“Così predico sul web” è intitolata un’intervista della Repubblica on line a don Marco Statzu, noto come MAIOBA ai visitatori di questo blog. L’intervista è così presentata: Papa Benedetto XVI: “Il web va evangelizzato”. Intervista a Don Marco Statzu, viceparroco di San Nicolò a Guspini in Sardegna. E’ su Facebook e gestisce da tempo il blog “Maioba” nel quale inserisce le sue omelie e le sue riflessioni. Nel messaggio del papa per la prossima “giornata delle comunicazioni sociali” – pubblicato sabato con il titolo «Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola» – si afferma l’opportunità di «annunciare il Vangelo avvalendosi, accanto agli strumenti tradizionali, dell’apporto di quella nuova generazione di audiovisivi (foto, video, animazioni, blog, siti web), che rappresentano inedite occasioni di dialogo e utili mezzi anche per l’evangelizzazione e la catechesi». La Cei ha in programma per il 22-24 aprile un convegno sul tema “Testimoni Digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”.
Marco Statzu: così predico sul web
47 Comments
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Però!!… ha anche una bella voce, il nostro Maioba…
Bravo Maioba per tutto quello che fai e per come lo fai. E’ qualcosa che ti avevo detto in tempi “non sospetti” e sono felice che ti abbiano scelto come esempio vivente di quanto Papa Benedetto ha detto.
Confermo che sono i sacerdoti così a “fare” ancora la Chiesa, secondo me…
L’intervista di Maioba mi è stata segnalata da Francesco73 che ringrazio.
Sono stato sul blog di Maioba. Un motivo in più, veramente, per ringraziare Luigi di questo spazio, che mi ha dato l’opportunità di conoscere, sia pure soltanto sulla rete, una persona così. Lo dico son semplicità e senza rischio di piaggeria.
Luigi, è già il secondo post che mi dedichi… devo preoccuparmi? 🙂
grazie a tutti!
Il paradosso è che proprio ieri non son riuscito a scrivere l’omelia e quindi non ho pubblicato nulla… 🙂
sul Corsera di oggi ( non so se Maioba lo legge) c’è un articolo di Vittorio Messori su i “Preti evangelizztori e le insidie di internet”
mi ha colpito una frase. “La Natura bifontre della grande rete è esemplificata dalle statistiche delle visite, per le quali hanno tre sole lettere le parole più cliccate dagli internauti: GOD e SEX.
SEX me lo aspettavo ma non credevo che la parola God fosse a pari merito.. è sorprendente, non trovate? Bisognerebbe aprire una discussione su questo.. perchè queste due parole sono le più cliccate? quali bisogni quali pulsioni. quali desideri, quali abitudini, quali fantasie spingono un uomo davanti a un comèputer a cliccare la parole GOD oppure SEX? A maioba e a tutti i preti cibernauti un ottimo spunto per approfondire la questione..
Caro Discepolo,
mi pare che tu, oltre a porre la domanda, abbia già dato anche la risposta! Alla fine della giostra le domande fondamentali e le pulsioni dell’uomo sono sempre le stesse.
basta rileggere Levitico… è tutto lì: la sessualità è (piaccia o non piaccia) il luogo nel quale l’uomo sperimenta la sua natura (pro)creativa, dunque più vicina a DIo…
Penso che neppure il peggior ateismo possa scardinarlo dal cuore dell’uomo.
E non a caso i regimi totalitaristi sono spesso sessuofobici (ma sessodipendenti fino alla stomachevole volgarità) e contro Dio (ma spesso con tratti di divinizzazione del leader, o con pratiche religiose occultistiche, o talvolta con una religiosità nascosta per paura).
Non ho ancora letto Messori, che non trovo sul web.
Comunque direi che la grande rete non ha una natura bifronte, ma semmai poliedrica.
Non esiste solo God e Sex: in mezzo c’è una vasta gamma di concetti (sennò dobbiamo credere che aveva ragione Freud… e io non ci credo!)
Intervista destrorsa per radio destrorsa…:-)
Sempre in tema di destrismi, ieri sera sono stato a Messa alla Trinità dei Pellegrini, la parrocchia personale per il Rito Antico che si trova al centro di Roma.
Conosco poco questa forma della liturgia, così ho seguito male la celebrazione. Occorre un minimo di preparazione prima.
Ma cosa mi ha colpito? Saremo stati una trentina di fedeli, ma 18-20 erano ragazzi attorno ai 25 anni.
Con un’aria affatto parrocchiale, e non certo da baciapile rubrichisti.
Look moderni, barbe incolte, jeans sdruciti come la moda chiede.
Ragazzi che potevano tranquillamente stare a rimorchiare nella vicinissima Campo de’ Fiori.
E dovevate vedere: conoscevano benissimo tutte le risposte, le fasi, le mosse da fare.
Una partecipazione intensa, silenziosa, ordinata, non affettata.
Bravi.
Per rispondere all’OT di Francesco 73, credo anch’io che la Messa antica sia un fatto di giovani, più che di anziani nostalgici: mi pare l’espressione della volontà di trovare – o ritrovare – una dimensione “cattolica” (forse anche mistica) diversa dalla vulgata corrente del cattolicesimo della seconda metà del novecento, fatto soprattutto di impegno sociale verso i fratelli, cercandola nella fermezza di una verità (anzi, Verità) e di un rito che ne è espressione. Verticalità in luogo di orizzontalità. Il pendolo della storia è inesorabile.
Del resto è un OT un po’ relativo, dato che alla questione si interessa anche il nostro amico e provetto internauta don Maioba, che talvolta ho visto intervenire – con talune puntualizzazioni – in qualche sito “tradizionalista”.
“E dovevate vedere: conoscevano benissimo tutte le risposte, le fasi, le mosse da fare.”.
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Come chi ha imparato gli scacchi! 4 gatti.
Al comando: “dietro front”!
Per contro ieri in una parrocchia romana dove si celebrava la ricorrenza della santa titolare, è stata celebrata una messa cosiddetta solenne in cui tutti i canti e le preghiere dal Peter Noster al Salve Regina ecc, erano dette in latino.
Scena muta, un silenzio rotto solo dal parroco e dal vice che le declamavano.
Trattasi di una parrocchia frequentata da fedeli dell’alta borghesia dell’età media di 70 anni.
Ma è poi vero che God e sex sono le parole “più cliccate dagli internauti”? Io non so come si faccia questo conteggio, però vedo che la semplice ricerca con Google della parola sex dà circa 536 milioni di occorrenze, God ne ha “appena” 388 milioni. Più su di sex c’è anche, per stare ai trilettere, “war”, con 540 milioni. D’accordo, questa è la frequenza della parola e non della sua ricerca, ma è verosimile che in un mercato così aperto come quello della rete offerta e domanda siano tanto distanti?
(ciò confermerebbe che a) nulla è più incerto e opinabile dei numeri; b) i giornali commentano spesso fatti inesistenti)
Sono andato a sentire l’intervista al reverendo, e mi è piaciuta, perché ha detto a un certo punto “persona omosessuale” e son d’accordo anch’io che ha una bella voce. Ma perché non raddoppia le consonanti semplici e non scempia quelle doppie (nel continente)? Pensavo che tutti i sardi lo facessero, e questo mi ha un po’ deluso perché a me piace moltissimo.
«Come chi ha imparato gli scacchi! 4 gatti.
Al comando: “dietro front”!»
Non c’è niente da fare: NIno disprezza chi non è come lui (vorrebbe). Più appropriatamente: trasuda disprezzo.
Bella l’intervista, Don Marco, complimenti … complimenti anche per il blog 🙂
Non conosco molto gli ambienti antichisti, però penso che Gerry abbia ragione, c’è una ricerca di riti con un forte senso verticale, di celebrazioni dove sia evidente l’àgape ma si percepisca anche la dimensione mistagogica, un bisogno di alterità e di misticismo che certo è difficile trovare nelle liturgie ordinarie delle nostre parrocchie.
Ripeto, quelli che ho visto non avevano l’aspetto di soldatini allevati in qualche Collegio Ecclesiastico, o di esteti dell’arredo e del paramento sacro.
Erano ragazzi comuni, come tutti quelli a passeggio per i negozi e i baretti delle strade vicine.
Durante la Messa mi è venuto da chiedermi: chissà se Benedetto pensava proprio a questi qui, quando ha pubblicato il Motu Proprio, piuttosto che agli arcigni lefebvriani che sempre tutti abbiamo negli occhi??
🙂
Leonardo… forse ti sei confuso con Carlo Conti che fa la pubblicità prima del servizio…
io sono Sardo, prima ancora che Italiano (e questa non è un’offesa nei confronti degli Italiani, ma è così: abbiamo una storia diversa dal resto d’Italia), anche se non ho l’accento alla Cossiga, per intenderci…
un po’ come direbbe Cesare:
Gallia est omnis divisa in partes tres, quarum unam incolunt Belgae, aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum lingua Celtae, nostra Galli appellantur. Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt.
Se non ricordo male mi dicesti di esser stato una volta in Ogliastra… ma non tutto è Ogliastra, non tutto è Barbagia, non tutto è Goceano, non tutto è Anglona…
Esiste anche il Campidano! 🙂
Ecco, se adesso fossimo veramente al caffè ti costringerei a parlare per ore di tutte le differenze etniche, linguistiche e caratteriali che distinguono queste terre dai nomi meravigliosi.Faremmo come Frate Gomita e Michele Zanche nell’Inferno dantesco, che: « a dir di Sardigna / Le lingue loro non si senton stanche». Peccato che qui non si possa, per rispetto degli altri avventori.
Quanto a Carlo Conti endogastrico, non mi provocare: il suo commento dall’intestino alle tue sagge parole sull’evangelizzazione in rete mi è parso, come dire, definitivo e tombale. E ti è andata bene che non c’era la Marcuzzi a parlare di transito intestinale. Si ha un bel dire che la rete è ll’Areopago di oggi, ma tu sei lì che ti sforzi di ragionare e ti mettono come sandwuich un pisquano che grida “Actimel!”.
Chissà come avrebbe reagito san Paolo.
Buona sera.
I miei complimenti a don Marco “maioba”, con l’incitamento a continuare sempre ed in meglio la strada intrapresa.
In merito all’OT Sex, war che dire, sempre di monotonia o monomania si tratta.
Sex ai voglia a dì, le varianti sono poche, e lo scopo è sempre quello.
War, idem.
Solo God, Dio, non è monotono. Il problema è che alcuni monomaniaci vogliano renderlo così. Un Dio “liturgo”…… e anche un poco “giove pluvio”, con la fissa sull “haute couture”….., sugli arredi baroccheggianti e sull’architettura chiesistica…..
Ps naturalmente, confesso, io sono un monomaniaco della provocazione….
“Non c’è niente da fare: NIno disprezza chi non è come lui (vorrebbe). Più appropriatamente: trasuda disprezzo”
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Ieri il Card Vallini, dallo scorso anno alla guida della diocesi di Roma, era in visita pastorale in una delle parrocchie tra le più importanti di Roma.
Al termine della presentazione delle attività pastorali da parte dei coordinatori laici e dei presbiteri, ha chiesto al parroco quale fosse, delle circa 10 mila anime del quartiere, la percentuale di coloro che frequentano la Messa domenicale.
L’11% ha risposto amaramente il parroco.
Un velo pietoso è stato steso sulla percentuale di coloro che ricevono i sacramenti.
Per contro il “corpo” dei catechisti è composto da oltre un centinaio di persone.
Il Cardinale: qualcuno di voi può darmi un consiglio su come interagire e rappresentare la Parola al restante 89% ?
Da queste parti i numeri sono all’incirca questi.
L’autoreferenzialità, e la catechesi ai sacralizzati sono sempre più diffuse.
E’ un fatto e non una mia opinione.
In questo quadro ho qualche dubbio che un cambio di passo, un’inversione di tendenza si realizzi con la trascinante liturgia della messa tridentina.
In fin dei conti siamo sempre al relativo delle cose tra chi si rimira la pagliuzza e l’ombelico e chi avverte la presenza di una trave.
Ovvero chi ama l’apparenza e chi affronta la dura concretezza della realtà.
Ricordo che secondo autorevoli indagini a livello mondiale la Bibbia è al tempo stesso, il libro più diffuso e il meno letto al mondo.
Che c’entra tutto ciò con l’irrisione di quei fedeli, pochi o tanti che siano, che frequentano la messa a cui ha partecipato Francesco73, e che hanno il solo torto di conoscere bene la liturgia antica? È forse colpa loro se in quell’altra parrocchia l’89% dei residenti (ma li avrà contati?) non vanno a messa lì?
Mi viene in mente quel gustosissimo libretto di Biffi, Il quinto evangelo, in cui la parabola della pecorella smarrita è riscritta più o meno così: il pastore, avendo perso 99 pecore, va dall’unica rimasta nell’ovile e la sgrida per la sua mancanza di apertura al mondo. Poi, dopo averla scacciata, va all’osteria a parlare di pastorizia.
Che grande Papa!!
e … grande don Marco.
E pensare che ci sono parecchi “consacrati” che vedono il web come il diavolo … e sono allergici a qualsiasi contatto in questa – passatemela – “nuova realtà”.
don Marco/maioba … ma …
… se non riesci a scrivere le tue omelie (comprensibilissimo), potresti – che ne so – predicare con un video e poi – magari – qualcuno di buon cuore “trascriverà” ciò che tu dici.
Può essere un’idea no?
no, Marta… sarebbe decisamente troppo… sono abbastanza pieno di me, ma non a tal punto da riprendermi durante l’omelia… sarebbe troppo!! 😉
… e chi ha detto che ti si deve riprendere? Basterebbe la tua voce …
Ricordi? “Qualcuno” ha detto di “urlare dai tetti” … e dal basso, dalla strada, chi vede chi è quello che urla dai tetti?
Un dono, il dono della parola, è un gran dono, ma ha un grosso rischio: quello di sentirsi autori della propria bravura di parola.
Fai bene a temere, ma credo che il rischiare questo modo ti potrebbe “obbligare” a “dire” senza essere visto …
E poi sarebbe come essere ad un ambone un po’ diverso dal solito, ma con la prerogativa spettacolare di no vedere te, ma sentire quello che il tuo Ministero tu suggerisce di dire e che è rivolto anche a te mentre lo dici a tanti.
Non c’è nessuna differenza tra una predica scritta in un blog, ed una registrazione di una predica senza la tua “faccia” … nessuna differenza davvero … Ma in compenso raggiungeresti tante persone che non hanno la fortuna di sentire parole “costruttive” come le tue.
Un dono è fatto per essere donato in modo esagerato … in perfetto stile evangelico …
San Paolo (ma sicuramente lo saprai meglio di me) dice in 2 Cor 9,8-14
Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene. Sta scritto infatti: / «Ha largheggiato, ha dato ai poveri, / la sua giustizia dura in eterno». Colui che dà il seme al seminatore e il pane per il nutrimento, darà e moltiplicherà anche la vostra semente e farà crescere i frutti della vostra giustizia. Così sarete ricchi per ogni generosità, la quale farà salire a Dio l’inno di ringraziamento per mezzo nostro. Perché l’adempimento di questo servizio sacro non provvede solo alle necessità dei santi, ma deve anche suscitare molti ringraziamenti a Dio. A causa della bella prova di questo servizio essi ringrazieranno Dio per la vostra obbedienza e accettazione del vangelo di Cristo, e per la generosità della vostra comunione con loro e con tutti. Pregando per voi manifesteranno il loro affetto a causa della straordinaria grazia di Dio effusa sopra di voi.
Pensaci … mica lo devi fare domani … Pensaci solo.
Quanti motivi per rallegrarsi! Prima di tutto, il modo con cui Maioba ha risposto all’intervista (complimenti, Maioba: hai una capacità di sintesi pari quasi a quella di Luigi. E ti si ascolta proprio volentieri). E, poi, quello che Francesco73 ha visto e ha potuto scoprire -da vicino, facendosi prossimo- alla Messa alla Trinità dei Pellegrini: qualcosa che -sembra- non credeva possibile. (Però, Francesco, forse allora io son più beata di te perché, anche senza aver visto, in questo ho sempre fermamente creduto. Anzi, l’ho sempre ritenuto non solo possibile ma inevitabile. I giovani: non c’è niente che sia più simile allo spirito della Liturgia tradizionale).
Bene: questa sera, sul “pianerottolo” di Luigi, Don Marco/Maioba è il meritato protagonista del “post” ed è giustamente sotto i riflettori.
Ho già rivolto, in altra sede, al grande Don Marco – di cui leggo sempre sul suo blog, cui saltuariamente m’affaccio, le omelie domenicali – i doverosi complimenti per l’intervista (ottima, davvero).
L’idea di Marta/Lidia è intrigantissima: pensaci, Don Marco !
Buona notte !
Roberto 55
Maioba, sto leggendo un poeta straordinario (lui, però, non si definiva “un poeta” ma “un prete che scrive poesie”): Jan Twardowski. Polacco. Morto nel 2006. Amico di papa Wojtyla. Conosciutissimo e amatissimo in Polonia, ma una piccola antologia dei suoi versi (“Affrettiamoci ad amare”), è stata tradotta da noi solo pochi mesi fa. Diceva cheavrebbe voluto chiamarsi “Jan della coccinella”. Ti sei ispirato a lui per il tuo nome?
Felicitazioni a Maioba, per l’intervista e pure per la difesa dell’identità campidana.
Quanto all’OT, che l’evangelizzazione si possa fare anche con la dimensione estetica lo dicono pure due noti lefevriani come C.M. Martini e B. Forte …
Fiorenza, confesso di aver conosciuto Twardowski in un articolo di qualche settimana fa su Famiglia cristiana…
In realtà “Maioba” è il mio nome in codice da quando ho avuto una mail… più di dieci anni fa…
Da il nome ad una filastrocca per bambini:
Maioba, Maioba.
bai a Casteddu a soba,
bittimi un ‘oneddu
un ‘oneddu po coiai
Maioba torr’a ‘ndai.
E poi è un animale simpatico, maculato, che vola… cosa volete di più? 🙂
Di più c’è solo che in polacco sembra che si chiami “mucchina di Dio”.
Maioba, grazie per la filastrocca. Per le filastrocche ho un’antica predilezione. Mi affascinano. Questa, poi, così misteriosa per me che non riesco a tradurla, è un vero incanto. L’ho già imparata a memoria.
caro maioiba non lasciare ti prego cadere la questione.. importante rifletterci l tu sei in prete, un giovane prete e puoi fare molto del bene sul web..il web pero è come la realtà fuori…spesso violenta volgare.. assetata di sesso soldi divetimento.. come fare che il cibernauta tipo( non quello ciellino o dell’ AZIONE CATTOLICA” )incappi quasi per caso in un discorso su Dio e rimanga preso intrappolato, suo malgrado,interessato, si senta chiamato in prima persoana, si senta provocato…bisogna dire cose interessanti e universali, spregiudicate non conformiste e nello stesso tempo atemporali. mistiche, eterne.
I nostri figli 8 ne so qualcosa io , madre di tre adolescenti9 passano il loro tempo sul web
prego dio che leggano e conoscano persone intelligenti, umane, profonde, oneste, sincere-
Altra preghiran non faccio.. so cche i pericoli sono immensi, so che sul Web la pornografia, la violenza, la volgarità fanno la perte da padrone.
per i me ifigli posso solo pregare che trovino un Maioba, che trovino un Luigi Accattoli, che trovino una porta per la verità e non una porta per l’inferno.
MC
caro Maioba,
ora posso scrivere tranquillamente,
non dovrebbe più passare alcuno su questa pagina…
tutti hanno steso i loro mantelli……
Leggendo questa pagina,
mi si fleshava l’immagine della giornata di esultazione nei confronti di Gesù
tra palme agitate in segno di osanna per il terreno messia…. urla di gioia….. bandiere….
Eppure nelle successive ore
la stessa folla (che ha solo in testa il sesso e il porno… degli altri…) urlerà il “CRUCIFIGE”…..
Mah! che strani pensieri…..
Maria Cristina, io non ho risposte alle tue domande…
In quella stessa intervista ho detto anche al giornalista che i miei post sono come il messaggio in una bottiglia lanciato nel mare che qualcuno raccoglie all’estremità opposta… E vi trova le parole di cui ha bisogno, magari quelle stesse parole che cercava sul motore di ricerca…
Ma, appunto, sul motore di ricerca posso cercare di tutto…
Non ho soluzioni, se non continuare a fare poveramente quel che faccio…
complimenti di cuore a Maioba, e per fortuna direi che non è solo ma in buona compagnia. Ci sono altri sacerdoti come lui che usano la rete per un servizio spirituale.
non è il caso di entrare qui in tecnicismi, ma l’evoluzione del web porterà a mio parere 1) ad aggregare servizi 2) ad aggregare in modo più organizzato persone che si pongono al servizio di internauti 3) a incrociare diverse forme di comunicazione -personale, cartacea, telematico-testuale o audio-visiva, telefonica…
Mi sembra poi interessante come dall’OT sulla messa in rito straordinario (su cui dico solo che chi la vive non come una preferenza personale ma come una liturgia superiore a quella ordinaria non ha letto bene il motu proprio e la lettera accompagnatoria di Ratzinger) Nino riporti il discorso su come parlare ai non o poco credenti, che non può essere semplicemente questione di liturgia. L’evangelizzazione precede il sacramento.
E quindi il discorso ritorna sulla rete come una delle possibili modalità con cui “parlare allo sfiduciato”, con cui permettere allo Spirito Santo di parlare attraverso di noi (Isaia 50,4: “Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola.)
Quell’89% di persone che stanno lì fuori, ad arrabbatarsi con le cose della terra, sprecando i doni di Dio -come il figlio della parabola che si ritrovò a contendere il cibo dei maiali- un pò rifiutano e un pò aspettano questa Parola.
Mi viene in mente Agostino, che nella sua lotta interiore sentì il bambino che giocava ripetere “tolle et lege” e trovato -casualmente!- una bibbia lì vicino la aprì e cominciò a gustare il “vino nuovo”.
Mi sembra che una evangelizzazione da strada (conoscete don Andrea Brugnoli, ad esempio ?) sia un buon inizio. Così come uno stile di catechesi che sappia parlare al cuore (qualche esempio: i quaresimali del card. Martini, le serate del p. Fausti trascritte nei suoi commenti biblici, il “manuale” di primo annuncio del p. Spicacci).
Segue poi la condivisione della preghiera. Di una preghiera di lode, gioiosa, ricca della invocazione dello Spirito, del Nome di Gesù (ripetendo il quale S. Francesco si leccava le labbra, tanto lo sentiva “dolce”). In questo, l’esperienza che ho fatto nei gruppi cosiddetti carismatici è eccezionale. In questo stile di preghiera (fattibile da chiunque, evitando acluni eccessi) si può veramente sperimentare la presenza e l’azione di Cristo risorto e del suo Spirito. D’altra parte troppa attività pastorale è troppo basata sull’intelligenza e sulla “strategia” umane e poco sull’invocazione docile dello Spirito Santo.
Non solo l’attività pastorale «è troppo basata sull’intelligenza e sulla “strategia” umane e poco sull’invocazione docile dello Spirito Santo», ma si culla sugli allori del dire che «l’evangelizzazione precede il sacramento». Invece proprio no! Oggi la dimensione estetica è primaria proprio per salvaguardare l’intento missionario dalle derive ideologiche, moralistiche, attivistiche.
p.s. @ Maioba: ecco il link di Messori
http://www.et-et.it/articoli/2010/2010_01_25.html
cosa vorrà dire la dimensione estetica ? estetica viene da aistesis, “sensi”, indica per estensione la dimensione del bello.
Ora il bello si coglie essenzialmente nell’annuncio, che certamente è presente anche nella liturgia, ma in forma simbolica più che diretta.
Non è un caso che alla liturgia eucaristica si veniva ammessi dopo il battesimo (da adulti). Non credenti e catecumeni non partecipavano al rito. Non veniva concepito affatto come momento di annuncio per i “lontani”.
E quindi la dimensione estetica sta pienamente nella Buona Notizia, nella narrazione di quanto ha fatto per noi il Signore, il “pastore bello” che dà la vita per le pecore.
In tutta la tradizione sia del antico che del nuovo testamento, la liturgia “primaria” era quella del creato che “narra le opere di Dio”. I Salmi, la preghiera liturgica per eccellenza erano -e sono- destinati a tutti i momenti della vita, non solo al culto del tempio.
Del resto il Vangelo di Giovanni (si veda ad es. gli studi classici di R. Brown) sono intessuti di una polemica antiformalista. Non c’è l’istituzione dell’eucarestia ma la lavanda dei piedi, non c’è un discorso sul battesimo, ma il lungo brano della guarigione del paralitico.
Giovanni sa che la stessa liturgia può diventare rito esteriore, scollegarsi dalla dimensione eistenziale, dall’esperienza del Cristo risorto che libera e guarisce oggi, qui e ora. E in tutto il suo Vangelo indica la bellezza dell’esperienza di vita, del dialogo quotidiano dell’anima con il suo Signore. Ed è questa la linfa vitale della stessa liturgia.
Questo non è cullarsi sugli allori, al contrario. Lo è il non voler fare lo sforzo di farsi tutto a tutti, pur di guadagnarne qualcuno, di parlare le lingue degli altri, invece di pretendere che essi si adeguino alla nostra. Il non fare lo sforzo dell’ascolto, il non voler entrare veramente in comunione, una comunione fatta del grembiule del servizio.
Gesù sapeva che il formalismo può essere uno dei peggiori nemici della fede. E ha detto chiaramente che pregare Dio e non servire il bisogno del fratello è pura menzogna, ipocrisia che impedisce l’accesso al suo Regno. Senza la carità operosa le liturgie sono sterili cembali squillanti e nulla di più.
Conosciamo talmente bene le (sempre possibili) degenerazioni formalistiche dei riti, da identificare i riti con queste.
Non posso che dolermi che non esista oggi, in campo cattolico, una figura come quella di Pavel FLorenskij, che in campo ortodosso, col suo sublime e limpido trattato “LE porte Regali ( ed. adelphi) ” poneva le fondamenta per una filosofia del culto e della liturgia e per una studio in cui estetica, liturgia, forma e “Noumeno” trovavavano la loro piena esemplificazione.. Torna cioè l’idea di “forma” positiva, non il “formalismo” tanto svalutato e disprezzato da Cherubino e da tanti.. se il formalismo è un nemico della fede, la “forma ” invece, il RITO nei suoi significati più riposti , nella sua manificenza formale, nella sua bellezza rettamente intesa , ne è la base la colonna portante.
Rinununciare alla bellezza per qualcosa di più brutto è sempre un errore, amìncor di più se lo si giustificta con categorie “etiche” e sentimentali.
Ciò che è veramente buono e vero non può essere contrario a ciò che è bello.
MC
mi sembra che discepolo travisi un pò la faccenda: tra formalismo e “forma” (come la chiama lui) non c’è una differenza oggettiva.
Un rito vissuto con spirito formalista non è esteriormente in nulla diverso da uno vissuto diversamente. La forma è la stessa. Salvo confondere (ma chi si appella alla filosofia un errore così banale non dovrebbe farlo) la forma con la sostanza, il significante con il significato, il rito -che è un mezzo- con la salvezza, che è la beatitudine che si può realizzare con o senza rito.
Formalismo è l’atteggiamento del cuore che carica il significante -che resta lo stesso- di un significato ulteriore, improprio. Allora si vive il rito -lo stesso rito- come magico, o come autocompiacimento, o come estraneazione dal quotidiano, oppure ancora come autogiustificazione dei tanti peccati di omissione verso la carità operosa.
Gesù rimproverava i farisei: ma non perchè non seguivano la Legge, al contrario, erano zelanti in tutte le “tradizioni”. Ma mancava loro la carità, mancava la conoscenza del vero Volto di Dio che è misericordia, che si fa prossimo al misero e al peccatore, che mangia con prostitute e ladri, che guarisce e libera di sabato…
Non c’è altra strada: il Vangelo ci dice che dobbiamo imitare Cristo anche nel modo di parlare al mondo, e Cristo ha scelto di parlare principalmente con i fatti, con il servizio concreto. La liturgia è vera quando chi la vive ha il cuore libero e cerca veramente il Signore. E lui si fa trovare sempre, in un modo o nell’altro.
Mi permetto di modificare “leggermente” una frase di Cherubino, alla fine del suo ragionamento.
La liturgia oggettivamente è vera SEMPRE, è soggettivamente migliore quando chi la vive (la celebra, la presiede, vi partecipa, vi assiste) ha il cuore libero e cerca veramente il Signore.
Concordo pienamente con la chiusa: Lui si fa trovare sempre, in un modo o nell’altro. Premesso che la carità e le opere sono essenziali – e in questo chi potrebbe dar torto a Cherubino – nel resto c’è una non nuova ed a mio parere eccessiva fiducia nella Parola (quasi un “sola scriptura”) ed una forse non voluta, ma evidente svalutazione della liturgia (la beatitudine si può realizzare con o senza rito: quindi anche senza sacramenti).
P.S. So bene che me la cerco: le precisazioni di Cherubino mi seppelliranno, con dotte spiegazioni. Spero siano lievi, comunque non potevo tacere.
premesso che non è mia intenzione seppellire qualcuno (magari contribuire umilmente e indegnamente alla sua resurrezione sì, perchè no?) …
preferisco attenermi al magistero.
Innanzitutto forse mi sono espresso male: la liturgia è certamente vera sempre dal punto di vista oggettivo: trae la sua verità dall’autorità della Chiesa. Ma non sempre porta il frutto spirituale cui è finalizzata. Ed è anche efficace, quando agisce ex opere operato, ossia per il fatto stesso di essere agita. Tuttavia dalle efficacia può restare inerte, senza frutto a causa delle reali disposizioni del fedele.
Per questo, diverse liturgie possono essere più o meno “conclusive” del frutto spirituale nella misura in cui riescono a stimolare meglio la fede di chi partecipa.
Il discernimento operato con la riforma liturgica si pose proprio a questo livello: l’uso della lingua volgare, la maggiore presenza della Parola di Dio (chissà perchè poi farebbe male…) sono atti ad alimentare quella fede che è la disposizione recettiva necessaria perchè il sacramento porti frutto.
In secondo luogo occorre distinguere il sacramento dal rito. Il rito spesso infatti è più del sacramento stesso: perchè a consacrazione del pane e del vino sia valida non occorronno tutte le parti della messa. Addirittura per qualche sacramento non è necessario neanche un rito specifico: per il amtrimonio, ad esempio, occorrono semplicemente la volontà consensuale di “fare ciò che fa la Chiesa” che in tal caso è ciò che intende la Chiesa, posto che nel sacramento del matrimonio la Chiesa non fa altro che ricevere il consenso e celebranti sono gli stessi nubenti.
E pertanto due battezzati che intendono unirsi in modo irrevocabile e nel reciproco servizio in apertura alla vita, manifestando tale volontà senza parlare di matrimonio cristiano, sono realmente sposati sacramentalmente.
Analogamente occorre ricordare che è possibile, a determinate condizioni, il battesimo di desiderio. E specularmente l’unzione degli infermi è amministrata anche a chi è incosciente, quindi mancando potenzialmente una dimensione indispensabile del sacramento.
Come si vede tra rito e sacramento c’è un rapporto complesso, ma non di mera identificazione. Tanto è vero che la Chiesa non ha mai presunto la dannazione di chi esteriormente muore senza sacramenti. E’ pur sempre possibile che nel foro interiore una persona sia nella Grazia di Dio senza aver ricevuto il sacramento.
Lo stesso Pio IX distinse nella Mystici Corporis coloro che, «non appartenendo al visibile ordinamento della Chiesa», pur tuttavia, «per un certo desiderio e un’aspirazione inconsci, sono orientati al mistico Corpo del Redentore».
E ancora: “È cosa nota che coloro i quali sono vittime di ignoranza invincibile nei confronti della nostra santissima religione, e che però osservano con cura la legge naturale e i suoi precetti, scolpiti da Dio nel cuore di tutti, e sono disposti a obbedire a Dio e conducono una vita onesta e retta, possono conseguire quella eterna, per l’azione della luce divina e della grazia» [PIO IX, enc. Quanto conficiamur moerore”
S. Tommaso dice:
“uno può essere senza battesimo di fatto, ma non di proposito: per esempio, quando uno desidera di essere battezzato, ma viene accidentalmente prevenuto dalla morte prima di ricevere il battesimo. Costui senza il battesimo in atto può conseguire la salvezza per il desiderio del battesimo, il quale nasce dalla “fede che opera mediante la carità”, attraverso la quale l’uomo viene santificato interiormente da Dio, il cui potere non è vincolato ai Sacramenti» [SAN TOMMASO, Summa theologiae, III, q. 68, a. 2].
Mi sembra che l’ultima frase di S. Tommaso sia bellissima. Non si nega dunque l’importanza e la necessità ordinaria dei sacramenti. Quindi, nessuno può presumere di salvarsi senza di essi: è quindi pericolosissimo fare a meno di essi. Ma ciò non deve portare a presumere la dannazione senza di essi. Anche di fronte all’aperto dispresso verso la fede e i sacramenti resta fermo il fatto che il giudizio nel foro interiore appartiene solo a Dio. Resta infatti la possibilità che tale disprezzo sia in realtà causato da gravi ferite ricevute da membri della Chiesa, o da problemi psichici, quindi incolpevole.
Quanto alla Parola di Dio è veramente curiosa la distinzione tra sacramento a Parola di Dio. La contrapposizione è fittizia e fuorviante (scusate la franchezza ma in materia fondamentale …).
Il sacramento nasce dalla Parola di Dio. E’ per la Parola di gesù, quale la troviamo nel Vangelo, che amministriamo il Battesimo “nel Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo”. E l’eucarestia non sarebbe valida se no nsi ripetessero le Parole di Gesù, quali riportate nella Scrittura. E così ogni altro sacramento riceve il suo fondamento e la stessa forma dalla Scrittura. Qui entra in gioco una svalutazione grave della Scrittura. Essa è sacra ! ossia non solo ispirata (azione dello Spirito nel passato), ma “spirante” Dio (azione dello Spirito Santo nel presente).
Quando si legge la Parola di Dio come tale, si compie un atto mistico, analogo a quello sacramentale, pur distinto da esso. Manca nella lettura personale la mediazione potestativa della Chiesa, per cui la Grazia non agisce ex opere operato, ma è sempre una dimensione di Grazia fondamentale. E’ come contrapporre la preghiera alla liturgia. Una contrapposizione inesistente, dato che la liturgia stessa è preghiera, con caratteri suoi propri, entrambe -quella non liturgica e quella liturgica- in rapporto di differenti species ad un unico genus della sottomissione del fedele alla missione ad extra dello Spirito Santo e del Figlio.
Ovviamente consiglio, per approfondire, la lettura della Dei Verbum e dei tanti testi di spiegazione di questa mirabile Costituzione dogmatica conciliare.
@ Cherubino.
Tu hai ragione di “pretendere” che la dimensione soggettiva, esistenziale, corrisponda e non renda sterile il Mistero celebrato nel Sacramento.
Quello che non condivido è il tuo approccio alla dimensione RITUALE. Approccio che io trovo ultimamente svalutante, nel momento in cui sembri affermare che il rito sarebbe solo elemento “ad sollemnitatem”, la “materia” e la “forma” essendo elementi non solo necessari, ma sufficienti; il rischio di questa affermazione è di fare del rito qualcosa di estrinseco, orpello, rivestimento o travestimento …
Spesso, nei discorsi che sento (anche qui), è questa la logica conclusione.
Neppure condivido la tua interpretazione di quei passi della Summa.
Se avesse quel valore generale e fondante che dici, il rischio sarebbe quello di confondere l’eccezione con la regola.
caro Lycopodium mi scuserai, ma l’interpretazione di ciò che dico la faccio io. Non ho mai parlato di elemento “ad solemnitatem”, che chissà poi cosa vuol dire… se vuoi dire che per me il rito è elemento puramente esteriore ciò va contro tutto ciò che ho detto ed è una deformazione delle mie parole.
Quando poi dici che la materia e la forma -anche qui applicando parole in modo scorretto e ambiguo- sono elementi sufficienti del sacramento, dici una vera e propria eresia, dato che la sostanza del sacramento è la Grazia e il suo fine è la santificazione. Il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato.
I brani che ti ho citato sono chiarissimi e non vi dò alcuna interpretazione: basta leggerli così come sono. Del resto, proprio per evitare una lettura relativista ho detto che 1) nessuno può presumere di salvarsi senza sacramenti -ed è quindi pericolossisimo farne a meno di proposito- 2) ma anche che nessuno può presumere che qualcuno senza sacramenti sia dannato, e questa è pura dottrina cattolica, senza alcuna interpretazione.
Per cui è chiaro dalle mie parole che la via ordinaria della salvezza è quella che parte dall’annuncio, dal quale si sviluppa la fede “ante quam” e arriva alla fede “post quam” per mezzo dei sacramenti.
Del resto questa progressione è chiaramente indicata nelle parole di Paolo:
Romani 10
“12Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che l’invocano. 13Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato.
14Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? 15E come lo annunzieranno, senza essere prima inviati? Come sta scritto: Quanto son belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!
16Ma non tutti hanno obbedito al vangelo. Lo dice Isaia: Signore, chi ha creduto alla nostra predicazione? 17La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo.”
Quanto al rito, visto che parli di materia e forma, tali termini sono inadeguati e filosoficamente errati in tale ambito. Forma non è una cosa, ma corriponde all’ “essenza nella cosa concreta”, principio di individuazione, per il quale l’essenza “cane” (per fare un esempio) realizza questo singolo cane per mezzo di materia amorfa; la materia non è quindi la cosa materiale, ma il presupposto materiale non ancora esistente, ossia è a-morfa, “senza forma”.
Nel rito non si parla di materia e forma, ma essendo sul piano dell’azione comunicativa, di segni, quindi di significante e significato da un lato, e di rappresentato e agito dall’altro.
Il rito quindi non è per niente esteriorità (ad solemnitatem…) ma azione comunicativa, co-azione efficace per mezzo di segni, interazione tra l’uomo -gli uomini- e Dio.
Tali segni sono efficaci non per una virtù intrinseca (nessun segno lo è), ma perchè Dio ha promesso che lo Spirito Santo in presenza di tali segni agisce e agirà sempre. E Dio mantiene sempre le sue promesse.
Attribuire al segno una potenza intrinseca (ontologica) porterebbe ad una idolatria, di carattere magico. Nel rito noi cogliamo, sentiamo, comunichiamo con… l’Onnipotente stesso. E’ la sua presenza attiva che rende il rito sacramento.
Quella stessa presenza che rende la sua Parola “viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. 13Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.” (Ebrei 4)
Alcune doverose precisazioni, a scanso di malintesi.
Io non ho mai detto che materia e forma sono sufficienti, tutt’altro … Quando però tu affermi: “perchè [l]a consacrazione del pane e del vino sia valida non occorronno tutte le parti della messa”, io ci vedo qualcosa di simile.
E non perché sia realmente convinto che tu lo pensi, ma semplicemente perchè, nello sforzo di quasi-esorcizzare la potenza del “rito”, sembri costretto a recuperare un concetto del vecchio rubricismo, quello del minimo necessario.
Quanto poi a materia-forma, esse sono (unitamente al ministro) nozioni comuni della sacramentaria; solo che spesso, ad esempio, si intende la “forma” come pura “forma verbale”, parola detta e proclamata; ma sarebbe meglio provare a pensare la forma come “forma rituale”, dove il “non verbale” ha un ruolo non alienabile?
E questo non è idolatria o magismo, parole che che spesso agiscono come nientificatori di discorso. Si tratta invece di entrare nell’ordine di idee che nella costituzione dell’essere cristiano il rito non giunge affatto a cose fatte: Ecclesia de Eucharistia!
E’ vero che il sabato è per l’uomo e non l’uomo per il sabato, ma questo argomento non significa affatto che il sabato non serve, o è sostituibile con qualcos’altro, ma proprio il contrario … altrimenti non starebbe scritto “chi non mangia la mia carne e beve il mio sangue …”.
p.s. Ti ringrazio della sobria ma efficace difesa della Sindone, fatta su altri lidi …
veramente eri tu che dicevi “la “materia” e la “forma” essendo elementi non solo necessari, ma sufficienti”.
Mi sembra che il problema sia nell’uso ambiguo del termine “rito”, che indica sia la liturgia, come ad es. la Messa, sia la formula e l’azione del sacramento in senso stretto, quindi nella Messa l’eucarestia. Nella Messa vi sono tante parti -quasi tutte- che sono accessorie a ciò che è strettamente necessario per la consacrazione del pane e del vino e per una ricezione valida del sacramento. Per questo sono necessarie e sufficienti (per usare le tue parole) le parole della consacrazione (forma del sacramento) dette dal sacerdote sul pane e sul vino (materia del sacramento). Perchè il sacramento dia frutto però sono necessarie le due cose più importanti: l’azione dello Spirito Santo (che agisce nel rito ma non è il rito) è la fede di chi lo riceve.
E’ chiaro dunque che si parla di materia e forma del sacramento, non di materia e forma del rito. Perchè sacramento e rito, pur nell’accezione ristretta, restano due cose diverse, la seconda è mezzo per il primo. Il sacramento è la “nuova realtà” (nuova perchè già nel dominio della resurrezione di Cristo) che lo Spirito Santo realizza, rito è l’evento umano istituito da Dio in cui tale realizzazione si compie.
Quindi il rito del sacramento è la via ordinaria e privilegiata con cui si realizza il sacramento, ma come dice s. Tommaso, Dio resta libero di seguire altre strade se vuole, il suo “potere non è vincolato ai sacramenti”.
Un esempio biblico lo hai proprio negli Atti degli apostoli, lì dove un gruppo di pagani presos il centurione Cornelio riceve l’effusione dello Spirito Santo prima del battesimo, sulla sola predicazione di Pietro:
“44Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. 45E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; 46li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. 47Allora Pietro disse: “Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?”. 48E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.” (Atti 10)
Del resto è ben possibile che chi riceve il sacramento non abbia la fede e quindi quel sacramento non realizza ciò per cui è dato, l’inabitazione di Dio in noi. Prendi il caso di Anania (Atti 5). E se il sacramento è dal punto di vista strutturale autosufficiente per realizzare ciò che significa, la sua ricezione avviene in un contesto antropologico di cui la Sapienza di Dio tiene conto, per questo c’è una storia della salvezza, per questo c’è l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua morte e resurrezione, per questo l’accesso al sacramento ha sempre richiesto una preparazione, dall’ascolto della predicazione fino al lungo e impegnativo catecumenato.
Dio parla e agisce in modo divino, ma rispettando la natura umana, di quell’uomo di cui chiede la collaborazione, chiamandolo amico e non schiavo.
“Nella Messa vi sono tante parti -quasi tutte- che sono accessorie a ciò che è strettamente necessario per la consacrazione del pane e del vino e per una ricezione valida del sacramento. Per questo sono necessarie e sufficienti (per usare le tue parole) le parole della consacrazione (forma del sacramento) dette dal sacerdote sul pane e sul vino (materia del sacramento). ”
Potremmo continuare all’infinito, ma io intendo finirla; non prima di aver maledetto la mia eccessiva sintesi, a motivo della quale tu continui ad attribuirmi cose non mie.
Ringrazio Cherubino e Lycopodium per la dottrina e la passione con cui hanno disputato qui sopra. Non potendo leggere giorno per giorno, ho letto solo ora e ammirato. Nel commento del 31 gennaio ore 11,02 Cherubino attribuisce la Mystici Corporis a Pio IX per vicinanza di rimando alla Quanto conficiamur moerore: faccio questa osservazione solo per mostrare che ho letto restando sveglio tutte le pagine. Sono orgoglioso che persone così qualificate frequentino con simpatia il mio disadorno pianerottolo.
come vedi, Luigi, non sono solo i preti a predicare su internet…
anch’io sono ammirato da Cherubino e Lycopodium!