papa Wojtyla che annuncia in diretta tv il suo ricovero “per accertamenti” (12 luglio 1992) e chiede alla Chiesa l’accompagnamento della preghiera si pone come modello di questa pedagogia. Lo stesso fa oggi Papa Francesco con i “Venerdì della Misericordia”.
10. Proiettarsi nell’attesa del Regno. Il racconto della resurrezione e le promesse neotestamentarie della seconda venuta dovrebbero costituire il culmine dell’accompagnamento ecclesiale del malato e del morente. Nei casi di meno facile comunicazione – o di minore preparazione – basterà insistere sulle parole “venga il tuo Regno”, “liberaci dal male”, “oggi stesso sarai con me in Paradiso”. La malattia fa radicale l’invocazione. L’invocazione cristiana radicale è quella che si esprime “nell’attendere e nell’affrettare la venuta del giorno di Dio” (2 Pietro 3,11). Quell’invocazione non è intesa dall’uomo sano, ma può essere intesa dal malato, il quale andrà accompagnato perché la possa pronunciare a nome di tutti.
Ecco il link per leggere l’intera conferenza:
http://www.luigiaccattoli.it/blog/conferenze-e-dibattiti-2/ascoltare-il-malato-e-mettersi-insieme-allascolto-del-signore/
Caro Luigi.
Innanzitutto ti esprimo la mia gratitudine per questi dieci punti.
E’ un tema delicatissimo sul quale mi permetto in punta di piedi e con rispetto per tutti gli ammalati e i loro familiari solo due piccole evidenze personali: in merito allo scambio del pane e del vino immagino tu non intenda il Corpo e il Sangue di Cristo: meglio di me sai come il tutto spetterebbe al solo sacerdote.
Sulle invocazioni di guarigione concordo con Te: il rischio è che qualcuno cada nella tentazione di non credere se non ascoltate, ma io non le eluderei del tutto e le ricomprenderei nel (difficile) cammino verso la consegna finale, se consegna della vita sarà.
Un abbraccio.
Sullo scambio del Pane e del Vino. Auspicavo che gli sposi fossero aiutati a “porsi reciprocamente come ministri della Parola, ministri straordinari dell’Eucarestia, partecipi dell’imposizione delle mani nell’Unzione degli infermi”. Mi riferivo a un marito che assisteva la moglie così grave che solo lui riusciva ad aiutarla nel mangiare e nel bere. Quando si trattava di darle la comunione, il sacerdote passava a lui il pane e il calice e lui dava a lei un frammento dell’ostia e alcune gocce del vino con un piccolo cucchiaio. Lei con le mani era ancora abile e ripeteva quei gesti verso di lui. Insieme commentavano la Passione di Cristo che venivano leggendo in Marco: avevano scelto questo Vangelo per essere sicuri di arrivare in fondo essendo la narrazione più breve tra i quattro Vangeli. E quando fu celebrata l’unzione, i sacerdoti che erano tre invitarono lui a unirsi a loro nell’imposizione delle mani. Intendevo gesti di questa natura.
Sulle invocazioni di guarigione. Neanche io le escludo ma ritengo che mai debbano essere staccate dalla seconda parte della preghiera di Gesù nell’Orto: “Ma sia fatta la tua e non la mia volontà”.
Grazie per i tuoi riscontri alle mie domande Luigi.
Una ultimissima postilla di mio modesto avviso: dopo la Comunione all’ammalato, (anche grave) tutti lascino la stanza per qualche minuto: il malato non è solo, ma con Gesù Eucarestia.