Le mamme l’avrebbero voluto fare sempre. I papà sono stupiti di farlo. E’ il gesto di prendere in braccio, sulle ginocchia, stringendo viso a viso i figli diventati grandi. Lo raccontano nove scatti di Marco Martinelli (http://www.light-opinion.com/), giovane e bravissimo fotografo di strada e altro, che ho visto ieri sera in mostra alla Galleria de’ Serpenti a Roma (via dei Serpenti 32, aperta fino al 24 giugno). E’ intitolata LA DERIVA DEI CONTINENTI. Autore e regista delle scene fotografate da Martinelli è Paoloreste Gelfo. Immagini forti, così presentate al visitatore: “La riscoperta di sé nel grembo e come grembo. La restituzione di uno spazio emotivo sublimato, mai dimenticato davvero, sempre cercato altrove. Un’occasione di ricongiunzione con l’Origine del Tutto”. Ho pensato a Sant’Anna con in braccio la Madonna che ho visto una volta alla National Gallery di Londra, nonché alla tela con lo stesso soggetto che è al Louvre. Ho ripensato ai figli che crescono e che un giorno, per strada, non ti danno più la mano e tu capisci che è ora di lasciarli andare. [Continua nel primo commento]
Mamma abbracciami
53 Comments
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.
[Continua dal post] Al presentimento dell’adolescenza finisce l’intimità dei corpi, che tornerà nell’amore e nella malattia. Ma non è una perdita, la fine d’ogni contatto con i figli cresciuti? Non dovremmo far salva un’intimità che ci permetta l’abbraccio anche prolungato, come aiuto e confidenza? Un giorno che ne parlavo in una conferenza, una signora con due figli maschi mi diceva che non è sempre così: che il suo ragazzo più giovane, già ventenne, è un coccolone e qualche volta le dice “mamma abbracciami!” Com’era felice quella donna, mentre raccontava di quel figlio. Chiedere e offrire il contatto dei corpi, ogni volta che è lecito, può lenire una solitudine, può guidarci a solidarietà impensate. Aiuta a ricordare la felicità. Il corpo dell’uomo fa bene all’uomo.
Io ho una figlia quattordicenne (prima liceo) che avverte l’esigenza di prendere le “distanze” da me: mi rendo conto che è inevitabile, che ha il diritto di fare le sue scelte e di costruirsi una sua personalità, ma un po’ mi dispiace, ripenso con un po’ di nostalgia al tempo in cui le piaceva essere coccolata.Poi ripenso al noto passo del poeta Gibran e accetto questa dinamica.
Io ho un figlio di 3 anni che si fa coccolare volentieri (la piccolina anche, ma non lo verbalizza) e a me piace tanto!! Capisco perché mio padre di 65 faccia fatica a rinunciare a insistere ogni tanto a voler tenere per mano per strada anche me…
Grazie, Luigi,
il tema è troppo importante e mai abbastanza approfondito,
è positivo avere il coraggio di proporlo.
Molto spesso nelle confidenzialità tra colleghi, se parliamo di genitori, esce fuori quella mancanza di gesti di contatto che non hanno sentito dai genitori, una volta divenuti ragazzi e come una sorta di sclerotizzazione porta a divenire incapaci di un abbraccio tra genitori e figli anche grandi.
Tema importante
“mi corre l’obbligo”, (direi, in tema) di segnalarvi questo:
http://motividifamiglia.blogspot.com/2009/06/il-mio-papa-si-chiama-ufficio.html
(le foto sono bellissime!)
Aggiungo che proprio ieri, Pietro, il mio “grande” (5 anni e mezzo), emulo delle sorelline più piccole, si è tuffato sulle mia gambe e si è fatto prendere in braccio e cullare come quando era neonato… quanto mi fa bene! (e spero anche a lui)
il tema lanciato da Luigi è estremamente interessante. E mi accingo anche io a viverlo da padre, dopo averlo vissuto da figlio.
Credo che al fondo vi sia una guarigione, una ferita che deve rimarginare. E’ la ferita del distacco, di quella separazione dal guscio familiare e dalla fusionalità che si vive prima della cesura adolescenziale.
La triangolazione figlio-genitore stesso sesso-genitore altro sesso si risolve in una perdita, un piccolo (o grande ?) lutto, che darà la vita della maturità. L’edipo freudiano, purificato di alcune incrostazioni ideologiche, resta fondamentalmente valido.
La “distanza” fisica allora diviene cifra della separazione psicologica ed esistenziale. Il giovane scopre che c’è un lutto al quale i suoi genitori non potranno mai partecipare, perchè ne sono essi stessi concausa.
Serve allora il perdono, e serve l’esperienza del dono: “mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto”. (Sl 27,10).
Serve metabolizzare quel distacco come fonte di vita, lo schiudersi di nuovi orizzonti, anche se resterà sempre in qualche misura una sana nostalgia. Che darà vita ai “riti familiari del ritorno” (guai se non vi sono!), le piccole regressioni segno che la ferita si è rimarginata, il perdono concesso. E che “l’alzare al volto” di cui parlava Luigi si è spostato su un piano migliore, quello in cui nulla di ciò che è stato fatto per amore andrà perso, perchè è scritto nel libro dell’Agnello (Apocalisse 5).
Solo un’altra citazione (in realtà era la prima che mi risuonava in mente) di un brano che amo moltissimo:
“3Ad Èfraim io insegnavo a camminare
tenendolo per mano,
ma essi non compresero
che avevo cura di loro.
4Io li traevo con legami di bontà,
con vincoli d’amore;
ero per loro
come chi solleva un bimbo alla sua guancia;
mi chinavo su di lui
per dargli da mangiare. …
7Il mio popolo è duro a convertirsi:
chiamato a guardare in alto
nessuno sa sollevare lo sguardo.
8Come potrei abbandonarti, Èfraim,
come consegnarti ad altri, Israele?
Come potrei trattarti al pari di Admà,
ridurti allo stato di Zeboìm?
Il mio cuore si commuove dentro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Io e i mie figli 32 la femmina e 35 anni il maschio, non abbiamo mai smesso di abbracciarci e di scambiarci affettuosità.
A proposito di rapporti tra genitori e figli mi è capitato di abbracciare allo stesso modo il caro e venerabile Padre Carlo con la stessa affettuosità.
Ora, palla la centro ed ecco un nuovo kick off del Padre Carlo, di oggi con un’intervista da Saclfari su Repubblica.
http://newrassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/immagineFrame.asp?comeFrom=rassegna¤tArticle=MNGPM
Penso che questo dell’affettuosità fisica sia qualche cosa che ha che fare col carattere.. ci sono caratteri più espansivi, più fisici, che non possono fare a meno di toccare, di baciare, di abbracciare.. altri più ritrosi, più pudichi, ma non per questo meno affettuosi, che si astengono dal gesto fisico.. certo qualcuno direbbe che sono repressi.. ma io ho assistito a scene in cui il genitore (in genere la madre) sbaciucchiava il figlio di undici, dodici anni e questo si ritraeva intimorito, disgustato? certo imbarazzato.. secondo me non bisogna mettere in imbarazzo gli schivi adolescenti che rifuggono dal contatto fisico col genitore di sesso opposto.. anch’io sono d’accordo con Cherubino, il complesso di Edipo salta agli occhi come una realtà indiscutibile a chiunque si occupi di infanzia.. anche senza essere psicoanalista..
penso anche che chi ha paura o pudore del gesto di affettuosità fisica è proprio colui o colei che è più sensibile al “contatto” , è proprio la persona a cui il contatto fisico scatena emozioni più profonde, più sconvolgenti, di cui
ha timore e forse vergogna.. per cui il genitore o il figlio fisicamente poco
“affettuoso” non è in genere quello che sente meno amore ma forse quello che sente più amore e ne è intimorito..
paura, vergogna, disgusto
del contatto fisico,
è un dato che va analizzato ulteriormente.
Chi ha difficoltà con il contatto fisico,
trasmetterà ai figli la difficoltà del contatto fisico.
In questo senso, analizzare e aiutare, è importante, per una crescita e maturazione sana ed equilibrata.
Il pudore è sempre figlia dei costumi del momento storico.
Il “toccare” è sempre un gesto terapeutico messo in atto da Gesù, guaritore per eccellenza, guaritore oltre che dei corpi anche dello spirito e della psiche.
Questo simbolismo reale, potrebbe dirci qualche cosa di più? nel rapporto tra chi ama e chi ha bisogno di essere amato? Genitori-Figli-Genitori? Ma anche nelle amicizie vere, profonde?
senza volerci vedere morbosità?
Mi proccupa questa pseudo sindrome da “contatto”.
E certa psicologia che vuole e pretende di spiegare cose come un abbraccio filiale o uno slancio istintivo verso le persone con cui si è in sintonia.
Perfino lo scambio della Pace a questo punto potrebbe essere un caso da sedute analitiche.
Una stretta di mano decisa = pace sincera
Debole= finta pace
Un abbraccio = pace e qualcos’altro di più
Negli anni dell’agonismo sportivo (pallanuoto) gli abbracci con i compagni di squadra e con gli avversari a fine partita, dopo la gragnuola di botte che ci eravamo dati in acqua erano forti e sinceri. Questo ricordo.
Che dicono gli esperti a riguardo? Che forse eravamo gay?
Possibile che perfino un abbraccio o una carezza tra genitori e figli debba scomodare Freud?
ho avuto paura, vergogna (ma non disgusto ) del contatto fisico…
con il tempo però s’impara e adirittura l’abbracciare e il toccare l’altro diventa talmente naturale da dimenticare quanta strada abbiamo fatto (nessuno nasce imparato)
e ora
quando vedo i miei genitori li abbraccio molto volentieri e dò loro due baci – certo, non mi siedo sulle loro ginocchia che le fracasserei 😉 – ma so per certo che a loro fa piacere perché lo sento e anche a me fa bene…
é il mio modo di dire grazie a chi mi ha sempre dato senza aspettarsi niente in cambio…conto di far così anch’io con i miei figli
No, un abbraccio tra genitori e figli non deve scomodare Freud.
E’ tutto molto bello, molto spontaneo.. ma .. non per tutti..
è solo questo che volevo dire non per tutti.. e non ad ogni età.. quello che è conveniente e giusto con un figlio di tre anni non lo sarà con un figlio di quindici
perchè l’essere umano cambia, cambia il suo rapporto coi genitori , non è tutto sempre facile e senza problemi.. io sono contento se fra genitori e figli c’è un buon rapporto, anche fisico, è meraviglioso.. ma non è una cosa meccanica, una cosa dovuta.. ci sono adolescenti , e tutti lo hanno sperimentato, credo, che rifuggono dalla troppa affettuosità fisica (baci, abbracci) coi genitori.. è normale.. fa parte della maturazione .. non è una patologia.. e non bisogna noi genitori pretendere troppo.. se vediamo che il nostro figlio o figlia adolescente non vuole più baci e carezze non dobbiamo farci un problema , è la vita..
una piccola precisazione: ho parlato di Edipo facendo un inciso, “depurato da incrostazioni ideologiche”. Mi rendo conto che le parole sono poco chiare, d’altra parte non era il centro del discorso. Rimando ad un qualsiasi manuale di psicologia dello sviluppo (anche quella è scienza, mica solo la fisica o la biologia).
Mi riferivo qui solo al fatto, al di fuori di un riferimento agli schemi freudiani basati sull’istinto sessuale lato sensu, la consapevolezza di una diversità e di una parziale estraneità all’esclusività del rapporto coniugale è una delle principali componenti di quel processo di identificaiozne – separazione che porta alla costruzione dell’identità.
E’ un processo più o meno faticoso (secondo tante variabili) che porta a ristrutturare il rapporto con i genitori rendendolo più ricco, perchè capace di far convivere e interagire il Bambino, l’Adulto e il Genitore (giusto per attingere a schemi non psicoanalitici, ma tratti dall’Analisi Transazionale).
Ma credo che la sapienza biblica ha sempre qualcosa da dire in campo umano, e quindi preferisco ricordare come “l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne.”
C’è poco da fare: da un lato un abbandono, dall’altro una sola carne. L’unità si ritrova nel perdono e nella riconoscenza. Nell’ “onorarli” secondo il comandamento, onore che non coincide nè con l’obbedienza, nè con l’appartenenza. L’ebraico kabbad (onorare) indica il dare “peso”, “forza”, anche “moltiplicare”, ha la stessa radice di “splendore”, “grandezza”, “gloria” (kabod). Man mano che l’abbraccio non è più unidirezionale, cioè solo un ricevere, il figlio diventa adulto. Il rapporto si libera dall’egoismo, dal peso dell’aspettativa, dall’ansia di ricevere.
spero però a questo punto, di non essere diventato io … pesante 🙂
E’ commovente come spesso il rapporto fisico, soprattutto tra padre e figlio, si
ha di nuovo quando il padre è diventato “vecchio” cioè, fisicamente debole..
allora di nuovo spontaneamente il figlio si occupa “fisicamente” del padre sorreggendolo, abbracciandolo, tenedolo per mano.. i ruoli si sono ribaltati
il figlio restituisce al padre quell’accudimento fisico che ha avuto nella prima infanzia quando lui era “debole” e il padre “forte”.. ora può restituire quella tenerezza che lo ha tenuto in vita e aiutato a crescere nei primi anni..
nell’uomo adulto c’è una tenerezza fisica verso i genitori che l’adolescente e
il giovane non sempre ha..
diverso è il discorso tra madre e figlio.. chiunque abbia visto la Pietà di Michelangelo con la Madonna giovane ,si direbbe coetanea del figlio, che tiene in grembo il Figlio morto, capisce che questa è l’immagine della
maternità.. la madre è sempre giovane e il suo rapporto col figlio anche adulto è sempre quello della giovane donna innamorata del suo bambino.. il tempo non cambia il rapporto commovente .. è la madre sempre che tiene in braccio il figlio…
Mia nonna (nata nel 1919) raccontava di una sua parente (credo una zia) che teorizzava che “i figli si baciano mentre dormono”. Affermando che i baci “viziano”, si riconosceva almeno l’esigenza insopprimibile di baciare i propri figli…
buon Nino,
da stamattina mi ero stampato l’articolo che avevi segnalato con il link della Camera,
finalmente rientrando a casa ho letto l’articolo con calma.
Stasera capito per ricerca a “casa di Raffa”, hanno caricato a pallettoni come sempre nei confronti di don Carlo.
Ovviamente si scandalizzano e tirano fuori l’armeria se qualcuno discute su don Giuseppe.
La solita “doppia morale”…. per alcuni c’è l’immunità “diplomatica” da capo di governo…
e se non si è capo di governo ti tacciono di vecchio rincoglionito che deve presentarsi al giudizio di Dio.
E poi stamo a discute de quei quattro gatti de lefevriani, armeno quelli so chiari….
l’altri fanno i fedelissimi der magistero..
che si potessero,
farebbero comme co’ Giordano Bruno, a li nemici, la fine de l’abbacchio ar forno…..
artro che libbero pensiero….
Il gesto di prendere in braccio, sulle ginocchia, un figlio grande è qualcosa di straordinario, è un miracolo. E’ vero, l’immagine di Sant’Anna con in braccio la Madonna -che ha in braccio il Bambino- (il tema iconografico della Sant’Anna Metterza) può gettare luce, oltre che su profondi temi teologici, anche su questo profondo tema umano.
Chi, come me, da quasi trent’anni quotidianamente affronta la questione del contatto fisico tra genitori e figli e dell’essere “nel grembo”ed “essere grembo”, ne avrebbe di cose da dire. Mi attengo, però, sempre, alla regola di “igiene mentale” di togliersi gli “occhiali psicoanalitici” fuori del contesto delle sedute. E, quindi, taccio.
Potrei parlare della Sant’Anna del Louvre. Anche qui, tuttavia, incontrerei l’insidia della psicoanalisi perché, guarda caso, proprio di questa immagine si è occupato Freud nel suo “Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci”.. E, così, mi limito ad augurarvi la buonanotte.
cara fiorenza, nel mio caso, non tacere.
Magari in privato (trovi la mia email sul mio blog) mi interessa approfondire…
è un argomento che in questo periodo mi tocca molto… anche se il figlio in questione è nemmeno seienne 🙂
Grazie, Luigi,
per l’attenzione dedicata al nostro lavoro. E’ estremamente interessante vedere come ritornino qui le medesime riflessioni e suggestioni che hanno accompagnato me e Paoloreste in questo viaggio estremamente emozionante (la primissima immagine che Paolo ha voluto utilizzare, sottoponendomi il suo progetto, è stata proprio quella della Pietà).
Grazie inoltre per gli interessanti spunti di approfondimento che ritrovo nel tuo post e tra questi commenti.
A presto.
Ho seguito il suggerimento di Nino e mi sono letto (per intero!) il pezzo di Scalfari su Martini. Ho resistito impavido all’effetto Biagi provocato dal primo capoverso (ma passati gli ottanta si diventa tutti così?) e sono arrivato fino alla fine. Mi pare che il succo (parola grossa!) sia che Scalfari e Martini sono uguali, o almeno non sostanzialmente distinguibili l’uno dall’altro. Per il resto, come diceva Karl Kraus, non mi viene in mente niente.
Lascio a voi, che vedo siete interessati all’argomento, eventuali considerazioni sul mancato abbraccio finale dei due vegliardi.
a me invece l’intervista di Scalfari al card. Marini è piaciuta. Non trovo affatto che siano taciute le diversità. Le posizioni di Martini poi sono precise e, oltre che del tutto ortodosse (non avevo dubbi, ma lo dico per il malevoli) sono anche pastoralmente interessanti: focalizzazione sulla pastorale dei divorziati e della confessione. Sono d’accordo, sono due priorità improcrastinabili.
Se lo Zeitgeist scalfarianmartiniano dice che la pastorale dei divorziati è la cosa più importante sarà così … io pensavo che fosse un pochino più urgente la domanda di Benedetto XVI (e mi par di ricordare anche di Gesù …) sulla persistenza della fede.
Ma certamente non sono aggiornato.
curare le pecore deboli del gregge e rafforzare un sacramento fondamentale come la confessione sono due ambiti fondamentali per la persistenza della fede, molto più importanti se fare lo scambio della pace prima dell’agnus dei o dopo, e altre cose di questo genere.
Come don Cherubino, nella sua mozartiana finezza, avrà certamente notato, l’accenno alla confessione l’avevo lasciato cadere. Per carità di patria, giacché è uno dei passi più imbarazzanti del dialogo. Dice il cardinale Martini, ma forse è quel che ha capito Scalfari (sempre che le due cose, come temo, non coincidano), che la confessione è un sacramento «estremamente importante ma ormai esangue». D’accordo, non prendiamo la frase alla lettera, diamone l’interpretazione più benevola, che sarebbe anche quella suggerita dalla prima spiegazione che segue: «sono sempre meno le persone che lo praticano». Sì, può essere, anche se in queste faccende non è mai facile capire come stanno esattamente le cose: chi conta le confessioni? Comunque, ammettiamo che la sensazione è questa. Questa constatazione dovrebbe portare a chiedersi perché e, tra le altre cose, a domandarsi se i preti al sacramento ci credono ancora, se lo propongono ai fedeli, se lo spiegano adeguatamente, se educano i bambini e i giovani a ben confessarsi, se sono disponibili a confessare (!), ecc. ecc. Forse l’anno sacerdotale potrà servire anche a questo. Ma non è questo ciò che preme al cardinale.
Il cardinale infatti sa che, al di là del fatto che siano meno numerosi i fedeli che praticano la confessione, «soprattutto il suo esercizio è diventato quasi meccanico: si confessa qualche peccato, si ottiene il perdono, si recita qualche preghiera e tutto finisce così. Nel nulla o poco più».
Come fa a saperlo? Qualche prete gli avrà detto così, ma parte il fatto che sul piano dell’analisi descrittiva è tutto da dimostrare (e di fatto è indimostrabile) che questa sia la realtà (ad esempio: chi dei numerosi sacerdoti frequentanti questo sito è disposto a riconoscere che lui confessa così?), ciò che lascia davvero allibiti è che questo sia il modo in cui il cardinale “vede” la confessione. Voglio dire: che in quella (presunta) povertà di mezzi umani passi la Grazia divina è qualcosa che non gli viene neppure in mente. O perlomeno non lgli viene in mente di dirlo al suo amico Scalfari.
Infatti subito dopo aggiunge che «bisogna ridare alla confessione una sostanza che sia veramente sacramentale». Terrificante. Se le parole hanno un senso, ciò significa che le confessioni che attualmente vengono fatte per il cardinale sono prive di sostanza sacramentale. Non sono sacramenti. Sono il nulla o poco più.
Ma non è finita: quale sarebbe per il cardinale la “sostanza sacramentale” che bisogna ridare alla confessione? Farla diventare un tutt’uno con la direzione spirituale.
Qui ammutolisco, perché in nessun modo voglio mancare di rispetto al cardinale.
(Mi limito solo a chiedere ai presenti se erano particolarmente compiaciuti quando, in fila per confessarsi, davanti a loro c’era qualche penitente che “dava sostanza sacramentale” alla confessione confondendola con la direzione spirituale. Tu stai lì delle ore ad aspettare, e poi magari quando tocca a te il prete ti dice che ormai è ora della messa e, come si sa, durante la messa non si confessa). Avvertenza: quest’ultima frase è ironica.
bè, leonardo, prima cosa non sono “don”, non sono sacerdote, nè la mia meridionalità è tale da desiderare quel “titolo”.
Quanto alla confessione io sono d’accordo con il cardinale. Spesso parlando con persone, specie in ambito parrocchiale e meno in quello di certi movimenti dove viene enfatizzato il significato del sacramento, mi accorgo ch eviene vissuto superficialmente. Circa la direzione spirituale devi aver frainteso: il cardinale non dice di fare direzione quando la gente va a confessarsi, ma che la confessione va integrata con un rapporto personale di consiglio spirituale costante. Va reinserita in un ottica diacronia, di cammino e non vista secondo una cultura -ormai pervasiva- consumistica dove tutto è acquisto, pick-n-pay da supermarket.
Certamente converrai che già il solo non confessarsi ogni volta da un prete diverso, che ti vede per la prima volta, ma andare tendenzialmente sempre dallo stesso, salvo casi particolari, sarebbe un bel quadagno spirituale per tante persone.
ah, circa la finezza ecc. ecc.: ma tenisse geni’e’ sfottere ?
Noo … ma quando mai? Voi vi fate torto, don Cherubino mio.
Cherubino, ma tu in quale paradiso abiti? ORTODOSSE le posizioni del Cardinale Martini?
ORTODOSSE?
ripete le stesse contraddizioni lette nelle sciagurate conversazioni notturne.
Leonardo,
il tempo delle mele è finito da un pezzo ma tu impavido non l’hai avvertito oppure si ma gigioneggi nella categoria dei “benaltristi”.
Quella che tu propugni è la sacralizzazione dei sacralizzati.
Il top dell’autoreferenzialità in un mondo che ormai non parla alla persona ma che paradossalmente vive di relazioni usa e getta per puro opportunismo, incrementando esponenzialmente la categoria dei “soli”.
Sempre più soli e anonimi che si sbattono smarriti in cerca di un approdo nel caldo e sicuro grembo che finalmente trovano in comunità conformiste, settarie e integraliste dove vengono amorevolmente curati con terapie intensive di psichiatria religiosa.
Il loro mondo è quello. Il resto dell’umanità è fuori ed è spacciata per sempre.
A nulla serve segnalargli che le vocazioni e i nuovi sacerdoti sono già oggi per i 2/3 del terzo e quarto mondo e che tra 15 anni saranno tra il 90 e 95% dell’intero pianeta cattolico.
( La scorsa domenica ero nella chiesa di Marina di Grosseto per la messa, c’erano i cresimandi e celebrava il Vescovo con tre giovani sacredoti indiani: alla fine della celebrazione il vescovo ha annunciato che padre Roberto un carmelitano di circa 80 anni, l’unico rimasto in quella parrocchia da anni andava a riposo e veniva sostituito dai tre nuovi sacredoti) Tutto bene?
A dirgli che una coppia su 2 entro il III anno scoppia e si separa.
Che la famiglia quando si forma come in occidente all’età media di 35 anni e finisce l’unico figlio, semmai l’hanno avuto all’età di 2 anni è già orfano di uno dei genitori ma con chissà quanti zii, fratelli e nonni acquisiti nel tempo della crescita.
Che la dimostrazione più eclatante e palese del “cambio” di passo delle nuove generazioni nei confronti di alcuni sacramenti come la confessione, su cui Padre Carlo giustamente insiste a voler valorizzare, segna proprio quella cifra individualistica in cui il “solo” si auto assolve senza intermediazioni rivolgendosi direttamente a Dio.
Da cui il grande timore delle sindromi mistiche.
Leonardo scusa, ma tu ci fai o ci sei. Vivi forse in un eremo?
Ti fermi ai nomi e alle antinomie o alle similitudini.
Padre Carlo è uguale a Scalfari.
Scalfari è un ateo un laicista un “lontano” un “diverso”
Ma ti sei reso conto o no che già qui e ora la “lontananza” e la “diversita” sono la cifra maggioritaria della società?
Infine, la Chiesa deve accogliere te, me, ed altri che come noi anche se su posizioni diverse ci dichiariamo cattolici apostolici romani o chi soffre come può essere un divorziato un diverso un lontano? Eppoi, nel terzo millennio, lontano de chè!
e dove sarebbe la poca ortodossia di Martini, caro Mandis ? nel ricordare l’importanza della confessione ? o che i divorziati sono pur sempre dei battezzati che bisogna evitare si allontanino del tutto dalla Chiesa ? che di fronte ai problemi è inutile rifugiarsi nel sogno del bel mondo antico (che poi tanto bello manco era) ma affrontarli, ascoltare la Parola di Dio e ciò che lo Spirito di Dio dice oggi alla Chiesa ?
E non mi sembra che il cardinale abbia mai avuto problemi con la Congregazione per la dottrina delle fede (al contrario di certi gruppetti ultratradizionalisti), nè abbia mai detto cose contrarie al magistero. Se tu hai degli esempi da portare fa pure, scendi nel concreto, prova le accuse che porti.
Ricorrere a queste sparate generiche che puntano più ad impressionare, a creare luoghi comuni, più che a portare argomenti di verità, è moralmente poco degno. Oltre che del tutto falso.
Non ho capito molto dello sfogo di Nino, ma da quel poco che ho capito direi che ha sbagliato interlocutore. Temo di avere una visione assai più cupa della sua di quale sia lo stato della chiesa (e di conseguenza del mondo, che forse sarebbe già fottuto e forse sopravvive solo grazie alla fede di pochi giusti, anche se non lo sa …); però penso che il problema non sia appena morale e sociale, ma abbia ragione chi dice che è la fede che ormai non c’è più. Rispetto a questo le cose di cui parla il cardinale mi sembrano secondarie.
Quanto alla sua ortodossia, io non ne so nulla e comunque non spetterebbe a me giudicarla, però non potete ignorare così disinvoltamente il significato delle frasi che ho riportato nel precedente intervento. Sono almeno infelicissime.
a volte leggendo Martini , che pure ammiro e stimo come uomo e ritengo molto intelligente, ho come l’impressione che parli qualcuno che la fede non ce l’ha più.. certo mi sbaglio.. sicuramente Martini ha una fede fortissima.. ma dalle nelle sue parole intelligenti e moderne, tolleranti e razionali, condivisibili e accorte, molto simili a quelle di tanti altri intellettuali moderni..mi sembra manchi una componente fondamentale .. la fede!
Ripeto, sbaglio sicuramente io, ma questa è la mia impressione, e non è una bella impressione, perchè anch’io alle volte mi sento senza fede, e vorrei che un cardinale rafforzasse la mia fede non la facesse svanire del tutto.. eppure è proprio questo l’effetto che mi fa Martini.. proprio mentre penso “ha ragione”
insieme penso “ma questo non ha niente a che fare con la fede cristiana”
Carissimo Giovanni Mandis, si è “eterodossi”, se si fanno affermazioni eterodosse. Se si chiede il confronto o il dibattito su temi affrontati dal Magistero si può al massimo aspirare al titolo di “antipatico”.
Sono convinto che un cardinale possa diventare eterodosso (non mi scandalizzerei), ma Martini non lo è affatto.
Sono pure convinto che anche un cardinale “ortodosso” possa non piacere (e anche questo non mi scandalizza), ma allora si abbia il coraggio di dargli dell'”antipatico” e nulla più (il post di discepolo qui sopra è -ad esempio- correttamente e garbatamente “critico” con Martini).
Sarei curiosa di sapere, Discepolo, se anche queste parole di Martini, che qui di seguito ti trascrivo, ti fanno quella stessa “impressione non bella” che tu dici. Per quanto mi riguarda, io, che non posso definirmi una “martiniana” perché non ho alcun interesse per questo schierarsi in “partiti”, le trovo vere: cioè, non da “intellettuale moderno”, intendo.
Sono tratte da una “Lectio divina” di Luca 9, 28-36 (la Trasfigurazione):
“Quando il Signore prende sul serio i tre apostoli e, invece di costruire tre tende, li fa addirittura avvolgere dalla nube – momento della rivelazione di Dio- , allora essi si spaventano (v.34) ricordandosi che non si può vedere Dio senza morire. Il messaggio per noi è chiaro: attraverso la prova, talora terribile, di esperienze contrarie, avviene in noi la trasformazione. Non è indolore, non è trasformazione per la quale basta contemplare una volta il volto radioso di Gesù ed esserne beatificati. E’, di fatto, un passaggio macerante, scorticante, e i discepoli vi entrano un po’ forzosamente. Certo, danno il loro assenso, pronunciano, come noi, il “sì” fondamentale, e tuttavia l’operazione resta nelle mani dello Spirito attraverso tappe, tempi e condizioni non programmabili da noi”.
(A.A. V.V., Icone di vita consacrata, Paoline, Milano 1997, pp. 19-20)
Discepolo provo a dire una parola di interpretazione sul Martini recente. Prendo un testo forte, per evitare la dispersione su una singola questione. Poniamo CONVERSAZIONI NOTTURNE. Per intenderne il messaggio oltre il gossip delle anticipazioni editoriali e della blogsfera, occorre leggerlo per intero – quel volume – lasciandosi guidare dal sottotilo: SUL RISCHIO DELLA FEDE. Allora si avverte come sia esigente il suo messaggio. Ho indicato in dettaglio quel percorso di lettura con la conferenza che ho tenuto in gennaio a Vinci e che puoi leggere alla data 16 gennaio nella pagina CONFERENZE E DIBATTITI, elencata sotto la mia foto. Se li avevi già letti – il libro e la mia conferenza – perdonami questo rilancio. Altrimenti dai un’occhiata e forse potremo riprendere il ragionamento. Ben al di là dell’immagine vulgata di un ecclesiastico secolarizzato che vorrebbe adeguare la Chiesa alle mode culturali, egli ha il raro coraggio di affermare che sulla fede si gioca tutto ed è un gioco severo e non ci sono reti di salvataggio e la disponibilità ad accettare il celibato – per chi vi è chiamato – e ad accettare la morte – per tutti – ne è la misura esigente e drammatica. Discepolo, non credere neanche per un secondo a chi interpreta che Martini vorrebbe eliminare il celibato per permettere ai preti di spassarsela e vorrebbe che sia data la comunione ai risposati per aprire la stessa via dello spasso agli sposati. Egli vorrebbe che tutto lo sforzo fosse concentrato sul rischio della fede che si affronta con il celibato, con l’amore unico e fedele e con la morte.
Fiorenza abbiamo scritto in contemporanea e mi avvedo che ambedue abbiamo richiamato il Martini che insiste sulla “prova terribile” della fede. Ovvero sul “rischio” della fede.
Vorrei riprendere, ora, per commentarla, un’espressione che mi ha colpito in Nino 19 giugno ore 18,.05 . Nino dice a Leonardo: “ci sei o ci fai. Vivi forse in un eremo?”.
Ecco, a me il parlare di chi vive in un eremo fa venire in mente mille cose, prima fra tutte la grandiosità e la portata universale di ciò che in un eremo, quello della Verna, accadde a San Francesco. Non avrei mai immaginato che si sarebbe arrivati a considerare “l’ eremo” uno dei “luoghi comuni” del repertorio inesauribile in cui andare a cercare un insulto. Ti devo dire, Nino, che questo mi preoccupa.
E però sono contenta che questo accenno a chi “vive in un eremo” mi abbia riportato alla mente una cosa: la “regola di vita negli eremi” dettata da San Francesco. Qui si dice che “Coloro che vogliono condurre una vita religiosa negli eremi, siano tre frati o al più quattro. Due di essi facciano da madri… I figli, però, talora assumano l’ufficio di madri, come sembrerà loro opportuno disporre per un necessario avvicendamento”.
Perché ne sono contenta? Perché queste parole straordinarie, su cui tanto è stato scritto, e che fanno intravedere il cuore di Francesco- madre (quello stesso che nel biglietto a fra Leone dice: “scrivo a te come madre”), ecco che mi riconducono al tema del post: Come? Con il ricordo di un’immagine, evocata da questo pensero del “Francesco- madre”. E’ un’immagine che si trova nella tavola Bardi, in Santa Croce a Firenze, dipinta quando erano ancora vivi i primi compagni di Francesco e vivissima era la precisa memoria dei gesti di lui.. Qui, in una delle scene della sua vita, quella della “cura ai lebbrosi”, si vede il santo seduto con in grembo un lebbroso, tenuto sulle ginocchia come un bambino tenuto e accarezzato dalla mamma.
Dedico quest’ immagine a Marco Martinelli per ringraziarlo delle sue fotografie meravigliose e a Paoloreste Gelfo per questa mostra geniale.
Discepolo alle 13,55 ha perfettamente colto nel segno. A Luigi replicherei che nessuno (perlomeno qui) pensa al cardinale Martini come ad un ecclesiastico mondano, ma, anche messa come la mette lui, c’è qualcosa che non convince: tutta quest’insistenza sul “rischio” della fede, sulla terribilità della prova ecc. parrà anche nobile, è certamente degna di rispetto sul piano esistenziale, ma è fede in senso proprio?
” ma è fede in senso proprio?”, si chiede Leonardo.
In senso proprio, fede è virtù teologale, non propria dell’uomo per natura ma per grazia. Ma a te, scusa, ricevere questo dono non ha fatto correre alcun rischio? Non ti ha sottoposto ad alcuna prova? Non che aspetti una risposta, sia chiaro.
E avrei anche un’altra domanda, e a questa sì una risposta non mi dispiacerebe: in che senso Discepolo “ha perfettamente colto nel segno”? E dove lo avrebbe fatto? Nel dire che leggere Martini gli dà un’impressione di intelligenza ma gli fa “svanire la fede”? Ha colto nel segno parlando così chiaramente di se stesso, ha colto nel “suo proprio” segno, io direi. Tutto qui. Ma tu che intendevi?
Ci capirò poco, o, forse, pure nulla, ma a me, dal mio “ultimo banco”, i pensieri del Cardinale Carlo Maria Martini sullo stato del Sacramento della Confessione non mi paiono affatto sconvolgenti: semmai, coraggiosi e realistici.
Osservo, poi, che nell’intervista rilasciata ad Eugenio Scalfari, il Cardinale Martini parla, ed a lungo, di altre questioni che attraversano la vita della Chiesa d’oggi, quali il ruolo e le attribuzioni della gerarchia ecclesiale, la presenza ed il compito dei fedeli e del laicato cattolico, il rapporto della Chiesa-istituzione con il potere politico, etc.: su tutti questi argomenti, anche più importanti del problema dei divorziati, non abbiamo nulla da dire ?
Buona domenica (tutti in barca con Gesù ed i suoi discepoli) !
Roberto 55
Dice il padrone di casa: “Discepolo, non credere neanche per un secondo a chi interpreta che Martini …”.
Ottimo metodo. La cifra di una persona non è mai quella della sua decodificazione e strumentalizzazione mediatica.
Il discorso allora si sposta sulla cifra degli intervistatori (del libro e del giornale) e siamo su un altro livello; dall’Oltre al nulla:
“…Quando giungon davanti a la ruina,/ quivi le strida, il compianto, il lamento;/ bestemmian quivi la virtu` divina”…
Domandare è sempre lecito, rispondere è cortesia. In che cosa discepolo ha colto nel segno?
«ho come l’impressione che parli qualcuno che la fede non ce l’ha più»
Lui è stato perfetto, perché ha detto che è solo un’impressione, ha professato la sua fede nella fede di Martini, ha espresso sentimenti di ammirazione per il cardinale, insomma ha detto in poche parole tutto quello che c’era da dire, ma il nocciolo è quello. Quell’impressione.
(Se ho inquadrato bene Fiorenza, dovrebbe essere una persona che capisce che cos’è un’impressione e non intende certo la parola in modo superficiale)
Cherubino,
il Cardinale ne ha dette tante di grosse…
“i Sacramenti sono importanti se coronano una vita cristiana”,
da un cardinale e vescovo mi aspetterei di sentire che i Sacramenti sono il fondamento della vita cristiana, divento cristiano col battesimo e mi mantengo nella grazia di Dio avvicinandomi costantemente ai Sacramenti. Poi si lamenta dell’indifferenza e della mancanza di carità e alla domanda “pensa alla scarsa frequenza dei sacramenti, della messa, delle vocazioni?” risponde “questi sono aspetti esterni, non sostanziali.”; per un cardinale della Chiesa cattolica i Sacramenti e la Santa Messa nella quale si rende presente il Sacramento dal quale originano tutti gli altri sono NON SOSTANZIALI !!! da dove trarrà il cristiano la carità verso il prossimo, verso il bene comune se non dalla Fede cattolica e dai Sacramenti, in primis il SS. Sacramento? le vocazioni non sono sostanziali? ma senza vocazioni non ci sarebbero sacerdoti e senza sacerdoti chi celebra la Messa?
tutto questo lo dice davanti a uno dei principali fautori moderni dell’annullamento stesso del concetto di peccato, uno dei fautori dell’aborto-divorzio in italia e ora dell’eutanasia, uno dei fautori della scristianizzazione degli italiani.
poi afferma che, addirittura grazie a Dio, il potere temporale della Chiesa non esiste più e che addirittura si potrebbe in futuro fortemente ridurre o smantellare completamente l’apparato-politico diplomatico per arrivare a una Chiesa che testimoni solo la parola di Dio… ora se è grazie a Dio che la Chiesa non avrebbe più il potere temporale era merito del diavolo se per “qualche” secolo lo ha retto? la storia ci dice che, più che grazie a Dio, i legittimi possedimenti sono stati illegalmente e violentemente sottratti alla Santa Sede dai massoni-protestanti-atei-liberali-socialcomunisti dei quali l’intervistatore del Cardinale è degno erede e curiosamente uno degli obbiettivi di costoro è sempre stata la riduzione della Chiesa ad entità spirituale-immateriale auspicata dal Cardinale stesso; tutto questo è particolarmente grave in bocca ad chi porta su di sè uno dei simboli del potere temporale della Chiesa (Chiesa per la quale dovrebbe essere pronto a dare il sangue): il Cardinalato. A suo tempo se la pensava a questo modo poteva rifiutare la nomina.
parla delle “Chiesa protestanti” dicendo che le loro strutture non sono accentrate come quelle della Chiesa, dimenticando
1)che non sono “chiese” (come insegna il Concilio Vaticano II in accordo al Magistero precedente della Chiesa)
2) che sono quasi tutte di Stato (in sostanza sono asservite allo Stato, proprio quello che non accade alla Chiesa in virtù del potere temporale)
poi parla dei divorziati-risposati come fossero emarginati dalla Chiesa, come se la Chiesa non facesse il possibile per riavvicinarli a Cristo; certo non può pretendere che permetta loro di ricevere il SS. Sacramento dal momento che chi sposato si risposa è in stato di peccato mortale e commetterebbe un ulteriore peccato mortale accostandosi indegnamente al SS. Sacramento.
poi dulcis in fundo, dice a Scalfari che non è preoccupato per lui anche se dice di non essere credente…
caro Mandis, però se fai lo spezzatino non è molto oggettivo poi quello che dici. I sacramenti, mica il cardinale dice che non sono importanti ! dice che un modo superficiale di riceverli li rende inefficaci. E’ questo è teologicamente ineccepibile, non sono mica atti magici. E quindi mette alcentro la carità. guarda caso S. Paolo dice lo stesso: se avessi la fede che smuove le montagne, se dessi tutti i miei beni… possiamo aggiungere se facessi la comunione e la confessione tutti i giorni della mia vita… ma non avessi la carità (ed è assolutamente possibile) …
Quanto alle altre critiche sono o superficiali o errate: Chiese protestanti ? si tratta di un articolo di giornale e si deve vedere se il termine è quello usato dal cardinale; e poi dove lo hai letto che sono tutte “chiese di Stato” ? provvidenza divina nella fine del potere temporale della Chiesa ? sono del tutto d’accordo e ricordo di averlo letto proprio sul sito della Santa sede; non si fa abbastanza per i divorziati ? anche su questo sono d’accordo, e non si tratta semplicmente di ammetterli alla comunione o meno: si tratta di non trattarli da appestati, di non presumere che essi abbiano automaticamente una assenza totale dello Spirito Santo e della grazia, ricordando che in molti casi è impossibile determinare la validità stessa del matrimonio celebrato, che il loro battesimo non è radicalmente inoperante per il fatto del divorzio e del successivo matrimonio.
Quanto a Scalfari: ma perchè sembri così bisognoso di emettere condanne ? non dice Gesù “non giudicare e non sarete giudicati, date e vi sarà dato…”?
“Un modo superficiale di ricevere i sacramenti li rende inefficaci, questo è teologicamente ineccepibile”? Dipende in quale teologia, direi. Non in quella cattolica, comunque.
(A questo punto neppure la – sempre più improbabile, ai miei occhi – napoletanità di Cherubino basta a tenerne alte le quotazioni. Ormai mi appare quasi brianzolo)
Se “inefficaci” è detto dal punto di vista “essenziale”, non ci siamo proprio: chi mangia e beve il Corpo e Sangue del Signore indegnamente, NON mangia e beve la propria condanna?
Se è detto dal punto di vista “esistenziale”, chi può dirlo?
Il sacramento è dalla fede, ma serve alla fede: senza sacramento non c’è vera fede.
Immagino che tu, Cherubino, l’abbia detto con le migliori intenzioni profetiche, ma viene il momento che ci sarà imputata come colpa grave la scissione tra spirito e verità.
epperò quanta gente si confessa perchè “c’ha qualcosa di pesante” e poi non si fa più viva fino all’anno prossimo?
o quanta gente si sposa (diritto naturale dei battezzati) e poi non ascolta mai la Parola di Dioe non si nutre del Corpo e Sangue.
O ancora: quanta gente viene a Messa in occasione di un battesimo e di un funerale e magari fa anche la comunione (“in onore del bambino o del morto”, a seconda dei casi)
Io penso che Discepolo intendesse dire che i sacrementi ricevuti in maniera saltuaria e incostante non aiutano certamente un cammino di fede che non c’è e nemmeno vuole (volonta volente) esserci(a meno che il prete che li amministra sia davvero il Curato d’Ars, ma anche lì… se non c’è conversione personale non c’è santo che tenga).
Per molti cristiani i sacramenti sono un vero e proprio optional. E pertanto se pur validamente conferiti ed efficaci secondo Tommaso, non alimentano la fede (ma anzi, come ben diceva Lyco, ci CONDANNANO).
uh, come sei sottile Leonardo ! comunque hai ragione: ho usato il termine efficacia in senso comune, mentre in senso stretto dovevo dire in altro modo.
Allora, per precisare:
1) il sacramento è efficace ex opere operato, ossia agisce direttamente ciò che significa senza dipendere in questo dalle disposizioni di chi lo riceve o di chi lo amministra; qui la parola efficacia indica l’oggettività dell’azione fedele di Dio, NON IL RISULTATO ULTIMO, senso che noi comunemente attribuiamo alla parola “efficacia”
2) il frutto del sacramento si ha solo se vi sono le disposizioni di chi lo riceve, ossia se questi non vi si oppone. Concilio di Trento: “Se qualcuno afferma che i sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che significano oppure che non conferiscono la grazia stessa a chi non pone ostacolo (non
ponentibus obicem) come se fossero soltanto segni esterni della grazia o giustizia ricevuta mediante la fede, e certi contrassegni della professione cristiana, per cui fra gli uomini si distinguono i credenti dagli increduli: sia scomunicato” (DS 1606)” A CHI NON PONE OSTACOLO !!!
Come dice don GIAMPAOLO TOMASI, docente di teologia dogmatica: “l’ex opere operato non elimina le disposizioni di fede del ricevente, che deve
avere un desiderio di ricezione, un essere ben disposto verso il segno e deve mostrare una certa partecipazione alla vita della Chiesa; escludiamo ogni automatismo spirituale: la formula significa che le disposizioni del ricevente non cambiano la sostanza del sacramento, ma non significa che il
soggetto si salva anche senza la fede. La formula ci aiuta a distinguere l’efficacia dalla fruttuosità di un sacramento: la prima tocca l’azione in sé cioè la res del segno e questa è legata esclusivamente a Dio; la seconda richiama il coinvolgimento del ricevente.”
ah dimenticavo, mi sarò anche lombardizzato un pò, ma ti assicuro che la Forza (napoletana) è ancora potente in me !
Vorrei rispondere a Luigi che ho letto quasi tutto quello che ha scritto Martini e anche Conversazioni notturne..proprio perchè Martini mi piace, mi piace leggerlo
e lo considero un grande..per questo ho osato dire la mia impressione che come ripeto sarà sbagliata e soggettiva..non era una critica allo spessore umano e morale del Cardinale, neppure una critica dottrinaria come quella fatta da Giovanni Mandis..nel “rischio della fede”, nel suo dialogo con chi non è credente (un mio caro amico, non credente, incontrò Martini anni fa e parlò con lui, e ancora oggi me ne parla con commozione, come dell’unico prete con cui abbia dialogato veramente, che lo ascoltava Da PARi A PARI), in tutto questo suo ecumenico e moderno atteggiamento io non vedo nulla di male, anzi , in piccolo, ritrovo me stesso..
Vorrei rispondere ,ringraziandola, anche a Fiorenza che con la consueta
sensibilità per la bellezza e finezza di intelligenza ha colto una bella pagina del Cardinale..
Eppure quando leggo una pagina come l’intervista di Repubblica in cui dialogano Scalfari e Martini , mi sembra che il Cardinale dica cose giustissime ma manchi di quella “follia”, di quel “non so che” , di quello slancio che caratterizzano l’innamorato (e non è questo la fede, uno slancio, un salto nel buio , per amore dell’ Amato..), mi sembra che di fronte al laico Scalfari non si differenzi in nulla, sia sullo stesso piano, allo stesso livello, insomma che non vi sia nelle sue parole quella spiritualità che sola fa la differenza fra l’uomo veramente religioso e chi , pur essendo, buono, intelligente, generoso, in fondo in fondo religioso non è……..
un commentatore del mio blog, che si è firmato “hagrid”, ha scritto a seguito di un riferimento en passant a Martini…: “Non c’è ideologia peggiore di quella che fa cominciare e finire il cristianesimo con quello che dice un cardinale”.
Io mi sono sentito di rispondere: “Hai ragione. Purché valga sempre e comunque”.
ps. ho letto le Confessioni notturne. A me non è piaciuto il lavoro redazionale… Il meccanismo domande/risposte a volte si inceppa, si annusa qualche difficoltà di traduzione e sopratutto qua e là la necessità di tagli drastici laddove si intuisce che originariamente le argomentazioni erano più articolate. Detto ciò, l’ho trovato una riflessione molto evocativa e propositiva, centrata sul tema dell’educazione e della vocazione dei giovani e sui limiti di ascolto della Chiesa e dei cristiani… che è lo specifico dei gesuiti, peraltro… ne è stato dato pubblicamente un ritratto semplicistico, a proposito dei brevi passi sulle questioni di sessualità e altre beghe che erano di attualità… Martini non è per nulla “uno Zapatero”… nun ce provate!
ho letto l’intervista di Scalfari a Martini e non trovo che tra i due vi sia somiglianza, rispetto dei rispettivi punti di vista, ma con dei distinguo precisi.
Il cardinale dice molto chiaramente come oggi al Chiesa ha bisogno di porre al centro una riscoperta sostanziale della Confessione, resa più profonda -ed impegnativa- da relazioni di seria direzione spirituale. E non mi sembra per nulla poco ! Chi si è cibato del cibo della direzione, ne conosce la dolcezza e l’amarezza insieme. Sa che non si può giocare con se stessi e con Dio quando ci si mette in un percorso di questo genere.
Il secondo punto che sottolinea Martini è l’urgenza di una riflessione e di una strategia complessiva nella Chiesa circa la condizione -umana, spirituale e canonica- dei divorziati. E’ questo un passaggio di grande carità. Non possiamo rassicurarci -se è il nostro caso- dicendo “noi siamo diversi” “a me non è toccato”. Sappiamo benissimo che prima di sposarci non avevamo affato la sicurezza matematica che il coniuge credesse fino in fondo nell’indissolubilità. E anche per noi stessi ci siamo fondati più sulla grazia di Dio che sulla nostra umana capacità.
E se il nostro coniuge si rivelasse diverso ? se ci trovassimo nelle condizioni di chi viene lasciato ? Saremmo così graniticamente fermi nel rifiutare la possibilità di un nuovo rapporto ? Siamo sinceri: speriamo tutti di sì, ma preghiamo tutti Dio di risparmiarci una prova di questo genere.
Allora bisogna pensare ai divorziati, bisogna per prima cosa far sentire loro il balsamo della fraternità. Come dice il Salmo 133:
Ecco quanto è buono e quanto è soave
che i fratelli vivano insieme!
È come olio profumato sul capo,
che scende sulla barba,
sulla barba di Aronne,
che scende sull’orlo della sua veste.
Se dalla veste di Aronne il sacerdote, tanto quello ordinato quanto quello comune che crea fraternità, non scende l’olio della guarigione, il balsamo della riconciliazione e della consolazione, la nostra predicaiozne sarà vana, i sacramenti spesso senza frutto, perchè non ci sarà abbastanza fede per accoglierli.
In questo il cardinal Martini si rivela profondamente cristiano, profondamente gesuita, profondamente pastore.