Martiri di Otranto e di oggi

Mentre veneriamo i Martiri di Otranto, chiediamo a Dio di sostenere tanti cristiani che, proprio in questi tempi e in tante parti del mondo, adesso, ancora soffrono violenze, e dia loro il coraggio della fedeltà e di rispondere al male col bene“: così Papa Francesco all’omelia della canonizzazione degli ottocento martiri di Otranto, indicati come “Antonio Primaldo e compagni (+ 1480)”. Una pagina di “suprema testimonianza del Vangelo” – ha detto Francesco – è stata vissuta nel 1480 da “circa ottocento persone che, sopravvissute all’assedio e all’invasione di Otranto [da parte degli Ottomani], furono decapitate nei pressi di quella città. Si rifiutarono di rinnegare la propria fede e morirono confessando Cristo risorto”.

25 Comments

  1. La presenza dei martiri del passato ci interroga. Ancora più ci interroga la presenza dei martiri di ogni giorno nei nostri tempi.

    12 Maggio, 2013 - 12:26
  2. Luigi Accattoli

    Al regina Coeli Papa Francesco ha salutato i partecipanti alla “Marcia per la vita” che si è fatta questa mattina a Roma, invitando “a mantenere viva l’attenzione di tutti sul tema così importante del rispetto per la vita umana sin dal momento del suo concepimento”: “A questo proposito, mi piace ricordare anche la raccolta di firme che oggi si tiene in molte parrocchie italiane, al fine di sostenere l’iniziativa europea ‘Uno di noi’, per garantire protezione giuridica all’embrione, tutelando ogni essere umano sin dal primo istante della sua esistenza. Un momento speciale per coloro che hanno a cuore la difesa della sacralità della vita umana sarà la ‘Giornata dell’Evangelium Vitae’, che avrà luogo qui in Vaticano, nel contesto dell’Anno della fede, il 15 e 16 giugno prossimo”.

    12 Maggio, 2013 - 12:31
  3. Federico Benedetti

    Grazie papa Francesco e grazie Luigi per averci ricordato le parole e le sollecitazioni del Papa.

    12 Maggio, 2013 - 13:34
  4. lorenzo

    Prima che interrogarci, la presenza dei martiri ” di sangue” ci ricorda una verità molto semplice.
    O sono martire, cioè testimone, o non sono cristiano.
    Non si puo’ essere cristiani, senza testimoniare Cristo.
    Anzi: se io non testimonio con la mia vita tutta intera (la mia vita vera, come è. dove è, con chi si svolge. Non con le parole, le virtù, le pratiche religiose, le iniziative pubbliche, le dichiarazioni di principio : ma giocandoci tutta quanta la mia vita, senza tante storie) se io faccio questo e mi proclamo cristiano, do una controtestimonianza,
    Rendo il Vangelo fuffa.
    Aria fritta, ideologia, filosofia, cultura, filantropismo,devozione…posso renderlo un sacco di cose, tranne quello che è.
    Credere di poter essere un cristiano in pantofole, è un controsenso, e un contromartirio. Se vivo così, semplicemente, sono un “non cristiano”.
    Se continuo a pensare che il martirio riguarda ” i santi”, sto, come al solito, scappando come una lepre. I martiri, compresi gli ottocento freschi di altare, sono uomini identici precisi a me, per niente piu’ virtuosi, per niente piu’ dotati, per niente piu'”portati”…solo, prendono Gesù Cristo sul serio.
    I martiri non vagheggiano l’aldilà e la gloria. Semplicemente seguono Gesù Cristo per davvero, nei fatti della loro vita, facendo quello che tutti quanti, indipendentemente dal valore e dalle doti, possiamo fare : rinnegare noi stessi, prendere su di noi le croci che incontriamo, seguire il nostro Amico.
    Amano la vita esattamente come me, anzi molto piu’ di me.
    Mi mostrano una strada che è ampiamente alla mia portata.
    La testimonianza è quotidiana e silenziosa. Perchè quotidiana e silenziosa è la vita di ogni giorno, e quello è il contesto in cui testimoniare. Solo in certi casi potrò essere chiamato a darla ” in forme supreme”, come quegli otrantini cinquecento e pussa anni fa.
    Se l’idea mi spaventa, è solo naturale.
    Ma se l’idea non mi viene, c’è qualcosa che non quadra.
    Il rischio piu’ grande, è quello di essere convinto di testimoniare Gesù Cristo, e invece di testimoniare quello che io penso di Gesù Cristo.
    Quello di credere di testimoniare la sua Parola, e invece di testimoniare le mie quattro ideuzze in croce.
    Quello di cercare lo scontro e la barricata per poter sventolare la sua bandiera, quando Gesù Cristo non usa bandiere, e non mi chiede né scontri, né barricate, ma la mia vita…

    12 Maggio, 2013 - 16:10
  5. mattlar

    Grandissimo Lorenzo. Condivido tuttto Peraltro, il tuo nome ? particolarmente impegnativo.

    12 Maggio, 2013 - 17:29
  6. luca73

    Come Mattlar, anch’io condivido in toto il pensiero di Lorenzo.

    E vorrei aggiungere che venerdì 10 maggio, ricevendo in udienza il patriarca della Chiesa ortodossa copta, Tawadros II, Papa Francesco ha detto:
    “‘Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui’ (1 Cor 12, 26). Questa è una legge della vita cristiana, e in questo senso possiamo dire che esiste anche un ecumenismo della sofferenza: come il sangue dei martiri è stato seme di forza e di fertilità per la Chiesa, così la condivisione delle sofferenze quotidiane può divenire strumento efficace di unità. E ciò è vero, in certo modo, anche nel quadro più ampio della società e dei rapporti tra cristiani e non cristiani: dalla comune sofferenza, possono infatti germogliare, con l’aiuto di Dio, perdono e riconciliazione”.

    L’urgenza e la bellezza di portare Cristo e il suo Vangelo a tutti hanno bisogno della “testimonianza della carità”, senza la quale anche il martirio e la missione perdono il loro sapore cristiano.

    13 Maggio, 2013 - 8:52
  7. lorenzo

    Bellissimo, di questo intervento riportato da Luca, il riferimento finale alla “comune sofferenza”.
    La sofferenza, intendiamoci, fa schifo.E va combattuta a viso aperto e in tutti i modi: non è mai un valore in sé. Ma ci riguarda tutti, in quanto uomini e persone. Nulla di piu’ ecumenico, di piu’ trasversale, di piu’ comprensibile a chiunque della sofferenza. Nulla, anche, di piu’ concreto e di piu’ terra terra. Per questo, pur nella sua bruttezza, è un luogo e un momento di incontro e di comunicazione, di crollo delle barriere e di comprensione. Stabilisce, aldilà di ogni differenza,.un rapporto di complicità e di intesa nei fatti.
    Io credo che non sia un caso che Gesù Cristo sia venuto a incontrarci e a salvarci proprio lì, nella sofferenza. Nella sua e nella nostra,inserendo la sua nella nostra e facendo della nostra una parte stessa della sua., piazzandosi così al centro di quel mistero scandaloso , di quel perché senza risposta in grado di mettere in crisi la fede di chi crede in Dio e di alimentare l’incredulità di chi non ci crede.
    Come dice il Papa, ” anche nel quadro piu’ ampio della società e dei rapporti con i non cristiani”, io devo fare la stessa cosa: andare a condividere il dolore di chi mi sta lontano, portare, prima che la mia ” dottrina ” e la mia religione, ( il rischio è quello di sbatterla in faccia, di ostentarla senza il cuore, aldilà delle intenzioni ma con effetti deleteri) di portare la mia sofferenza vicina e uguale e sorella di quelle- identiche- di chi non crede come me. Di chi magari
    impreca e bestemmia, in quel momento. E lo fa, dal suo punto di vista, con tutte le ragioni.
    E posso imparare tanto dal mescolare la mia sofferenza a quella di chi non crede, posso imparare tanto e perdonarmi per tutte le volte che ,magari a vanvera, ho sdottorato sul dolore, ho fatto la lezioncina e la morale su tragedie degli altri, ho tirato fuori una ricettina devota che spiega ogni cosa sotto il naso di chi si vede crollato il mondo addosso. Facendo l’esatto contrario di quel che fa Gesù quando sale in croce: non ne approfitta per predicare, per spiegare, per rinfacciare, per ammonire.Non fa del suo dolore un momento di chiusura e di separazione, ma di braccia spalancate e di comune esperienza.
    Se manca e mancherà questo, in me, mancherà ogni germoglio e ogni conseguenza, eio, nel mio piccolo, avrò vanificato un piccolo pezzettino della croce stessa di Gesù Cristo.

    13 Maggio, 2013 - 11:57
  8. Marilisa

    “La sofferenza, intendiamoci, fa schifo.E va combattuta a viso aperto e in tutti i modi: non è mai un valore in sé. Ma ci riguarda tutti, in quanto uomini e persone. Nulla di piu’ ecumenico, di piu’ trasversale, di piu’ comprensibile a chiunque della sofferenza.”(Lorenzo)

    Vero! La sofferenza va affrontata e combattuta. La sofferenza, ineluttabile nella vita di ognuno, è uno scandalo e mette in crisi, fa ripiegare su se stessi, isola e fa sentire soli al mondo.
    Può anche allontanare i credenti da Dio a meno che una Grazia speciale non venga a sostenere l’uomo nel dolore.
    Dio in realtà non vuole la sofferenza; dire, come spesso si sente, che “Dio vuole così” è come bestemmiare, perché Egli è il Dio della vita.
    Gesù il Cristo nell’arco della sua vita pubblica ha operato per la guarigione degli infermi.
    Mi fa orrore, allora, sentire frasi, ripetute come slogan, secondo cui la sofferenza sarebbe la via obbligata per la salvezza. Lo si dice con quella disinvolta facilità che esprime il non senso di una formula imparata a memoria e non elaborata.
    Lo dicono anche molti preti dal pulpito, e non spiegano.E sembra quasi che vogliano dire–a volte lo dicono chiaro chiaro– che Dio ci “manda” le sofferenze per farci espiare i peccati. Un Dio sadico!
    È lecito, e forse anche doveroso, pregare, scongiurare il Signore di liberarci dalle malattie fisiche e non fisiche ( quante ce ne sono! Quante rivelano a noi stessi la debolezza della nostra natura umana!), ma quando sembra che non ci sia nessuna risposta–e molto spesso non c’è–allora il significato della sofferenza lo si trova soltanto nell’abbandono, non facile peraltro, nelle mani di Dio quale compagno nella “prova”. Fratelli di Gesù sulla Croce. Altra via di sbocco non c’è,del resto.
    Condividere la passione del Cristo, ma senza spiritualità dolorista, e con preghiere semplici; quelle che nascono dal cuore e che ci richiamano le parole ben note “Padre, nelle tue mani rimetto il mio Spirito” dette da Gesù qualche istante prima del trapasso. E che indicano uno svuotamento totale di sé e un affidamento disarmato alla volontà del Signore.
    Per avere almeno una sorta di pace interiore.

    13 Maggio, 2013 - 15:25
  9. eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeh!!!!!

    Hanno salvato Roma !!!!!!

    BUUUUUMMM !!!!!

    Non Solo…. ma tutta l’Europa, anzi tutto il Mondo…..tutto er cucuzzaro…..

    13 Maggio, 2013 - 23:04
  10. A noi ce bastano le oche pe’ sarvacce…!!!!!!

    13 Maggio, 2013 - 23:05
  11. mattlar

    Grazie Luca73 di aver riportato queste splendide (ed ecumeniche) parole del Papa sui martiri!

    14 Maggio, 2013 - 8:30
  12. luca73

    Grazie a te Mattlar.

    Vorrei anche dire una parola a favore dell’amica Discepolo, che troppo spesso viene attaccata per commenti assolutamente condivisibili – e sempre corroborati da puntuali rimandi a testi che difficilmente possono essere contestati.
    Qualche post indietro, Luigi ed altri invitavano ad uno scambio di opinioni educato e non offensivo. Forse non tutti hanno accolto questo richiamo.

    14 Maggio, 2013 - 9:10
  13. Luigi Accattoli

    Su che cosa fecero i turchi per secoli lungo tutte le nostre coste può risultare istruttiva un’occhiata alla figura del corsaro Dragut Rais: http://it.wikipedia.org/wiki/Dragut

    14 Maggio, 2013 - 10:14
  14. Luigi Accattoli

    Dragut Rais “nel luglio del 1554 assediò per una settimana circa la città di Vieste, all’estrema punta del Gargano, incendiandola e devastandola. Decapitò circa 5000 persone sulla roccia ai piedi della Cattedrale detta “Chianca Amara” ancora oggi ben visibile e opportunamente conservata. Deportò giovani e donne da destinare al mercato degli schiavi”.

    14 Maggio, 2013 - 10:15
  15. Luigi Accattoli

    I cristiani – ma sarebbe meglio dire “gli europei”, in parallelo a “i turchi” – facevano altrettanto. Basti – per restare in Puglia – il caso di Lucera Saracenorum (l’attuale Lucera), ultima cittadella musulmana in terra italiana, dove fu sterminata nell’anno 1300 l’intera popolazione dalla cosiddetta crociata angioina. Questo testo dice molto sui tributi e sulle stragi e la schiavizzazione a cui andavano incontro allora i musulmani in terra cristiana: Isaraceni in Italia meridionale tra XIII e XIV secolo.

    14 Maggio, 2013 - 10:29
  16. luca73

    Luigi, posso rivolgerti una domanda, che magari ti sembrerà infarcita di pregiudizi (ma ti assicuro che non lo è) e stupida:

    Perchè i cristiani non hanno mai voluto conquistare La Mecca, mentre i mussulmani hanno ripetutamente puntato su Roma?

    14 Maggio, 2013 - 10:37
  17. Luigi Accattoli

    Mi sembra una buonissima domanda, ma non sono uno storico e non ho una risposta appropriata. Penso che le conquiste si fanno per interesse e immagino che i re franchi, i genovesi, i veneziani, gli amalfitani, i principi tedeschi e i Papi non avessero interesse a raggiungere la Mecca. A parte i luoghi santi, avevano interesse a stabilire degli approdi commerciali, non alla conquista. Ma bisogna anche tenere conto che La Mecca è nel mezzo della penisola arabica, a circa millecinquecento chilometri in linea d’aria dal Mediterraneo… mentre Roma è a 30 chilometri dal mare e vi si arriva risalendo il Tevere… fu per questa via che nell’846 gli arabi di Sicilia saccheggiarono Roma…

    14 Maggio, 2013 - 11:03
  18. lorenzo

    Bella e importante la sottolineatura di nicoletta z.
    Un altro di quei casi in cui, per dirla con papa Francesco, la “condivisione delle sofferenze può divenire strumento efficace di unità. E ciò è vero, in certo modo, anche nel quadro più ampio della società e dei rapporti tra cristiani e non cristiani: dalla comune sofferenza, possono infatti germogliare, con l’aiuto di Dio, perdono e riconciliazione”.
    La valutazione spassionata di questo, come di altri episodi storici, serva a farci capire sempre meglio l’intima e profonda unione che ci lega ai ” fratelli maggiori” ebrei. Senza i quali, noi cristiani oggi non saremmo qui.

    16 Maggio, 2013 - 12:49

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