“Troppo facile amare chi ci fa del bene, la vera sfida è riuscire a perdonare chi ci perseguita. Lo dice nostro Signore, ama il tuo nemico. Se adesso che mi hanno tolto Giuseppe io non ne fossi capace, tradirei anche lui e tutto ciò per cui è andato in Iraq”: così parlò nei telegiornali dell’11 novembre 2003 Margherita Coletta, la vedova di Giuseppe, uno dei carabinieri morti a Nasiriyah. Margherita – di cui nel post del 7 febbraio abbiamo letto un parere su Eluana Englaro – non ha smentito negli anni quelle parole cristiane e così le conferma in un libro che ha scritto in dialogo con Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire: “Lo diciamo tutti i giorni nel Padre nostro: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Lo stesso Gesù ci ha lasciato il comandamento di perdonare settanta volte sette, cioè sempre. Non vedo allora perché debba sembrare così eccezionale se un cristiano perdona chi gli ha fatto del male. Per un credente semmai dovrebbe essere strano il contrario”. (Segue nel primo commento)
Margherita Coletta che ancora perdona Nasiriyah
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(Segue dal post) Il libro che Lucia Bellaspiga ha realizzato con Margherita Coletta (Il seme di Nasiriyah. Giuseppe Coletta il brigadiere dei bambini, Editrice Ancora, Milano 2008, pp. 128, 12 euro) sarà presentato giovedì pomeriggio alle 17.00 a Roma, in Campidoglio, nella Sala della Protomoteca. Ecco altre parole di Margherita che prendo dal libro e offro in dono ai visitatori. “Io e Giuseppe siamo ancora uniti, ci siamo solo divisi i compiti, io qui con Maria, lui lassù con Paolo, ma un giorno torneremo insieme”: Paolo è il primo figlio di Margherita e Giuseppe, morto di leucemia a sei anni nel 1997; Maria è la loro figlia nata nel 2001. “E’ stato il dolore per la morte di Paolo a spingerlo a partire per le missioni di pace, aveva un bisogno estremo di portare aiuto a quei piccoli innocenti che pagano le conseguenze di inutili conflitti”: e oggi Margherita porta avanti l’impegno umanitario del marito con l’Associazione Giuseppe e Margherita Coletta – Bussate e vi sarà aperto. Alla domanda su che cosa le manchi di Giuseppe, Margherita risponde: “La carne. Lui, le sue mani soprattutto, i baci, le carezze, il sorriso, la sua fisicità. L’essere ancora moglie”.
Urca Luigi! Che corsa di “lezione” sul tipo di parola che comunica, sul tipo di “parola scritta”.
1) la parola aggressiva
2) la parola che non essere di scandalo e quindi la parola di piena carità
3) la parola in piena carità che diventa “parola terapeutica” (Vangelo di Marco ed esperienza di Martini)
4) (la più bella ed autentica) parola di perdono e di perdono ai nemici, a quelli che hanno tolto vite fisiche e vite spirituali. Parole che non giudicano, parole che hanno nella loro composizione di vocali e consonanti un timido ed umile “Padre, perdonami, perchè (temo) di non sapere quello che sto facendo” che diventa un potente “Padre, perdona loro, perchè non sanno cosa stanno facendo”.
Forse non dovremmo “misurare” le parole, forse dovremmo solo “armonizzarle” con un Vangelo che ci viene scritto nella testa e nel cuore prima di essere stato scritto su carta.
Grazie Luigi!
Che gioia!
Lasciar parlare il Vangelo vissuto.
Solo questo ha senso.
Il di più viene dal maligno.
una testimonianza bellissima. Una lettura di sicuro edificante
… la responsabilità delle parole che non nascono dalla Parola accolta, assimilata e vissuta (in altre parole quel che dice Matteo)
un bel “fatto di Vangelo”, Luigi. Grazie.
Eppure… le lingue nuove della cultura contemporanea parlano molto diversamente del 70 volte 7 e se non hanno completamente revocato il comandamento dell’amore per lo meno ne hanno ridotto l’efficacia. Per esempio, Th. W. Adorno in un suo saggio, «La dottrina kierkegaardiana dell’amore», dice: «l’amore cristiano in sostanza non può mai essere deluso, dato che esso viene esplicato per amore del comandamento divino […] per il rigorismo dell’amore da lui sostenuto la persona amata viene svalutata non soltanto come oggetto ma anche come soggetto. L’universalità umana oltrepassa la soglia del disprezzo del genere umano» (p. 375). Adorno si scaglia contro l’esaltazione della trascendenza dell’amore, tale essendo l’amore impregiudicato e immotivato, cioè motivato solo da se stesso, nei confronti anche del proprio nemico, che, secondo lui, minaccia sempre di capovolgersi in qualcosa di tenebroso, quale, «l’umiliazione dello spirito dinanzi a Dio». Di fronte a queste affermazioni, ma anche allo sterminato campionario offerto da Nietzsche, mi domando quanto l’evangelo, anche vissuto, abbia a che fare con la cultura moderna e come impostare il famigerato dialogo. Al di là del linguaggio ostico e tecnico di Adorno e dei filosofi in genere vale la pena ricordare che l’obiezione secondo la quale l’amore non può essere comandato, è carne e sangue dei comportamenti moderni, per i quali appare ovvio colpire il nemico e vendicarsi delle sue azioni. La foglia di fico progressista è naturalmente lo stato di diritto che delega la vendetta all’apparato statale assumendo il nome di giustizia. Lo dico per richiamare a me stesso innanzitutto la consapevolezza che “il fatto di Vangelo” è l’opposto del mondo moderno. O no?
Non più di quanto era all’opposto del mondo antico: “Avete inteso che fu detto: amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici…” (Matteo 5)
il (fatto di) Vangelo è da sempre “opposto” al mondo, ma pur sempre “nel” mondo… e se no, che Buona notizia sarebbe?
Verissimo. Credo però che la diversità di queste opposizioni obblighi a più di una riflessione. Le istituzioni del mondo antico, ad esempio, potevano contenere aspetti delle massime evangeliche solo come anticipo e precorrimento (alla maniera di come si è potuto leggere l’Antico come un assaggio del Nuovo Testamento); la situazione attuale, al contrario, ama presentarsi come abbandono, superamento o cancellazione dei tratti evangelici. E dal momento che tutto questo avviene dopo che il tentativo di realizzare una qualche forma di civiltà cristiana si è rivelato spesso come il suo contrario, il problema assume una forma inedita e bisognosa di nuovo pensiero. La soluzione del Vaticano II è tuttora la migliore? Te lo chiedo senza avere nessun pregiudizio in senso positivo o negativo anzi, nella speranza che sia la migliore… altrimenti siamo davvero messi male.
c’è qualche cosa che mi sta sfuggendo, in questa intellettualizzazione di un fatto semplicemente evangelico?
sì… scusa debenedetti, anche io non riesco a seguirti… e lo dico con un pizzico di frustrazione… mi manca qualche codice comune… mi aiuti?
“Margherita – di cui nel post del 7 febbraio abbiamo letto un parere su Eluana Englaro – non ha smentito negli anni quelle parole cristiane e così le conferma in un libro che ha scritto in dialogo con Lucia Bellaspiga, giornalista di Avvenire.”
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Caro Luigi a me non piacciono le discriminazioni e allora :
A proposito di “parole cristiane”
E chi non è iscritto a nessuna fede o religione o ai semplicemente atei che, nel caso di Nassirya ed altri simili, hanno avuto parenti o amici morti ammazzati e che elaborano il loro lutto in un dignitoso silenzio?
La loro testimonianza e le parole mai fanno notizia perchè mai registrate in interviste televisive o premurosamente accolte e sponsorizzate da Avvenire.
Che ne è di costoro?
Povero Cristo ridotto a griffe di autenticità perfino nell’esperienza e nella manifestazione del dolore.
Mi scuso… seguivo una linea di pensiero che legava il post di ieri dedicato al libro del card. Martini e il post di oggi, piegato sul fatto evangelico. Nel primo si davano indicazioni sul parlare i linguaggi della cultura contemporanea. Il mio post di oggi voleva evidenziare proprio la lontananza tra il fatto evangelico descritto dalle parole della vedova Coletta e le parole della cultura contemporanea. I cattolici vivono sotto il doppio vincolo di lasciar parlare il Vangelo vissuto e di dialogare con una cultura che quel parlare lo fraintende o lo avversa. Personalmente sento molto questa opposizione e cerco di spiegarmela. Il Vaticano II, per quel poco che ne ho capito, ha dato una risposta, mi domandavo se è ancora percorribile. A Matteo dico che siamo in certo qual modo obbligati a intellettualizzarci… purtroppo.
Non sono d’accordo con Nino: perdonare i propri nemici non è elaborare il proprio lutto. Messa così il comandamento dell’amore sarebbe un modo come un altro per anestetizzare il dolore.
Un uno-due micidiale quello della coppia Matteo-Nino, che mettono k.o. la signora Coletta. Oltre che una spiona che si intrufola nelle case per poi spifferare tutto ad Avvenire (come ci spiegò a suo tempo Matteo), ora sappiamo da Nino che è una che esibisce, sempre su Avvenire, il suo dolore griffato Cristo.
Formidabili, quei due!
Gentile signor debenedetti, lei pone, in modo acuto, una questione serissima, quella della probaibile incompatibilità del cristianesimo con il mondo moderno. Continui, la prego, anche se la avverto che qui lo fa a suo rischio e pericolo (di colossali fraintendimenti da parte di qualcuno).
Nino, quello che dici sembra esagerato anche a me… non si può attribuire a chi parla la responsabilità del fatto che gli altri non hanno parlato. A me sembra che la Coletta abbia ben detto quello che è richiesto a ciascun cristiano… testimoniare la salvezza che viene da Gesù. E quello che apprendo dal post di luigi lo ritengo veramente edificante per chiunque, cristiano o meno. Ognuno avrà il suo tempo: chi tace oggi non è detto che non parli domani…
Chi è colei che sale dal deserto
appoggiata al suo diletto?
Madre del bell’amore,
seme di Nasiriyah
che muore e non rimane
solo. Amore mai
solitario, profumo
di mirra scelta, fiore
piccino, sapienza cresciuta
come cedro del Libano
come cipresso dell’Ermon
come palma in Engaddi,
margherita tra i miti
che erediteranno la terra.
Colombelle, mie amate, non abbandonate le mie spalle,
sempre suggeritemi, silenti, quello Spirto che mezzo,
vi porta allo mio intelletto.
debenedetti and mattlar
DOVEROSA PREMESSA
La signora Margherita Coletta sappia che il sottoscritto ha dedicato un pensiero ai martiri dell’eccidio di Nasiriyah insieme a migliaia di cittadini firmando il registro posto all’esterno della caserma del comando generale dell’Arma in viale Romania. Fu una fila di oltre un’ora.
Non in qualità di cristiano né in forza di una regola o codice di diritto canonico o del catechismo della chiesa cattolica.
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Di grazia, qual’è la tecnica o la procedura standard certificata ISO 9000 riconosciuta e accettata universalmente che accerta e certifica il perdono?
Per caso il requisito di base è l’essere cristiano?
Se così fosse poveri noi visto che due terzi del mondo cristiano non è.
“Messa così il comandamento dell’amore sarebbe un modo come un altro per anestetizzare il dolore.”
E se invece fosse così per il resto o per la maggioranza dell’umanità?
Sarebbe grave? Un peccato mortale? Varrebbe zero?
E poi “Messo così” per caso il comandamento dell’amore prevede l’armarsi per uccidere il prossimo anche solo potenzialmente?
Infine, “Messo così” l’amore è tutt’altro che un comandamento codificato, è di più e oltre. E’ qualcosa che ha a che fare con la coscienza e il sentire degli umani a prescindere dai culti.
Ti amo e ti voglio bene o non ti amo né ti voglio bene o mi sei indifferente non in funzione di una legge o di un comandamento.
Se così fosse il nostro paese cattolico per l’85% delle persone, così dice la recente indagine statistica, sarebbe il paese del bengodi e dell’accoglienza.
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Spero che Luigi abbia capito il senso del mio pensiero.
Caro debenedetti,
se ti dovesse capitare di seguire il vangelo di oggi,
è terribilmente semplice,
obbrobriosamente semplice.
Un cieco che non chiede assolutamente nulla, viene condotto a Gesù,
Gesù lo conduce fuori dal villagio in luogo appartato, spalma saliva sui suoi occhi e gli impone per due volte le mani. Il cieco riacquista la vista.
E’ tutto terribilmente semplice.
Gesù è terribilmente semplice nei suoi atti.
Non chiede fede, il cieco non chiede miracolo, sono altri a condurlo.
Gesù si fa carico di rispondere alle esigenze primarie dell’uomo,
la salute e la fame, e annuncia il Regno.
E’ tutto terribilmente semplice
Reagisco all’ultima affermazione di debenedetti. Sarebbe ben curioso se un Concilio che si è riproposto di porre dei punti fermi su aspetti centrali quali la Chiesa, il rapporto tra Chiesa e mondo, la Scrittura ecc. dovesse essere considerato in qualche modo “superato” dopo soli 4 decenni. Dunque non avrei dubbi sul fatto che la risposta che si trova là sia percorribile.
«La comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia.» questo leggo in Gaudium et Spes 1. E ancora: «il mondo che è teatro della storia del genere umano, e reca i segni degli sforzi dell’uomo, delle sue sconfitte e delle sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato in esistenza dall’amore del Creatore»
Sono dunque un po’ a disagio quando sento parlare di contrapposizione tra chiesa e mondo,
L’atteggiamento del cristiano di fronte al mondo dovrebbe essere quello del discernimento, non della contrapposizione totale. Il grano e la zizzania vi sono inestricabilmente mescolati fino alla venuta del Regno.
Sempre dalla Gaudium et Spes (44):
«[La Chiesa] infatti, fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione.»
“E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione.» ”
Caro massimoD,
negli ultimi 25 anni, mi sembra che certi….esponenti, invece abbiano messo il silenziatore, o tirato su tribunali, a giudicare da quanto è accaduto in diverse parti della terra, ogni volta che si è cercato di incarnare… il Vangelo a costo anche della vita.
Parola d’ordine: Romanocentrismo.
Altrochè.
Come se Cristo fosse nato, morto e risorto a Roma, e vi avesse stabilito una sorta di….
Allo stato attuale sembra che dobbiamo ancora vedere i veri frutti del Concilio, come evidenziava il Moralista.
Purtroppo….
Ma questo è tempo di Vangelo costruito sui fatti (come ci ricorda Luigi), è tempo di preghiera per tutta la Chiesa Universale.
A proposito di Vangelo di oggi. Eccone dei versetti:
………………………………………………………………..
“… gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”.
Quegli, alzando gli occhi, disse: “Vedo gli uomini; infatti vedo come degli alberi che camminano”.
Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa”
………………………………………………………………..
Può darsi sia una mia personalissima interpretazione, ma non c’è solo il “VEDERE”, ma il “VEDERE CHIARAMENTE E VEDERE A DISTANZA OGNI COSA”!
Può darsi che le “parole pubbliche” della Sig.ra Coletta siano una specie di “strumentalizzazione” del perdono evangelico (qualche piccolo sospetto ce l’ho anch’io), ma intanto – e preferisco questa certezza – il mondo VEDE che “PERDONARE SI PUO'”.
Intanto il mondo vede (perchè la Sig.ra Coletta è diventata suo malgrado “persona pubblica” con la morte del marito e quindi ogni passo/parola di questa signora da quel momento è diventato “pubblico”) come le “parole scritte” possono diventare Carità e non condanna.
Invito tutti coloro che non l’hanno già fatto a leggere il testo della conferenza di Luigi sull’Inno alla Carità.
E’ un testo che assomiglia ad una preghiera, ad una speranza …. è molto vero. Sono parole che in tanti pensiamo e che quasi nessuno è riuscito a porre “sul tetto” come ha fatto Luigi. Parole che se fossero dette da un certo sig. Pincopallino nessuno ci baderebbe. Ma le ha scritte il dott. Luigi Accattoli e allora ….
No, non funziona così! Le parole di Margherita e di Luigi non valgono perchè sono loro a dirle, ma valgono perchè sono dette e testimoniate/vissute/pagate/pesate sulla pelle da chi è sotto gli occhi di tutti e quindi “verificabilissime”.
Ma senza arrivare a questo, potremmo almeno fermarci su “parole” che “fanno comunione”, costruiscono “umanità” … almeno su questo modo di “scrivere” e di vivere la nostra parola dentro la Vita della Parola.
Almeno questo … solo questo sarebbe già un grande “salto in avanti” o – per dirla con il Vangelo di oggi – sarebbe un “VEDERE A DISTANZA OGNI COSA”.
PER CHI HA PROVATO LA FATICA DEL PERDONO
Forse è il caso di ricordare che il “perdono” non è un anestetico, o una botta in testa che fà scordare tutto. Il perdono non è “dato una volta, stop” … E no! Il perdono è sentire tutto il male, tutto il torto, tutta la tragedia e sentirli ogni giorno ed ogni giorno rinnovare il perdono.
Non è uno zuccherino per asini è quel famoso “calice” da bere fino in fondo! Ma questo è una di quelle cose che solo chi ha provato, conosce.
La testimonianza della Signora Coletta a me persuade molto. Sottolineo tra l’altro questo passaggio:
“Alla domanda su che cosa le manchi di Giuseppe, Margherita risponde: “La carne. Lui, le sue mani soprattutto, i baci, le carezze, il sorriso, la sua fisicità. L’essere ancora moglie”.
La semplicità di questa affermazione si sposa moltissimo con la nostra esperienza di cristiani invitati ad amare la nostra carne, ad amare la nostra storia, a non coltivare nei confronti della vita terrena una sorta di diffidenza, a non fuggire verso strade spiritualizzanti.
Esiste una tensione tra il mondo e il regno di Dio, ma c’è pure un’attesa di liberazione di tutto il creato che geme in attesa della sua piena manifestazione.
Il fatto invece che la signora Coletta ci parli della sua esperienza di fede non mi sembra contraddica lo spirito del Vangelo. Non vorrei che qualcuno proponesse oggi il modello cristiano delle “catacombe”. E poi qualche voce laica…finalmente!
@ MartaO9
Perchè pensi ci sia una strumentalizzazione? O meglo, in che senso? Lo dici della Coletta o di Avvenire?
Il perdono, credo, se ho capito male la dottrina ditemelo, è una conseguenza del comandamento dell’amore. Rispondo a Nino:
>Per caso il requisito di base è l’essere cristiano?
>Se così fosse poveri noi visto che due terzi del mondo cristiano non è.
Per il perdono ho la sensazione che infatti non siamo messi bene; il mondo è fondamentalmente scristianizzato, anche là dove crede di esserlo; qualcuno potrebbe dire, là proprio dove crede di esserlo lo è più ancora.
>Sarebbe grave? Un peccato mortale? Varrebbe zero?
non sarebbe né grave né peccato né varrebbe zero, ma non sarebbe l’amore come l’intende il cristiano; si stava discutendo di questo, del perdono cristiano;
>l’amore è tutt’altro che un comandamento codificato, è di più e oltre. E’ >qualcosa che ha a che fare con la coscienza e il sentire degli umani a >prescindere dai culti.
il Vangelo codifica quasi nulla e cmq l’amore personale per il nemico è un inedito assoluto nella storia dell’umanità, significherà pure qualcosa? sarà che prescinda dai culti, però l’amore nel culto atzeco ho qualche difficoltà a pensarlo universalisticamente.
>Ti amo e ti voglio bene o non ti amo né ti voglio bene o mi sei indifferente >non in funzione di una legge o di un comandamento.
Mi piacerebbe sapere in virtù di cosa. Di un cipiglio, di uno sbatter di ciglia, di un’idiosincrasia, di un’inclinazione; di un desiderio, di qualsiasi altra cosa che opera all’interno della coscienza o in virtù della conformazione materiale che assumono i nostri neuroni come se fossero una legge o un, appunto, comandamento; fossero anche le disposizioni neurochimiche del cervello. Anzi, se togliamo spazio al comandamento cristiano, compaiono infiniti altri comandamenti; infiniti altri movimenti che crediamo spontanei e morali e che vengono invece senza residui ascritti a movimenti neurobiologici ancor più vincolanti della semplice scrittura evangelica.
Evdentemente non le sta bene il termine comandamento che certo non uso, così come non usa il catechismo o qualsiasi altro testo cristiano, nel suo significato militare di comando. Non ne possiamo fare del tutto a meno però, dato che anche Kant ha usato per parlare di morale il termine imperativo, della coscienza ma sempre categorico era.
Non vorrei dire una sciocchezza, ma esiste, fuori dal crisitianesimo, in altra fede o cultura una formulazione così risoluta del perdono? Ho sempre pensato che nel perodno si esprimesse un vertice dello specifico cristiano. Anche perchè il “nostro” perdono non nasce da un atteggiamento distaccato (una sorta di atarassia) ma dalla cmpassione e dal sacrificio.
Ma se mi sbaglio e avete conoscenza di altre formulazioni religiose o culturali sul tema perdono fatemi sapere.
MassimoD,
non è questione di superamento nè di tempi.
Cito una frase di Pierre Grelot: “E’ importante distinguere bene il testo della costituzione Pastor aeternus [Concilio Vaticano 1°] dalla mentalità ultramontana che ha circondato la sua elaborazione e presieduto sovente alla sua interpretazione”. Noi ci troviamo di fronte ad un altro Concilio, ad altre mentalità circondanti e presiedenti. Non il Vaticano 2° è superato o superabile, ma quelle mentalità: così l’attuale papa, nel famoso discorso del 2005
http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/44072
Caro Lycopodium, in cosa di quanto ho detto ti sembra di ritrovare una “ermeneutica della rottura”? Mi sembra che l’atteggiamento di “non rifiuto” o “non contrapposizione” al mondo sia una cosa molto profondamente radicata nella tradizione della chiesa, sebbene non sempre o non universalmente condivisa all’interno di essa.
Nonostante la preoccupazione di papa Benedetto XVI di ridimensionare la portata delle acquisizioni conciliari (è la sua sensibilità, la dobbiamo rispettare vista l’autorevolezza della fonte, ma non siamo tenuti a condividerla), non mi pare che emerga, nemmeno dalle parole del papa, la necessità di vedere il mondo come una sorta di regno del male.
Quanto alla necessità di essere contraddizione per il mondo, è una cosa di cui sono profondamente convinto. Magari questo voler essere contraddizione si manifestasse realmente, specialmente verso le espressioni del potere mondano, in favore della promozione umana!
Invece ciò cui assistiamo (si pensi al nostro paese) è una continua ricerca di compromesso coi potenti. Forse per paura di perdere qualche privilegio. Qualche percentualina del gettito fiscale. Qualche piccola esenzione. Qualche trasferimento alle scuole.
MassimoD, per carità, io non ti accuso di niente.
Ho citato un testo che espone un metodo di normale “distanziamento” , che consente di vedere un testo che impegna tutta la Chiesa (quale un testo conciliare) nella sua genesi e nel ruolo avutovi dai singoli elaboratori, nei loro pregi e difetti.
E’ operazione doverosa, sempre.
Il distanziamento non vuol dire affatto “presa di distanza”, come il dare le dimensioni non è “ridimensionare”.
Ratzinger ha detto nel 2005, quello che Roncalli diceva nel 1962:
http://antoniodipadova.blogspot.com/2009/02/lermeneutica-della-continuita-esposta.html
Ti voglio proporre una frase di Romano Guardini, che illustra l’approccio giusto alle cose, testi ed eventi storici compresi:
«Per poter guadagnare il piano del reale, l’uomo ha dovuto svincolarsi dall’immediato esserci-dentro, e prendere le distanze, nel distacco e nella lontananza dell’intenzionalità spirituale. Ma proprio con ciò egli si è avvicinato all’oggetto in una maniera tale, che nessun immediato esserci-dentro rende possibile».
Caro don Mario,
non capisco questa presunzione di leadership valoriale di una religione e peggio ancora una classifica su questioni come il perdono e l’amore.
Nel senso che il perdono o la carità dell’umanità non conformata al cristianesimo e che rappresenta i 2/3 dei viventi, parrebbero sentimenti non altrettanto valoriali.
Vede se misurassimo il valore del perdono in funzione delle classifiche del dolore di parenti di vittime di carnefici e aguzzini, pensando alle vittime della shoah, di Hiroshima, Nagasaky, dei desaparecidos.
Ci troveremmo in forte imbarazzo. Così credo.
Il perdono di un figlio di genitori ebrei vittime della shoah sarebbe meno significativo?
A proposito dei desaparecidos ecco l’ultima chicca:
Desaparecidos, gaffe del premier
Protesta il governo argentino
Buenos Aires convoca l’ambasciatore italiano. “Preoccupazione e disagio” per le battute di Berlusconi sul dramma dei dissidenti durante la campagna elettorale in Sardegna: “Erano belle giornate, li facevano scendere dagli aerei…”.
Nino, la frase che riporti è agghiacciante purtroppo. E ci sono tutte le condizioni per non stare tranquilli.
Nondimeno, rispetto all’altro argomento non riesco prprio a capire la tua posizione. Se la signora dice che perdona/ha perdonato grazie alla sua fede, perché poni obiezioni del tipo:
a) ci sono tante altre persone che perdonano e non parlano;
b) è inutile fare una classifica valoriale;
c) non abbiamo il monopolio del perdono, altre religioni lo contemplano…
Che senso ha tutto questo? Non capisco dove vuoi arrivare…
Caro don Mario,
la strumentalizzazione ci potrebbe essere da qualsiasi parte. Anche un “perdono” pubblicizzato può essere una strumentalizzazione per sé stessi, per lenire il proprio dolore e per “sentirsi” in qualche modo vivi e bravi (il non-perdono in modo spesso incosciente provoca la brutta sensazione di essere “cattivi”). Tutto potrebbe essere preso per bene o per male: questioni di occhi e questione di dove guardare.
Mi era rimasta questa tentazione di “giudicare”, ma si è spezzata con le letture di oggi (meno male).
Dove il verbo “vedere” (e vedere lontano” la fa da padrone, dove il desiderio di “ricostruire” “vede lontano”, ma ha bisogno di “appigli, di certezze” a volte … ed ecco la “colomba”di Noè, quella che porta i segni del “adesso si può ricostruire”.
Margherita è questa colomba per noi con nel becco un ramoscello verde, una colomba che dice “adesso sapete che si può” … e così è stato anche per le parole di Luigi.
Soffriamo troppo di sospetti e dietrologie, ma “sospetti e dietrologie” possono diventare mezzo di conversione alla … San Tommaso o San Paolo o ….
Ma, don Mario, non ti fissare su questa “strumentalizzazione” che ho confessato di dubitare, e guarda al dopo di quello che ho scritto, guarda al “proclamare dai tetti” … cosa che possono fare molto bene quelli che sono “figure pubbliche”.
Ciao Matt,
Se leggi più attentamente, non mi sogno lontanamente di obiettare nulla circa il perdono e le motivazioni della signora che ammiro e rispetto per la sua forza d’animo e la sua fede.
Sugli altri punti ho risposto a don Mario che in conclusione del suo post scrive:
“Anche perchè il “nostro” perdono non nasce da un atteggiamento distaccato (una sorta di atarassia) ma dalla cmpassione e dal sacrificio.Ma se mi sbaglio e avete conoscenza di altre formulazioni religiose o culturali sul tema perdono fatemi sapere.”
Su questo in particolare ho espresso la mia opinione e i miei dubbi che riassumo:
-Sul “nostro” perdono non nasce da un atteggiamento distaccato (una sorta di atarassia)
Significa che il perdono di altri sarebbe invece distaccato perché non riferito alla Passione di Cristo?
Da qui il resto delle mie osservazioni.
Non voglio arrivare da nessuna parte. segnalo che più del dire, della teoria e della retorica alla fine rimane : “che ogni creatura, indipendentemente dalla giustificazione per fede, sarà giudicata secondo le proprie opere.”
Le mie opinioni sono del tutto “opinabili”.
Nessuna meraviglia, talvolta come in questo caso capita di avere punti di vista diversi.
Evviva il confronto.
Per me la diversità antropologica e di pensiero sono valori da coltivare e proteggere.
@Nino
Giusto coltivare il dissenso. Tuttavia, messa così come l’hai messa, mi dava l’impressione che l’unica posizione delegittimata ad avere uno “spazio pubblico” fosse proprio quella cristiana.
Caro Lycopodium, l’idea del “distanziamento”, cioè di una corretta ermeneutica, si applica ai Vangeli, dunque vorrei vedere che non si applicasse al magistero conciliare.
Ma da questo punto di vista, se cioè vogliamo leggere il CV2 nel suo contesto storico e culturale, dobbiamo accettare la pluralità di possibili interpretazioni. Quella offerta dal Santo Padre come quella degli storici (conoscerai senz’altro quanto affermano i “bolognesi” http://statusecclesiae.net/). Quelle che considerano il CV2 come un punto di partenza così come quelle che cercando di smussarne gli elementi di novità. Perché va detto: oltre all’ermeneutica della rottura e quella della riforma esiste anche un’ermeneutica del ridimensionamento, che attualmente è piuttosto in voga.
Né può aiutarci più di tanto partire dalle intenzioni dei promotori: lo Spirito si serve degli uomini anche al di là della loro intenzione, e un’azione che può partire con intenti limitati può esplodere in modo inaspettato e determinare esiti profetici imprevisti, che saranno raccolti dalle generazioni successive.
Anche per evitare il rischio di fughe in avanti (o indietro), e sapendo di dover interloquire con persone ben più preparate di me e con sensibilità diverse, trovo che un buon punto di partenza sia il testo dei documenti conciliari nella sua semplicità e chiarezza. La GS non mi pare ammetta molte ambiguità quando parla dell’atteggiamento tra chiesa e mondo.
Mi fa comunque sempre molto piacere confrontarmi con te su questi temi.
Massimo,
anche a me è cosa gradita.
Il sito? Parafrasando Mozart, dico: “questo poi lo conosco, purtroppo”; se guardi i collaboratori, scoprirai una presenza che mi procura assai delusione …
Io tornerei a quella affermazione di Grelot, valida sempre, lasciando allo Spirito la libertà di soffiare dove vuole, anche tramite il “carisma dell’Istituzione”.
Non c’è nessun perdono certificato ISO 9000, ma è bello sentir dire semplicemente: amo, perdono, accolgo e credo che rivedrò i miei cari morti perchè seguo Gesù, che mi insegna e aiuta a fare così.
Sul fatto poi che l’umanesimo cristiano – anche a prescindere dalla fede personale – sia luogo di coltura di tali sentimenti più di tutti gli altri umanesimi (almeno in Occidente), non avrei proprio dubbi.
Senza fanatismi, ma anche senza inutili confusioni, peraltro (spesso) alquanto ipocrite.
Se a me chiedono se – a io giudizio – un contesto culturale ed educativo cristiano favorisca i bei “casi Coletta” più di altri, rispondo che penso proprio di sì.
Non credo sia necessario essere cristiani per avere la forza e il cuore di perdonare e amare. Però diciamo che il cristianesimo ti dà le parole per esprimere una cosa del genere.
MassimoD
Ciao,
“Però diciamo che il cristianesimo ti dà le parole per esprimere una cosa del genere. ”
————–
Concordo. Ma per essere completamente d’accordo con quanto hai detto propongo una leggera modifica: “ti da il cuore e le parole”;
Ciao.
Non è necessario, ovvio.
Ma dove c’è il cristianesimo ci sono condizioni ambientali di miglior favore.
Occorre saperlo, e preoccuparsi di accrescerle e migliorarle sempre di più.
Se la fede non ispira la cultura, l’educazione e non diventa – almeno un poco, e anche in forma diluita – vita, resta solo un’astrazione o (peggio) una consolazione individuale.
Come tale non ci servirebbe, credo. Se ne trovano tante e di assai più seducenti.
lycopodium,
Ciao, come va?
“mi dava l’impressione che l’unica posizione delegittimata ad avere uno “spazio pubblico” fosse proprio quella cristiana. ”
———————
Scusa a me sembra, ma certamente sbaglio, che l’unica voce leggittimata a dire qualsiasi cosa in campo religioso, civile, politico ed etico e perfino ad orientare le leggi di questo povero Stato, sia quella della Chiesa cattolica.
Comunque nel caso in questione non mi pare di aver usato toni o parole che prefigurassero delegittimazioni di sorta.
Francesco73,
Caro Francesco, concordo sulle generali, ma su:
“ma è bello sentir dire semplicemente: amo, perdono, accolgo e credo che rivedrò i miei cari morti perchè seguo Gesù, che mi insegna e aiuta a fare così.”
————–
non ti viene il dubbio che questi insegnamenti te li abbia instillati e li abbia appresi dai tuoi genitori, dalla loro fede, il loro esempio, il loro stile di vita e che tu inconsapevolmente hai avuto come tuoi primi catechisti?
E i genitori e le famiglie degli altri che non hanno seguito o che seguono altro?
Mistero.
@Nino,
ogni cultura ha una sorta di “nucleo metafisico” che deve essere preservato, pena l’implosione; di questo nucleo fa parte la convinzione, meglio ancora “l’evidenza” di stare nel c.d. “centro del mondo”, di avere ragione: è una pretesa ineludibile e inaggirabile di ogni cultura.
I rapporti interculturali che non tengono conto di ciò, che hanno la pretesa di non ammettere la Pretesa, producono solo degenerazione e deculturazione.
Quello che “complica” le cose è che il cristianesimo ha la Pretesa, l’Evidenza di essere anche “meta-culturale”, di avere in Cristo la chiave di volta che regge ontologicamente tutto il reale e di essere trascendente ed immanente ad ogni tempo e ad ogni luogo.
E’ nel momento in cui “altri” negano la possibilità che un cristiano sia quello che è (cioè abbia quella Pretesa e quella Evidenza e desideri comunicarla e, perchè no?, farla valere) che si creano gli scompensi: le negazioni rancorose e le enfatizzazioni risentite e mediaticamente sovraesposte e strumentalizzabili.
Chi, poi, tra i cristiani, teorizza l’invisibilità cristiana, pur con tutte le migliori intenzioni, rischia solo di procurare ulteriori deculturazioni.
Nino, i primi catechisti – è vero – sono la famiglia, i maestri di scuola, il clima che respiri all’inizio.
Chi non ha avuto le stesse opportunità offerte da un’educazione cristiana – ripeto, senza sanfedismi, senza bigottismi rituali, senza ossessioni, ma anzitutto come cornice culturale e di umanesimo – può sviluppare belle e ottime virtù.
Ma è più difficile che ciò accada nei luoghi dell’indifferentismo, della scomparsa del concetto elementare di peccato, nei luoghi dell’edonismo professato come valore, dell’assenza di discrimine tra bene e male se non come moralistici precetti pubblici e civici (mi insospettisce sempre il forte moralismo pubblico: implica assai spesso un totale a-moralismo privato, quasi a mo’ di compensazione), nei luoghi della cosificazione dell’uomo e della vita.
In Occidente, fuori dal cristianesimo – più o meno – c’è questo.
In altre latitudini, ci sono altri patrimoni culturali di derivazione religiosa che fanno argine al Nulla.
lyco
Quello che “complica” le cose ……….ad ogni tempo e ad ogni luogo.
————-
Il punto è che tra queste elucubrazioni intellettual-filosofiche che la nostra mente elabora, manca Cristo e il suo parlare semplice, diretto, vero incarnato nell’umanità delle Beatitudini.
Lyco, provo a riassumere (estremizzando molto) per vedere se ho capito.
– tutte le religioni/culture per sopravvivere devono basarsi sulla convinzione di essere quella “vera”
– in più il cristianesimo ha una sorta di vocazione “espansiva”: è convinta di essere vera non relativamente alla propria cultura, ma anche alle altre, cioè il suo essere vera si traduce nella necessità di… prevalere sulle altre
– rispettare il cristiano vuol dire rispettare la sua vocazione “espansiva”: se non lo si lascia espandere, lo si reprime
Non è un po’ forte? (e, diciamolo, anche un po’ comodo?)
Inoltre, in questo modo, la pretesa di verità di una religione sembra fondata sulla necessità della sua sopravvivenza (non posso far altro che essere convinto di aver ragione, se non voglio soccombere). Un antropologo culturale evoluzionista ci andrebbe a nozze. Ma non è relativismo culturale questo?
Nino,
io scrivo complicato perchè quel tipo di riflessioni mi riescono, male, solo così; ma io le vorrei offrire a chi le accetta o le rifiuta con la stessa “ingenuità” di un povero di spirito. E non le scriverei se non fossero testimonianza di Quello che dici (mi?) manca.
Esprimo la mia soliodarietà a Margherita Coletta, e il mio disagio di fronte ad espressioni critiche di cattivo gusto che ho visto su questo blog.
Al persdono possono giungere anche persone non cristiane, in quanto Dio agisce per vie misteriose anche al di là dei confini della Chiesa. Ma anche lì è la grazia di Cristo che opera. Si può avere il massimo rispetto per le persone di tuitte le culture (nelle quali sono prersenti i “semi del Verbo”) senza per questo occultare la centralità di Cristo nella storia umana.
Francesco73,
“ma anzitutto come cornice culturale e di umanesimo – può sviluppare belle e ottime virtù.”
————–
Francesco, fino a qui per me è Ok. Sottoscrivo.
Il resto mi pare una chiosa otr.
Ciao.
lyco,
Mi spiace forse mi sono espresso male, ma le elucubrazioni filosofiche, ecc di cui ho parlato non sono riferite a te. Intendevo in generale.
Massimo,
il termine “sopravvivenza” evoca fantasmi udinesi e non lo userei per la sua lugubre ricaduta.
Io credo cmq che la tua ricostruzione abbia una sua schematica verità, con una precisazione: il termine “espansione” non fa giustizia; “vocazione missionaria” dice più e meglio!
L’antropologo culturale evoluzionista, poi, usa una rete interpretativa e come tutte le reti prende i pesci troppo grossi per sgusciare via.
L’antropologo culturale dovrebbe, invece, fenomenologicamente accettare come connaturata e inaggirabile questa vocazione del Cristianesimo, che non sarebbe se stesso, senza quella specifica pretesa, evidenza, vocazione.
Infine, il relativismo: se ognuno riconosce e legittima l’altro, non è relativismo, ma semplicemente “porsi in relazione”.
Scusate, ma ho un attacco di comicità!
Sarà che il Vangelo di oggi citato da Matteo a me pare di un comico mai visto.
Allora … e sempre dai Vangeli apocrifi:
————
Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”.
– Mah! Sì vedo, ma che nebbia!
– Ok! Allora a te 6 diottrie: un po’ di saliva e di terra (giusto per far qualcosa). E adesso?
– Boh! Ma non si potrebbe avere qualcosa in più?
– Uff! Vabbè ancora un paio! Ora?
– Beh! Guarda, vedere ci vedo, ma …
– E no! Adesso esageri. Vuoi avere la vista di Dio?
– Perchè non si può?
– Figlio, la tua fede ti ha salvato. Avanti un altro!!!!
———————————————
Sono dissacrante, lo so, ma mi piace tanto questo Gesù oculista …
“Non vedo allora perché debba sembrare così eccezionale se un cristiano perdona chi gli ha fatto del male: per un credente, semmai, dovrebbe essere strano il contrario” (Margherita Coletta).
Splendida, evangelica semplicità: d’accordo con Matteo e Moralista, è un vero, bellissimo “fatto di Vangelo”.
E, d’accordo con MassimoD. e Nino, e parafrasando George Bernard Shaw, verrebbe da dire: “non è necessario esser cristiani per perdonare: però aiuta”.
Buona notte a tutti !
Roberto 55
Già, non è necessario essere cristiani per perdonare, o quanto meno dichiarlo di esserlo.
Sono sempre più convinta che ci siano in giro tanti “credenti che credono di non esserlo” … come d’altra parte ci sono in giro tanti “credenti che credono di esserlo”!!!
Ma sarebbe bello pensare non solo ad un “fatto” di Vangelo, ma ad “essere fatti di Vangelo” (nel senso proprio di essere plasmati/generati/rivestiti ecc.)
@NINO
hai detto “Le mie opinioni sono del tutto “opinabili”.”
E ci mancherebbe!!! Infatti ho opinato.
“Nessuna meraviglia, talvolta come in questo caso capita di avere punti di vista diversi.”
E ci mancherebbe. Infatti, ti ho chiesto chiarimenti perché non capisco dove vuoi arrivare… e onestamente continuo a non capirlo… Arrivi a conclusioni che dovrebbero rappresentare delle premesse…
“Evviva il confronto”.
Evviva
“Significa che il perdono di altri sarebbe invece distaccato perché non riferito alla Passione di Cristo?”
Beh… in qualcosa ci sarà pure una differenza se Dio ha scelto di farsi uomo, morire per poi risorgere… tu dove la trovi la differenza?
mattlar,
“Significa che il perdono di altri sarebbe invece distaccato perché non riferito alla Passione di Cristo?”
Beh… in qualcosa ci sarà pure una differenza se Dio ha scelto di farsi uomo, morire per poi risorgere… tu dove la trovi la differenza?
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Eccome se c’è una differenza, anzi un abisso.
Noi crediamo nel Vangelo e nel Figlio di Dio, Cristo Rivelazione morto e risorto, mentre i famosi e annoiati 2/3 del pianeta, (scusa se è poco) NO!!
Ciao.
Forse il contributo cristiano al concetto di perdono ha avuto ed ha una rilevanza culturale che tocca anche uomini di altre fedi e di altre visioni etico-filosofiche, toccando pure parte di quei 2/3 del pianeta affatto noiosi.
Teologicamente parlando invece tale rilevanza è assoluta perchè il perdono di Cristo ha valore cosmico.
Sono più pessimista di te, donMario, e penso che “il contributo cristiano al concetto di perdono” non abbia alcuna rilevanza culturale e non tocchi nessuno. Il fatto è, però, che per me il perdono cristiano. che è la stessa misericordia di Dio, non è un concetto. Il suo “valore cosmico” si ripropone ogni volta che qualcuno, rivestito di misericordia, inabitato dallo Spirito, perdona “per lo tuo amore” e sostiene “infirmitate et tribulatione” “in pace”. Questi san Francesco chiama “beati”, in una ripresa dell beatitudini evangeliche, e li vede “incoronati”, come Maria. Questi immette nel cosmico cantico delle creature. Non è formulabile in concetti il perdono cristiano, che fa esplodere ogni concetto, né possiamo contribuire in nulla al renderlo visibile teorizzando come fanno i pagani. Almeno per me, che non so nulla di Teologia e di dottrina, è impossibile. Di fronte a Margherita, che il 12 novembre 2003, con il volto straziato dal dolore, ci legge le parole del Vangelo, io non ho più altre parole. Posso solo cantarla in poesia, come ho fatto, e non usando alcuna parola mia ma solo quelle del Libro di vita. Non nego che questo possa essere un mio limite.
Caro don Mario,
Pace a te.
Ho provato ad inviarti questo post sull’email del tuo blog ma non ci sono riuscito, così volevo dirti.
Scrivo sulla tua e-mail per evitare sterili e inutili polemiche su di un punto che non ci trova d’accordo.
Ecco una sintesi di come la penso.
Ho definito l’umanità “annoiata” e non come tu hai riportato “noiosa”
Ho volutamente usato il termine annoiata, in cui virtualmente mi sono calato, avendo ancora una volta constato che una minoranza religiosa, quella dei cattolici, pur significativa, si autoreferenzia al punto da definirsi l’unica a possedere la verità, e a presumere primati sulla morale, sull’etica, sulla carità, la solidarietà ed altro ancora.
E immaginando che l’altra parte, quella dei 2/3, si sia rotta di continuare a ricevere lezioni dalla Chiesa su questi ed altri punti.
Ma Dio è Padre di tutti o no?
Allora che senso hanno le classifiche e attribuirsi primati.
E ancora che senso ha soprattutto per noi cristiani, ancora oggi, presumere leadership su questi argomenti quando, proprio in quella parte dei 2/3 del mondo abbiamo colonizzato interi popoli sterminandoli preventivamente e con il placet della Chiesa? Altro che maestri di amore e perdono cristiano!
Infine, sul punto
“Teologicamente parlando invece tale rilevanza è assoluta perchè il perdono di Cristo ha valore cosmico.”
Scusami ma questa affermazione andrà bene per te, sacerdote che frequenti le palestre teologiche maestre di dottrine inconfutabili e neolinguaggi. Tutta teoria, s’intende.
Ma il mondo non è popolato da sacerdoti e teologi. E meno male che così è.
Un caro saluto.
Un commento amaro, caro Nino.
Ma sono anch’io del tuo avviso, anch’io detesto questo primato ostentato che tanto – non dico annoia – ma ferisce il resto dell’umanità in cui tutti siamo immersi.
Non parliamo di “storia”, di quello che abbiamo fatto noi – cristiani cattolici – nel passato (e magari ancora oggi) perchè su questa “storia” tutti, (cattolici o meno, credenti o meno) ne usciamo con le “ossa rotte”. Parliamo, invece, di modo di vivere e di intendere la vita.
Ma è vero che a “coloro che seguono il Figlio” è stato dato questo “primato” del “perdono”, che non è da intendersi “perdono” come un banale “azzerare i contatori del torto”, ma ha a che fare con un altro atteggiamento, molto più destabilizzante, quello dell’ “AMARE I PROPRI NEMICI”.
Perdonare sarà difficile, ma non impossibile; “AMARE I PROPRI NEMICI” (quelli che hanno osato togliere persino la vita dei propri cari) invece è una cosa che solo “una benedizione” divina può dare: da soli non ce la faremmo mai.
Ma qui entriamo nel campo (o del recinto) della Chiesa che, sarebbe ora, non racchiudere in una “compagnia di bravi ragazzi”, perchè la Chiesa ha a che fare con lo Spirito Santo che se ne strafrega di dove “soffiare” o “incarnarsi”.
Penso a Gandhi, ad esempio, perfetto Vangelo incarnato eppure “non cristiano e non cattolico”, penso a lui, che ben conosceva il perdonare ed amare i propri nemici, ma ce ne sono così di esempi da portare.
Non siamo “detentori” di nulla se non della nostra pochezza come cristiani, ma siamo “depositari” di un desiderio incarnato di Dio che si chiama “Gesù”.
Ma, di certo, l’ostentazione di un primato, mal si affianca al “all’essere servi di tutti, ad essere gli ultimi”.
C’è aria di fariseismo in questo “prevaricare” il resto del mondo con le insegne del “noi possiamo”, ma ci sarebbe profumo di Dio se andassimo in giro con un bel vestito con scritto “noi dobbiamo, non possiamo farne a a meno di amare così, perchè noi per primi siamo rinati da questo amore/perdono”. Mescolarci alla gente a tal punto che nessuno potrebbe dire che “siamo cristiani/cattolici”, ma tutti sarebbero concordi nel dire che siamo “strani e diversi rispetto alla mentalità del mondo”.
Per quanto riguarda preti/sacerdoti/teologi … beh! … mi dispiace che tu non ne conosca, ma ti posso garantire che ci sono uomini che sono preti/sacerdoti/teologi ( e magari anche Vescovi) che per “abiti”, per “stile” e per umiltà, credo che persino il Padre Eterno abbia difficoltà a riconoscerli “a vista” come i “Suoi sacerdoti” tanto si mischiano, ma di certo vengono identificati uomini “da cercare”, uomini diversi e di cui ci si può fidare, uomini della speranza e uomini perfettamente uomini pur avendo per 1° amore Dio.
Davvero Nino, sono con te su quanto scrivi, ma è da qui che si impara a … legarsi il “grembiule ai fianchi, inginocchiarsi e lavare i piedi” … anche a livello di “pensiero” e su un livello “intellettuale”.
In altre parole: se primato c’è per la Chiesa è quello dell’essere “ultimi”, ma primi per amore in tutto. Ma parlare di “amore” non ci dovrebbe essere consentito, perchè l’unico che può farlo è solo Dio quindi noi, da “ultimi” e da cristiani, dovremmo sempre tenere presente che siamo “alunni a vita” di questo amore!
Da qui: chi ha più voglia di sbandierare primati, se non quello dell’essere stati perdonati e riportati in vita per primi?
Mamma mia, che commento lungo! Scusatemi tanto: ho perso il controllo della tastiera! 🙁
Nino dixit :”abbiamo colonizzato interi popoli sterminandoli preventivamente e con il placet della Chiesa?”
domanda 1: come si fa a colonizzare un popolo che hai preventivamente sterminato?
domanda 2: un esempio pratico?
domanda 3: su che libro di storia hai letto una simile informazione? (mi piace la storia, se mi dai titolo ed editore vado subito a comprarlo)
GMandis,
come sempre mi faccio la domanda e mi rispondo.
A che serve interloquire con l’internauta Papallino GMandis?
A NULLA.
Qui Roma freddo, 8-9 gradi, tramontana cielo stupendamente sereno e terso.
Ho passeggiato fino a poco fa a Villa Borghese.
Prova a fare altrettanto, li dove sei tu.
Lascia stare i visionari come me che inventano stermini e tra un po anche le shoah.
Bye, bye.
Ok!
Giovanni, Nino: ora chi dei due e per primo “porge l’altra guancia”?
Da questo si capirà chi è davvero cristiano!
Eh! Ribadisco il mio concetto del:
“credenti che credono di credere”
e
“non credenti che credono di non credere”
🙂
Sterminio? Nino, ma cosa vai dicendo?!
Non hai mai sentito parlare del suicidio collettivo degli indios americani? O del crollo demografico dei pellerossa (non essendo cattolici, usavano metodi contraccettivi non naturali e questo è il risultato)? O infine delle crociere organizzate dagli afro-americani, cui era venuto a noia il clima dell’Africa sub-sahariana.
Molto divertente
Vedo ora, sul sito del Corriere, che il sig. Englaro è già in piena attività politica.
Del resto, quella di “parente della vittima”, in Italia, è una carriera che ha una tradizione consolidata.
(Le suore, invece, continuano ad assistere i malati).
Faccio fatica a capire il passaggio da una esperienza evangelica, a intellettualizzare il perdono agli stermini demografici,
ho saltato qualche passaggio?
Devo aver contribuito anche io probabilmente, infatti ho visto che anche io mi sono lasciato distrarre (che coglione!)
Mi colpisce nel post di Luigi, il passaggio che parte dal perdono di Margherita e finisce sul corpo di Giuseppe (simbolismo metastorico proveniente da un’altro…”Giuseppe”?)
Il perdono che passa attraverso la corporeità?
La stessa corporeità
esprime il perdono
esprime il piacere/gioia/ludismo corporeo….
“che cosa le manchi di Giuseppe, Margherita risponde: “La carne. Lui, le sue mani soprattutto, i baci, le carezze, il sorriso, la sua fisicità. L’essere ancora moglie”. ”
Possibile che si intellettualizza tutto pur di non affrontare il reale?
Si è…..focalizzato e intellettualizzato solo una parola di tutto il post (parte 1^ e 2^) di Luigi?
I figli?
Le morti?
I conflitti inutili, con vittime innocenti, che comunque hanno lasciato il segno anche in mamma Margherita?
etc……
Il SETTALOGO DEI CATTOPROTESTANTI
1. L’importante è dialogare: meglio evitare divisioni che dire la
verità.
Il cattolico “dialogante” ritiene che affermare delle verità
oggettive, insegnate dalla Chiesa e confermate dalla ragione umana,
sia un atto di prevaricazione, frutto di preconcetti e di posizioni
pregiudiziali. La Chiesa deve scendere dalla sua scomoda cattedra,
per lasciare il suo posto ai non credenti, che assumono il compito
di insegnare la (loro) verità ai cattolici, che brancolano nel buio.
Questo tipo umano sogna un Papa che si affacci dalla sua finestra
solo per benedire e salutare in molte lingue. Ma che sia muto ogni
volta che ci sia da affermare verità scomode e impopolari sulla
dottrina della fede e della morale.
L’importante è evitare affermazioni apodittiche. E siccome i dieci
comandamenti sono quanto di più apodittico si possa immaginare, ecco
che si propone di ritirare dal mercato il decalogo, almeno nelle sue
prescrizioni più contestate.
>
2. La verità forse esiste, ma l’uomo non può conoscerla.
Per questo cattolico, la Chiesa non può dirimere sempre ogni
controversia morale, perché esistono delle “zone grigie”, delle aree
nebbiose dove la verità non si distingue, e dove la cosa migliore è
aprire un dibattito. Quali sono queste zone grigie?
Quelle nelle quali si manifesta una diversità di opinioni nella
società. Dunque, in una società pluralista e relativista, tutta la
vita morale può
diventare una sconfinata “zona grigia”, riducendo l’autorità della
Chiesa al silenzio praticamente su tutto. Saranno da evitare in
particolare pronunciamenti su divorzio, aborto, fecondazione
artificiale, eutanasia.
>
3. La verità è un prodotto del dialogo.
Per questo genere di cattolici, la verità non preesiste alla
discussione. Non è una realtà che c’è, e che l’uomo ha il compito di
scoprire con l’auto della Chiesa. No: la verità si rinnova
continuamente, grazie alla dialettica: le “parti” esprimono
rispettosamente delle posizioni, e così si raggiunge un punto di
mediazioni (provvisorio) che costituisce la verità accettabile da
tutti in quel momento. Se, ad esempio, uno dice che l’aborto è
lecito, e un altro dice che non è lecito, la verità prodotta sarà
che l’aborto è un po’ lecito: si può fare in certi casi.
>
4. Anche se sei ignorante, dialoga lo stesso.
Per discutere, è buona regola sapere ciò di cui si parla. Ma la foga
di dialogare è così forte, in alcuni cattolici, che si va al
confronto senza essere
preparati. Il tuo interlocutore dice, ad esempio, che l’ootide non è
un essere umano? Prendi subito per buona questa solenne corbelleria.
Mentre dovresti
sapere che dal primo momento della fecondazione in poi il nuovo
organismo vivente anche con due pronuclei, cioè allo stadio di
ootide) è caratterizzato da uno sviluppo coordinato, continuo e
graduale, che permette di qualificarlo appunto come individuo
(umano) e come vivo (A. Serra e R. Colombo, Identità e statuto
dell’embrione umano: il contributo della biologia in Pontificia
Accademia Pro Vita, Identità e statuto dell’embrione umano, Libreria
Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998).
All’ignoranza scientifica si accompagna talvolta un’imbarazzante
impreparazione morale: potrà così accadere che si giustifichi
l’aborto facendo leva sul principio della legittima difesa; tesi
assurda, che implicherebbe attribuire al concepito il ruolo
di “ingiusto aggressore”!
>
5. Bisogna inventare un “cattolicesimo sostenibile”.
Il cattolicesimo oggi è diventato impresentabile di fronte alla
modernità: bisogna aggiornarne gli elementi più scomodi per renderlo
sostenibile, un po’ come affermano gli ambientalisti di fronte allo
sviluppo. La prima regola per questo lifting è astenersi dal
giudicare frettolosamente: meglio discutere serenamente per non
creare inutili divisioni, e far derivare le regole da ciò che i più
pensano e fanno.
La sociologia sostituisce la riflessione morale e soppianta la legge
naturale. La prassi genera la norma. Per cui, se la gente chiede la
fecondazione artificiale, noi gliela dobbiamo dare.
>
6. Il male non si combatte: si regolamenta.
Secondo questo falso cattolicesimo, si può anche riconoscere che una
certa condotta sia cattiva. Ma – in base al principio assoluto che
si deve dialogare con tutti – bisogna in un certo senso dialogare
anche con il male. E scendere a patti con esso. Quindi, le leggi
dello Stato non vieteranno l’aborto. Se lo facessero, si creerebbero
inutili divisioni.
Meglio regolamentare il fenomeno. Così, il male non consiste più
nell’atto dell’uccidere il concepito. Il male è l’aborto clandestino
(che minaccia la vita delle donne) mentre l’aborto legale
diventa “buono”, perché fatto secondo le norme dello Stato.
Verranno uccisi molti innocenti, è vero; ma sarà salva la pace
sociale e il dialogo permanente con tutti i sopravvissuti.
>
7. Chi compie il male va capito e giustificato.
La Chiesa insegna una dottrina esigente e offre insieme un perdono
senza limiti da parte di Dio. Invece, per il cattolico del dissenso
(dal Papa) il perdono sostituisce la dottrina.
Siccome chi commette un male può agire in circostanze molto
difficili, allora occorre sospendere il giudizio sulla sua condotta,
ed evitare ogni condanna.
Questo approccio non ha solo valenze morali – potremmo dire “da
confessionale” – ma pretende di avere conseguenze giuridiche e
politiche. Esempio: una donna abortisce. Peccato, ma poiché ha
vissuto un
dramma, come può la società prevedere una pena, anche lieve, per la
sua condotta? E ancora: un uomo elimina con l’eutanasia sua moglie.
Non è bello. Però, vista sua sofferenza, quale giudice potrà
dichiararlo colpevole? Questo criterio potrà essere applicato ad
altre infinite “zone grigie”: un uomo scopre che la moglie lo
tradisce, e la uccide. Ma in quest’ultimo caso, il cattolico
politicamente corretto si dichiarerà inflessibile e per nulla
comprensivo,
nonostante le “terribili circostanze” in cui il delitto è avvenuto.
>
Come si vede, QUELLO CHE ALLA FINE CI RESTA IN MANO E’ SOLTANTO UN
PALLIDO RICORDO DEL CATTOLICESIMO. UN CORPO FREDDO E MORTO, CHE HA
PERSO PER STRADA L’AMORE PER LA VERITA’ E LA CERTEZZA DELLA PRESENZA
VIVA E REALE DI CRISTO IN MEZZO ALLA CHIESA. UN CATTOLICESIMO SENZA
CROCE E SENZA TESTIMONIANZA, IN FUGA DI FRONTE AL MARTIRIO
QUOTIDIANO DELL’INCOMPRENSIONE DEL MONDO.
NON RIMANE CHE AIUTARE QUESTI FRATELLI CON L’APOSTOLATO DELLA
VERITA’. E PREGARE PER LORO, PERCHE’ GRANDE E’ IL PERICOLO CHE
RAPPRESENTANO PER LA SALVEZZA DI MOLTE ANIME. A COMINCIARE DALLA
LORO.>
[Tratto da “Il timone” n° 54 giugno 2006]
Ehi, ma cattoprotestante è meglio o peggio di cattocomunista?
O forse uno può essere entrambe le cose assieme? Ahi ahi ahi, poveri noi!
Matteo,
no non hai saltato passaggi.
Solo che dopo aver parlato del “perdono cristiano” e del primato di questo perdono nei cristiani cattolici identificandoli come popolo di buoni e di uomini eccezionali e che sono “al di sopra” di ogni altro popolo.
A questo punto è ovvio che qualcuno dica, sui fatti, che proprio popolo “al di sopra” non è, che i suoi “omicidi” li ha fatti (crociate? potrebbe essere un’idea).
Qualcuno che, magari, è stato vittima di supponenza e arroganza cristiana (i piccoli stermini di oggi) e che si ribella a questa visione di “popolo eletto e arrivato alla santità”.
Il problema è che si va a prendere sempre la frase “intellettuale o culturale” da contestare (e magari su cui litigare) e non una “amarezza” dilagante di chi scrive. Sarà una questione di “vista”, ma si prende – purtroppo – sempre in considerazione ciò che risponde maggiormente in sé stessi in un discorso posto da un altro.
Anche la fisicità di Margherita … che c’è di strano? E’ un’intervista ad una donna normale, ad una moglie … Perchè prenderla in modo diverso da quello che è?
Una donna che ha perdonato (e su questo a nessuno è concesso nessun tipo di dietrologia) ma non per questo si sente “una santa”. E’ semplicemente una donna che ama e a cui manca, anche nella sua fisicità, suo marito. Donna normale per un perdono eccezionale.
Perchè rimanere sconcerati? Essere cristiani, mica vuol dire essere “puro spirito”.
Non hai perso nessun passaggio Matteo, al contrario hai evidenziato un fatto importante: quello che siamo uomini e donne in carne ed ossa, banalmente uomini e donne.
sti intermezzi pubblicitari così lunghi, che devi fare un kilometro di videata per arrivare al commento successivo.
Non credo che il blog di Luigi abbia bisogno di così tanti intermezzi pubblicitari!!!!
E’ già al primo posto tra gli Accattoli di Google.
Io generalmente a casa quando c’è pubblicità cambio canale,
possibile che c’è chi non lo capisce?
mah!
Comunque grazie Luigi di questo insegnamento anche sulla pubblicità.
@ Marta
mi piace la tematica della corporeità quando un cattolico ha il coraggio di affrontarla.
Il Corpo esprime una completezza di emozioni,
dal perdono, all’amicizia, al giocare tra coniugi.
Ma il corpo è anche un tabù.
Sai, Matteo, a volte penso che la pubblicità insegna qualcosa!
Quanto meno, insegna ad essere obiettivi ed è un test sulla propria capacità di prendere le cose come sono e per come sono proposte.
Onestamente, a me non fanno né caldo né freddo.
Non sono incline alla “demonizzazione ad oltranza” perchè tutto può avere un senso, basta cercare di dare il giusto peso,
Stesso discorso per il corpo! 🙂
Errore:
“e NON per come sono prposte” volevo scrivere!
🙁
@ marta
>Una donna che ha perdonato (e su questo a nessuno è concesso nessun >tipo di dietrologia) ma non per questo si sente “una santa”. E’ >semplicemente una donna che ama e a cui manca, anche nella sua fisicità, >suo marito.
Marta, probabilmente anche tu vuoi dire la stessa cosa, ma secondo me una donna che sente la mancanza della fisicità del marito può benissimo essere una santa.
Si può essere sante/santi in tutti i casi … Ma la parola “santa” che ho usato è per come viene intesa comunemente “santità” ovvero una persona “disincarnata” … Ma sì, siamo della stessa idea.
Solo che ci vuole “fegato” a dirlo …
@marta
Nota a margine sul post delle 15:46, in risposta a don Mario.
————–
Su quanto ho detto circa “le palestre teologiche maestre di dottrine inconfutabili e neolinguaggi” Tutta teoria s’intende”
—————–
Provo a spiegarmi con un esempio.
Tra i libri che ho letto recentemente
La passione di Gesù. Rivelazione della nonviolenza
un ottimo saggio, scritto da un altrettanto ottimo teologo e biblista che stimo, Carmine Di Sante.
E “Perché l’amore di Dio ci lascia soffrire?” di un altro autorevole teologo Gisbert Greshake.
I due saggi, su piani diversi lambiscono il problema della “teodicea” ovvero della “dottrina della giustizia di Dio” o più semplicemente della giustificazione di Dio per il male presente nel creato.
Tema centrale del libro di Giobbe.
Su questo tema si sono cimentati da secoli teologi e biblisti, scrivendo oceani di saggi, di trattati, di opere di tutti i generi, roba da accanimento terapeutico e un serio attentato all’intelligenza umana.
Bene, ancora oggi nel 2009 dc. continuano a contrapporsi due scuole di pensiero, i giustificatori di un Dio che punisce e i contrari o giù di li.
In questa assurda disputa, così la giudico io, che rimane appesa e irrisolta nessuno ha il buon senso di dire basta!
Così nella vita quotidiana, ad esempio in una parrocchia, ti ritrovi tra fedeli che di fronte a una malattia o a un evento infausto che li ha colpiti si lacerano per redimersi da colpe presunte che avrebbero scatenato la giustizia di Dio nei loro confronti.
Ed altri che, più umanamente come Giobbe, si lamentano perché non capiscono l’ accanimento di Dio per colpe non commesse.
Così capita talvolta di sentire omelie nelle due interpretazioni.
Ma Dio è amore o no? Ci ha creati a sua immagine o no?
Possibile che c’è ancora chi pensa a un Dio vendicativo che punisce le creature da lui stesso create infliggendogli malanni e disgrazie?
Valli a capire certi teologi.
Mi scuso per l’O.T. (velato) ma si accompagna bene al “perdono” di cui si parla.
Come è vero quanto dici!
Ma una cosa è certa: sofferenza e morte non sono nei progetti di Dio! E come potrebbe? Dio è vita!
Ed irrita anche me quando sento parlare in questo modo perchè è un far passare un concetto sbagliato.
Giobbe stesso insegna come ne è uscito dal tunnel della sofferenza innocente senza maledire o “offrire sacrifici” a Dio! Si è affidato, semplicemente affidato!
Il problema è che per la sofferenza e la morte dobbiamo incolpare sempre qualcuno, tanto ci è “intollerabile”.
Ed il perdono “cristiano” (nel senso che indica da Chi è venuto) è questo “salto” che toglie il veleno a sofferenza e morte: un veleno che fa scagliare contro Dio e contro gli uomini.
E’ bello quanto tu dici, è davvero bello e vero!
Sul perdono
E la giustizia?
Tutti assolti gli imputati al processo per l’uccisione di Anna Politkvoskaia.
E la giustizia?
Dicevamo. “E la giustizia?”
E’ rara, come è raro il perdono.
Luigi ci porta delicatamente verso altri lidi.
Ma i post di tarda sera sembrano riaprire in qualche modo il discorso.
Ne approfitto per completare quanto dicevo nel mio ultimo post indirizzato a Marta.
Ho volutamente citato i due libri e in particolare quello di Di Sante perché all’interno della riflessione sulla Passione di Gesù egli dedica un’intero capitolo su alcuni aspetti del perdono che a mio avviso aiutano a capire meglio non solo le derivate teologiche connesse con la morte di Croce ma anche significativamente i rapporti e la centralità delle relazioni umane.
Data l’ora tarda riporto solo i titoli del capitolo, poi chi fosse interessato potrà approfondire sul testo che suggerisco di leggere.
Cap. 4 La non violenza di Gesù pag. 129
-La passione come messa in scena dell’inedito
-L’inedito del perdono pag. 133
-Possibilità ed eticità del perdono pag. 138
-Il perdono “facile” o le forme “perverse” del perdono pag. 142
-Il perdono come ricreazione della relazione pag 148
Notte.
NIno, mi interessa molto il discorso di pg. 142, puoi riassumerlo?
lyco,
Quanto si dice nel paragrafo a pag 142 è strettamente correlato e discende da un racconto di Simon Wiesenthal riportato da Di Sante che inizia a pag 138 (possibilità e eticità del perdono).
Di questo mi è abbastanza facile sintetizzare ma le 16 pagine del paragrafo a pag 142 non sono sintetizzabili. Vanno lette riga per riga anche perché vi sono parecchi riferimenti e citazioni di Ricoeur e di altri importanti intellettuali teologi, giuristi, storici e biblisti che sono già sintesi di loro scritti e del loro pensiero sull’argomento.
Intanto ti offro l’”aperitivo” poi, se lo riterrai, potrò produrre digitalmente le pagine e inviartele o fartele inviare dal carissimo Luigi se potrà.
Simon Wiesenthal “il cacciatore dei nazisti” sopravvissuto all’olocausto, portato al capezzale di un ex SS, cattolico, morente che partecipò al massacro di centinaia di ebrei tra cui molte donne e bambini, gli confida tutta la sua disperazione per quel che ha fatto e gli dice: “non so chi è lei, so solo che è un ebreo. E questo basta.
Voglio morire in pace , e allora ho bisogno…Lo so, quello che le ho raccontato è orribile. Nelle lunghe notti in cui aspettavo la morte ero assalito dall’ansia di parlare con un ebreo..di chiedergli il suo perdono. Solo non sapevo se ne erano rimasti ancora…Lo so, quello che chiedo è forse troppo per lei. Ma senza una sua parola non posso morire in pace.”
Ma Wiesenthal non acconsente e lo lascia senza una parola.
Ma è lacerato dal dubbio e chiede lumi sul suo comportamento prima a un suo amico ebreo, Josek, che, motivando profondamente, ne sostienel’impossibilità e l’ineticità; poi a Bolek un polacco cattolico, che difende la posizione contraria, cioè quella del perdono.
A questa domanda di Wiesenthal hanno risposto una cinquantina di intellettuali tra filosofi, storici, teologi che con diverse sfumature e analisi differenziate hanno sostenuto l’una e l’altra posizione, quella di Janek e quella di Bolek.
Queste risposte sono state successivamente pubblicate da Wiesenthal insieme al suo racconto e costituiscono una delle testimonianze più alte e inquietanti sull’”enigma” del perdono, sulla sua possibilità o meno e sulla sua eticità (nota di De Carmine).
In certo modo, in formato e contesti diversi il caso Battista, oggi, presenta le stesse problematiche e interrogativi del racconto di Wiesenthal. (dico io)
Ma come ho già detto nel precedente post, questo è un libro assolutamente da leggere.
Fammi sapere.
Nino volevo solo capire la fonte della tua lapidaria dichiarazione. In fondo hai detto che la Chiesa ha dato il “placet” allo sterminio di popoli. Voglio dire, è una dichiarazione pesante (eufemismo..) e vorrei sapere da che fonti la prendi.
Pensavo che il senso di scrivere in un blog fosse la discussione franca e sincera, la fondatezza di ciò che si scrive, da motivare e argomentare a prescindere dal fatto che un altro chieda spiegazioni o meno (ergo, se uno scrive una frase come quella che hai detto tu dovrebbe argomentarla a prescindere); se però un altro chiede allora rispondere diventa un dovere, sia che l’interlocutore stia simpatico o meno.Tantomeno penso che il senso di scrivere in un blog sia la presa in giro di altri che vi partecipano o la non considerazione e conseguente trattamento da fesso al quale non degnarsi di rispondere.
Ricordi Nostro Signore? “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”.
toc toc
Nino. Nel caso si procedesse con la digitalizzazione e spedizione delle pagine di quel capitolo (via Luigi), sarei interessato anche io.
Non so in che senso tu veda una rilevanza di questo discorso con il caso Battisti. A me sembra che l’istanza di giustizia sia in qualche modo separabile da quella del perdono. Un po’ come il fatto che la giustizia non ha a che vedere con la retribuzione della vittima (almeno da noi – negli USA i familiari delle vittime assistono alle esecuzioni capitali degli assassini per cercare una qualche compensazione, che puntualmente non trovano). Voglio dire che il perdono di cui parliamo mi pare non debba implicare direttamente uno sconto o rinuncia alla pena inflitta.
Rispondendo invece a Giovanni Mandis vorrei riferirmi allo sterminio degli indios, portato avanti dalla “cattolicissima” Spagna. Questo per dire che l’essere cattolici non ha impedito crimini efferati contro l’umanità, giustificati anzi in molti casi con la necessità di evangelizzare e convertire, cioè perpetrati in nome della fede cristiana. Va detto che all’interno della chiesa stessa vi sono state figure che si sono opposte con energia a queste azioni, come il vescovo Bartolomé de las Casas. Dunque il giudizio negativo non può riguardare la chiesa nel suo insieme, ma solo alcuni cristiani.
@ Nino
grazie per il suggerimento del libro
Le leggende nere son dure a morire…
Aspettando fiducioso una risposta da Nino, si può comunque dire che tra le responsabilità di cattivi cattolici e il “placet” della Chiesa a stermini di popoli c’è un abisso di differenza (come giustamente fai notare Massimo, anche se non condivido l’accusa generalizzata alla ” “cattolicissima” Spagna “).
@MassimoD e a chi interessa.
Senza voler anticipare nulla delle posizioni sul pro o contro il perdono detta grossolanamente, la rilevanza delle riflessioni e delle argomentazioni dei contro, personalmente le trovo più condivisibili e confacenti al mio sentire e pensare.
Solo uno stralcio di una delle 50 risposte di intellettuali interpellati da Wiesenthal.
J.A.H.S Bruins Slot, membro della resistenza olandese durante la II guerra mondiale, ha scritto:
“Quando si dice a Simon Wiesenthal “fatela finita”, s’intende che egli dovrebbe smettere di trascinare dei criminali alla corte di giustizia. “Perdonate” significa chiedergli di dichiarare che, per quanto lo riguarda, le loro colpe sono espiate e “dimenticate” significa che tutto questo complesso di fatti e vicende deve essere cancellato dal libro della storia. E queste sono cose ben diverse.
Fra quelli, temo, che gli parlano così –e penso siano un bel numero- molti non si domandano seriamente che cosa richiedono da noi l giustizia e l’amore, ma semplicemente non vogliono più ricordare un fatto storico orribile e sconvolgente e preferiscono liberarsene”.
Il rabbino Kushner ha commentato; “Per un ebreo perdonare i nazisti non significherebbe-Dio ne guardi- dir loro “Quello che avete fatto è comprensibile. Posso capire cosa vi ha indotto a farlo e non vi odio per questo. Ma significherebbe invece dire : “Quello che avete fatto è assolutamente mostruoso e vi mette fuori dalla categoria degli esseri umani . Ma rifiuto di darvi la possibilità di definire,me, una vittima . Rifiuto di permettere al vostro odio cieco di definire la forma e il contenuto della mia ebraicità. Io non vi odio; vi rifiuto. E allora il nazista rimarrebbe incatenato al suo passato e alla sua coscienza, ma l’ebreo sarebbe libero”.
Ricoeur invece tratta altri aspetti e forme del perdono: di autocompiacimento; di benevolenza; di indulgenza; del perdono facile a cui contrappone un perdono difficile.
Mi fermo qui, per ora.
Massimo tengo conto della tua richiesta.
GMandis.
Sul “Tantomeno penso che il senso di scrivere in un blog sia la presa in giro di altri che vi partecipano o la non considerazione e conseguente trattamento da fesso al quale non degnarsi di rispondere.”
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Hai ragione e ti chiedo scusa.
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Sul Ricordi Nostro Signore? “chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto”.
Mi spiace ma non ho nulla o non sono capace e in grado di offrirti nulla di meglio.
Ciao.
Giovanni, sulle responsabilità della Spagna in America latina (ma anche dell’Inghilterra nello sterminio dei nativi americani, dell’Italia nelle “colonie” di Abissinia) non credo possiamo avere molti dubbi. O vogliamo essere negazionisti su quanto è stato commesso?
Il punto è che l’essere cristiani non ha impedito a molti nostri antenati di compiere atti sanguinosi, e questa è una cosa su cui dovremmo riflettere. Non solo, ma questi atti sono stati giustificati con la necessità di evangelizzare (vedi Sepulveda in Spagna), e ciò è aberrante.
Sull’atteggiamento della Chiesa: ci sono stati uomini di chiesa che si sono opposti e hanno preso le parti degli indios (i domenicani come de las Casas, ma anche i gesuiti), ma altrettanti hanno giustificato, e la maggior parte è per lo meno colpevole di un peccato di omissione, per aver tollerato sapendo. Su tutto quanto andava a favore della Spagna cattolica (contro l’Inghilterra protestante) si è chiuso per lo meno un occhio, se non due.
Grazie Nino scuse accettate, ma nemmeno una piccola fonte sui “placet” ecclesiali mi offri?ops…va bene faccio il bravo! ciao
Massimo, per esempio Isabella la Cattolica difese i diritti dei nativi e ordinò che non fossero conculcati e non aveva dubbi che fossero esseri umani tali e quali agli europei; non sempre chi detiene il potere viene obbedito, soprattutto se ci sono migliaia di chilometri di Oceano in mezzo..
La Spagna per quanto cattolica di allora non era comunque la Chiesa. Sepulveda non rappresentava la Chiesa o sbaglio?
Se poi guardiamo all’Inghilterra protestante c’è da dire che invece il Capo religioso e civile coincidono nella figura del Re o della Regina…
Certo molti tollerarono il male, ma la soluzione qual’era, sterminare i conquistadores?
Di certo dove ci fu la conquista di popoli cattolici vediamo che ancora oggi gli indios sono milioni, se andiamo a vedere i nativi nei luoghi colonizzati dai protestanti nel nordamerica dove sono? nelle riserve ancora oggi… e siamo al 2009.
Scusate la mia goffaggine, è la prima volta che scrivo su questo blog che però seguo da tempo con grande interesse.
Non sono mai riuscito a capire come si potesse conciliare la nozione o la prassi cristiana di “perdono” con quella di giustizia. per es. se io perdono
uno che mi ha offeso personalmente, insultandomi o tradendomi, va tutto bene, ma se perdono uno che ha commesso un crimine ai miei danni mi ha picchiato, o scippato, o stuprato ecc., allora non me la sento di denunciarlo, lo perdono, non lo trascino in tribunale, non pago un avvocato per fargli causa , non lo mando in galera.
ma a questo punto, come potrebbe reggere un società in cui tutti fossero
(veramente) cristiani? mi sembra che il perdono cristiano sia qualcosa che va bene per l’individuo ma non possa assurgere a regola per una società. Una società vuole giustizia, e la giustizia , lo sappiamo, è prima di tutto giudizio,
poi eventualmente condanna e punizione. ma se io perdono qualcuno non voglio nè la sua condanna ne’ la sua punizione…
ma allora è vero , come dice Nietzsche,che non vi è e non vi può essere una società veramente cristiana, e di cristiani veri c’è ne è stato uno solo e quello
è morto sulla croce…????
Discepolo, credo che il perdono non possa diventare “legge”. Ai funerali di Bachelet, ucciso dalle BR, il figlio disse più o meno queste parole: “Senza togliere nulla alla giustizia, prego anche per coloro che hanno colpito mio padre, perché sulla nostra bocca ci sia sempre il perdono e non l’odio e la richiesta della morte degli altri”. Il cristiano perdona chi gli ha fatto un torto (soprattutto se si pente), ma non rinuncia a far valere le proprie ragioni. Il perdono cristiano non è masochismo. E quando si proietta sul piano sociale deve tener conto delle vittime. Io posso perdonare per quanto mi riguarda e rinunciare anche a ciò che mi spetterebbe in termini di giustizia (il “mantello” evangelico); non posso imporre questa scelta agli altri, e debbo farmi carico del dolore delle vittime. Un perdionismo che diventa ideologia e rinuncia alla giustizia a mio avviso non è cristiano.O, meglio, può essere solo una scelta personale di qualcuno.
Concordo con questa osservazione di MassimoD: “Dunque il giudizio negativo non può riguardare la chiesa nel suo insieme, ma solo alcuni cristiani”. Gli stermini compiuti dai conquistadoresw sonmo una realtà storica innegabile; ma è anche vero che gli stessi sovrani spagnoli cercarono di frenarli,. e che molti indios morirono non a causa di massacri ma per altri motivi, peraltro riconducibili all’arrivo degli europei (in particolare a causa del diffondersi del morbillo, una malattia che gli indios non conoscevano, per cui non avevano gli anticorpi necessari per difendersene). Su questo esistono studi documentati di storia delle malattie.E, nonostante l’ambigio concetto di “liompieza de sangre” (che poteva giustificare forme di razzismo), a quanto ne so gli stati cattolici non teorizzarono mai ufficialmente forme di segregazione razziale come quella praticata (e teorizzata) dai calvinisti olandesi in Sudafrica. Il meticciato, largamente diffuso in Anmerica latina (diversamente dall’America protestante, ove fu assai raro), dimostra che la mesxcolanza tra gruppi etnici diversi non era sistematicamente vietata.