«Andrea attacca bottone con chiunque. Sa sempre come rompere il ghiaccio e sul cazzeggio è imbattibile. In qualche caso è consigliabile avere un figlio Down. Ai genitori di questi bambini basta insegnare come amarli»: parole di Stefano Mauri, presidente del gruppo editoriale Mauri Spagnol (GeMS), che racconta al “Corriere della Sera” del 22 marzo 2013 la sua vita con il figlio Down. Saluto Stefano e Andrea con un bicchiere di Vino nuovo e affermo che l’amore di un padre è sempre la fortuna di un figlio, che sia Down o no.
Stefano loda il figlio Down “imbattibile sul cazzeggio”
11 Comments
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Ho letto anch’io. Pochissime parole per un grande Stefano e per salutare Andrea. Stappando, anch’io, un vino vecchio calabrese di 18 gradi.
Alla loro salute.
Hai ragione Luigi. Brindo anch’io con te e nino labate….
Tu sai che ho lavorato molti anni con i Down accompagnandoli nel cammino cresimale. Ebbene, ti assicuro che non tutti i padri accettano la condizione di avere un figlio con gli occhi a mandora. Ricordo il papà di uno di loro…..era terribile….arrabiatissimo con la vita. Sempre truce in volto, ho dei ricordi nitidi di quando veniva a prendere il ragazzo all’uscita, dopo la cetechesi: sempre avanti al figlio di almeno due metri…una cosa tragica!
Incarico Marta09 di salutare domani per me alle Palme Elio Guerriero (papà di Paolo: vedi qui: http://www.luigiaccattoli.it/blog/?p=10539) e di segnalargli questo post… noi moderatori dei blog abbiamo la facoltà di dare incarichi ai visitatori… me l’hanno detto a un convegno sulle risorse della Rete… ma si parlava inglese e chissà che avrò capito…
Anche se non sono down
sono disabile: nato tale e…peggiorato (come condizioni di salute) nel corso della vita.
Ho quindi vissuto il problema del disabile giovane prima di diventare vecchio: nessuna delle due esperienze è bella. Quella da vecchio è stata solo “meno peggio” anche perchè, nel frattempo, le cose erano cambiate.
Sono nato in un ambiente povero ed emarginato durante la guerra (1942) e, come spesso accade in tali ambienti, ignorante (perchè la povertà va spesso, anche se non necessariamente, a braccetto con l’ignoranza, l’arroganza e la presunzione di sapere).
Vi assicuro che una delle sistuazioni che vivevo con maggior disagio da piccolo era quella di non essere accettato, a cominciare da casa per continuare con l’ambiente della scuola e della vita. Intendiamoci: nessuno me lo diceva apertamente, anzi, molti “si sforzavano” di trattarmi “in maniera normale”. Il guaio era che, se un individuo aveva un minimo d’intelligenza (quale io, concedetemelo, ho la presunzione di continuare ad avere), queste cose “si sentono a pelle”, e non si vivono bene. Prova ne sia che, a settant’anni, sono ancora qui a ricordarle e a raccontarle.
Mi dicevano che il terzo comandamento (Es. 20) prescrive: “onora il padre e la madre”. Io mi ribellavo a questo comandamento perchè dicevo fra me: “ma se quelli che devo onorare non solo non mi amano, ma non mi accettano e non hanno nessuna stima di me, come faccio, oltre ad amarli, anche ad onorarli?”.
Poi ho cominciato a compiere degli anni, a sposarmi, ad avere a mia volta figli, e ho cominciato (a volte sforzandomi) a capire come va la vita, cercando delle spiegazioni: una di queste era che, in un ambiente dove un figlio era accolto come effetto collaterale di un rapporto sessuale, se quel figlio non era “bello” era difficile amarlo. Anche in considerazione dell’ambiente in cui erano nati e cresciuti i miei: il fascismo, lo si voglia o no, aveva contribuito in qualche modo a dare un certo tipo di educazione anche ai miei genitori: non ernao fascisti però, nella poca scolarità loro concessa, qualcosa hanno pur sempre assimilato di quella triste cultura.
Ho vissuto la mia vita nel corso della quale, anche se tardi, ho anche incontrato Gesù. Da giovane, quando mi veniva “imposto”, non lo acettavo mentre, quando si è “proposto”, gli ho chiesto: “Ma dov’eri fino ad ora quando avevo bisogno di te?”. Domanda retorica: sapevo benissimo che era sempre stato vicino a me: ero io che mi ostinavo a non volerlo vedere.
Ecco, queste sono alcune impressioni contro corrente viste “dall’altra parte della barricata”: cioè dalla parte di un disabile…
Ti voglio bene germano. Sei una creatura meravigliosa…e molto amata!
Grazie Clodine,
ma non è tutta farina del mio sacco…
Certo, sono consapevole di essere “molto amato”: prova ne sia che, anche dal punto di vista dei risultati raggiunti sul piano umano, sono riuscito a fare molto più di tanti miei coetanei che, quand’eravamo piccoli, mi dicevano: “Cosa vuoi fare tu nelle tue condizioni?”…
Però riconosco e ripeto: “non è tutta farina del mio sacco”…
Grazie Germano, per la tua testimonianza.
Che Dio ti benedica!
Nessuno vuole un figlio down, ci mancherebbe. Tutti desiderano e sperano il meglio per i propri figli. Ma perchè non accettare che un figlio, dono non meritato, possa essere anche “imperfetto”?
Oggi è scontato l’esame dell’amniocentesi. Tutte le donne lo fanno, tutti i ginecologi lo consigliano e il sottinteso qual è? Se non è perfetto si elimina.
La madre dei miei figli non ha voluto fare questo esame e ha dovuto anche “giustificarsi” con gli increduli ginecologi, spiegare loro che è inutile (quando non addirittura dannoso, essendo un esame piuttosto “invasivo”) sapere se un figlio è sano quando si è già deciso di accettarlo comunque.
La mentalità di oggi è questa e assomiglia molto ad una visione “eugenetica”: i pochi figli che si generano devono essere belli, sani e il più possibile perfetti.
Ma i cattolici non dovrebbero dare una testimonianza diversa?
Sono felice di poter dire che mia moglie, di fronte alle insistenze di quei “luminari” del reparto di ginecologia e ostetricia dell’ospedale della nostra civilissima (e laicissima) città, abbia potuto testimoniare la disponibilità ad accogliere con amore materno anche un figlio imperfetto, anche afflitto da “gravi malformazioni” (come ebbe a sottolineare con una certa supponenza uno di questi illustrissimi medici).
Che poi, sono talmente tante le malattie genetiche che l’amniocentesi ne rivela si e no un terzo…siamo sempre nelle mani di Dio.
Veramente! La vita è questa….il Signore non ci abbandona, assieme alla prova ci fornisce una grande forza, tanto grande da superare il peso stesso della prova. Basterà mettere tutte le nosre afflizioni in quel costato ….Lui ci ama, non ci abbandona
Comunque, non tutti i giovani accettano passivamente gli esami: ne conosco anch’io che rifiutano, dicendo che tanto non abortirebbero mai.
Solo che non lo vanno a raccontare in giro.
Per questo la testimonianza di Federico, e la nostra quando incontriamo queste persone, è importante.
E’ un modo per non accodarsi alla mentalità comune neppure quando ci vuol far credere che i giovani di oggi sono ‘peggiori’ di noi. Io credo che non sia vero. Sono proprio come noi, nel bene e nel male…
Certo, Nico, lo so.
Ma ti assicuro che sentire frasi come : “lo fanno tutte le donne, perchè lei non lo vuol fare?” o “ma si rende conto che suo figlio potrebbe avere gravi malformazioni?” o “si sente la responsabilità di non sapere..?”… Una donna incinta, magari in attesa del primo figlio, che porta con se’ già di suo ansie e preoccupazioni, viene facilmente convinta.
Perlomeno questo nella mia città, può darsi che altrove ci sia maggiore rispetto per la vita nascente.
E’ vero, sembra che viga una sorta di obbligazione e se ci si rifiuta si viene guardata con diffidenza. Già dopo i trent’anni consigliano caldamente il test invasivo, con tutte le percentuali e le probabili possibilità con scadenza annuale e scaletta graduata che segna con matematica certezza la possibilità di generare un bimbo Down . Sicché, attraverso un computo ad alta definizione elencano -dal 18 anno in poi- l’invecchiamento degli ovuli responsabili di fare “cilecca”.
Mia madre partorì mia sorella , l’ultima, alla bell’età di 48 anni. Si dirà che è stata fortuna, che le andò bene, ma …veramente…a me sembra che questa dell’amniocentesi sia diventata una moda -per non dire un business- molto pericolosa.
La figlia di mia sorella ha perso il bambino per questo scherzetto. Il terzogenito: un bambino sanissino tra l’altro. A nulla servi il riposo forzato immobilizzata sopra un letto: la placenta si sgonfiò come un palloncino forato, lentamente perse gran parte dell’amniotico e il feto morì tra i tormenti, senza possibilità di poter intervenire se non con il raschiamento. Niente da fare. Ricordo il viso serio del ginecologo scrollare il capo e dire :” signora, non si può fare NULLA!”
Non volevo dirlo, anzi, ho rimosso questo evento tragico che colpì mia nipote.